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sabato 10 ottobre 2009

Una promessa di pace

La notizia ha preso tutti di sorpresa: anche alla Casa bianca i più stretti consiglieri non ne sapevano nulla. Obama è stato svegliato alle sei del mattino per dirgli che il Comitato del premio Nobel aveva deciso di attribuire a lui il premio per la pace del 2009. Non è la prima vota che un americano riceve il premio e Obama non è il primo presidente a riceverlo. Non tutti i premi assegnati ai suoi predecessori sono apparsi giustificati. Il premio a Obama è diverso.

Lo era sicuramente quello attribuito nel 1919 a Woodrow Wilson, il presidente della pace di Versailles e della Lega delle nazioni; molto meno lo era stato quello a Theodore Roosevelt nel 1906 (dopotutto Roosevelt era un uomo di guerra e uno sciovinista); fece discutere, giustamente, il premio a Henry Kissinger nel 1973 per le trattative di Parigi, che portarono alla fine della guerra del Vietnam (ma, poco dopo averlo ricevuto, Kissinger ordinò massicci bombardamenti del Vietnam del Nord che provocarono decine di migliaia di vittime civili.)
Ben diversamente meritato fu il premio assegnato nel 2002 all'ex presidente Jimmy Carter, quando non era più in carica da molti anni, ma da privato cittadino continuava (come continua tuttora) a battersi per il rispetto dei diritti umani nel mondo. Infine, nel 2007 il premio attribuito ad Al Gore, l'ex vicepresidente di Bill Clinton, fu giustamente interpretato non solo come un riconoscimento della sua lunga battaglia per la difesa del pianeta, ma come uno schiaffo alla politica bellicosa dell'amministrazione in carica, quella di George W. Bush.

Il premio a Obama è diverso da tutti questi. Non viene attribuito per qualcosa che ha fatto, come nel caso di Wilson, di Carter e di Gore, ma per qualcosa che ha promesso di fare e che, finora, ha solo in piccolissima parte realizzato. E' un premio che costituisce per colui che lo riceve un impegno per il futuro più che una ricompensa per il passato. Il comitato per il premio Nobel lo dice chiaramente nella sua motivazione: "Il comitato ha deciso che ... sia attribuito a Barack Obama per i suoi straordinari sforzi al fine di rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli. Obama ha creato un nuovo clima nella politica internazionale. La diplomazia multilaterale ha riconquistato una posizione centrale, ponendo l'accento sul ruolo che possono svolgere le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali. Grazie alla sua iniziativa saranno rafforzati la democrazia e il rispetto dei diritti umani."
Indubbiamente, gli sforzi da parte del nuovo presidente ci sono stati nel corso dei primi nove mesi del suo mandato: da quando, appena divenuto presidente, ha promesso a nome del suo popolo che gli Stati Uniti non tortureranno mai più e ha ordinato la chiusura del carcere segreto di Guantanamo; al discorso di Praga ad aprile, quando si è impegnato a realizzare "un mondo libero dalle armi nucleari, al discorso del Cairo a giugno, dove ha inaugurato una nuova stagione di dialogo e di rispetto reciproco con il mondo arabo e mussulmano; fino al discorso alle Nazioni Unite di due settimane fa in cui ha enunciato i "quattro pilastri" della politica estera della sua presidenza: lotta contro la proliferazione delle armi nucleari e loro progressiva eliminazione; lotta contro il terrorismo e l'estremismo violento, ma allo stesso tempo soluzione dei problemi decennali che mettono in pericolo la pace (particolarmente il conflitto israelo-palestinese); difesa dell'ambiente e sviluppo di energie alternative per fermare la devastazione del pianeta; nuove regole per l'economia mondiale perché il mercato sia una fonte di progresso e di sviluppo e non di crisi e di ingiustizia.

Questi impegni e promesse sono stati seguiti fino ad oggi da risultati ancora molto parziali: la ripresa del dialogo con l'Iran non ha ancora prodotto risultati: l'obbiettivo di bloccare la costruzione di una bomba atomica da parte di Teheran si preannuncia lungo e pieno di trabocchetti; la Corea del Nord ha ignorato gli appelli alla moderazione e ha compiuto nuovi gesti bellicosi lanciando missili a lunga gittata potenzialmente dotati di testate nucleari; gli israeliani non hanno accolto la richiesta di blocco degli insediamenti e il processo di pace sembra per il momento bloccato. L'unico risultato positivo tangibile è stato la riapertura del dialogo con la Russia, attraverso una serie di gesti di distensione da ambo le parti, che dovrebbe portare entro la fine dell'anno al rinnovo del trattato di riduzione delle armi nucleari. Soprattutto c'è ancora, più drammatica che mai, la realtà della guerra afgana, che continua a mietere vittime tra i soldati americani e alleati e vittime tra i civili afgani.

Barack Obama, come ha detto lui stesso nel discorso alle Nazioni Unite di settembre, non è "un ingenuo". Non è un sognatore idealista; sa bene che il mondo è un luogo molto pericoloso dove si scontrano corposi interessi configgenti tra i diversi stati e tra diverse visioni; dove operano terroristi e dittatori brutali; dove pesano e peseranno a lungo gli errori e i crimini commessi dagli Stati Uniti in passato; dove si agitano rivendicazioni e aspirazioni all'egemonia; dove l'uso della forza o la minaccia di usarla è sempre stato ed è ancora lo strumento fondamentale della politica internazionale.
Obama sa quindi che la strada per raggiungere gli obbiettivi di pace e di convivenza che ha enunciato e in cui sicuramente crede sarà lunga e difficile, che ci saranno resistenze da parte di molti paesi, compreso il suo, che dal punto di vista della logica di potenza non è né migliore né peggiore di tanti altri. Nove mesi sono soltanto un inizio. Obama lo sa e lo sapeva anche il Comitato di Stoccolma quando ha deciso di attribuirgli il premio: è un incoraggiamento a proseguire sulla strada intrapresa e l'invito a mantenere la promessa di pace.

da aprileonline.it

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