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lunedì 13 luglio 2009

La favola delle “toghe rosse” e della magistratura politicizzata

Quando si parla di toghe politicizzate una buona parte della popolazione italiana ha un’idea ben chiara e cristallina. Un’idea cresciuta radicalmente in questi ultimi 15 anni e che difficilmente si riuscirà a cambiare si basa sulla convinzione che esista una magistratura politicizzata, eversiva ed ad orologeria, votata ad un unico obiettivo: distruggere politicamente il bersaglio di turno. Un bersaglio che in effetti è cambiato negli anni, ripensando ai vari personaggi politici più famosi, anche per i loro processi, come Andreotti, Craxi e Silvio Berlusconi. Credere a questa teoria dell’eterno complotto diventa semplice se a dar man forte ci pensano i mass media, “dimenticandosi” troppo spesso di riportare i fatti e le sentenze per quello che sono e soffermandosi solamente sul “nome” del protagonista per fare audience.

Il caso di Giulio Andreotti è uno dei più simbolici per questa “idea” diffusa della giustizia politicizzata. Con chiunque si parli c’è la piena convinzione della sua completa assoluzione, arrivata con colpevole ritardo dopo anni di continui attacchi, diffamazioni e dicerie sulla sua persona. La realtà invece è molto più grave. Basterebbe riportare la sentenza, con l’aggiunta dei fatti accertati dalla magistratura, come l’incontrò con il capo di Cosa nostra, Stefano Bontate o i rapporti con Salvo Lima, Vito Ciancimino e i cugini Salvo.

«Il reato di associazione per delinquere commesso fino alla primavera del 1980 è estinto per prescrizione (…) con la sua condotta (…) (non meramente fittizia) ha, non senza personale tornaconto, consapevolmente e deliberatamente coltivato una stabile relazione con il sodalizio criminale ed arrecato, comunque, allo stesso un contributo rafforzativo manifestando la sua disponibilità a favorire i mafiosi ». (fonte)

Questo è un esempio, identico al lavoro di pulizia che si sta facendo all’immagine di Bettino Craxi, attaccando, sminuendo e cancellando il lavoro fatto dal pool di Mani Pulite. Avevano l’unica colpa di avere scoperchiato Tangentopoli. Oggi, 15 anni dopo , si cerca di ricordarli come il cancro di quel periodo. Come accennato poco sopra, negli ultimi lustri gli attacchi ai giudici sono continuati, favoriti dalla carriera processuale dell’ On. Berlusconi, unica nel suo genere. Uno di questi fu il pm Ilda Boccassini, attaccata specialmente per il suo lavoro nel Processo Sme. Le accuse mosse a lei e ai suo colleghi di Milano erano le solite: «toghe rosse», «eversivi» o «golpisti a servizio della sinistra». La loro colpa? Indagare sull’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, i suoi avvocati, la sua azienda e altri giudici coinvolti. Nel 1996 Vittorio Feltri, ai tempi direttore del “Il Giornale” ( Famiglia Berlusconi) , scriveva cosi:


«Lo strapotere che esercitano, la disinvoltura con cui interpretano e usano i codici (…) intimidiscono il cittadino, lo lasciano in uno stato di vaga inquietudine (…). Anche Ilda Bocassini è troppo per il mio grado di tenuta nervosa. Non giudicatemi male: con lei non salirei neppure in ascensore. Tra poco vi saranno le elezioni, difficile credere che sia soltanto una coincidenza. Comunque, dati i personaggi, più che scandalo, questo sarà archiviato come impiastro. Alla puttanesca».

Una storia che s’è ripetuta questi ultimi mesi con un altro giudice, ironicamente molto simile esteticamente alla collega appena citata. Il suo nome è Nicoletta Gandus, presidente del collegio giudicante nel processo Mills a Milano. Il Cavaliere la definì «un suo nemico politico», «un’estremista di sinistra» e per questo non in grado di giudicarlo. Avviò anche un processo di ricusazione, per «grave inimicizia». Seconde il direttore della Stampa, Augusto Minzolini, il premier disse di avere un testimone da usare per questa ricusazione.

«Ho un testimone che ha ascoltato una conversazione tra la Gandus e un altro magistrato. Gandus ha detto: “A questo str… di Berlusconi gli facciamo un c… così. Gli diamo 6 anni e poi lo voglio vedere a fare il presidente del Consiglio».

