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giovedì 16 luglio 2009

MOVIMENTO PER LA SINISTRA NARDO' - SFIDUCIA ESPRESSA NEI CONFRONTI DEL COORDINAMENTO PROVINCIALE E RICHIESTA DI UN'ASSEMBLEA ORGANIZZATIVA IMMEDIATA

Già dai primi mesi di vita del Movimento per la Sinistra – Lecce si assisteva a un'evidente frattura tra le realtà periferiche e il nucleo degli ex-quadri di rifondazione, arbitrariamente assegnatisi il ruolo di dirigenti provinciali, risultati autoreferenziali con mire dirigenzialiste, incapaci di sintesi e mediazione fra le diverse anime plurali e composite, che costituiscono l'originalità e la forza del movimento stesso.All'assemblea del 6 luglio scorso si è arrivati faticosamente e finalmente, dopo circa sette mesi di precarietà ormai cronica, contrassegnati da malumori, esclusioni, carenza di informazioni, mortificazione di richieste legittime di ascolto ed espressione, disorganizzazione e fissità; quell'assemblea è inoltre venuta dopo la provocazione ripetuta per ben due volte dell'autoconvocazione del gruppo neritino, in assenza di un segno qualsiasi da parte del gruppo di coordinamento provinciale, pur a ridosso di appuntamenti importanti come le elezioni e l'assemblea nazionale del 3 luglio a Roma.

Il 6 luglio ci è stata data “ufficialmente” l'agognata occasione di confronto e scambio fra le diverse esperienze territoriali. Pensavamo, con la stesura di un documento che riassumesse il dibattito sviluppatosi e desse voce alle valutazioni politiche emerse, si desse il via a un periodo finalmente realmente democratico e fattivo con la condivisione di decisioni e scelte.

Sulla bozza di tale documento vari pareri sono stati esposti da più parti, che chiedevano “aggiustamenti” per niente marginali e integrazioni essenziali, in modo che fosse riportato il reale andamento del dibattito e la posizione generale emersa.

Con fastidio e imbarazzo non solo sugli organi di stampa abbiamo letto la bozza integrale del documento originario senza alcuna correzione né modifica, ma abbiamo dovuto prendere pure atto di una scelta di linea regionalista e campanilista, che ci appaia al movimento “Io Sud”, facendo risultare come logica conclusione un accordo e un apparentamento con quel gruppo, ipotesi, questa, respinta dall'assemblea che ha anzi sottolineato la necessità di avvio di un lavoro politico con forze a noi naturalmente affini, secondo il modello di “case della sinistra” e “tavoli programmatici” già in corso di sperimentazione in realtà locali come Tricase e Nardò.

Quest'ennesimo atto di prevaricazione ci spinge a manifestare un'aperta sfiducia verso il gruppo di coordinamento provinciale e a richiedere in tempi brevissimi la convocazione di un'assemblea di chiarimento e organizzativa, che nomini rappresentanti democraticamente eletti, dando finalmente avvio a quel progetto di elaborazione politica dal basso, vera forza e novità del movimento, che può venire solo attraverso meccanismi interni efficaci, non elitari e soprattutto condivisi.

M.P.S. - Nardò

Gli abusi di Piombo fuso raccontati dai soldati

L'associazione israeliana Breaking the silence ha pubblicato un rapporto con le testimonianze dei soldati impegnati nell'operazione Piombo fuso. I militari tornano sugli abusi commessi nel corso della guerra del gennaio 2008.

«Prima sparare e poi preoccuparsi»: ecco il principio sul quale si è retta l’operazione israeliana Piombo fuso, la guerra lampo che nella Striscia di Gaza tra dicembre e gennaio 2008 ha provocato la morte di 1400 palestinesi e 13 israeliani. Ora a dirlo sono gli stessi soldati dell’esercito israeliano. Le loro testimonianze sono state raccolte da un’organizzazione creata dai soldati, Shovrim Shtika [Rompere il silenzio], che ha pubblicato un rapporto con il racconto di ventisei soldati che questa guerra l’hanno fatta. E’ l’ennesimo colpo alla Israeli defense force dopo le accuse di violazioni avanzate da organizzazioni come Amnesty International e Human rights watch: l’esercito ha subito negato le accuse. Il quotidiano Haaretz ha pubblicato oggi alcuni stralci del rapporto messo a punto dall’organizzazione ‘Rompere il silenzio’ che ha raccolto le testimonianze dei soldati impegnati nell’offensiva del gennaio 2008.

