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mercoledì 3 giugno 2009

L'Aquila come passerella. La speculazione politica sulla tragedia d'Abruzzo

"Ecco gli sciacalli!". Televisioni e giornali li avevano annunciati fin dalla prima ora, s'erano presi un paio di flop nella foga di uscire con la sperata notizia della presa del primo sciacallo, esente di umanità e pudore, neutralizzato dalle forze dell'ordine nell'intento di portare vie ricchezze da L'Aquila Onna o Fossa. E' andata diversamente, i più ingenui non hanno avuto la forza di rendersi conto che gli odiati profittatori della tragedia del terremoto abruzzese erano già sulle prime pagine e nei teleschermi di tutt'Italia: chi con indosso un cappello da pompiere, chi bramosamente in diretta tv no-stop, chi desideroso di passare inosservato attraverso la convocazione di una conferenza stampa, chi ostinatamente addetto a controbattere ad ogni tipo di critica (già dichiarata bandita), chi svergognatamente impegnato a farsi da garante della sicurezza degli edifici di tutto l'Abruzzo. Oggi degli sciacalli si conosce nome e cognome, la gente dei campi è stufa e stanca, l'Abruzzo nonostante sia diventata una gigantesca zona rossa evidenzia increspature...

Non offendete la memoria dei nostri figli! L'Aquila sempre più intesa e utilizzata come passerella politica, nuovo centro di un'attenzione mediatica costruita ad hoc. Attenzione non tanto rivolta al progredire (?) della ricostruzione (per quello bastano un paio di inaugurazioni al mese per tranquillizzare gli scettici), all'uscita dalla logica dell'emergenza e quindi dallo stato di eccezione dei campi e di vite sospese, alla riappropriazione sociale dei territori da parte di cittadinanze inghiottite da una militarizzazione furiosa che lascia più che altro immaginare all'affronto della prossima scossa di terremoto per mano delle milizie della Brigata Folgore. La scena è, mediaticamente, della politica in cerca di fortune e consenso, dietro le quinte, dei costruttori pronti a tornare a riempirsi le pancie a suon di speculazioni, nel quotidiano, dei battaglioni armati fino ai denti dell'esercito e delle forze dell'ordine così come della vorace macchina organizzativa della Protezione Civile. Scenario questo che si è, fin dal primo minuto, voluto presentare come piano liscio, contraddistinto dalla fratellanza e comunanza di intenti ed finalità di tutti coloro che ne sono, volenti o nolenti, coinvolti. A oramai 2 mesi dal terremoto abruzzese anche questo (costruito) "incantesimo" si è andato a rompere, malumori e conflitti fino a ieri sotto traccia esplodono, una rabbia che non può non manifestarsi nel momento in cui, ignobilmente, anche i morti sono strumenti "della ricostruzione".

«Mio figlio era uno studente universitario ed è morto sotto le macerie, cosa c'entra questo con la campagna elettorale?», si ribella Paolo Colonna all'idea della cerimonia già apparecchiata per domani mattina. Quando il presidente del Consiglio sarà per l'ennesima volta a l'Aquila per consegnare alle famiglie degli studenti morti sotto le macerie una laurea honoris causa. All'invito del rettore lui e le famiglie di altri sette studenti morti nel terremoto avevano già risposto di no. Il perché lo spiegano in una lettera al rettore firmata con i nomi dei loro figli.

«Siamo stati noi a tirarli fuori dalle macerie», racconta il padre, che, quando ha cominciato a intuire cosa poteva essere accaduto a l'Aquila è corso da Torre de' Passeri: «Sul posto c'erano dei ragazzi che scavavano, non c'era la Protezione civile, non c'era nessuno, loro sono arrivati solo diverse ore dopo».


da "Utilizzano i nostri figli morti sotto le macerie a scopo elettoralistico", L'Unità, 28 maggio 2009

Le proteste delle famiglie degli studenti e delle studentesse rimasti sotto le macerie della Casa dello Studentese di L'Aquila hanno indotto il presidente del consiglio Berlusconi a non presentarsi alla cerimonia di consegna delle lauree honoris causa, per evitare coloro che non ritengono accettabile anche la speculazione sui figli morti. Contestazione che il premier ha però trovato, sempre nella giornata del 29 maggio, davanti all'ingresso della caserma della Guardia di Finanza di Coppito: quando doveva ancora cominciare l'ennesima conferenza stampa lì convocata alcune decine di giovani aquilani hanno compiuto una sortita di protesta, puntando il dito contro il decreto sul terremoto e le passerelle di testimonianza degli esponenti politici. "Cacciate i soldi. Forti e gentili si, fessi no", questo lo striscione esposto. Sono stati tutti identificati ed allontanati dai finanzieri.