Purtroppo di questo teste non si ebbe notizia e la ricusazione fu respinta prima dalla Corte d’Appello e poi dalla Cassazione di Milano:

I documenti che dovrebbero dimostrare l’inimicizia grave tra la dott.sa Gandus e il ricusante (…) sono mere manifestazioni di pensiero relative non a rapporti personali o comportamenti dell’on. Silvio Berlusconi ma semplicemente critiche a testi di legge approvati dal Parlamento durante la legislatura 2001/2006, nella quale quest’ultimo è stato capo del governo. (fonte)


Certamente non è bastato questo, e non basta tutt’ora, per togliere i dubbi insorti nel cittadino comune nei confronti della magistratura. Ci sono tre fatti che però risultano significativi e che dimostrano ancor di più la serietà, l’ estraneità politica e tanto più la mancanza di inimicizia personale di queste due togate. Per quanto riguarda Ilda Boccassini la notizia è di settimana scorsa. Con il suo lavoro ha fatto condannare 14 esponenti delle Nuove Brigate Rosse, con pene che arrivano anche a 15 anni di reclusione. “Il Giornale” nel giorno del loro arresto, nel febbraio 2007, dimenticandosi per un giorno la lotta alle toghe rosse, elogiò le forze dell’ordine guidate dalla pm milanese (Ilda la Rossa), cosi abili nello sventare un’azione terroristica che mirava addirittura a Silvio Berlusconi, il giornalista Ichino di “Libero” e la stessa Mediaset. La presunta toga rossa che condanna i brigatisti. C’è qualcosa che non torna.

Un particolare non così importante ma comunque rilevante è addebitabile invece al giudice Nicoletta Gandus. Nel febbraio del 2008, il Tribunale presieduto dalla stessa accordò il rinvio del processo a Berlusconi e a Mills, per motivi elettorali. Stava per incominciare la campagna del 2008, quella che vide stravincere la colazione Pdl-Lega e un processo nel bel mezzo sarebbe stato un impedimento sia mediatico che politico. Peccato che dopo le elezioni, oltre ai tentativi di ricusazione, subentrò il Lodo Alfano che stralciò la posizione del premier dal processo. Insomma, la Gandus fece un “favore” a Berlusconi posticipandogli il processo e dandogli la possibilità di vincere le elezioni senza interferenze, ma evidentemente questo dettaglio è poco noto ai sostenitori del Cavaliere e della teoria del complotto della amgistratura.

Un altro esempio della sua neutralità fu il processo a Roberto Formigoni , sicuramente tutto fuorché “politicamente vicino” alla sinistra, dove il presidente della regine Lombardia fu completamente assolto, dopo l’accusa di irregolarità nella gestione della discarica di Cerro. (Processo in cui fu coinvolta la Simac, sociètà di Paolo Berlusconi, che però patteggiò la pena con una risarcimento record di 52 milioni di euro).

Tutt’altra situazione può essere addebitata invece a Luigi De Magistris. In questi mesi di campagna elettorale, il neo-eurodeputato ha dichiarato più volte la suo ideologia politica, nata grazie alla vicinanza in gioventù col partito di Berlinguer. Per essere anch’egli una “toga rossa”, con le indagini a Prodi e a Mastella, ha minato non poco la strada di quel governo di centro sinistra. Sembra ci sia una tale confusione in queste vidende da non riuscire mai a capire da che parte sta il torto o la ragione. Si potrebbe iniziare con un punto molto semplice, cioè smettere di dividere i giudici in rossi, gialli e neri. Ritornare a basarsi sui fatti, leggere le carte, valutare le accuse e accettare le sentenze. Ma se così fosse, per gli italiani, si correrebbe il rischio dei crimini che i nostri politici commettono tutti i giorni, e della lunga lista di parlamentari con condanne definitive che siedono a Montecitorio.

In questi giorni alla lista dei “magistrati canaglia” si è aggiunto un nuovo nome (Tg1 docet), Pino Scelsi, sostituto procutore antimafia di Bari. La sua colpa? Indagare su un giro di ragazze invitate a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa (le residenze del premier Silvio Berlusconi) in cambio di denaro. L’offensiva mediatica contro il nuovo «eversivo» è appena cominciata.

di Simone Pomi da DirittodiCritica

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