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sabato 10 ottobre 2009

Centrali nucleari, ora l’Enel studia i siti: torna la mappa del ’79

La vecchia map­pa delle aree nucleari del Cnen risale al settembre del 1979, giusto trent’anni fa, quando venne consegnata al governo Cossiga una relazione di 19 pa­gine. La «Carta dei siti» si può trovare oggi pubblicata da qual­che blog (generalmente antinu­clearista) ed è stata rispolvera­ta da Greenpeace per dimostra­re che in Italia sarà assai diffici­le trovare posti adatti per gli impianti nucleari, data la mag­giore vulnerabilità delle coste ai mutamenti climatici e all’in­nalzamento del mare. La di­scussione è destinata a riaccen­dersi in pochi mesi: dal prossi­mo marzo il ministero dell’Am­biente e la futura Agenzia nu­cleare si metteranno al lavoro per sottoporre a «Vas» (Valuta­zione ambientale strategica) il programma atomico naziona­le.
E’ probabile così che prima della fine del 2010 inizino ad emergere i contorni delle «ma­cro aree» ritenute idonee ad ospitare gli impianti. Ma anche se dal 1979 ad oggi parecchie cose sono cambiate — dalle ca­ratteristiche dei reattori nuclea­ri alla densità abitativa, fino al­le serie storiche dei terremoti e al clima — non ci sono solo le più aggiornate e minuziose pre­scrizioni redatte dall’Iaea (l’In­ternational Atomic Energy Agency) a orientare la ricerca dei siti. Nel caso italiano il lavo­ro compiuto dal Cnen (dall’82 diventato Enea) continua a ser­vire da pietra di paragone o ad­dirittura da punto di partenza per gli studi che aziende come l’Enel e istituzioni come il mini­stero dell’Ambiente o dello Svi­luppo stano approntando o do­vranno redigere. Obiettivi di­chiarati e vincoli sono gli stes­si: sicurezza e ambiente da una parte e l’imprescindibile intesa con le Regioni dall’altra. Pro­prio ieri, peraltro, il ministro Scajola ha spiegato che «il pote­re sostitutivo del governo è uno strumento estremo che mi auguro di non dover utilizza­re».

Per il Cnen, ieri come oggi, la «variabile demografica» costrin­ge a ridurre drasticamente il ter­ritorio utile. Nel 1979 si pensa­va ad almeno dieci chilometri di distanza dalla periferia di cen­tri con decine di migliaia di abi­tanti e venti chilometri per quel­li superiori a centomila. Le di­stanze potrebbero essere riviste (il reattore Epr ha contenimenti impensabili trent’anni fa) ma si tratterà di un punto chiave. Tra gli altri fattori c’è poi la «sismicità», le cui serie storiche potranno considerare oggi non solo il Friuli, ma anche i terre­moti di Irpinia, Umbria, Abruz­zo. La lista dei fattori sensibili prosegue con il vulcanismo, l’ac­qua di raffreddamento (nel 1979 si prevedeva una distanza non superiore ai 10 chilometri da fiumi con portata minima di 12 metri cubi per 355 giorni l’an­no) e le pendenze. Il Cnen, inol­tre, non mancava neppure di se­gnalare i territori caratterizzati da intenso uso residenziale o tu­ristico o da vincoli naturalistici e persino militari.

Un lavoro complesso, insom­ma, che ha comunque portato a identificare una serie di aree che nel Nord Italia gravitavano in particolare intorno al bacino del Po, alle sue foci e a quelle dell’Adige, e poi sulla costa ve­neta e friulana. Al Centro erano interessate porzioni di costa tir­renica della Toscana meridiona­le e dell’Alto Lazio anche all’in­terno della provincia di Viterbo. Al Sud parti di costa tra Molise e Puglia, il golfo di Manfredo­nia e ancora aree costiere tra Brindisi, Lecce e Taranto per proseguire sul litorale della Basi­licata e di alcune zone ioniche della costa calabra. In Campa­nia, invece, le aree del Gariglia­no e del Sele. Zone idonee an­che sulle isole: Pianosa ad esem­pio, ma anche alcuni tratti della costa meridionale della Sicilia e altri in Sardegna tra costiera est, sud e ovest.

(C) http://www.corriere.it/
da GrandeSalento

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