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domenica 19 luglio 2009

NON SONO TANTO "NERI"

E´ da un po´ di tempo che cerchiamo di dare un aiuto concreto ai lavoratori stagionali trattati come animali, cercando di soddisfare quei bisogni basilari -mi riferisco al cibo (c´e´, ma alcuni non lo possono comprare), ai bagni chimici, all´acqua (non pretendiamo l´acqua potabile ma perlomeno dar loro la possibilità di lavarsi), un frigo (visto il caldo che fa; provate ad immaginare quelle poche cose che hanno come sono arse da questo sole), la luce elettrica (per illuminare il campo durante la notte)- insomma servizi primari che possano garantire loro una vita decente.

All´interno della tendopoli più passano i giorni e più si iniziano a delineare le gerarchie.

Gli anziani (per la maggior parte tunisini o comunque provenienti dal nord Africa) situati al centro del campo, hanno messo su una cucina che praticamente non può sfamare l´intero campo, sia per le difficoltà economiche di qualcuno (come dicevo prima, alcini, non possono avere la possibilità di comprare il pranzo o la cena perché non trovano lavoro), sia (queste sono solo mie impressioni) per un fatto puramente etnico cioè per la discriminazione che si crea tra gli stessi.

I primi giorni io e gli altri compagni, abbiamo scambiato due chiacchiere solo con tunisini, egiziani e marocchini, e ci siamo accorti di una certa titubanza da parte dei braccianti del Sudan, della Costa D´Avorio, del Senegal, ecc...ecc... di quell´Africa "nera" che da secoli è abbandonata a sporchi dittatori di turno e a guerre senza fine.

Ma è bastato poco per trasmettere fiducia; infatti, dopo due giorni mentre noi cercavamo di trovare delle soluzioni ai loro problemi, sono stati loro a venire da noi e a cercare di esporre quegli che erano i loro bisogni.

La cosa più brutta è sentirsi impotente; in quel campo ci sono tutte le etnie del continente africano e i lavoratori che "alloggiano" superano le 300 unità.

Sfamare, dissetare e dare cure mediche di base richiede uno sforzo grande da parte nostra e allo stesso tempo una richiesta sempre maggiore di volontari.

Bisogna rapportarsi in modo giusto con questo fenomeno, non si deve rischiare di far nascere all´interno del campo ulteriori problemi.

Sono convinto che all´interno della tendopoli il tutto è gestito da tre o quattro persone, quelle che a pelle mi hanno ispirato meno fiducia, che definirei mafiose con una mentalità legata a quella cultura delinquenziale. L´idea che mi fa paura è che una volta soli, senza la nostra presenza, qualcuno si appropriasse di ciò che noi abbiamo distribuito gratuitamente e lo volesse rivendere; noi abbiamo cercato di distribuire (per esempio l´acqua) in maniere eguale senza distinzione né di età né di etnia.

Il nostro impegno cercherà di essere costante, nei limiti del possibile e uno degli obbiettivi sarà anche quello di smascherare eventuali connivenze tra alcuni di loro e quei padroni neretini che sfruttano le braccia dei migranti negli appezzamenti di terreno sempre meno produttivi.

Faccio un appello ai nostri lettori;

stiamo raccogliendo fondi (un contributo in denaro) per eventuali spese da affrontare;

raccolta di abiti in disuso (i nostri armadi ne sono pieni);

recupero di bottiglie di plastica vuote, per consegnarle al campo;



IL NOSTRO DEPOSITO SARA´ LA SEDE DEL MOVIMENTO PER LA SINISTRA NARDO´ IN VIA N. INGUSCI N°6

VI ASPETTIAMO



ORA E SEMPRE RESISTENZA

Oggi l'anniversario della strage di via D'Amelio

da www.pieroricca.org


“Una domanda che non si può eludere è questa: possiamo edificare un futuro credibile per il nostro Paese senza fare i conti con le verità negate sulle stragi mafiose che stanno alla base sia della Prima Repubblica (Portella della Ginestra), sia della Seconda Repubblica (biennio stragista 92-93)?

