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sabato 22 agosto 2009

Terre ai giovani, l'uovo di Colombo

Tra le esternazioni estive dell’on Bossi, quella relativa al recupero produttivo di terreni agricoli male utilizzati affidandoli a giovani imprenditori appare come una delle più sensate. E il coro di apprezzamenti è stato vasto e unanime: ha visto, oltre che la Confidustria, anche il principale giornale di opposizione al governo, la Repubblica. Sulle pagine di quel giornale (rispettivamente lunedì 17 e martedì 18) un amichevole duetto di Carlo Petrini di Slow Food e del ministro dell’agricoltura Zaia esponente della Lega, ha mostrato i grandi vantaggi, le prospettive e – perché no? - i rischi connessi all’inziativa.Con chiaro e netto orientamento di classe, Petrini ha raccomandato con enfasi, tra l’altro, di semplificare la modulistica necessaria per accedere ai benefici dell’iniziativa. Insomma, l’idea è buona, si tratta gestirla al meglio. E il ministro ha prontamente ringraziato
D’altra parte la proposta di Bossi è un po’ come l’uovo di Colombo: ci sono le terre male utilizzate, ci sono i giovani pronti a farle fruttare con grande risparmio per lo stato, allora perché non dare ai giovani una opportunità? Poi si tratta di terre demaniali: un anacronismo. O no?
Forse no. Pur riconoscendo un certo radicamento populista (che poi è l’altra faccia della xenofobia) della Lega, a me la cosa puzza un po’ di bruciato. È dall’epoca delle ultime leggi eversive della feudalità (un paio di secoli addietro) che le terre demaniali hanno fatto gola ai privati, i quali in generale se ne sono appropriati con la frode o con la violenza. Lo stesso è avvenuto con i beni della mano morta espropriati a ordini religiosi e diventati di proprietà pubblica dopo l’Unità d’Italia.
Le terre dello stato e dei demani comunali se le sono accaparrate prima i galantuomini, poi, quando hanno potuto, anche strati piccolo borghesi. E a volte ce l’ha fatta pure qualche contadino ricco. Ricordo da ragazzo «le terre della comuna» a Montalto delle quali si era appropriato uno che di soprannome veniva detto ‘U jngu’ (il giovane toro) o, forse, i suoi antenati. Ora a privatizzare i beni pubblici ci pensano Bossi, Zaia e Tremonti.
Questa storica ingiustizia di classe, questa usurpazione, fu oggetto di lotta e di una polemica della sinistra (e nella sinistra). Era un chiodo fisso di Paolo Cinanni che ancora negli anni settanta pubblicava un libro importante per spiegare l’attualità del problema e l’esigenza di intervento dello stato. Non se ne fece nulla. Alle terre usurpate (questo è il termine tecnico) si aggiungono quelle ancora di effettiva proprietà demaniale, ma che sono già in mano a privati con vecchi contratti di affitto a canori irrisori per pascoli che in realtà sono sterminate stalle per bufale all’aperto dove il mangime (prodotto nelle produzioni estensive di mais e cereali) viene portato giornalmente a tonnellate. E si tratta di allevatori vecchi e giovani.
La questione delle terre demaniali venne portata all’attenzione del pubblico e della politica negli anni Settanta dal movimento di lotta per l’occupazione giovanile. Con la loro carica di illusioni e di speranze i giovani alla ricerca di un lavoro (e di un lavoro possibilmente diverso) costruirono cooperative, occuparono terre e le ebbero in concessione, ne presero anche in affitto e tentarono di viverci lavorando etc. Non andò benissimo. Ma fu un movimento importante e qualcuno imparò un mestiere Non è qui il caso di parlarne, salvo per ricordare che allora erano i giovani e non i ministri a chiedere che le terre, pubbliche e private, incolte o malcoltivate, venissero messe a profitto.
L’on Bossi ha parlato anche di spreco del danaro pubblico. E a ragione. Ma questo, per quel che ne so, riguarda soprattutto le grandi aziende private. Nel perverso meccanismo di sostegno alle aziende agricole si possono ricevere (e si ricevono) in maniera del tutto legale contributi per terreni che non si coltivano affatto.
È là che sta il vero spreco. C’è una spinta alla concentrazione che riguarda in maniera particolare le aziende zootecniche, che è l’effetto della PAC, della politica agricola comunitaria spesso sostenuta nei suoi aspetti peggiori dall’Italia. I compagni di Piadena hanno parlato sul manifesto degli orrori della produzione zootecnica su vasta scala e dei disastri ambientali che ad essa spesso si accompagnano. Queste problematiche non sono entrate affatto nel dibattito di questi giorni.
Eppure si sono sprecati paroloni. Federico Orlando alla lettura commento dei giornali su Rai Tre ha parlato di Riforma Agraria. A sinistra si è pensato che per una volta Bossi ha preso una iniziativa che avremmo dovuto prendere noi. Ma non è proprio così. Nel vuoto politico lasciato dalla crisi delle tradizionali organizzazioni degli agricoltori (a partire dal poderoso blocco di potere rappresentato dall’intreccio DC-Coldiretti) è facile inserirsi con proposte populiste e corporative. Ma non so ora i contadini poveri part-time, i semi-proletari agricoli (come si diceva una volta), del Mezzogiorno ( e non solo del Mezzogiorno) avranno nulla da guadagnare dalla proposta di Bossi. E comunque non sembrano esserne al corrente. Con buona pace di Federico Orlando, alla base delle riforme agrarie ci sono le mobilitazioni dei contadini, non le trovate dei ministri.
A rifletterci, più che di un uovo di Colombo forse si tratta di un uovo di Tremonti, come la proposta della privatizzazione delle spiagge.

di Enrico Pugliese da Il Manifesto

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