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mercoledì 22 luglio 2009

La scuola italiana

Dal Medio Oriente alla ex Jugoslavia, due storie di un’altra Italia raccontate da Amira Hass.
Una scuola fatta di vecchi pneumatici, terra e fango viene costruita in questi giorni da una tribù beduina tra le montagne di Gerusalemme e il deserto, sulla strada per Gerico. È bella ed ecologica, a differenza delle baracche dove vivono gli abitanti dopo l’espulsione da Israele nel 1948.

È anche molto economica: d’altra parte l’idea di usare i materiali disponibili sul posto nasce per aiutare le comunità povere di tutto il mondo. Complimenti all’architetto che ha ideato questa soluzione (chiamata earthship) e all’ong che sta lavorando con gli jahaleen. Sono entrambi italiani: l’architetto è Valerio Marazzi e l’ong è Vento di Terra.

Economiche, ecologiche, facili da costruire, fresche d’estate e calde d’inverno: che altro dire? Ah, sì, sono illegali. Cioè, sono illegali secondo i criteri dell’occupazione israeliana. Israele non include gli insediamenti beduini nel suo piano d’azione: solo le colonie ebraiche meritano di essere costruite e sviluppate. La possibilità di chiedere un permesso di costruzione negli insediamenti beduini non è prevista.

Di conseguenza non ci sono alloggi, scuole o ambulatori medici permanenti. Così le autorità hanno subito emesso un’ordinanza per interrompere i lavori della scuola italiana.

Brava gente
A proposito di legalità, ho un’altra storia italiana da raccontare. Nei primi anni quaranta, quando l’Italia occupava parti della Jugoslavia, la famiglia di mio zio – con pochi altri ebrei fortunati – fu deportata in Italia. Qui furono felici “prigionieri di guerra”: impararono la lingua e divennero amici degli abitanti di Asolo (il loro “carcere”). Finché con l’armistizio le truppe tedesche invasero il nord del paese.

A quel punto fuggirono verso sud. Alcuni si procurarono falsi documenti d’identità, ma avevano bisogno della firma del sindaco. Tre donne andarono da lui. “No, non posso farlo”, disse. Le tre donne impallidirono, ma l’uomo aggiunse: “Ma può farlo il vecchio sindaco”. Il vecchio sindaco, la cui firma falsa legalizzò le loro carte d’identità altrettanto false, era morto da un pezzo.

Amira Hass è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania e scrive per il quotidiano Ha’aretz (altri articoli di Amira Hass pubblicati da Internazionale).

da Internazionale

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