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martedì 30 giugno 2009

Morto un giornalista russo aggredito per i suoi articoli

E’ un caso su cui davvero il presidente Dmitrij Medvedev dovrebbe promuovere una seria inchiesta, se vuole avere un minimo di credibilità nel suo desiderio di far diventare la Russia un paese “normale”: Vyacheslav Yaroshenko, direttore del giornale “Korruptsija i Kriminal“, è morto ieri nella città di Rostov sul Don (Russia meridionale) per i postumi delle ferite infertegli due mesi fa da sconosciuti che lo aggredirono sotto casa.

Ma lo scandalo non si ferma al delitto, per quanto orribile: investe anche la polizia locale, che a tutt’oggi rifiuta di far aprire un’inchiesta, e le autorità sanitarie locali, che hanno costretto Yaroshenko a lasciare l’ospedale dov’era ricoverato, nonostante le sue condizioni fossero gravissime. In pratica un omicidio cui hanno partecipato attivamente non solo il killer e i suoi mandanti ma anche importanti autorità cittadine. Un omicidio politico: è infatti del tutto evidente che a provocare l’aggressione (e l’abbandono della vittima al suo destino e alla morte) è stata l’attività giornalistica di Yaroshenko, il cui giornale denunciava sistematicamente gli episodi di corruzione e malaffare a livello delle amministrazioni locali nella regione di Rostov. Tanto che anche il “vice” di Yaroshenko, Sergej Sleptsov, è stato per due volte vittima di serie aggressioni nei mesi precedenti.

Colpisce in modo particolare l’atteggiamento delle autorità sanitarie e della polizia cittadina. Yaroshenko era stato aggredito sotto casa il 29 aprile, da sconosciuti che lo avevano ferocemente colpito alla testa con una sbarra di ferro; nella notte successiva, in ospedale, era stato sottoposto a un lungo e delicato intervento chirurgico, dal quale era uscito in coma – e in coma era poi rimasto per parecchi giorni. Dopo un mese, nonostante le condizioni del giornalista fossero sempre piuttosto serie, l’ospedale lo dimise, spedendolo a casa; pochi giorni dopo Yaroshenko doveva però essere nuovamente ricoverato, in rianimazione e in condizioni gravissime, rimaste poi tali fino alla morte. Fin dall’inizio, peraltro, la polizia aveva rifiutato di aprire un’inchiesta per lesioni, sostenendo che il giornalista aveva subito il trauma cranico per via di “un urto casuale”, non si sa bene in che modo.

L’opinione pubblica occidentale segue con giusto interesse gli sviluppi del “caso Politkovskaja”, un delitto eccellente su cui il sistema inquirente e giudiziario russo ha finora mostrato i suoi gravi limiti (ma dove pur si intravede qualche piccolo sforzo, dall’alto, per cambiare le cose): ben minore è l’interesse mostrato per casi come quello di Vyacheslav Yaroshenko, purtroppo assai frequenti, dove l’impunità per chi uccide le persone “scomode” non è soltanto un dato di fatto ma quasi un’asserzione esplicita da parte di chi dovrebbe tutelare la vita e la sicurezza dei cittadini. Finché dal Cremlino non arriverà una chiara risposta, una seria presa in carico di questa situazione terribile, sarà impossibile considerare la Russia un paese dominato dalla legge e non dall’arbitrio dei potenti.

da Indymedia

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