Secondo il racconto ripetuto da un sergente israeliano al reporter di Haaretz, che ha anche pubblicato ampi stralci del rapporto, i palestinesi venivano spesso mandati dentro le abitazioni per verificare se ci fosse qualcuno prima dell’irruzione dei militari. Una pratica – chiamata ‘procedura del vicino’ – già impiegata durante la seconda Intifada e bocciata come inumana dalla Corte suprema israeliana nel 2005. In un episodio riferito dal sergente, gli israeliani avevano localizzato tre miliziani palestinesi asserragliati in un casa. Era stato chiesto l’intervento degli elicotteri che avevano bombardato l’abitazione. Per verificare che i miliziani fossero morti, un civile era stato costretto a entrare nell’edificio pericolante. Ne era uscito dicendo che i tre erano ancora vivi e così l’esercito aveva ordinato un nuovo raid aereo. Il palestinese era stato costretto a entrare di nuovo nell’edificio e ne era uscito dicendo che due erano morti ma il terzo era ancora vivo. Era stato allora chiesto l’intervento di un bulldozer che aveva iniziato a demolire la casa. Solo allora il miliziano si era deciso ad arrendersi e a consegnarsi ai soldati.
Le testimonianze dei soldati concordano: l’ordine del Comando era di minimizzare le perdite tra i militari per non perdere il sostegno dell’opinione pubblica. «Meglio colpire un civile che esitare a sparare su un nemico – era la direttiva – nell’incertezza, uccidete. Nella guerriglia urbana chiunque è tuo nemico e non ci sono innocenti».

A marzo, altre testimonianze di soldati su abusi contro i civili palestinesi erano state rese pubbliche ma la loro affidabilità era stata contestata dai vertici dell’esercito. Anche questa volta, il commento dell’esercito non si è fatto aspettare. «Dalle testimonianze pubblicate e dalle indagini condotte dall’Idf, appare chiaro che i soldati hanno operato nel rispetto del diritto internazionale», dicono. Secondo fonti palestinesi, tra le 1.417 vittime dell’operazione Piombo fuso ci furono 926 civili, secondo l’esercito israeliano il bilancio fu di 1.166 morti tra cui 295 civili.esercito. Per l’esercito israeliano, «anche ora gran parte di quanto detto si basa su voci e testimonianze indirette, senza che sia possibile verificare i dettagli in modo da confermare o smentire l’accaduto». Per Asa Kasher, autore del codice etico dell’esercito, «l’organizzazione Shovrim Shtika intende difendere i valori morali mentre ne fa un’agenda politica: andare nel verso delle accuse palestinesi. Quando i soldati
dicono che potevano sparare a volontà: o hanno agito seguendo la propria volontà e sono da condannare, o non hanno rifiutato gli ordini dei loro superiori, e sono ugualmente da condannare. I soldati hanno l’obbligo legale di rifiutare ordini illegali, di sparare su innocenti. […] E’ molto facile, mesi dopo i fatti, scagliare la pietra all’esercito prendendo i media a testimonio».
«Ci sono abusi in ogni guerra, ma quello che ci turba è di vedere come, nella sua operazione a Gaza, l’esercito israeliano sembra aver cambiato i suoi concetti etici senza dircelo. L’uso di tattiche di guerra contro i civili palestinesi è ingiustificabile», commenta Yehuda Shaul, direttore di Shovrim Shtika.

da Carta

Venti giorni. Un'eternità

La diplomazia prende tempo e lo regala al governo de facto. Ma la gente non si placa