Personalmente non credo molto alle verità emergenti dalle commissioni parlamentari. Tuttavia è un dato di fatto inquietante che mai si è pensato di costituire una commissione parlamentare con il compito di indagare sul biennio stragista e sulla “trattativa”. Io non credo che si possa costruire
una Repubblica dalle fondamenta solide se non si fa chiarezza sul sangue delle stragi del 92-93 e sulla trattativa fra Cosa nostra e settori dello Stato.


Mi si domanda con quale stato d’animo, da uomo dello Stato, io viva questo impegno di magistrato antimafia, se una parte dello Stato è collusa con la mafia. E rispondo: io credo che si possa operare anche dentro uno Stato che ha tali connivenze e timidezze nei confronti della mafia, innanzitutto con un senso di consapevolezza di fondo che la questione del confronto fra mafia e antimafia non è uno scontro fra Stato e anti-Stato. L’impostazione di rappresentare la mafia come qualcosa di estraneo allo Stato, nella logica del rapporto fra guardia e ladri, è vecchia e fuorviante. Non essere lucidamente consapevoli che la mafia ha forte capacità di infiltrazione nello Stato espone al rischio di fallimenti. Noi però dobbiamo guardare anche fuori dallo Stato, alle componenti sane della società che sono ugualmente fondamentali, certo in una prospettiva di non breve scadenza, per la costruzione di qualcosa di nuovo.

Occorre ritrovare la volontà collettiva di fare verità e giustizia, a cominciare dalle stragi di mafia, perché senza questa volontà collettiva, come dimostra la storia dell’antimafia, neanche la magistratura riesce a scoprire la verità. Tutti i momenti nei quali si sono raggiunti dei risultati sul piano giudiziario sono stati momenti di conquista collettiva, il frutto di un ampio movimento di opinione, di pressione. Senza volontà collettiva non c’è verità e giustizia; senza verità e giustizia siamo di fronte a una società che non ha futuro”.

DISOBBEDIAMO

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, pur promulgandola, ha segnalato ‘rilevanti criticità’ nella Legge sulla sicurezza, che porrebbe dubbi di irragionevolezza e di insostenibilità soprattutto sul piano giuridico. In particolare, il Capo dello Stato, in una lettera inviata al Governo, chiede una riflessione sul reato di clandestinità e sul via libera alle ronde, delle quali vorrebbe che fossero definiti limiti e compiti.
Perché un Presidente della Repubblica preoccupato e perplesso non ha rinviato alle Camere un testo che reintroduce una serie di misure persecutorie e discriminatorie nei confronti dei soggetti sociali più deboli?
Mi si risponderà che il rifiuto di promulgare una legge non è un ostacolo definitivo. Ma il giudizio critico del Presidente basterà? Quanto peserà?
Siamo assuefatti alla costruzione di un’icona deviante di tutto ciò che è povertà: la povertà minaccia questo mondo, la povertà è una colpa, la povertà è un reato. La povertà più povera, quella di non avere i documenti o di provenire da paesi in guerra o da paesi dove si muore di fame, non provoca un tentativo di interlocuzione: un essere umano senza documenti è prima di tutto colui da respingere, da nascondere, da esorcizzare. Lo spirito securitario che muove la Legge stringe le maglie del controllo sociale e metabolizza un progressivo cedimento al lessico razzista e xenofobo, in cui “sorvegliare e punire” sono i verbi della macchina di controllo sociale sugli esuberi della globalizzazione. Ho paura che silenzio e indifferenza sommergano una legge per cui essere clandestino non significa essere vittima della clandestinità, ma autore minaccioso e per cui essere povero non significa essere vittima della povertà, ma artefice colpevole. Disobbediamo a una legge xenofoba che ricalca le leggi razziali, indigniamoci, mobilitiamoci per sottrarre dall’inciviltà uomini e donne colpevoli solo di essere figli di un dio minore, mobilitiamoci per restituire dignità a quei principi garantisti e di civiltà giuridica su cui si basa o dovrebbe basarsi una democrazia.

