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giovedì 9 luglio 2009

Da comunista mi chiedo: cosa ci sto a fare tra i "no global"?

E’ triste prenderne atto: la sinistra anticapitalista è ormai uno degli ambiti più stomachevoli della nostra società.
E lo dico da comunista convinto, perciò la cosa mi provoca più d’un “problemino di coscienza”…
Il punto è questo: io sono comunista per delle mie “ragionevoli convinzioni” che, invece, venire radicalmente ripudiate in blocco da molti, moltissimi “compagni antagonisti”.
Mi spiego meglio…
Da romantico rivoluzionario novecentista quale sono, il mio “mondo ideale” è fortemente “morale e moralizzante”, fondato su principi anche molto rigorosi: rispetto di alcune consuetudinarie regole di convivenza civile, importanza del lavoro, critica al parassitismo sociale etc.
Cioè, l’esatto opposto del “vietato vietare” di sessantottina memoria che sembra essere, viceversa, il dogma di tanti giovani contestatori antagonisti.
Un esempio per tutti: i cortei anti G8 di questi giorni (cui, immancabilmente, continuo comunque partecipato. Come faccio da quindici anni del resto!) si sono ridotti ad una cosa soprattutto: ad un festival del “danno agli arredi pubblici e ai pubblici servizi”, dai sampietrini sradicati dalle strade alla vernice gettata nei negozi e sulle vetrine, passando per il blocco dei treni dei pendolari.

Io sono capace di tenermi in mano una cicca di sigaretta per due chilometri pur di non buttarla in terra, cioè: io di questo mondo non condanno le troppe regole, ma piuttosto il loro mancato rispetto.
Nel mio mondo le fabbriche o le caserme dei carabinieri non chiuderebbero i battenti: semplicemente lavorerebbero meglio e di più, cioè al servizio del bene comune anziché dei privilegi di pochi…
Invece, mi sembra che il giovanissimo esercito “no global” veda le cose in un modo praticamente opposto al mio.

A questo punto, non so davvero che pensare.
Possibile continuare a marciare insieme a questi ”compagni che sbagliano”?

da Indymedia

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