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martedì 15 settembre 2009

IL MEMORIALE MORO e lo scandalo Italcasse

Durante i 55 giorni di prigionia Moro scrisse molto sia per sua volontà sia perché obbligato dai suoi carcerieri che lo sottoposero ad un vero e proprio interrogatorio (che nulla aveva a che fare con un “processo popolare” come venne chiamato dai brigatisti) al quale lui non si sottrasse. Ma a distanza di trent’anni non si sono mai trovati né i manoscritti né i dattiloscritti completi. Moro scriveva su fogli quadrettati di un grande block notes (cm 20 x 30); fotocopie delle risposte manoscritte (passate alle cronache come “memoriale”) vennero poi portate a Milano, nella base brigatista di via Monte Nevoso, ma non risulteranno nei verbali dei reperti compilati dai carabinieri dopo l’arresto di Azzolini e Bonisoli e la scoperta del covo milanese (1° ottobre 1978).

Neppure ben cinque processi hanno permesso di recuperare gli originali degli scritti di Moro durante la prigionia, né la trascrizione-sbobinatura degli interrogatori registrati al magnetofono, né gli stessi nastri delle registrazioni. La tesi che i nastri sarebbero stati distrutti per impedire l’identificazione della voce che “interrogava” Moro – cioè quella di Mario Moretti, il quale ha sempre sostenuto di essere stato il solo a interrogare il prigioniero – è implausibile, dal momento che la voce di Moretti era già stata “bruciata” dalla lunga telefonata a casa Moro che lui stesso sostiene di avere effettuato il 30 aprile 1978, intercettata e registrata dagli inquirenti. Se effettivamente avvenne, la distruzione dei nastri con registrati gli interrogatori di Moro ha una sola possibile spiegazione: l’esigenza di nascondere la voce di un secondo “interrogante” esterno al Comitato esecutivo brigatista.

Del memoriale e delle lettere di Moro, in via Monte Nevoso ne sono state trovate due versioni: una (49 cartelle dattiloscritte) nell’ottobre 1978, e una seconda (419 fogli manoscritti in fotocopia) nell’ottobre 1990. Dall’analisi comparata delle due versioni emerge che il testo del memoriale nella seconda versione (quella manoscritta) è più ampio rispetto alla prima versione (quella dattiloscritta), e soprattutto contiene materia relativa a segreto di Stato.

Il presidente della Dc aveva rivelato ai terroristi la struttura occulta paramilitare “Gladio”, ben nota ai servizi segreti alleati e anche avversari, ma per ben quarant’anni nascosta al Parlamento italiano – infatti, quando la Commissione parlamentare stragi cercherà di approfondire la questione, si scontrerà a più riprese con l’apposizione del “segreto di Stato”: «Ma con un metro più severo il Parlamento e la magistratura dovranno valutare ciò che è stato fatto dal 1977 a oggi. È in questi anni che si è instaurata una nuova e più grave “illegittimità”, una “illegittimità” che il presidente del Consiglio non ha più ritenuto di dover coprire, fornendo gli elementi perché si sciogliesse il segreto e fosse resa possibile la eliminazione di Gladio»; e la relazione della Commissione concluderà: «Ma Gladio è stata una componente di quella strategia che, immettendo nel sistema elementi di tensione, ha giustificato la necessità di opportuni interventi stabilizzatori».

Altre parti dell’“interrogatorio” di Moro trovate nel 1990 trattavano il tema dei servizi segreti: il grave giudizio su Cossiga, divenuto «ministro degli Interni, quale eredità del sottosegretariato alla Difesa tenuto in precedenza» (una eredità propiziata a Cossiga dall’attività da lui svolta per “Gladio” e dalla gestione del “segreto di Stato”); il riferimento al falso comunicato del Lago della Duchessa, la «macabra grande edizione della mia esecuzione» che Moro sembrava attribuire a una logica extra Br implicante i servizi segreti; il giudizio su Andreotti come colui «che diresse più a lungo di chiunque altro i servizi segreti, sia dalla Difesa, sia poi dalla Presidenza del Consiglio con i liberali. Si muoveva molto agevolmente nei rapporti con i colleghi della Cia (oltre che sul terreno diplomatico), tanto che poté essere informato di rapporti confidenziali fatti dagli organi italiani a quelli americani», giudizio espresso nel contesto di un discorso sulla strategia della tensione, dove Moro rimarcava le implicazioni del Sid e delle forze di polizia e accennava anche a connivenze da parte della stessa Dc. È da rilevare come Moro, nelle parti del suo “memoriale” emerse nel 1990 tra le maglie del “segreto di Stato”, avesse appuntato la sua dura critica in particolare su Andreotti e su Cossiga – cioè sul presidente del Consiglio e sul ministro degli Interni che avevano le più gravi responsabilità per la condotta degli apparati dello Stato durante i 55 giorni del sequestro.

