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martedì 1 settembre 2009

La professione giornalistica non può essere piegata da tentativi reiterati e stupefacenti d’intimidazione


E’ incredibile quanto sta avvenendo. Da un lato la denuncia del premier Berlusconi a un giornale, la Repubblica, contro le domande (cui non ha risposto) che pubblicamente gli ha rivolto; dall’altro il giornale di famiglia che attacca con brutalità senza precedenti il diritto di critica del giornale dei vescovi italiani, l’Avvenire. Il Capo del Governo, da quest’ultimo attacco, ha preso poi secca distanza...

ma resta il fatto che il Giornale, formalmente proprietà di un suo famigliare, abbia scandagliato nelle fogne per far passare un messaggio, nei confronti nel quotidiano dei vescovi e del suo direttore Boffo, che il comitato di redazione (certo non tacciabile di estremismi di nessun genere) considera una “chiara intimidazione al direttore e a tutta la redazione”. Tanto palese appare infatti lo scopo: non tanto quello di informare ma quello di scagliare fango in modo da “pareggiare” mediaticamente conti improponibili.

La professione giornalistica non può essere piegata da tentativi reiterati e stupefacenti d’intimidazione
La denuncia contro Repubblica è l’ultimo atto di un crescente assalto contro chi ha qualcosa da domandare, qualche dubbio da esporre, una critica e un dibattito da aprire, in una dissennata ricerca di silenzi, applausi, complicità. Non ci convinceremo mai che questa, quella di un giornalismo cortigiano o peggio piegato sulle ginocchia, debba essere la legge, scritta o no ,della nostra professione. Oggi c’è chiaro il rischio che il fastidio per l’informazione non controllata dal grande capo possa trasformarsi in qualcosa di altro, pericoloso, una deriva, una patologia da prevenire per una civiltà della convivenza che no può sopportare a lungo altre gravi lacerazioni.

Non accettiamo perciò in silenzio che si continui a prendere di mira con ogni mezzo (leggi bavaglio, avvisi a cancellare la pubblicità dai giornali scomodi, accuse di delinquenza ai giornalisti indesiderati) chi non rinuncia a fare del giornalismo una professione in cui si pongono le domande e si dà conto delle notizie che contano per la vita di tutti. Siamo e restiamo, inoltre, fermamente in campo per un giornalismo che fa circolare e mettono a confronto le idee senza camuffarle con minacce e intimidazioni. Diciamo no, perciò, ai tentativo di assalto estremo, convinti che si debba e si possa evitare una patologia contagiosa e irrimediabilmente dannosa per la nostra società. E alto, molto alto dev’essere l’impegno di tutti i giornalisti a recuperare e far valere appieno, verso chiunque, i fondamenti deontologici della professione giornalistica nella consapevolezza che il suo futuro dipende prima di tutto dalla sua credibilità.

Il potere, il premier oggi, deve sapere che c’è una misura che in democrazia non si può oltrepassare, riguarda l’etica della convivenza, il rispetto dei ruoli e delle funzioni, che non è risolvibile con operazioni muscolari e vendicative. Chi semina queste idee e i sentimenti da scontro primitivo ha colpa grave, deprecabile, fa opera di disfattismo puro. In ogni Paese “'normale'” porre delle domande da parte di un organo di informazione non è né può diventare oggetto di una concessione, ma fatto naturale e scontato. Le ritorsioni possono essere un reato, mai le domande.
Siamo ancora in tempo perché la rotta sia corretta. Ci vorrà non solo pazienza civile ma anche impegno, determinazione e autenticamente libera e democratica da parte di tutti. Per questo lanciamo un invito aperto a una iniziativa civile nazionale per la libertà dell’informazione, per il racconto non mutilato della vita del Paese, per la circolazione e la ripresa del valore del confronto delle idee di tutti, per evitare derive pericolose in un confronto sociale che dovesse anche solo essere percepito come campagna permanente di rendiconti vendicativi.

di Franco Siddi da Articolo21

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