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venerdì 11 settembre 2009

Víctor Jara. Simbolo della Resistenza cilena.


17 settembre. Sono già passati 36 anni da quando il corpo di Víctor Jara apparve per la strada “con il corpo crivellato e da una ferita aperta nell’addome le mani sembravano contorte in uno strano angolo come se i polsi fossero stati spezzati”, così raccontò la moglie, da allora vedova, Joan Turner.

Il cadavere di questo cantante , simbolo della resistenza cilena, venne ritrovato cinque giorni dopo la sua detenzione e successivamente trasferito nel fatidico Estadio de Chile, in mezzo ad una lunga fila di corpi senza vita. Il recinto, un padiglione utilizzato per le partite di pallacanestro, venne adibito come campo di detenzione e tortura in quei giorni dopo il golpe militare di Pinochet.
Il medico di Salvador Allende, Danilo Bartulin fu l’ultima persona che vide Víctor vivo nello stadio, poco prima che fosse separato dal resto degli altri pringionieri, lontano dall’essere riconosciuto, ritirato per essere identificato dal comandante del campo come un “estremista molto pericoloso”. Da vedere quanto pericolose possano esser le parole musicate e il canto dei sentimenti ai dirigenti fascisti.

Cercava di porre fine all’ingiustizia, di una società senza elitismo dominato dalle classi operaie e contadine. Bisogna promuovere il popolo, ripeteva sempre, perfezionarlo da chi lo detiene. Definiva l’America Latina come la Grande Patria, la gande cas nella quale entrare e aprire le abitazioni chiuse dai fascisti. Considerava i Latinoamericani, sempre con la maiuscola. Erano alinati come conseguenza di una colonizzazione culturale e che bisonava unirsi per formare un continente differente. Ma lo chiamarono rivoluzionario e lo rinchiusero in un labirinto senza via d’uscita dalle pareti macchiate d’odi, pareti macchiate dal proprio sangue.

Nello Stadio Nazionale del Cile, chiamato attualmente Estadío Víctor Jara – tardo omaggio -, si spensero le speranze di centinaia di innocenti. Lì, Víctor compose la sua ultima canzone, un canto pieno d’orrore e di spavento per tutto ciò che vedeva intorno a se: “Uno morto, uno colpito come non avevo mai creduto, si potesse colpire un essere umano.”, dice la sua composizione, “il sangue per loro è una medaglia, la carneficina è un atto d’eroismo”, narra in un’altra strofa. Triste esperienza di cui non sentiremo mai la melodia.

Lo stesso giorno in cui Víctor fu detenuto dai militari, l’11 settembre del 1973, uscì per le strade l’ultima edizione di “Ramona”. La rivista pubblicava quella che fu l’ultima inervista realizzata dal cantante poco prima della sua morte. In essa il cileno parlava del suo ultimo disco e dei momenti che marcarono la sua vita, una storia ce non arrivò ai 41 anni, perché così venne deciso dal fascismo pinochetista.

Musica e religione.
Víctor Jara nacque nell’autunno del 1932, figlio di contadini. La morte della madre, Amanda, significò lo scioglimento della famiglia e una grande solitudine per il cantante, che si rifugiò nella religione ed entrò nel Sermiario Redondista de San Bernardo, dove imparò la musica e iniziò a cantare. Due anni dopo, si disse che non aveva una reale vocazione per essere sacerdote e uscì dal seminario per compiere il Bervizio Militare. Un cambiamento brusco che Víctor superò con facilità.

A vent’uno anni faceva parte del coro dell’Universidad de Chile, e tempo dopo studiò recitazione edirezione nella Escuelade Teatro della stessa università. Malgrado la sua qualitàpiù conosciuta, cioè cantare, Víctor Jara fu anche direttore di teatro, raccogliendo grandi premi in questo settore, il Laurel d’oro al migliore direttore dell’anno, Jara diceva che il teatro cileno era stato fino ad allora “eccessivamente pauroso” e doveva rappresentarsi nello scenario la violenza della lotta delle classi in Cile.

Musica e teatro scorrevano parallelamente nella sua vita. Nel 1957 pre il suo primo contatto con Violeta Parra e dieci anni dopo attuava come solista nel “La Peña de los Parra”. Fu nel 1964 con la canzone “Palma quiero contarte”, che sergnò l’inizio della sua carriera musicale e poetica. Agli inizi degli anni ’70 fece un recital per tuto il paese nella campagna elettorale dell’Unidad Popular. Jara cominciò ad essere famoso e le sue canzoni si ascoltavano già su entrambi i lati dell’Atlantico, “La canción del minero” , “Plegaria a un labrador” e “El derecho de vivir en paz”.

Viaggiò in Inghiterra invitato in qualità di diretore teatrale per il Consiglio Britannico. In terra britannica sua moglie gli aveva comunicato che sua figlia Amanda era diabetica. Víctor allora scrive come se chiedesse scusa a sua figlia per essere lontano da loro in quel momento, è anche un omaggio a sua madre, che si trova sempre nei suoi ricordi.

L’11 settembre 1973, Víctor si dirigeva all’Universidad Técnica del Estado, suo posto di lavoro, dove continuerà nell’inaugurazione di una esposizione e nella quale il presidente Salvador Allende dirigeva il paese. I militari, soto gli ordini di Augusto Pinochet, circondarono il recinto universitario ed entrano dentro, il giorno successivo presi detunuti tutti i professori e alunni che si trovavano al suo interno. A Jara lo portarono all’Estadio de Chile e lì venne torturato. Nel 1973 i militari sentenziarono il futuro di Víctor Jara mettendo fine alla sua vita. Morì il 16 settembre, pochi giorni prima di compiere 41 anni.

Il «Seminario Conservador Qué Pasa» rivelò che a distanza di poco più di un anno, secondo la testimonianza dei sopravvissuti del massacro dello stadio, il tenente di Sicurezza di questo luogo di detenzione, un sottufficiale, biondo, il quale venne chiamato “El Principe”, fu colui che siglò la sorte del cantautore per ordine esperesso dal comandante del campo di prigionia. In realtà, questo rozzo personaggio di lussuoso soprannome (Juan Maclean Vergara) è colonnello è rimase come addetto militare associato all’Ambasciata del Cile a Madrid, secondo investigatori dell’equipe Nicor integrato per attività di Diritti Umani dell’America Latina. Dal paese andino, l’Esercito Nazionale smentisce questa accusa a carico di Maclean e afferma che in quel periodo egli non fosse ufficiale dell’esercito ma bensì che stesse frequentando il suo secondo anno nella scuola militare e solo il 1 gennaio del 1975 venne nominato sottotenente. Ciò dimostra quanto fosse semplice per gli aspiranti diavoli cambiare il ricordo del passato, spezzare la storia per abbellirla e stracciarla poi.

Oggi i resti mortali di Víctor Jara riposano a cinquanta metri dal suo compatriota Pablo Neruda, i Grandi del Cile libero, e la sua voce continua ad essere ascoltata tra i giovani che ogni domenica vanno a cantarle sulla sua tomba nel Cimitero di Santiago, o nei festival annuali che portano il suo nome. Con lui se ne andò una brava persona e un compositore, ma la sua opera rimarrà viva per sempre e il suo ricordo sarà legato e benedetto dal potere della trasmissione e permanenza nella musica. Un legame che hanno ereditato cantautori veterani e principianti che militarono e militano la canzone nella protesta e nella difesa della giustizia.

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