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domenica 20 dicembre 2009

«Ridevano mentre mi davano fuoco»


di Andrea Palladino
Aveva venduto le terre per lasciare l'India, per il suo viaggio verso l'Europa, verso l'Italia. Oggi Navtej Singh, 35 anni, cammina a stento, si muove quasi solamente sulla sedia a rotelle, e la notte i dolori atroci sulle gambe distrutte dalle fiamme gli impediscono di dormire. La sua vita è cambiata la notte tra il 31 gennaio e il primo febbraio, nella piccola stazione di Nettuno, sul litorale romano. «Erano in tre, uno ha gettato la benzina e l'altro ha dato fuoco, era come un animale», ha raccontato ieri nel Tribunale di Velletri, davanti alla sezione penale che sta giudicando due dei tre ragazzi che tentarono di ucciderlo con il fuoco dieci mesi fa. Il più giovane, il sedicenne S.F., è già stato condannato per tentato omicidio dal tribunale dei minori di Roma e dovrà scontare nove anni e quattro mesi di reclusione.
La deposizione di Navtej Singh è durata più di due ore, in un'aula stipata, davanti ai due imputati Francesco Bruno, 20 anni, e Gianluca Cerreti, 30 anni. «Si, li riconosco - ha detto alla fine della deposizione - e sono sicuro al cento per cento: quello più magro ha gettato la benzina e l'altro si è avvicinato con l'accendino e mi ha dato fuoco». Nessuna parola, nessuna giustificazione: «Ridevano, dicevano solo dai, dai...». Un male tanto banale da sembrare irreale, irriconoscibile, insensato.
Poi il pianto finale di Navtej Singh, quando il presidente gli ha chiesto come reagisce oggi quando vede il fuoco: «Se lo vedo in televisione ho paura, tanta paura».
La dinamica ricostruita dal giovane indiano spiega senza bisogno di commenti quella che sembra una vera e propria volontà omicida. Navtej Singh era arrivato alle 23 a Nettuno, con l'ultimo treno partito da Roma. Si spostava per cercare lavoro, non aveva un posto dove dormire. Quella notte la pioggia era intensa e non c'era più nessuno nell'atrio della piccola stazione di Nettuno. Dorme su una panchina poco più di un'ora e poi inizia a girare sui marciapiedi. «Erano le 2 e sono arrivati i tre ragazzi - ha ricordato - che mi hanno chiesto una sigaretta; gli ho detto che non l'avevo e sono andati via». Passano circa venti minuti e i tre tornano. «Si sono avvicinati, ero seduto sulla panchina e senza dire nulla, solo ridendo, mi hanno spruzzato della vernice in faccia», ha raccontato con l'aiuto di un interprete. Poi sono partite le botte: «Ho abbassato il viso, cercando di pulirmi gli occhi ed ho sentito una colpo sulla nuca, sembrava una bottiglia. E poi le botte, sul fianco, sulle gambe, mi sembrava che usassero un bastone». Colpi duri, in silenzio, fino a lasciarlo tramortito.
Sono quasi le due e mezza di notte, in una stazione di fatto abbandonata, dove solo chi è senza casa passa le ore notturne. I tre lasciano Navtej Singh solo per una ventina di minuti, il tempo di preparare il secondo assalto. «Tornano in fila, l'ultimo aveva con se una piccola tanica - ha continuato - e quello più grasso (probabilmente il minore, ndr) si posiziona sull'ingresso della stazione». E' un attimo, uno dei due maggiorenni - secondo quanto è stato ricostruito ieri - gli versa la benzina sul petto e sulle gambe, mentre il secondo con un accendino accende il fuoco. «Ridevano, ridevano», ricorda Singh.
I volti dei due ragazzi erano impassibili. Solo per un attimo il trentenne abbassa lo sguardo, accenna appena ad un sorriso, per poi scuotere la testa. Non guardano verso i genitori sul fondo dell'aula, anche loro lividi, tesi.
Non sono solo due ragazzi balordi ad essere giudicati dal Tribunale di Velletri. «So' normali, ridevano, erano come sempre», ricorda una loro amica, che li vide subito dopo, verso le sei del mattino. «Parlavano tra loro ridevano, ma non so cosa si sono detti», ha spiegato mentre il pm cercava di strappare almeno un pezzo della verità che nessuno ancora è in grado di trovare. E si scopre che già altre volte il gruppo di ragazzi aveva insultato dalla macchina dei senza tetto, gridando «Vattene, puzzi, qui non ci puoi stare». Ma a Nettuno capita anche che il ragazzo che soccorse il povero Singh oggi non possa più uscire di casa: «Mi chiamano infame, e vengo aggredito, a Nettuno non posso più farmi vedere», ha raccontato ieri ai giudici E.M., poco più che trentenne. Tremava e la notte non riesce più a dormire: «Scusatemi, ho ancora gli incubi, preferisco non parlare più».

da Il Manifesto

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