"Alle 17.15 di lunedì hanno indetto un coprifuoco con orario di inizio alle 18:30 per finire alle cinque di mattina. Lo hanno fatto per obbligare tutti i manifestanti a ritirarsi. Il coprifuoco durerà per 3 giorni. Inoltre sembra che da Canal 8 abbiano passato un comunicato della polizia in cui invitano gli stranieri, come gli honduregni, a non partecipare alle manifestazioni".Poche parole, inviate via chat, al volo, da parte di una cooperante italiana da tempo in Honduras, fanno capire come si vive in Honduras, ora, a venti giorni dal golpe militare, venti giorni di manifestazioni senza sosta, di proteste internazionali senza successo, di teatrini diplomatici senza senso. Poche parole per far capire che in quel paese ancora si resiste, si scende in piazza, si grida slogan per la libertà. E che in quel paese si reprime: corpifuoco, censura, persecuzioni, omicidi, sequestri, minacce, paura.
Venti giorni, un'eternità per un governo golpista, illegittimo, che ha costretto all'esilio il presidente scelto dal popolo. Eppure, sembrano così pochi per il lento e macchinoso ingranaggio diplomatico. Ma più il tempo passa, più l'attenzione mediatica scema e più incombe il pericolo che tutto in Honduras pian piano appaia sempre meno grave, sempre meno illegale, fino alla normalità. Una normalità imposta e auspicata, forse da molti. Pericolo imminente, precedente tragico, specialmente per un continente, quale quello latinoamericano, tartassato da dittature e burattini pseudo democratici. Ma il paese non ci sta e nemmeno il suo presidente, unico, Manuel Zelaya.
"Non mi arrendo e non mi arrenderò. Tornerò nel mio paese il prima possibile. Non voglio svelare l'ora né il giorno, per non mettere in allerta le forze che si oppongono al mio rientro, che sappiamo bene essere criminali. Torneremo nel paese. Stiamo pianificando il nostro ritorno". Queste le parole pronunciate da 'Mel' martedì 14, in visita in Guatemala, dove è stato ricevuto con tutti gli onori di un capo di Stato. Quindi ha invitato il popolo a non abbandonare le strade, perché "è l'unico spazio che non ci hanno tolto. Gli scioperi, le manifestazioni, le occupazioni, la disobbedienza civile sono un processo necessario quando si violenta l'ordine democratico in un paese. Non bisogna abbandonare la lotta, ma continuarla finché il regime dei golpisti non verrà sconfitto". Un invito all'insurrezione popolare, dunque, perché "un popolo non può essere d'accordo con qualcosa di imposto e illegale".

Toni alti, decisi, che prendono forza e danno forza a quel popolo honduregno deciso a non mollare e che cozzano con i toni mesti e cauti di chi auspica un accordo a tavolino. Il primo è il premio Nobel per la pace Oscar Arias, presidente del americanissimo Costa Rica, e sostenuto proprio da Washington in questa sterile tavola della pace. Da lui un nuovo invito alla delegazione di Zelaya e a quella del presidente golpista Micheletti, per sabato 18 luglio, a sedersi l'una di fronte all'altra per sciogliere il bandolo della matassa. Ma basta il fatto che i due personaggi chiave non vogliano nemmeno guardarsi da lontano per capire che a un altro bel niente porterà questo nobile tentativo.

Che sia un modo per guadagnar tempo, in nome di quella normalizzazione, che il popolo honduregno farà di tutto per scongiurare? Lo sostiene anche uno dei presidenti che più si è esposto nel condannare il golpe, il boliviano Evo Morales. "Quello che volevano che succedesse l'anno scorso in Bolivia, cioè, una rivolta di civili, sta adesso succedendo in Honduras. Si tratta di una aggressione, una provocazione dell'Impero", ha aggiunto il presidente boliviano. Ma poi ha assicurato, "il colpo resterà per alcune settimane, ma poi i golpisti cadranno".

Governo golpista che intanto sta mettendo i primi piedi in fallo. Il ministro dell'Interno, ex ministro degli Esteri, Enrique Ortez, già cambiato di ruolo per aver chiamato Barack Obama, presidente Usa, "un negretto che non sa nemmeno dove stia Tegucigalpa" e aver quindi scatenato le ire dell'ambasciatore Usa in Honduras, adesso ha deciso di lasciare definitivamente il governo de facto. Senza dare spiegazione, ma precisando che "resta amico di Micheletti".

Prime defezioni, misteriose e a bassa voce, in tipico stile dittatoriale. Mentre, al contrario, la gente urla e scende in strada. Sempre di più. Ieri si è registrata la più imponente manifestazione dall'inizio del golpe. In tutto il paese, lunghi cortei e blocchi stradali hanno caratterizzato la giornata. La più numerosa delle manifestazioni si è svolta a Tegucigalpa, dove un lungo corteo partito dall'università ha attraversato il centro della capitale, concludendosi nei pressi dell'ambasciata statunitense, dove i manifestanti hanno chiesto il rispetto delle risoluzioni contro il golpe emesse dall'Organizzazione degli Stati American. Nonostante il coprifuoco.

da PeaceReporter

G8: L'Aquila vietata ai giornalisti eccetto uno


Al G8 a L’Aquila c’era per i giornalisti il divieto assoluto di arrivare al Media center dentro la caserma di Coppito.

http://iltempo.ilsole24ore.com/abruzzo/2009/07/07/1044941-citta_proibita...

