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giovedì 15 ottobre 2009

Alla faccia del jihad

Amara Lakhous è uno scrittore nato ad Algeri nel 1970. Vive a Roma dal 1995. Questo è il quinto articolo della sue serie dedicata all’islam in Italia.


Ho fatto il liceo ad Algeri nella seconda metà degli anni ottanta. Il mio professore di storia, un ex partigiano della guerra di liberazione algerina, non perdeva occasione per criticare Gandhi. Diceva: “L’Algeria non avrebbe potuto cacciare la Francia con la non violenza. Il nostro paese è stato liberato grazie al sangue versato dai suoi figli”.

Nel 1991 dopo l’annullamento del primo turno delle elezioni legislative vinte dal Fronte islamico di salvezza di Abassi Madani, i fondamentalisti algerini arrivarono a una tragica conclusione: la violenza è l’unica via per conquistare il potere. Mi ricordo di uno slogan scritto a caratteri cubitali in un quartiere popolare di Algeri: “Avete messo a tacere le urne, ma hanno parlato i fucili!”.

Il risultato è stato drammatico: in pochi anni il terrorismo ha fatto oltre centocinquantamila vittime, per lo più civili. Per fortuna in Egitto e in Marocco i terroristi non sono riusciti a imitare il copione algerino e non hanno portato a termine il loro progetto di distruzione.

Sono molti i musulmani arabi in Italia che credono che la violenza sia controproducente. E ci sono sempre più spesso lotte pacifiche che si ispirano alla dottrina della non violenza. Un esempio significativo è quello che è successo durante il Ramadan del 2008. Gli amministratori locali della Lega nord avevano vietato ai musulmani di Treviso, in gran parte marocchini, di usare degli spazi al coperto per pregare. Invece di reagire a questa decisione ingiusta e discriminatoria in modo violento, i leader della comunità musulmana hanno messo in pratica tre iniziative: sono andati a pregare in un parcheggio pubblico all’aperto, hanno invitato le telecamere di Al Jazeera per un reportage (che poi è stato visto da milioni di persone) e hanno fatto uno sciopero della fame.

Abdellah Ajouguim, uno dei promotori di questa protesta pacifica, ha detto ai giornalisti: “Allungheremo il digiuno. Il Ramadan non durerà solo un mese, sarà uno sciopero della fame e della sete davanti alle istituzioni”. Abdellah ha spiegato che la loro contestazione non violenta era ispirata a Gandhi e alle proteste politiche e civili di Marco Pannella. Mi ha sorpreso questo riferimento al leader dei radicali. Alla faccia del jihad! Amara Lakhous

da Internazionale

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