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sabato 13 giugno 2009

L'Iran non è un paese per vecchi

Non è certo un paese per vecchi quello che si accinge a eleggere il nuovo presidente della repubblica. Quello a cui si assiste per le vie di Teheran ogni notte fino alle prime ore dell'alba prende le sembianze di un ulteriore, profondo squarcio che migliaia di giovani stanno provocando nella sfera pubblica di questa società instabile e dalle mille contraddizioni . Nel nord benestante della città, ma anche in molti quartieri delle zone centrali e meridionali, colpisce l'attenzione l'impegno e la partecipazione intensa degli elettori iraniani a sostenere e promuovere il loro candidato per le elezioni presidenziali. I manifesti con le immagini e gli slogan dei candidati sono visibili sulle vetrine di quasi tutti i negozi della città, sui muri che fino a ieri ospitavano le immagini dei martiri della guerra e gli slogan della rivoluzione islamica e su migliaia di macchine che, completamente ricoperte da materiale elettorale, si sono trasformate in formidabili strumenti di propaganda. L'Iran, immerso in un'atmosfera di attesa impaziente gioiosa e nervosa nello stesso tempo, sta partecipando attivamente a queste elezioni e per convincersi di questo basta davvero anche un distratto giro per le vie di Teheran. La sensazione che qualcosa di nuovo stia accadendo lascia poco spazio a dubbi e ambiguità. L'elemento che più colpisce, sia rispetto alle rappresentazioni semplicistiche di cui disponiamo sulla situazione politica di un paese dove le pur presenti evoluzioni ed innovazioni politiche sono segnate da una lentezza a volte esasperante, è la presenza ogni giorno crescente di iraniani che a tutte le ore si riversano nelle strade della città ed esprimono attraverso canti, slogan, cortei spontanei e blocchi stradali non tanto e non solo la loro ostilità verso il governo di Ahmadinejad, ma soprattutto il loro desiderio di protagonismo e partecipazione alla vita sociale e politica della repubblica. È stata la candidatura di Mir Hossein Mousavi, un riformista che non ha esitato a criticare frontalmente la politica interna ed estera di Ahmadinejad e proporre cambiamenti nel campo dei rapporti con l'occidente e dei diritti politici e civili degli iraniani, a dare il via a questa ondata eccezionale di protagonismo di molti uomini e donne, un'ondata di partecipazione democratica a cui è stato dato il nome di "onda verde". Verde perché questo è il colore scelto dal temuto avversario dell'attuale presidente per la sua campagna elettorale. Palloncini verdi, cappellini, magliette, bandane, polsini e foulard verdi sono da settimane indossati da migliaia di persone come segno di sostegno a Mousavi e sempre più come indice di un desiderio manifesto di cambiamento sulla strada dei diritti politici e civili. Gli sguardi che si scambiano nelle strade i ragazzi con addosso indumenti verdi esprimono inequivocabilmente la consapevolezza di far parte della stessa comunità di soggetti intenti a fare la loro parte come non mai per produrre spazi di cambiamento e innovazione sociale. Tornando all'avversario di Ahmadinejad bisogna sottolineare che Musavi viene da alcuni accusato di essere troppo vago nel proporre un programma economico capace in prospettiva di risollevare il paese da una crisi ormai decennale dovuta soprattutto ai problemi di re-distribuzione delle ricchezze derivate dalla vendita del petrolio. Dall'altra parta però parla schiettamente delle limitazioni delle libertà civili e politiche in Iran spingendosi a dichiarare anacronistica la presenza della polizia morale nelle vie della città, sottolinea la difficile posizione delle donne in molti settori della società e insiste sulla necessità di interrompere la stagione di ostilità con la comunità internazionale. Oltre al suo programma elettorale tra i suoi punti di forza presenta l'appoggio dichiarato dei due ex presidenti Khatami e Rafsanjani e il suo essere stato primo ministro in Iran durante i difficili anni della guerra nonché stretto collaboratore e consigliere dell'Imam Khomeini nei primi anni della rivoluzione. Dal canto suo Ahmadinejad insiste sul tasto della legalità accusando le famiglie dei suoi avversari di corruzione, difendendo la sua politica economica e insistendo sul fatto che grazie alla sua politica estera oggi l'Iran è un paese più rispettato. Queste e molte altre sono le posizioni propagandistiche che i candidati presentano nei dibattiti televisivi senza esclusione di colpi e con una tale portata di attacchi reciproci da confermare la tesi secondo la quale la classe politica post-rivoluzionaria presenta al suo interno posizioni ideologiche a volte radicalmente conflittuali e disomogenee, anche su importanti questioni economiche e politiche. Detto che il sostegno attivo dei cittadini ai candidati e in generale a queste elezioni non ha precedenti e che di certo l'affluenza al voto, paragonata ad esempio alle cifre clamorosamente basse delle elezioni europee, ci lascerà con ogni probabilità molto sorpresi, bisogna saper andare oltre e guardare a ciò che sta dietro a questa sfida elettorale.