Eccetto per uno.
Poi questi pezzi di merda dicono che pensiamo male

http://metilparaben.blogspot.com/2009/07/toh-un-giornalista-ah-no-ho-vis...

da Indymedia

Natalia Estemirova perchè conoscerla? Meglio Il Manuale delle Giovani Mignotte

Natalia è un nome italiano e cattolico. Di Natalie ne ho trovate a decine su Wikipedia illustri: giornaliste pattinatrici artiste showgirl ballerine…italiane e straniere, di lei, Natalia Estemirova neanche l’ombra, tantomeno avrei dovuto conoscerla io. Ne conosco l’origine oggi, perchè è stata ammazzata, come tante donne qualunque, dimenticate. Ma ci sono autorevoli articoli in rete di donne e uomini che seguono passo passo certo attivismo, quello che si dice sia fatto in nome dei diritti umani e che leggono in pochi, molto pochi.

Natalia lavorava “di fino” che poi diventa sporco perchè ci
si insozza a raccontare di rapimenti, morti, torture, scomparse ingiustificate.

E malgrado il tema nobile del suo impegno e di tante poche e
pochi nel mondo, certi approfondimenti non arricchiscono affatto, materialmente.

Questa Natalia “è stata ritrovata morta in Inguscezia,
tragico epilogo di rapimento in pieno giorno a Grozny, la capitale dell’inquieta repubblica caucasica dove lei era nata 50 anni fa…«con ferite da arma da fuoco sulla testa e sul torace». Vicino al corpo senza vita, abbandonato sul ciglio dell’autostrada Kavkaz, una borsetta con dentro un passaporto e i documenti da ’avvocato dei dirittì: tessere, lasciapassare, documenti per l’ingresso nei luoghi di detenzione ceceni….Quando aveva ricevuto a Londra il primo “Anna Politkovskaia Award”, due anni fa, aveva annunciato che il premio in denaro l’avrebbe usato per pagare avvocati per chi non poteva permetterselo, in Cecenia…Collega “sul terreno” della giornalista Anna Politkovskaia, Estemirova era stata scelta dalla Ong RAW in WAR (Reach All Women In War, Raggiungi tutte le donne in guerra) per il primo premio britannico alla memoria della reporter uccisa nel 2006. Voce scomoda quanto la giornalista russa, nella motivazione del riconoscimento presentata da RAW si legge: «perfetto esempio di una donna che difende i diritti umani in una situazione di guerra, personificando il lavoro di Politkovskaya in Cecenia».

In molti articoli della stampa il suo nome neanche appare (
ma chi mai l’aveva vista o sentita…) e allora quasi come uno
specchietto per allodole, compare quello di Anna Politkovskaia, insomma un noire estivo che verrà consumato nel giro di ore, roba da addetti ai servizi segreti, da attiviste contro la guerra.

Su Libero Donna, l’articolo in apertura è Smignottare, che male c’è?, introduce un libro di cui si consiglia l’acquisto, il “Manuale delle Giovani Mignotte”, c’è da scommetterci che andrà a ruba. E poi la Storia: Figlia mia, diventa famosa!

E l’invito “Hai mai provato ad astenerti volontariamente per un periodo? RACCONTACI LA TUA ESPERIENZA”.

A lei non l’avevano scordata, certi , sono andati veloci,
non come alcuni amanti che fanno ricorso a rimedi per l’allungamento dei tempi della passione. Veloci come i Media a farci un quadretto di questa morta.

Adesso l’ho vista, anche in una foto. Sembra viva, un’
amica che avrei voluto conoscere e abbracciare, come tante che corrono via dalla prima pagina, vive o morte.

Doriana Goracci

FOTO E LINK SU http://snipurl.com/nc87t

da Indymedia

Scudo fiscale, Tremonti perde le staffe e insulta un cronista

ROMA (Reuters) - Incalzato sullo scudo fiscale, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti perde la pazienza e insulta un cronista in conferenza stampa a palazzo Chigi.

Il giornalista, di un'agenzia straniera, aveva chiesto quanto fosse coerente lo scudo fiscale sui capitali illecitamente esportati all'estero con l'enfasi sull'etica nella finanza posta dalla presidenza italiana del G8.

"Questo tipo di domanda la deve rivolgere al presidente degli Stati Uniti [Barack] Obama. Quando lo avrà fatto firmerò la risposta che le darà il presidente Obama", ha prima risposto Tremonti.

Il cronista a questo punto chiede perché abbia deciso di fare una nuova santoria dopo aver definito chiusa la stagione dei condoni.

"Le dico che questo [lo scudo] si accorda perfettamente all'azione di contrasto ai paradisi fiscali del G20. Lei è a favore dei paradisi e io no. Nella sua domanda è implicita l'approvazione dei paradisi fiscali", ha continuato Tremonti, spiegando che l'azione del governo italiano "concorda perfettamente con la politica fatta in America".

