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venerdì 29 maggio 2009

Le accuse di Amnesty all'Italia

Il nuovo rapporto di Amnesty international spiega come la crisi economica aggravi le violazioni dei diritti umani. Per l'Italia, dure critiche alle politiche contro i migranti e alla lunga collaborazione con la dittatura di Gheddafi

E’ sicuramente uno capitoli peggiori degli ultimi anni, l’aggiornamento al mese di maggio 2009 sulla situazione dei diritti umani in Italia che accompagna il rapporto annuale di Amnesty international, presentato ieri a Roma. A preoccupare l’associazione internazionale per la difesa dei diritti umani sono le norme del pacchetto sicurezza, così come «gli attacchi di stampo razzista» di cui sono stati vittime i rom e i sinti in Italia negli ultimi mesi. Preoccupano anche le lentezze nei processi che vedono imputati agenti di polizia [dal G8 di Genova alle morti di Federico Aldovrandi e Gabriele Sandri], fino al fatto che l’Italia continua a rimanere indietro rispetto agli altri paesi in materia di reati configurabili come tortura. Tuttavia, l’attenzione dei ricercatori dei Ai è concentrata sulle politiche del pacchetto sicurezza e sulle politiche di respingimento dei migranti che il governo Berlusconi, e soprattutto il ministro dell’interno Roberto Maroni, perseguono costantemente. A proposito del pacchetto sicurezza, Amnesty, «sin dall’inizio ha guardato con estrema preoccupazione all’emergere di norme che, lungi dal rappresentare una pianificazione chiara e comprensibile della politica sull’immigrazione, hanno un impatto pericoloso sui diritti umani». «A maggio 2009, a seguito dell’apposizione della fiducia da parte del governo, la Camera dei deputati ha approvato il testo del disegno di legge (ddl 2180) il quale, fra le altre cose, introduce il reato di ingresso e permanenza irregolare nel territorio dello stato – scrive Amnesty – Se confermata dal Senato, questa disposizione può produrre un’allarmante conseguenza sui diritti umani dei migranti irregolari: costretti dalla minaccia incombente di una denuncia da parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, essi sarebbero indotti a sottrarsi dall’incontro con ogni tipo di istituzione e ufficio pubblico, tenendosi alla larga da ospedali, scuole, uffici comunali, con immaginabili conseguenze sul diritto alla salute, all’istruzione per i figli, alla registrazione dei nuovi nati».
Per quanto riguarda le politiche di detenzione di migranti al momento dell’arrivo, Amnesty rileva che «L’Italia non ha risolto la questione della legittimità della detenzione dei migranti e dei richiedenti asilo immediatamente dopo l’arrivo. Come sottolineato dal Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite (Wgad), che ha visitato l’Italia nel novembre 2008, durante il primo periodo di permanenza nei centri dopo l’arrivo in Italia, i richiedenti asilo sono sottoposti a una detenzione de facto, priva di basi legali certe e di controllo giudiziario». A ciò si aggiunge il peggioramento delle pratiche di respingimento e delle condizioni di vita a Lampedusa, a causa della decisione di Maroni di trasformare il Cpta in Cie: «È stata così ribaltata la politica adottata sino a quel momento che considerava Lampedusa come luogo di soccorso, dove svolgere soltanto una primissima identificazione, prima che le procedure amministrative potessero essere avviate in altri centri della Sicilia e del territorio peninsulare. La nuova prassi ha avuto un grave impatto sui diritti umani di migranti e richiedenti asilo, che sono dovuti rimanere all’interno del centro di “Contrada Imbriacola” a Lampedusa per lungo tempo. Tale centro, che all’epoca poteva ospitare sino a 804 persone, è arrivato a contenerne anche 2000, con evidenti conseguenze per le condizioni igienico-sanitarie».
Ancora: «Venendo meno a una politica che le ha viste spendersi per la salvezza di vite umane nel Mediterraneo, nel 2009 le istituzioni italiane hanno mancato ai principi fondamentali dei diritti umani mentre esercitavano le proprie funzioni in mare». Sotto accusa, i mancati soccorsi ai naufraghi della Pinar e la collaborazione con il regime libico per i respingimenti in mare delle navi cariche di migranti. Amnesty scrive: «Tra il 7 e l’11 maggio 2009, con una decisione senza precedenti, l’Italia ha condotto forzatamente in Libia circa 500 tra migranti e richiedenti asilo, senza alcuna valutazione sul possibile bisogno di protezione internazionale degli stessi e quindi violando i propri obblighi in materia di diritto internazionale d’asilo e dei diritti umani. Il 75 per cento delle persone che arrivano in Italia via mare sono richiedenti asilo e, secondo l’Unhcr, tra le persone rinviate in Libia vi erano cittadini somali ed eritrei, bisognosi di protezione». «Queste azioni rappresentano il portato finale, grave e prevedibile, di una cooperazione con la Libia perseguita e condotta, negli ultimi 10 anni, dai diversi governi che si sono succeduti e caratterizzata da scarsa trasparenza e nessuna condizione posta al governo di Tripoli sui diritti umani». Per questa politica di lungo corso, l’Italia, secondo Amnesty «deve essere considerata responsabile per quanto accadrà ai migranti e ai richiedenti asilo riportati in Libia».

da Carta

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