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domenica 9 agosto 2009

FABRIZIO DE ANDRE' - KHORAKHANE'



Khorakhané (A forza di essere vento)
Struggente pezzo incentrato sullo stile di vita e l'assoluta libertà del popolo Rom (la parola "Khorakhanè" indica appunto una tribù d'origine Rom). I Rom vengono qui dipinti come un popolo senza una vera casa e per questo totalmente liberi e privi di condizionamenti economico-sociali.
Da qui la metafora, il senso del pezzo: la vita è come il viaggio di uno zingaro, che parte senza sapere la meta e senza, soprattutto, curarsi di questa, perché il fine diventa solo un interessante particolare, non lo scopo dell'esistenza umana! "...per la stessa ragione del viaggio viaggiare..."

Nel corso del concerto tenuto al Teatro Brancaccio di Roma nel 1998, Fabrizio De André dichiarò a proposito del popolo Rom: «Sarebbe un popolo da insignire con il Nobel per la pace per il solo fatto di girare per il mondo senza armi da oltre 2000 anni».

La coda di questo brano è scritta in romaní, la lingua dei Rom; ad esso collaborò un amico rom di Fabrizio. Nel disco in studio questo finale in lingua rom è cantato dalla moglie di De André, Dori Ghezzi; dal vivo il finale è spesso interpretato dalla figlia di De André, Luvi.

Khorakhanè

Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento

porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane

per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso

qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura

nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace

i figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via

e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere

ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare

e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio

lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio

Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta

Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna

vasu ti baro nebo
avi ker
kon ovla so mutavia
kon ovla

perché l'aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà

ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti

sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali

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