Tremonti sollecita quindi un'altra domanda e, parlando sottovoce, dice due volte: "Testa di cazzo".

Al momento non è stato possibile avere un commento dell'episodio dal ministro.

http://www.youtube.com/watch?v=S1n4zX_8Gm4

da Indymedia

Omicidio Sandri. Giustizia borghese e rabbia ultrà

Due ultrà della Lazio sono stati arrestati dai carabinieri di Roma dopo i disordini avvenuti la scorsa notte nella zona di Ponte Milvio con lancio di sassi e petardi contro un contingente della polizia ed una caserma dei carabinieri. Gli ultrà, alcune decine di giovani, avevano così protestato contro la sentenza della Corte d'Assise di Arezzo, dopo l'omicidio di Gabriele Sandri.Pesanti anche le dichiarazioni dei genitori: «Adesso me lo hanno ammazzato una seconda volta. Come fai a credere nella giustizia? Adesso non ci credi più». Così Daniela Sandri, mentre il padre: «È una vergogna. Come per l’omicidio Aldovrandi a Ferrara non c’è giustizia» e aggiunge «ora penso a una grande manifestazione».

Omicidio Gabriele Sandri. Condanna farsa per il poliziotto Spaccarotella. La rabbia dei familiari e degli ultras

Dopo 4 mesi di processo si avvia verso la conclusione il processo contro il poliziotto Luigi Spaccarotella, assassino dell'ultras laziale Gabriele Sandri. L'11 novembre 2007 dinnanzi ad una baruffa tra tifosi laziali e juventini all'autogrill di Arezzo, lungo l'autostrada A1, l'agente di polizia impugnò e sparò contro i tifosi, colpendo a morte Gabbo, 26 anni rotti dall'ultima delle uscite da film poliziesco delle forze dell'ordine del nostro paese, la cui violenza ha negli ultimi anni disseminato sangue e rabbia dappertutto (dal G8 di Genova con l'uccisione di Carlo Giuliani fino alle morti di Federico Aldrovaldi ed Aldo Bianzino). Determinata fu la risposta delle tifoserie di tutt'Italia: negli stadi vi furono scontri tra polizia e tifosi, nella capitale si scatenò la rivolta degli ultras, che nella sera e nella notte dell'11 novembre accantonarono rivalità e inamicizie reciproche per colpire insieme forze di polizia e obiettivi simbolici dello schifo del calcio moderno.

Il responso che arriva dalla Corte d'Assise di Arezzo è una beffa: 6 anni di reclusione, omicidio colpevole ma non volontario. Spaccarotella si vede assolto dal carico più duro pendente sulla sua testa, richiesto dal pm Ledda, che aveva domandato 14 anni di carcere per omicidio volontario con dolo eventuale. E' ben poca roba l'aggravante di colpa cosciente data al poliziotto assassino, che si tratterebbe, nel marasma giuridico italiano, di previsione dell'evento. Spaccarotella avrebbe sparato contro Gabriele, secondo i giudici, senza l'intenzione di ucciderlo ma accettando il rischio che quell'evento potesse verificarsi... Una presa in giro: non sono bastati 5 testimoni per convincere dell'arbitrarietà e volontarietà dell'uccisione, lo sbirro può tornarsene a casa avendo salvata la pelle, nella tranquillità di uno Stato che comunque preserva i suoi servitori e non li condanna come invece avverrebbe (e avviene!) per i senza divise e tesserini di ogni risma. Ciò, ovviamente, si scrive senza alcuna velleità giustizialista e forcaiola: non è il carcere o meno per l'agente che cambia la sostanza di un trattamento riservato di cui evidentemente godono le forze dell'ordine nel nostro paese (vedi processi G8 Genova), non è il tribunale il luogo dove si realizza giustizia, o meglio, questi compiono la loro giustizia, scrivendo una storia ordita dal pensiero dominante, che vuole il poliziotto (ma anche il politico il magistrato il banchiere etc) assolto e l'ultimo disgraziato della piramide sociale condannato.