di Nichi Vendola

Verso il congresso PD

Secondo Emiliano...
"Il Pd deve sventolare la bandiera americana. Deve essere un partito europeo, occidentale, anti-comunista. Anch'io sono stato iscritto al Pci, ma avremmo imbracciato le armi per difendere l'Italia in caso di invasione sovietica. Il discorso più anti-comunista l'ha fatto Enrico Berlinguer a Mosca. Ai militanti post-comunisti bisogna dire di prendere atto di com'è fatto il Paese. Nella mia città per anni la sinistra si era presentata con slogan tipo 'l'altra Bari' e aveva sempre perso. Nel 2004, quando mi candidai a sindaco, feci scrivere sui manifesti: 'Io voto Bari'. D'Alema tirò un sospiro di sollievo: 'Per la prima volta chiediamo il voto alle persone che esistono, non a quelle che non ci sono'. Se cerchiamo italiani che non sono mai esistiti, non toglieremo l'egemonia culturale a Berlusconi. Berlusconi legge e interpreta il Paese, i suoi elettori a Bari votano per me. Sono persone normali, che non rubano, non si fanno pagare le donne da un altro, chiedono di essere governati. E noi rispondiamo con un congresso dove rispolveriamo la divisione tra ex Pci ed ex Dc?".

Secondo Veltroni...Il Partito democratico deve diventare"il perno dell'alleanza riformista per l'Italia" e in questa direzione va "la piattaforma di Franceschini". Conun'intervista-fiume al Corriere della Sera, Walter Veltroni faun bilancio delle prime battute della sfida per la segreteriadel Pd. E promuove Dario Franceschini. "Buono e chiaro il discorso di Franceschini", ha detto, "unpasso avanti per il Partito democratico". Quanto alla battagliaper la guida del Pd, "vedo due piattaforme nitidamente diverse". Una, quella di Pierluigi Bersani che pure l'exsegretario non cita, "e' legittimamente dentro l'evoluzionePci-Pds-Ds" e "punta a un modello di partito come ce n'erano untempo". Franceschini, ha invece sottolineato, "disegna un partito con l'ambizione di cambiare radicalmente il Paese". Non dasolo. Nell'alleanza riformista Veltroni vedrebbe bene"innanzitutto" un rapporto "con Vendola, i socialisti diNencini, i radicali". Poi, ha aggiunto, "sulla base dei progetti riformisti si possono stringere patti con altre formazioni di opposizione" come Udc e Idv.

Secondo me...
L’avvio del dibattito congressuale in casa Pd ha del surreale. Non solo per le modalità previste dal macchinoso statuto dei democratici, all’insegna del più folle autolesionismo, quanto per l’assurda contesa tra “vecchio che avanza” e “nuovo che torna”.
L’atto di nascita del Pd non è stato contrassegnato da alcuna discontinuità, né politica, né culturale, né tantomeno generazionale, pagando oggi, ancor più di ieri, il suo peccato originale. È il figlio, di due nomenclature malate, di due partiti che avevano esaurito la loro funzione e che hanno pensato bene di convocarsi in un matrimonio di interesse, pensando che l’ unione sommasse le forze e non anche le debolezze reciproche.
Io penso che l’innovazione la pratichino i ventenni, non i quarantenni, i cinquantenni. Se non altro perché l’innovazione, secondo me, è il coraggio di cambiare costumi, abitudini, che incidono sulla società. E un uomo o una donna di quarant’anni o più hanno già una certa strutturazione.

