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venerdì 18 settembre 2009

Trattativa Stato-Mafia, interrogato Mancino


Secretati i verbali. La procura: un doppio negoziato durato per tre anni.
Il vicepresidente del Csm ascoltato per più di due ore a Roma dai magistrati siciliani.


Palermo. È l´unico uomo politico - al tempo era ministro degli Interni - che ha parlato di una «trattativa» che qualcuno voleva fare con la mafia. È l´unico uomo politico che ha spiegato perché quella «trattativa» è stata respinta «anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato». Diciassette anni dopo le stragi siciliane e due mesi dopo le sue prime dichiarazioni sulle tragiche vicende avvenute nell´estate del 1992, il vicepresidente del Csm Nicola Mancino sfila come testimone davanti ai magistrati di Palermo e di Caltanissetta.
Un interrogatorio di quasi tre ore a Roma, un faccia a faccia dell´ex ministro con i procuratori Messineo e Lari e gli aggiunti Di Matteo e Gozzo per ricostruire chi aveva intavolato le trattative, a cosa puntavano, chi dentro lo Stato non ha voluto accettare il ricatto di Cosa Nostra. Il verbale di interrogatorio è stato secretato. Se alla procura di Caltanissetta s´indaga sui massacri in Sicilia (Capaci e via D´Amelio nella primavera-estate del 1992) e se alle procure di Firenze e di Milano s´indaga sugli attentati del 1993 (le bombe in via dei Georgofili, a San Giorgio al Velabro, in via Palestro), alla procura di Palermo s´indaga sulla «trattativa» fra mafia e Stato. È un´inchiesta parallela a quelle sulle stragi, avviata qualche anno fa su un episodio specifico - la mancata cattura di Bernardo Provenzano il 31 ottobre 1995, imputati per favoreggiamento il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu - e ormai diventata il «contenitore» di tutte le investigazioni su ciò che è avvenuto in Sicilia prima e dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino.
L´inchiesta di Palermo ha scoperto negli ultimi mesi che ci sono state non una, ma ben due «trattative». La prima viene datata fra la morte di Falcone e quella di Borsellino, la seconda sarebbe stata avviata dopo la cattura di Riina da Bernardo Provenzano e con «un esponente di rilievo della nascente formazione politica». Secondo le dichiarazioni di almeno due pentiti e di Massimo Ciancimino, il partito sarebbe Forza Italia e l´interlocutore di Provenzano sarebbe stato Marcello Dell´Utri. La prima e la seconda «trattativa» sono collegate fra loro: nelle indagini l´anello di congiunzione sarebbe proprio la mancata cattura di Provenzano. Un arresto sfumato «conseguenza» dell´accordo fra pezzi dello Stato e mafia. Oggi i procuratori sono certi che la «trattativa» (o le «trattative») fra Corleonesi e apparati non sono durate soltanto qualche mese ma almeno tre anni. Fino agli ultimi mesi del 1995.
Nicola Mancino non è il solo uomo politico che ha testimoniato su quei tentativi di «avvicinamento» dei mafiosi. A metà luglio, dopo diciassette anni di silenzio, si è presentato alla procura di Palermo anche l´ex presidente della commissione parlamentare antimafia Luciano Violante per raccontare di tre contatti avuti con il generale Mori. L´ufficiale dei carabinieri gli aveva proposto un incontro «privato» con Vito Ciancimino. Violante rifiutò, chiese al generale se di quella voglia di parlare di don Vito era stata informata l´autorità giudiziaria, il generale gli rispose «che era una cosa politica».
Anche su questo ha testimoniato nei mesi scorsi Massimo Ciancimino, il figlio dell´ex sindaco di Palermo. Lui ha fatto ritrovare ai magistrati tre frammenti di lettere indirizzate fra il 1991 e il 1994 a Berlusconi, lettere provenienti a quanto pare da Provenzano dove si facevano velate minacce e si parlava del «contributo politico» che lo stesso Provenzano avrebbe voluto offrire a una «nuova formazione politica». Atti e verbali di interrogatorio che, ieri, dovevano finire nel processo d´appello dove il senatore Dell´Utri è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma la Corte ha respinto la richiesta dell´accusa perché «dall´esame dei contenuti dei verbali di interrogatorio di Massimo Ciancimino emerge un quadro confuso ed oltremodo contradditorio».

Tratto da: La Repubblica
da AntimafiaDuemila

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