Subito dopo l'emissione della sentenza in aula si sono scatenate le proteste, dei famigliari e degli amici di Gabriele: "infami" e "vergogna bastardi" indirizzati alla corte, la madre di Gabbo si è sentita male, tanta l'amarezza per un processo rivelatosi una farsa. Il gruppo è stato allontanato dall'aula, ma la protesta è proseguita fuori, con il gruppo di tifosi laziali che ha continuato a lanciare grida e slogan.

da Infoaut

La memoria nera d'America offesa nella Chicago di Obama

Scandalo a Burr Oak, lo storico cimitero della comunità afroamericana
Scoperto un business delle sepolture: migliaia di corpi scomparsi per rivendere le tombe


NEW YORK - "Ecco, vede, la Signora riposa laggiù". La Signora riposa, lo sceriffo neppure un po'. Tombe divelte e lacrime, famiglie in pena, tre gaglioffi e una disgraziata in galera, una storia che più nera non si può, di dolore e di rabbia. Da quando è cominciata, una settimana fa, Tom Dart ha perso il piglio da Giovane Democratico del "Si Può Fare".
Non è questa la Chicago di Obama, quattro milioni di abitanti, 37 per cento di neri, 42 per cento di bianchi, senza contare cinesi, nativi e altri? Non è qui che è nato il Yes, We Can? Yes, questa è Chicago, e Tom Dart è l'unico amministratore che l'anno scorso ha avuto il coraggio di fermare la lobby di palazzinari & banchieri sospendendo i 40mila sfratti delle famiglie distrutte dalla crisi dei mutui. Ma questa volta è diverso: come si arrestano i fantasmi, sceriffo?

Benvenuti, si fa per dire, a Burr Oak, Chicago, il primo e più grande cimitero monumentale dei neri d'America, il Père Lachaise della comunità black. La Signora che riposa laggiù è Dina Washington, voce d'angelo e vibrato d'acciaio, quarant'anni dilapidati a tempo di jazz, sette mariti e una overdose fatale. Più in là, ecco la lapide di Willie Dixon, bluesman da leggenda, sapeva leggere e scrivere musica, l'industria trovò il modo di sfruttarlo ancora meglio, canzoni e arrangiamenti che diventeranno successi dei bianchi, da Elvis agli Stones. Ma la tomba che spezza il cuore è quella di Emmett Till. Aveva quindici anni quando giocando a fare l'uomo fischiò a una ragazza bianca, per scommessa: ma nel 1955 il Mississippi era ancora pronto a bruciare, il povero Emmett fu assalito, picchiato, ammazzato, gli cavarono un occhio, il corpo buttato nel fiume. Al suo funerale, al ritorno nella sua Chicago, in centomila piansero di rabbia con la madre che trasformò il cadavere in bandiera.

Mezzo secolo dopo, il movimento dei diritti civili nato sulla tomba di Emmett ha portato un senatore nero alla Casa Bianca. Ma Barack Obama, il figlio adottivo di Chicago, non poteva immaginare l'orrore che stava lasciandosi alle spalle. Tutto è cominciato con la solita denuncia anonima, date un po' un'occhiata a quello che sta succedendo laggiù a Burr Oak: la fossa più economica, la "select single", costa 1.200 dollari, se cercate un posto meglio posizionato i dollari sono 3.700... Più che loculi, una miniera senza fondo per Carolyn Thomas, la manager del cimitero, 49 anni. Il trucco era semplice: bastava svuotare le tombe, via un corpo, avanti un altro. Funzionava, sospettano gli investigatori, da quattro anni. Trecentomila i dollari messi da parte dalla cricca, la manager (che per ora lo sceriffo ha pensato bene di parcheggiare nell'ospedale psichiatrico) e tre operai del cimitero, tutti di colore.

Ma l'orrore più grande è quello della gente truffata e ingannata, i corpi dei morti buttati chissà dove. Settemila famiglie chiedono dove sono finiti i propri cari. Lo sceriffo ha chiesto l'intervento dell'Fbi: "Ma ci vorranno dei mesi per identificare 100mila cadaveri con il Dna".

I disgraziati della truffa non si sono fermati di fronte a nulla: hanno profanato anche la tomba del piccolo Emmett, l'eroe. Jesse Jackson, il reverendo nero, ha tuonato: "Lo hanno ucciso due volte. Rosa Parks mi disse: "Quel giorno, sull'autobus, quando volevano farmi cedere il posto, pensai a quel povero ragazzino trucidato e dissi: no, lo faccio per lui, basta"". Anche la sua bara è stata trovata tra le erbacce e le lapidi divelte. Un corpo senza pace. Già quattro anni fa era stato riesumato per la riapertura delle indagini: come si usa sempre in queste circostanze, era poi stato adagiato in un'altra bara: quella originale, quella in cui fu esposto il corpo martoriato, è quella che i ladri di anime hanno abbandonato tra le erbacce. "Non c'è pace per Emmett", dice Ollie Gordon, suo cugino: "Fu una tragedia quando dovettero riesumare il corpo, e adesso c'è chi vorrebbe farcelo riesumare ancora, per controllare che sia davvero lui quello sepolto". Ha detto all'Ap Jonathan Fine, il direttore del gruppo Presevation Chicago: "Emmett Till è stato trattato da morto con lo stesso disprezzo con cui fu trattato in vita".