Paolo

Le strade dell'antimafia

Raccogliendo l'invito dell'associazione daSud, centinaia di cittadini in tutta Italia stanno dando vita in questi giorni ad una grande commemorazione dei martiri delle mafie. Ora tocca ai sindaci trasformare il loro gesto simbolico in un atto amministrativo reale, aggiornando una toponomastica spesso ferma al Risorgimento
Da tutta Italia arriva un messaggio chiaro: l'Italia deve ricordare i martiri delle mafie. Lo hanno lanciato centinaia di cittadini, associazioni, gruppi, artisti che hanno raccolto l'invito dell'associazione daSud e intitolato simbolicamente 200 strade e piazze da nord a sud alle vittime della criminalità organizzata. Da domani i sindaci hanno l'occasione di trasformare questo gesto collettivo e simbolico in un atto amministrativo reale aggiornando una toponomastica spesso ferma ai tempi risorgimentali. E contribuendo a ricordare, a ricostruire - tessera dopo tessera - un mosaico di storie raccontato dalla «Lunga marcia della memoria», iniziata il 14 luglio e che attraverserà l'Italia fino al 25 del mese.
Raffaella Scordo era un'insegnante di 39 anni. L'hanno uccisa a colpi in testa durante un tentativo di sequestro la sera del 12 luglio 1990 mentre rincasava assieme al marito e ai suoi due figli. La Calabria era nel pieno della stagione dei sequestri di persona. Antonino Scopelliti era un giudice di quelli importanti e poco noti ai media. Viveva tra Roma e Campo Calabro, un paese in collina, a pochi passi da Reggio Calabria. A decretarne la morte un patto di ferro tra Cosa nostra e 'ndrangheta: Scopelliti rappresentava la pubblica accusa al maxiprocesso alla cupola palermitana in Cassazione e rappresentava un problema. È stato ucciso il 9 agosto del 1991, tornava dal mare. Il suo è l'ultimo omicidio della seconda guerra di mafia di Reggio Calabria. Peppe Valarioti era il segretario del Pci di Rosarno, faceva l'insegnante di filosofia. L'hanno ucciso la sera dell'11 giugno del 1980: era appena uscito dalla cena in cui si festeggiava la vittoria alle elezioni amministrative e regionali. Il Pci aveva vinto dopo una campagna elettorale tesissima con durissime prese di posizione antimafia e continue minacce e intimidazioni dei clan rosarnesi. Non ha avuto giustizia. La stessa giustizia che a Rosarno oggi non riescono ad avere i migranti che lavorano come schiavi in agricoltura e che spesso sono vittime del contesto violento. Anche l'africano Peter Iwule Onyedeke è una vittima della 'ndrangheta. Nigeriano di 33 anni, studente di Architettura, è stato assassinato inspiegabilmente il 25 giugno 1995 a Reggio Calabria. Aveva una moglie e due figli. Per arrotondare le misere entrate (dava una mano in un mobilificio di periferia), faceva il parcheggiatore abusivo. Quella notte stava nello spiazzo di fronte a una discoteca. Chiedere dei soldi a uno 'ndranghetista è inopportuno, se poi a farlo è un africano si tratta di un'offesa. Vincenzo Grasso aveva una concessionaria d'auto sulla statale 106 a Locri. Era onesto, Cecè. Non pagava la mazzetta e denunciava i suoi estortori. Le telefonate registrate, i racconti circostanziati agli investigatori, la schiena dritta non sono bastati: l'hanno ucciso, davanti casa, poco prima di cena la sera del 20 marzo 1989. I suoi assassini non hanno ancora un volto. Sequestrati, magistrati e poliziotti, militanti e dirigenti politici, migranti, commercianti e imprenditori onesti, persone comuni. È lungo e vario l'elenco delle vittime innocenti. Si può morire perché hai denunciato e perché hai sfidato i clan, perché ti sei opposto, per uno sguardo sbagliato, per un errore. E a volte si muore due volte, dimenticati persino dallo Stato ufficiale.
Le persone però ricordano. Per questo hanno ribattezzato strade e piazze nella «Lunga marcia della memoria» lanciata sul web e con il passaparola, e che ha raccolto adesioni da quasi tutte le regioni d'Italia, da Treviso a Pordenone, da Nizza di Sicilia, nel messinese a Centuripe, in provincia di Enna, passando per Bari Vecchia o Siena. Straordinarie giornate di festa per scuotere un Paese smemorato.
Così da due giorni l'austera via Solferino - la strada del Corriere - a Milano si chiama via Libero Grassi, l'imprenditore che non pagava e denunciava a Palermo; piazza Indipendenza a Firenze, la centralissima via Palazzo di Città a Torino come la piccolissima via Romagna di Parabiago (nel milanese) sono tre dei tantissimi luoghi dedicate piazza Peppino Impastato che - anche grazie al film di Marco Tullio Giordana - è diventato il simbolo di una generazione. A Pisa l'Anpi ha dedicato piazza 20 settembre al mugnaio calabrese con la passione per gli orologi e un innato senso della giustizia Rocco Gatto mentre a Palermo è stato ricordato il piccolo Giuseppe Di Matteo. A Pescara Movimentazioni ha dedicato una piazza al medico Luigi Ioculano (proprio in questi giorni il processo ai suoi presunti assassini è finito con un nulla di fatto) che ha avuto un riconoscimento importante anche nella sua Gioia Tauro; la famosa via del Pratello di Bologna ha preso il nome di Gianluca Congiusta, mentre a Lecce è stata ricordata Renata Fonte, la politica pasionaria e nemica delle speculazioni edilizie assassinata a Nardò nel 1984. Straordinaria la partecipazione di Verbania (con il boom di 20 intitolazioni per le strade del centro) e di Roma con decine di intitolazioni in tutta la città, dal centro storico dove in piazza Montecitorio è stato ricordato il giudice ragazzino Rosario Livatino, ai Parioli, alla Tuscolana, a via Pietralata e dove hanno cambiato nome le vie di un intero quartiere, il Pigneto, luogo delle memorie della resistenza.
Reggio Calabria ha ricordato, tra gli altri, le sei vittime della strage di Gioia Tauro del 22 luglio 1970 intitolando l'aeroporto mentre il lido comunale ha trovato un nome nuovo, grazie alla collaborazione con il Premio Ilaria Alpi: quello della giornalista di Raitre e del suo operatore Miran Hrovatin, uccisi in Somalia nel 1994 per l'inchiesta che stavano conducendo sul traffico internazionale di rifiuti. Non sono gli unici ricordati nel corso della giornata: targhe in tutta Italia anche per il cronista Beppe Alfano e il fondatore dei Siciliani, scrittore e autore teatrale Pippo Fava. Anche a Castel Volturno, il paese della strage e della rivolta dei migranti contro la camorra, sono spuntati i cartelli del Comitato Don Peppe Diana in omaggio al prete anticamorra. E dalla Campania ha attraversato tutto il Paese la storia tragica di Petru Birlandeanu, romeno che sbarcava il lunario con la fisarmonica sui treni della circumvesuviana di Napoli, ferito mortalmente alla stazione Montesanto: cadde davanti ai passeggeri interessati soltanto a obliterare i biglietti e fuggire via. Petru è morto nell'Italia del 2009.
L'associazione daSud è in marcia e arriverà a Festambiente Sud, l'ecofestival di Legambiente a Montesantangelo (Fg). Lì il 25 luglio una grande maratona contro le mafie, la realizzazione di un graffito e l'ultima intitolazione: la piazza del paese diventerà piazza Francesco Marcone, direttore dell'ufficio del registro di Foggia. Pochi giorni prima di morire, nel 1995, aveva presentato un esposto alla procura della Repubblica su una truffa. Una persona perbene, come tante in questo Paese.