C’è comunque una consistente ragione deduttiva per ritenere che neppure il manoscritto moroteo trovato nel 1990 sia completo, in quanto privo almeno di una parte dedicata proprio al tema dei servizi segreti. Infatti, in due circostanze Moro rinvia a brani già scritti che nel testo originale risultano mancanti. Nel manoscritto si leggono spesso espressioni tipo: «Come ho già detto», «Ho già detto altrove», «Ricordo di avere detto», e – a eccezione appunto di due casi – tutti i rimandi trovano corrispondenza nei fogli scritti e sono di aiuto nel ricostruire l’ordine di svolgimento del suo discorso.

Una prima “incognita” si presenta con il paragrafo dedicato alla strage di piazza Fontana, là dove Moro scrive del Sid: «Ho già detto altrove che, per quanto riguardava i fini istituzionali del mio ministero, quell’organismo si comportò bene, tutelando, tra l’altro, i rilevanti interessi italiani in Libia e mantenendo proficui contatti con i vari movimenti di liberazione» – ma nel resto del memoriale non c’è alcun accenno alla vicenda. Un’altra “incognita” è contenuta nel paragrafo dedicato al «famigerato periodo della strategia della tensione», laddove Moro scrive: «Ho già detto altrove dell’on. Andreotti il quale ereditò dal Sios (Servizio informazioni Esercito) il gen. Miceli e lo ebbe alle sue dipendenze dopo Rumor e prima di ricondurlo a Rumor al finire del governo con i liberali. Ho già detto che vi era tra i due una profonda diffidenza»; anche questo rimando non trova corrispondenza nel testo, e quella risulta l’unica menzione del nome di Miceli. Né questi “rimandi” si possono spiegare col fatto che Moro si riferisse a risposte orali: è escluso dalla precisione dei riferimenti e dai riscontri puntuali di tutti gli altri rimandi nel testo.

E del resto, su “Op” del 24 ottobre 1978 Pecorelli aveva scritto di «stralci del memoriale Moro che si riferiscono a Miceli e a De Lorenzo», e inoltre che «sul memoriale originale di Moro... figurano gli elogi e i giudizi positivi su Miceli e De Lorenzo»: ma, mentre c’è il brano riferito a De Lorenzo, manca quello relativo a Miceli, del quale infatti il memoriale non contiene alcun elogio né giudizio. Ancora: la parte del memoriale dedicata alla strategia della tensione contiene lunghi paragrafi sulla strage di piazza Fontana e su quella di piazza della Loggia, ma nessun accenno alla strage del treno Italicus nella quale erano implicati i servizi segreti. La “incognita” più misteriosa è che nel memoriale moroteo non c’è alcun cenno agli innumerevoli “omissis” relativi al Sifar, cioè a una vicenda che – stando al Comunicato Br n. 2 – costituiva uno dei principali “capi di imputazione” del “processo” brigatista. È dunque più che probabile che dal “manoscritto” di Moro trovato nel 1990 sia tuttora mancante almeno un paragrafo dedicato ai servizi segreti.

Lo stesso ex ministro Cossiga fornirà una prova (forse involontaria) della incompletezza del memoriale trovato nel 1990 scrivendo:

«Ricordo che quando mi fecero leggere, il giorno prima che fosse reso pubblico [ottobre 1990, ndr], il secondo memoriale con l’interrogatorio delle Brigate rosse, la notte ero molto turbato: Moro mi indicava infatti come se fossi plagiato da Berlinguer. Non capivo bene tutto, perché a un certo momento parlava dell’Irlanda e diceva che io gli avevo raccontato come gli inglesi mi volessero far vedere dei villaggi irlandesi finti dove venivano addestrati i soldati che poi erano inviati a tenere l’ordine in Irlanda. Ecco, si ricordava persino questo».

Ma nei manoscritti morotei trovati nel 1990 non c’è scritto niente del genere. Rispondendo a una domanda sulla strategia antiguerriglia della Nato, Moro aveva parlato dell’Irlanda solo in questi termini: «In via eccezionale, benché neutrale, ma non è una neutralità istituzionale, l’Irlanda deve avere attuato una qualche forma di collaborazione sulla base della sua esperienza di guerriglia nell’Irlanda del Nord». In nessuno degli scritti di Moro prigioniero delle Br – né nel memoriale, né nelle lettere – noti fino a oggi, c’è scritto quanto asserito da Cossiga in merito a “villaggi finti” destinati all’addestramento dei soldati inglesi poi inviati “a tenere l’ordine” in Irlanda. Per cui i casi sono due: o si tratta di una farneticazione cossighiana, oppure è la conferma che vi sono altri scritti di Moro (“censurati” prima dalle Br e poi da organi dello Stato) dei quali Cossiga è a conoscenza.