Rendere visibili e manifestare pubblicamente e senza timori sensazioni e desideri che fino a pochi giorni fa e dalla rivoluzione islamica in poi non erano facilmente esprimibili se non nello spazio ristretto e protetto della sfera privata. Esprimere la consapevolezza che questa società ha la potenzialità di crescere trasformando le mille sfaccettature presenti al suo interno e le diffuse contraddizioni spesso invisibili in conquiste politiche, civili e sociali e fare questo senza necessariamente mettere in discussione o meglio attaccare frontalmente l'ossatura e l'insieme di poteri che almeno formalmente tengono le redini della politica nella repubblica islamica. Sembrano essere questi gli elementi che, oltre alle elezioni in sè, accomunano tutti quelli che a qualsiasi ora del giorno, senza paura, si affrettano a riversarsi a piedi o in macchina nelle vie della capitale. Dietro a ogni gesto sembra nascondersi la presa di coscienza e la voglia di rendere dunque visibili contraddizioni e complessità spesso difficilmente decifrabili osservando la vita "normale" del paese. Dietro a ogni espressione estetica e comportamentale, apparentemente impolitica e priva di "prospettiva" come i serpentoni di macchine che suonano il clacson a ritmo e alzano il volume delle autoradio da cui fuoriesce musica proibita dal regime, si nasconde una tensione sociale, in verità sempre presente e mai pacificata almeno dall'epoca di Khatami in poi, rivolta all' ottenimento, anche dentro il quadro del regime islamico, di porzioni maggiori di libertà e autonomia a ripartire dai quali possono aprirsi nuove prospettive emancipative. Per tutti quelli che credono che la democrazia sia soprattutto il protagonismo attivo della popolazione nel cercare di trasformare bisogni e desideri soggettivi in innovazione sociale capace di sedimentarsi oltre le restrizioni formali del quadro legislativo e dei dispositivi di potere, allora quest'ondata che coinvolge trasversalmente classi sociali, generi e generazioni assume le sembianze di un vero e proprio esercizio di democrazia reale. Presto verrà eletto il nuovo presidente, Mousavi sembra essere in vantaggio, ma molti moltissimi ragazzi di Teheran insistono a dire che a prescindere dal risultato un altro importante passo in avanti nella società iraniana è stato fatto e ormai indietro non si torna.


da Teheran, Omid Firouzi
compagno iraniano dottorando all'università di Urbino

da Infoaut

G8 LECCE


Lecce 13 giugno 2009, è finito da poche ore il G8 e l’aria che si è respirata è stata di festa, allegria ma allo stesso tempo preoccupazione per quello che verrà, per il futuro di noi giovani che man mano che passa il tempo e con l’approvazione di queste leggi illegali ci verrà sempre più negato.La militarizzazione di Lecce è stata una trovata mediatica efficacissima per scoraggiare molte persone a partecipare e continuando così anche il G8 diventerà un marchio, un po’ come la notte della taranta, solamente sortirà l’effetto opposto quello di allontanare i giovani dalla piazza.
Certo qualche misura di sicurezza si doveva attuare ma non certamente quella di trasformare Lecce in un bunker. Blocco del traffico da venerdì pomeriggio con l’accesso permesso ai soli mezzi autorizzati e ai residenti, sei zone rosse (quattro erano gli alberghi dove erano ospitati questi “grandi” piccoli del mondo), centinaia di divise in giro per la città in tutte le salse, attività commerciali chiuse, grate –oltre al cordone di poliziotti- erette a difesa di non so cosa……………………………………………….
Nonostante tutto eravamo li a ribadire che un altro mondo è possibile. Solo se ci sarà una rinascita culturale, solo se capiamo che effettivamente gli ospiti in grado di risanare questo mondo siamo noi giovani e loro “potenti” ma soli, solo se alziamo la voce ogni qual volta i nostri diritti vengono calpestati o negati, solo allora ci potrà essere un vero risorgimento.
Lecce, oggi, si è colorata di un rosso che ultimamente sembrava sbiadito. Un rosso che dovrà per forza di cose prendere sempre più il sopravvento rispetto a quest’ondata di nero-fascio che sembra inarrestabile.
SPEGNIAMO IL TELEVISORE E ACCENDIAMO IL CERVELLO.
Non ci facciamo intimorire dall’informazione, scendiamo in piazza sempre più numerosi per gridare che il cambiamento è possibile a patto però che ci sia unità, voglia e soprattutto coscienza.
NO COMPETITION SI COOPERATION.
Ora ci aspetta L’Aquila e poi il nucleare nella nostra Nardò.
Le battaglie non finiranno mai.
ORA E SEMPRE RESISTENZA.

P.S.
Non ci siamo fatti mancare la polemica, un professore dell’università di Lecce, del quale non ricordo il nome, in barba all’unione dei movimenti proclamata due secondi prima, dal palco di Piazza Italia, dove si è concluso il corteo, ha urlato che Vendola insieme alla sua giunta si dovrebbe vergognare (???????), di cosa non si è capito.