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giovedì 23 luglio 2009

Armi, l'Italia ancora al secondo posto

Il Graduate institute of international studies di Ginevra pubblica il rapporto annuale sulle armi piccole e leggere. L'Italia ancora una volta in pool position per esportazioni e scarsa trasparenza

«In alcune società post-conflitto, i livelli di violenza armata diretta sono comparabili, o superiori, ai livelli raggiunti durante i conflitti armati.
Le possibilità di ricaduta in un conflitto armato in società postbelliche sembrano essere maggiori delle probabilità che scoppi una guerra dove non ce ne sono mai state». Così spiega il rapporto annuale «Small arms survey», presentato nei giorni scorsi a Ginevra dal Graduate institute of international studies e di cui Giorgio Beretta dà anticipazione su Unimondo [www.unimondo.org].
In base ai dati del Comtrade Onu e altre fonti, il Small Arms Survey stima che il commecio legale di armi da fuoco nel mondo ha raggiunto i 1,58 mila milioni di dollari nel solo 2006. Il commercio illegale, che si conferma considerevole nonostante l’aumento nel registro dei commerci di armi da fuoco, potrebbe ammontare almeno a 100 milioni di dollari.
I dati del Comtrade Onu evidenziano un aumento del 28 per cento del commercio legale di armi piccole e leggere, come anche dei pezzi di ricambio, accessori e munizioni, dal 2000 al 2006.
Ed è proprio il settore delle munizioni di piccolo calibro quello che ha subìto la crescita più consistente, da cui provengono circa 183 milioni di dollari in più, con un aumento del 33 per cento.
Ma l’aumento percentuale più significativo l’hanno registrato gli accessori per pistole e revolver, con un incremento del 101 per cento, pari a 60 milioni di dollari.
I dati disponibili sulle armi da fuoco indicano che la stima di 4 milioni di dollari, corrispondente al commercio mondiale legale di armi piccole e leggere, è fortemente al di sotto della cifra reale.
Molti tra i principali paesi esportatori comunicano poche o parziali informazioni, come Bielorussia, Iran, Israele, Corea del nord e Sudafrica; mentre altri, tra cui Cina, Pakistan, Singapore e Russia, forniscono i dati relativi all’esportazione delle armi a uso civile, mentre non comunicano alcun dato riguardo le esportazioni di armi da fuoco a uso militare.
Tra questi anche l’Italia, al secondo posto, dopo gli Stati uniti, per esportazioni di armi piccole e leggere [con esportazioni annue di almeno 100 milioni di dollari], seguita da Germania, Brasile, Austria e Belgio, mentre i principali importatori [con importazioni annue di almeno 100 milioni di dollari] sono Stati uniti, Francia, Giappone, Canada, Corea del sud, Germania e Australia.
Ma tra tutti, solo Svizzera, Regno unito, Germania, Norvegia, Olanda Serbia e Stati uniti presentano dati «accettabili» secondo il «Barometro di trasparenza 2009», mentre Iran e Corea del nord sono gli esportatori con il minor grado di trasparenza.
Per quanto riguarda l’Italia, Beretta sottolinea che i dati forniti all’Onu riguardano solo le armi ad uso civile [polizia inclusa] mentre il commercio legale di quelle a uso militare è regolamentato dalla legge 185/90, che prevede un rapporto annuale al parlamento, normativa che fu il prodotto della mobilitazione della società civile e soprattutto delle associazioni di ispirazione cristiana e il mondo missionario, guidato dalla testata comboniana Nigrizia. «Una legge che era, e in gran parte resta, tra le più avanzate del mondo, nonostante gli emendamenti apportati nel 2003, a dispetto di una campagna di mobilitazione contraria – ricorda Beretta su Unimondo, che sta elaborando uno studio a 20 anni dalla sua approvazione -. Ora il problema da affrontare sono le nuove direttive europee in vigore dal prossimo anno, che autorizzano il libero commercio di armi da guerra tra tutti i 27 paesi membri, ma forse con un sistema di controllo non sufficientemente stretto per contrastare le triangolazioni verso paesi che non dovrebbero ricevere armi».

da Carta di Lucia Alessi

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