Il memoriale moroteo conteneva svariati molti richiami alla “questione morale” che avranno valore testamentario per la Democrazia cristiana: capitoli dedicati ai finanziamenti al partito, allo scandalo Lockheed, al potere Dc nelle banche, ai loschi maneggi andreottiani, «un intreccio inestricabile nel quale si deve operare con la scure». Moro scriveva della necessità di una «riflessione in spirito di verità... autocriticamente come classe dirigente del Paese» sui fenomeni di «sporco diffuso», di «notevole indifferenza per le esigenze ed i diritti del Paese che contribuisce a dare a questa epoca la caratteristica di un regime che si va corrompendo ed esaurendo, quasi consumato in se stesso dalle proprie irrimediabili deficienze». Moniti ignorati, che un quindicennio dopo porteranno agli epocali scandali di Tangentopoli e all’estinzione della Dc e del Psi; ma nel momento in cui vennero scritti, essi erano formidabili strumenti per la propaganda brigatista, che tuttavia le Br ebbero cura di censurare e occultare. «Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese. Pensateci bene cari amici. Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani», scriveva Moro nella sua lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini (20 aprile), convinto che lo “scambio di prigionieri” fosse il prezzo da pagare meno oneroso per la Dc, rispetto all’uccisione del suo presidente.

Un brano del memoriale nella versione del 1990 riguarda specificamente Andreotti: la sua amicizia col banchiere Mario Barone e la contestata nomina di questi a presidente del Banco di Roma; il suo viaggio negli Usa per incontrare il bancarottiere Michele Sindona e partecipare con lui a un grande banchetto, nonostante il parere contrario dell’ambasciatore italiano a Washington; la sostituzione di Giuseppe Arcaini dall’Italcasse, contrattata dall’andreottiano Gaetano Caltagirone che non aveva alcun titolo per farlo, ma ugualmente «incaricato da chi [Andreotti, ndr] ha il potere di tutelare gli interessi pubblici per tutelare invece gli interessi più privati del mondo»; la singolare forma con cui Andreotti rivelò la qualifica di Guido Giannettini “nel Servizio”. Quattro temi solo accennati nel “memoriale” del 1978, e trattati separatamente in altri scritti, ma qui raggruppati per porre precisi interrogativi sulla attività di Andreotti: «Sono tutti segni di una incredibile spregiudicatezza che deve avere caratterizzato tutta una fortunata carriera (che non gli ho mai invidiato) e della quale la caratteristica più singolare è che passi così frequentemente priva di censura o anche solo del minimo rilievo. Quali saranno state le altre manifestazioni di siffatta personalità in un ambiente come Roma, in una attività variabile, ma senza mai soste? Che avrà significato la lunga permanenza alla Difesa, quali solidi e durevoli agganci essa deve avere prodotto?».

C’era poi il brano dedicato ai finanziamenti alla Dc anche da parte della Cia, tema già compreso nel dattiloscritto del 1978, ma qui trattato più ampiamente e con accenti di dura condanna: «Dall’esterno, bisogna dirlo francamente, in molteplicità di rivoli, offrivano per un certo numero di anni gli aiuti della Cia, finalizzati ad una auspicata omogeneità della politica interna ed estera italiana ed americana. Francamente bisogna dire che non è questo un bel modo, un modo dignitoso, di armonizzare le politiche. Perché, quando ciò, per una qualche ragione è bene che avvenga, deve avvenire in libertà per autentica convinzione, al di fuori di ogni condizionamento. E invece qui si ha un brutale “do ut des”. Ti do questo danaro perché faccia questa politica. E questo, anche se è accaduto, è vergognoso e inammissibile. Tanto inammissibile che gli americani stessi, quando sono usciti da questo momento più grossolano e, francamente, indegno della loro politica, si sono fermati, hanno cominciato le loro inchieste, ci hanno ripensato su». Inoltre, questi fogli contenevano, come già il dattiloscritto del 1978, una denuncia delle corruttele politiche: «Le entità economiche indicate nelle domande rispondono al vero. Si aggiungono innumerevoli imprese, in opera, per lo più, sul piano locale, ma anche in grandi dimensioni. Si aggiunga il campo inesauribile dell’edilizia e dell’urbanistica dei quali sono già ora più ricche le cronache giudiziarie. E lo sconcio dell’Italcasse? E le banche lasciate per anni senza guida qualificata, con la possibilità, anche per ciò, di esposizioni indebite, delle quali non si sa quando ritorneranno ed anzi se ritorneranno. È un intreccio inestricabile nel quale si deve operare con la scure. Senza parlare delle concessioni che vengono date e talvolta da finanziarie pubbliche, non già perché il provvedimento sia illecito, ma perché anche un provvedimento giustificato è occasione di una regalia, di una festa in famiglia».

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/8316/78/

da Indymedia

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