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sabato 3 ottobre 2009

Romania, la cultura come antidoto al razzismo

Com’è possibile che nell’arco di pochi anni la comunità di immigrati che sembrava potersi integrare più facilmente nel tessuto sociale italiano - per motivi linguistici, religiosi e culturali – si sia trasformata nella più temuta?

Colpa della politica? Dell’ignoranza, forse reciproca? Della superficialità dei giornalisti, troppo spesso indulgenti verso stereotipi e banalità di carattere xenofobo? O forse il clima di diffidenza tra romeni e italiani, spesso sconfinato in atti di violenza, è un inevitabile corollario di un fenomeno migratorio di enormi dimensioni? Una risposta unica non esiste: è la conclusione che si può distillare dall’incontro “Roma-Bucarest. Andata e ritorno”, andato in scena venerdì pomeriggio alla sala Estense. Moderato con leggerezza e ironia da Beppe Severgnini, il dibattito ha toccato argomenti diversi: dalla libertà di stampa ai rapporti economici, dalla questione della minoranza rom alla percezione reciproca tra i due paesi.

Di tutto questo hanno discusso Gabriela Preda, corrispondente della televisione romena Prima Tv e collaboratrice di Internazionale, Ovidiu Nahoi, direttore della versione romena della rivista Foreign Policy e Mircea Vasilescu, direttore del settimanale Dilema Veche e professore di letteratura all’università di Bucarest.

Risultato? Serve tempo e conoscenza. Le campagne di comunicazione sono utili, citare la dimensione degli scambi commerciali serve e c’è bisogno di giornalisti capaci di raccontare la realtà nella sua complessità. Ma è soprattutto la cultura che dovrà avere un ruolo chiave: i film di Mungiu, i libri di Cartarescu, i saggi di Eliade, i racconti di Manea sono gli ambasciatori migliori di un paese che vuole farsi conoscere per quello che è davvero.

da Internazionale

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