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martedì 11 agosto 2009

IL RICORDO/Pantaleo Ingusci, avvocato e storico, antifascista - Don Lelè, un uomo libero


Il padre era titolare di una rivendita di monopolio con annessa cartoleria, drogheria e agenzia di giornali; la madre discendente
dell’agronomo ed economista del ‘700 Presta: entrambi avevano costituito un ambiente democratico e liberale che era divenuto punto di riferimento di repubblicani (il sarto Teodoro Falconieri), anarchici protestanti (il filosofo Luigi Spedicato), socialisti (Gregorio Primativo, muratore).
Altri antenati, in famiglia, erano stati mazziniani, massoni repubblicani. In questa atmosfera nacque e trascorse i primi anni Pantaleo Ingusci, formicone di Puglia, come lo defininì Tommaso Fiore, antifascista e uomo libero da ogni servitù.
Durante gli studi classici compiuti a Lecce, fu discepolo di Vito Domenico Palumbo, spirito laico ed aperto. Ma la vera svolta Ingusci la operò quando incontrò come compagno di classe Oronzo
Reale. Con gli altri due fratelli Reale, Egidio e Attilio, ancora ragazzo, partecipò alle manifestazioni interventiste.
Nel primo dopoguerra fondò a Lecce il Partito repubblicano: la sede, un piccolo caffè vicino a Porta Rudiae. Iniziano, in questo periodo, le pubblicazioni di “I giugno”, numero unico.
Poco più tardi uscirà “Il dovere”, settimanale che, quando il direttore Oronzo Reale si trasferì a Roma, passò nelle mani di Ingusci.
Fu un giornale battagliero e, per i tempi, anticonformista.
Venne pubblicato su quel settimanale uno sferzante giudizio sul sorgente movimento fascista: “I fascisti”, scrisse Ingusci, “si
battono solo per tutelare particolari interessi non per affermare delle idee”.
Per il regime era troppo: la notte del 10 novembre del 1926 Pantaleo Ingusci fu arrestato per “complotto contro la sicurezza dello Stato”.
Il carcere durerà quasi due anni, ma il rifiuto del fascismo da parte di Ingusci durerà fino al ‘43: 17 anni di distacco dalla realtà che porterà ancora Tommaso Fiore a definirlo “un emarginato”.
Poco prima dell’arresto, Pantaleo Ingusci aveva iniziato, appena laureato in legge, a collaborare con “La voce repubblicana” e con “Il Mondo” di Giovanni Amendola.
I primi tre mesi di reclusione trascorsero nel carcere leccese di San Francesco. Poi venne deferito al tribunale speciale, accusa: eccitamento all’odio di classe ed alla guerra civile.
Nella cella 46 del terzo braccio il pavimento trasudava acqua: la salute dell’illustre neretino ne risentì per tutto il resto della vita.
Il 25 agosto dell’anno dopo l’arresto un telegramma del suo avvocato D’Angelantonio, lo avvisò che il tribunale speciale aveva trasmesso tutta la pratica all’organo di Bari.
Dopo due anni da quel 10 novembre arrivò l’assoluzione.
Ma con una grossa limitazione: fu infatti bloccata l’attività professionale di Ingusci il cui discreto patrimonio era già andato perdendosi durante la reclusione.
Tirerà avanti con gli aiuti dei modesti introiti delle lezioni private.
Gran parte della giovinezza passò così, discretamente coltivando pochi ma profondi rapporti con altri antifascisti pugliesi.
Di Lecce e dei rapporti della città col regime fascista Ingusci dirà: “Lecce non fu mai fascista, neppure quando il fascismo trionfò. Intorno agli inizi del ‘22, correva questa barzelletta: “Quando Starace viene a Lecce, Lecce città d’arte, se ne frega quando arriva e quando parte”.
Già prima della prigione, Ingusci aveva cominciato a pubblicare sue opere: “La monarchia” è del ‘24; “Illusioni e delusione della democrazia” dell’anno dopo, con “Ordinamenti statali in Europa e in America”.
Dopo il lungo silenzio esteriore, compare “Influenze mazziniane nel diritto pubblico italiano”.
E’ del 1961 “Repubblica mazziniana”, oltre ad una nutrita serie di biografie: Carlo Pisacane (‘63), N. Colajanni (‘65), Ricordo di Carlo Mauro (‘70).
Infine un “Compendio di storia della città di Nardo” del ‘65, ristampata col nome di “Nardo’ tra storia ed arte”.
Postumo sarà pubblicato “L’ora di Nardò”, romanzo storico.
Pantaleo Ingusci fu uno dei principali protagonisti della battaglia per la salvaguardia di Portoselvaggio sostenendo con l’autorevolezza della sua voce le ragioni dell’istituzione di un Parco Naturale in quell’area.
E’ morto nel 1981 all’età di 78 anni.

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