A pochi chilometri da Chicago, nel cimitero di Oakland, è sepolto Edgar Lee Masters. Ma la Spoon River di Burr Oak avrebbe solleticato anche la fantasia apocalittica di un altro figlio di questa terra, Michael Crichton. Ora l'inchiesta sui morti rischia di travolgere, come spesso accade, anche i vivi. L'amministrazione della Contea è sotto accusa. E poco importa che sia stata smentita la voce, in un primo momento accreditata dalla stessa Casa Bianca, che tra i corpi dispersi ci fosse anche quello di Fraser Robinson III, il padre di Michelle Obama. Camille Johnston, la bionda assistente della first lady, ha dovuto correggersi ieri con un comunicato imbarazzato: il padre è sepolto al Lincoln Cemetery, sempre lì ad Alsip, nel camposanto confinante. Ma la memoria nera di Chicago, la memoria di Obama, è offesa per sempre.

da La Repubblica di ANGELO AQUARO

Alex Zanotelli : "mi vergogno di essere italiano e di essere cristiano"


Il “decreto sicurezza”, quello delle ronde e del reato di clandestinità, è legge dello Stato. L’ha promulgata ieri, con qualche perplessità e preoccupazione, il presidente della repubblica Napolitano. Rinviare il testo al parlamento dev’essergli sembrato imprudente. Firmare in silenzio l’ennesima legge vergogna dev’essergli sembrato imbarazzante. Nel dilemma - dopo aver firmato - ha pensato di scrivere una lettera a ministri e presidente del consiglio, per invitarli a valutare le eventuali “criticità”. Come no.

Di seguito l’appello alla disobbedienza civile di Alex Zanotelli in tema di reato di clandestinità:
Mi vergogno di essere italiano e di essere cristiano. Non avrei mai pensato che un paese come l’Italia avrebbe potuto varare una legge così razzista e xenofoba. Noi che siamo vissuti per secoli emigrando per cercare un tozzo di pane (sono 60 milioni gli italiani che vivono all’estero!), ora infliggiamo agli immigrati, peggiorandolo, lo stesso trattamento, che noi italiani abbiamo subito un po’ ovunque nel mondo.

Questa legge è stata votata sull’onda lunga di un razzismo e di una xenofobia crescenti di cui la Lega è la migliore espressione. Il cuore della legge è che il clandestino è ora un criminale. Vorrei ricordare che criminali non sono gli immigrati clandestini ma quelle strutture economico-finanziarie che obbligano le persone a emigrare. Papa Giovanni XXIII° nella Pacem in Terris ci ricorda che emigrare è un diritto.

Fra le altre cose la legge prevede la tassa sul permesso di soggiorno (gli immigrati non sono già tartassati abbastanza?), le ronde, il permesso di soggiorno a punti, norme restrittive sui ricongiungimenti familiari e matrimoni misti, il carcere fino a 4 anni per gli irregolari che non rispettano l’ordine di espulsione ed infine la proibizione per una donna clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il proprio figlio o di iscriverlo all’anagrafe. Questa è una legislazione da apartheid, che viene da lontano: passando per la legge Turco-Napolitano fino alla non costituzionale Bossi-Fini. Tutto questo è il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e mendicanti. Questa è una cultura razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e dell’emarginazione.

«Questo rischia di svuotare dall’interno le garanzie costituzionali erette 60 anni fa - così hanno scritto nel loro appello gli antropologi italiani - contro il ritorno di un fascismo che rivelò se stesso nelle leggi razziali». Vorrei far notare che la nostra Costituzione è stata scritta in buona parte da esuli politici, rientrati in patria dopo l’esilio a causa del fascismo. Per ben due volte la Costituzione italiana parla di diritto d’asilo, che il parlamento non ha mai trasformato in legge.

E non solo mi vergogno di essere italiano, ma mi vergogno anche di essere cristiano: questa legge è la negazione di verità fondamentali della Buona Novella di Gesù di Nazareth. Chiedo alla Chiesa italiana il coraggio di denunciare senza mezzi termini una legge che fa a pugni con i fondamenti della fede cristiana.

