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venerdì 4 settembre 2009

Piccoli e soli?

Pubblichiamo la rubrica Cantieri sociali in uscita su il manifesto del giovedì 3 settembre...

Lo scorso week end sono stato ad Oropa, città-santuario su un colle sopra Biella, in Piemonte, all’incontro nazionale dei Bilanci di giustizia. Un movimento costituito da 1.200 famiglie che, riunite in 43 gruppi locali, mettono in pratica uno stile di vita «fondato sulla giustizia», ossia risparmiano acqua ed energia, si preoccupano della quantità e qualità dei rifiuti, comprano biologico e autoproducono il più possibile il necessario, e così via.
I risultati sono rilevanti: meno quaranta per cento di consumo di acqua, crollo dei rifiuti prodotti, ecc. Qualche anno fa, una campagna organizzata dal comune di Venezia [dall’allora assessore all’ambiente Paolo Cacciari] e dai Bilanci di giustizia, intitolata «Cambieresti?» e rivolta in generale ai cittadini, ha avuto un grande successo. Insomma, i «bilancisti» sono una pattuglia avanzata delle legioni di persone che cercano vie d’uscita, a cominciare dai propri stili di vita, dalla società dello spreco, dell’abuso di natura e, quindi, ingiusta.

E’ da gente come loro che è nata fra l’altro in questi anni la grande corrente dell’economia sociale, i gruppi d’acquisto solidale, i presidi di Slow Food… Dunque, le famiglie «bilanciste», che hanno in Gianni Fazzini, prete veneto, la persona di riferimento, avrebbero tutte le ragioni per sentirsi, se non orgogliose, per lo meno sicure di sé. Invece non è questa l’impressione che ho ricavato partecipando al loro incontro, ai gruppi di discussione, alle conversazioni informali. C’ero andato, su invito di don Gianni, per discutere di un appello rivolto da Francuccio Gesualdi, con una lettera su Carta, a noi, ad Altreconomia e a Valori, due mensili che si occupano appunto di economia sociale, di finanza critica, di nuovi stili di vita ecc. Francuccio, per chi non lo sapesse, è l’animatore del Centro nuovo modello di sviluppo, e ha in pratica avviato, una ventina di anni fa, la corrente di ricerca che si usa chiamare del «consumo critico»: analisi su quel che fanno le multinazionali, esami su quel che acquistiamo ogni giorno, proposte alternative e una «Guida al consumo critico» che è ormai diventata obbligatoria per chiunque si ponga queste domande entrando in un supermercato.

Ora Francuccio, da buon allievo di don Milani, si chiede se questo suo enorme lavoro sia sufficiente, di fronte all’ondata di barbarie che ci sta travolgendo, dalla crisi climatica alla caccia al «clandestino», fino al crollo della democrazia rappresentativa. Perciò ha proposto a Carta e ai direttori di Altreconomia e di Valori, Pietro Raitano e Andrea Di Stefano, di farsi insieme promotori di una qualche iniziativa che aiuti a connettere parti diverse di società civile attiva allo scopo di disegnare insieme la cornice, l’orizzonte, della società che vorremmo. Perché insomma chi si dà da fare per la raccolta differenziata, o per fermare una base militare, o per organizzare un corso d’italiano per migranti, possa vedere questa sua azione come il tassello di un mosaico più grande. Non si tratta, ha chiarito Gesualdi ad Oropa, di inventare una società ideale, ma sì da quel che si fa ricavare un progetto da correggere via via in base all’esperienza. In un certo modo, è la stessa ispirazione che ha spinto noi e molti altri a proporre, il 10 e 11 ottobre alla comunità delle Piagge di Firenze, un incontro intitolato «Democrazia chilometro zero» [tutti i dettagli sono su carta.org], e infatti le due cose convergeranno. La speranza, l’utopia che si può toccare con mano, si chiama autogoverno: una enorme ambizione, certo, che ha però già alcune esperienze reali su cui basarsi.

Ma il clima, tra i «bilancisti», non era questo. A me è parso prevalessero timidezza e sensazione di essere isolati, depressione per le esperienze finite [come la Rete Lilliput, da cui molti di loro provengono] e in sostanza la percezione che il disastro è talmente grande e travolgente che, forse, ricavarsi una nicchia sana è l’unica cosa realistica, ossia procedere a piccoli passi invece che cercare una accelerazione. Forse sbaglio, ma se questi sono i sentimenti prevalenti, allora faremo assai poca strada, sia nell’alzare un argine pratico – fatto di società che si auto-difende – e simbolico, sia nella fatica di far comunicare tra loro culture differenti, per quanto unite dalla ricerca, appunto, della giustizia.

di Pierluigi Sullo da Carta

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