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mercoledì 16 dicembre 2009

IRAQ - L’asta per il petrolio in mano a Cina e Russia

Dopo sei anni e mezzo di guerra in Iraq che sono costati a Washington almeno duemila miliardi di dollari, sembra entrare in crisi una delle ragioni fondamentali dell’intervento degli Stati Uniti: il controllo delle riserve di petrolio del paese. “Non avremmo mai creduto che il piano di Cheney e di Rumsfeld sarebbe finito così: le grandi compagnie americane non si sono aggiudicate l’asta per le concessioni sui pozzi di petrolio iracheni, che invece è stata vinta in larga parte da compagnie petrolifere russe e cinesi”, afferma Pepe Escobar su Asia Times.

“Il premio di consolazione” di Cheney è stata la conquista da parte di un’alleanza di Exxon-Mobil-Shell della riserva di West Qurna. Exxon e Mobil erano la favorite anche per la riserva di Rumalia, che è stata vinta invece da un’alleanza della cinese Cnpc con la britannica Bp. “In generale le compagnie statunitensi hanno firmato dei contratti molto meno favorevoli a quelli che avevano rifiutato di firmare a giugno scorso, per non essere del tutto escluse dal ricco mercato del petrolio iracheno”, racconta il New York Times.

Nei prossimi anni l’Iraq sarà probabilmente in grado di aumentare la sua produzione di petrolio quotidiana, che è scesa durante la guerra a livelli molto più bassi di quelli raggiunti durante il governo di Saddam Hussein.

“Il dipartimento dell’energia iracheno ha dichiarato di voler passare da 2,5 milioni di barili al giorno a sette milioni di barili al giorno in sei anni”, scrive il New York Times.

Le riserve di petrolio irachene sono tra le più vaste al mondo, 115 miliardi di barili stimati, ma il paese non è nella lista dei primi dieci produttori. Se il paese dovesse essere in grado di produrre sette milioni di barili al giorno, potrebbe influenzare il prezzo del petrolio sul mercato mondiale ed entrare in conflitto con l’Opec.

“C’è una grande incertezza sul futuro politico dell’Iraq. Con le elezioni parlamentari che si avvicinano, un nuovo governo potrebbe cambiare le regole del gioco e annullare i risultati dell’asta”, commenta Escobar.

“Quello che possiamo ipotizzare per l’inizio del 2010 è l’ascesa di un Iraq controllato dagli sciiti, alleato dell’Iran e del Libano. In sostanza l’ascesa del mondo sciita in Medio Oriente. Gli amici degli Stati Uniti nel Golfo grideranno ancora al ritorno degli sciiti e i think tank statunitensi saranno tentati di paragonare Nouri al Maliki a Saddam Hussein”, continua Escobar. Una cosa è certa: i tentativi dell’amministrazione Bush di controllare quella zona dell’Asia non hanno portato i risultati sperati.

da Internazionale

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