Penso che come cristiani dobbiamo avere il coraggio della disobbedienza civile. È l’invito che aveva fatto il cardinale R. Mahoney di Los Angeles (California), quando nel 2006 si dibatteva, negli Stati Uniti, una legge analoga che definiva il clandestino come criminale. Nell’omelia del Mercoledì delle Ceneri nella sua cattedrale, il cardinale di Los Angeles disse che, se quella legge fosse stata approvata, avrebbe chiesto ai suoi preti e a tutto il personale diocesano la disobbedienza civile. Penso che i vescovi italiani dovrebbero fare oggi altrettanto.

Davanti a questa legge mi vergogno anche come missionario: sono stato ospite dei popoli d’Africa per oltre 20 anni, popoli che oggi noi respingiamo, indifferenti alle loro situazioni d’ingiustizia e d’impoverimento.

Noi italiani tutti dovremmo ricordare quella Parola che Dio rivolse a Israele: “Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Esodo 22,20).

Eroi o figli degli stenti?


La salma del caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, rimasto ucciso in un agguato in Afghanistan, rientrera' probabilmente oggi in Italia (nel pomeriggio o in serata). Lo hanno riferito fonti del contingente italiano ad Herat. Intanto i tre militari rimasti feriti nell'esplosione dell'ordigno (il tenente Giacomo Donato Bruno, il primo caporal maggiore Simone Careddu e il primo caporal maggiore Andrea Maria Cammarata) sono stati trasferiti dall'ospedale militare di Farah a quello piu' attrezzato di Kandahar. Anche i tre giovani rientreranno probabilmente abreve in Italia, ma per la partenza si attende il 'via libera' dei medici. I tre comunque, confermano le fonti a Herat, non si trovano in pericolo di vita.

La Russa si affretta a dire che è una missione di pace e quindi l'Italia non si ritirerà (ma i morti non resuscitano), Napolitano invece ha espresso il suo cordoglio per la perdita del soldato; ma ha dichiarato che la lotta al terrorismo va conclusa sradicando questo fenomeno anche nei teatri di operazione più duri.

Adesso si torna a parlare anche di eroi. Ragazzi giovani, quasi sempre del sud che vanno in guerra non per spirito patrio (e ci mancherebbe altro; vanno in Afghanistan anche perchè l'Italia non è in pericolo di attacco da parte di nessun altro stato); ma perchè disoccupati e senza altra prospettiva davanti decidono di arruolarsi per costruirsi un futuro. Questi come li chiamate voi eroi o vittime sacrificali?

Nichi Vendola e la crisi culturale

"Realizzeremo presto in Puglia l'Accademia cinematografica digitale".
Nichi Vendola contro i tagli al Fondo unico dello Spettacolo: "disinvestire in cultura con l'alibi più fetente del mondo: c' é la crisi"


Il problema é proprio l'idea della cultura, il rapporto che vi é tra etica pubblica e la cultura, l'investimento che una società fa sulla formazione soprattutto delle giovani generazioni. Se la cultura viene percepita, secondo un luogo comune che attraversa tutto il '900, come un fatto parassitario e vizioso perfino come un impedimento a trovare l'armonia sociale" allora si capisce "perché disinvestire in cultura con l'alibi più fetente del mondo: c' é la crisi".

Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, lo ha affermato presentando il film "L'uomo nero" del regista Sergio Rubini, in lavorazione a Mesagne (Br) e dopo che uno degli attori protagonisti, Riccardo Scamarcio ha letto un documento contro i tagli previsti al Fondo unico dello spettacolo, a firma di "autori di cinema e di teatro, attori e attrici e lavoratoti dello spettacolo, che in contemporanea é stato letto in altre regioni d'Italia. "Dai prossimi mesi - ha letto Scamarcio - si vedranno meno film, meno spettacoli teatrali, meno concerti, meno serie televisive, meno artisti, meno idee, in un panorama di pretesi risparmi che finiranno per rendere il Paese più povero di emozioni, di pensieri, di profondità, di energia creativa, di allegria".

A sostenere il documento anche i produttori del film presentato oggi, Donatella Botti (Bianca Film) e Caterina D'Amico (presidente Rai Cinema), il regista Sergio Rubini, l'attrice protagonista, Valeria Golino, l'assessore al Mediterraneo Silvia Godelli e il presidente dell'Apulia Film Commission Oscar Iarussi, "Vorrei ricordare - ha continuato il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola - che la più grande crisi che la soscietà italiana abbia attraversato nella sua vicenda democratica é stata il fascismo, la guerra e che la reazione a quello che era accaduto, un trauma così profondo, la ricostruzione ha avuto nel cinema, in una società poverissima e - ha concluso - assediata dalla miseria, uno strumento straordinario di riscatto"