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sabato 10 ottobre 2009

Bolivia, l'ultimo viaggio del Che


La geniale interpretazione di Benicio del Toro nei panni del Comandnate Ernesto Guevara. A 42 anni dalla sua esecuzione

Non possono bastare due (o più) pellicole cinematografiche per capire chi era davvero Ernesto Guevara (Rosario, Argentina, 14 giugno 1928 - La Higuera, Bolivia, 9 ottobre 1967). Non è semplice descrivere la vita di un uomo, interrotta dal proiettile esploso da un fucile di un soldato boliviano, lontano dalla sua casa natale, da quella adottiva e da tutte le persone care che aveva conosciuto.
Nel tentativo di ricostruire ciò che è stato il Che, Steven Soderbergh, regista dei due film che da qualche tempo fanno molto discutere sulla figura dell'argentino rivoluzionario, ha centrato il punto. Due ottime ricostruzioni di quello che è stato il comandante Guevara.
Nella prima parte si racconta la storia della vittoriosa rivoluzione del Movimento 26 luglio contro la dittatura di Fulgencio Batista. Dal primo incontro con Fidel Castro a Città del Messico, i momenti dello sbarco del Granma, la guerra di guerriglia, le sofferenze e le gioie, i rapporti di assoluto rispetto con i compagni di lotta, la vittoria finale e la liberazione di Cuba. Ma è nella seconda metà della storia che si capisce a fondo chi era Che Guevara. Un uomo catapultato in Bolivia dai suoi stessi ideali di libertà, dalla sete di giustizia e di uguaglianza.

Nonostante tutto, il Che in Bolivia sarà sostanzialmente solo. Da alcuni suoi scritti contenuti nel Diario che teneva quotidianamente si evince chiaramente. Una rivoluzione, quella in Bolivia, nata sotto buoni auspici ma sviluppatasi in un modo non ipotizzato.
Il comandante lo sapeva: fare, o meglio esportare, la rivoluzione nel paese andino non sarebbe stata impresa semplice. Per molti motivi. Primo su tutti il territorio, impervio e poco conosciuto. Poi i guerriglieri, pochi e disorganizzati. I contadini che abitavano la regione, ignoranti e impauriti dalla violenza delle forze militari al soldo del dittatore Barrientos. Loro sono stati i primi a abbandonare il Che e i suoi uomini.
Ed è proprio il senso d'angoscia e d'abbandono che Benicio del Toro (grande attore) riesce a trasmettere al pubblico, soprattutto nella seconda parte del film. Il Che sofferente per i continui attacchi d'asma, la sua voglia, nonostante tutto, di rendere conto all'ideologia, alla sua etica e morale, che lo ha spinto fino a Cuba, in Congo, in Bolivia. Una missione la sua, che sarebbe divenuta mito e leggenda per le generazioni a seguire.

E che lo è stato per le generazioni di giovani coetanei del Che, che ne sposavano i comportamenti, apprezzavano le sue virtù e diffondevano i fondamenti della rivoluzione: pace, libertà e giustizia. Ma la vita di Ernesto Guevara è stata vissuta nel pieno rispetto del dovere verso le popolazioni che dal giorno dell'invasione dei conquistadores non hanno mai più avuto un minimo di speranza, di pace, di serenità. Per loro il Che ha fatto molto. E oggi a distanza di molti anni dalla sua scomparsa, sono ancora centinaia di milioni le persone che portano il suo messaggio nel cuore e i suoi insegnamenti nelle azioni quotidiane.

di Alessandro Grandi da PeaceReporter

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