Vietato fare politica nei campi abruzzesi I sentori del nuovo ordine imposto dall'arrivo in forze della Protezione Civile si era avvertito fin dalla prima settimana post-terremoto: gli uomini del super-commissario Bertolaso non hanno permesso che nulla non passasse dal loro corpo, dagli aiuti donati fino all'organizzazione delle attività dei campi. Tanti compagni e compagne abruzzesi, come avevamo avuto modo già di raccontare nei mesi precedenti, si sono attivati fin da subito, mettendo in moto processi d'autorganizzazione dal basso rivelatosi ben presto assolutamente concreti, su più livelli, facendo da raccordo della reale ed estesa solidarietà sociale, impedendo (non da corpi estranei rispetto al tessuto dell'aquilano) che i campi fossero trasformati in teatri di interessata lobomotizzazione. Ogni criticità e contraddizione la Protezione Civile cerca di plasmarla con modalità delle più subdole, ostracizzando chiunque voglia occuparsi da protagonista della propria terra e del proprio futuro.

Ha vita dura chi nei vari campi vuole diffondere volantini, materiale informativo, organizzare dibattiti pubblici sui limiti del decreto e sui problemi della ricostruzione. Spesso ci si sente rispondere in bolzanese, siciliano o in altre cadenze: «Mi spiace, nel campo non si può entrare, qui dentro non si fa politica». Si possono intonare canti gregoriani, partecipare a tre messe al giorno, appendere in sala mensa materiali informativi dell'Opus dei, si può vedere tutti insieme Paperissima o Bruno Vespa in televisione, si può pregare prima di mangiare, come avviene nel campo di Roio Piano, gestito niente meno che dai Cavalieri di Malta. Si può assistere alle visite di ministri e sottosegretari. Si possono distribuire biglietti da visita di imprenditori del ramo edile, di ingegneri e venditori di camper e case di legno. Ma politica, per carità, non si può proprio. Soprattutto ora che ci si avvicina al G8. Neanche la politica nel senso più nobile del termine, curarsi cioè del bene comune, decidere insieme il futuro della polis, della propria città che va ricostruita da capo e in cui ci si dovrà vivere.

da "Vietato fare politica nei campi abruzzesi", Abruzzo Tv, 26 maggio 2009

Abruzzesi in piazza, Berlusconi li vuol mandare in crociera La prima reale uscita pubblica dei tanti comitati cittadini e delle reti solidali nate dalle macerie del terremoto abruzzese si è avuta, con forza, il 1 giugno. Centinaia e centinaia di aquilani si sono dati appuntamento sotto la Fontana Luminosa, con il proposito di attraversare il cuore della città, bollata però come "zona rossa" dalle autorità, quindi inagibile. Tutti muniti di casco giallo in testa si sono avvicinati all'imbocco del centro cittadino, fermati dalle forze dell'ordine con le quali si sono verificati momenti di tensione. Massimo Cialente, sindaco de L'Aquila, si è proposto come mediatore, cercando di destraggiarsi tra l'appoggio alle proteste della popolazione e l'agibilità limitata concessa dal ruolo che detiene, nell'opportunismo di non mostrarsi come altro avversario e responsabile della situazione ai cittadini e alle cittadine aquilane. In quest'ottica dev'esser anche vista l'annunciata manifestazione ventilata dai sindaci dell'area per il 3 giugno contro il decreto sull'Abruzzo, alla luce di una realtà indubbiamente insostenibile ma anche nell'interesse di riappropriarsi dei poteri all'oggi "sequestrati" da Governo e Protezione Civile. "Entro settembre contiamo di non avere più gente nelle tende, mentre questa estate vogliamo programmare vacanze al mare per le famiglie e crociere sul Mediterraneo per i ragazzi", questa l'ultima boutade del presidente del consiglio Berlusconi: che i terremotati lascino ricostruire l'Abruzzo a speculatori e palazzinari, l'esercito vigilerà sulle loro macerie, la Protezione Civile si adopererà per battere il terreno per accogliere il G8, che vadano a rilassarsi nelle moderne colonie in versione familiare elargite dal governo... Son arrivati gli sciacalli!

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