da Il Manifesto

La casta

Israele e gli ultraortodossi: un rapporto complesso che mostra tutte le sue contraddizioni

''Centinaia di poliziotti, sostenuti anche da guardie di frontiera, presidieranno le strade di Gerusalemme. Nessun tipo di violenza sarà tollerata''. Il portavoce della polizia israeliana, Micky Rosenfeld, ha annunciato alla stampa la tolleranza zero verso gli ebrei ultraortodossi che hanno messo a ferro e fuoco nelle ultime 48 ore due quartieri di Gerusalemme.

Il pretesto. Tutto è nato, martedì scorso, dall'arresto di un una donna ultraortodossa accusata dai servizi sociali israeliani di negligenza. Il suo bimbo di tre anni, ultimo di cinque figli, era stato trovato in condizioni di denutrizione dalle autorità di Tel Aviv che accusano la madre di aver privato sistematicamente dell'alimentazione necessaria il piccolo. La donna nega, sostenuta da tutta la comunità, che è scesa in piazza per dimostrare. Bilancio della battaglia: 18 poliziotti feriti e 34 ultraortodossi arrestati. Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, aveva reagito ai disordini ordinando la sospensione di qualsiasi servizio comunale nei quartieri di Geula e Mea Shearim, teatro degli scontri. Barkat, a sentir lui, ha preso la decisione per proteggere gli impiegati comunali, in quanto tutte le istituzioni erano diventate un bersaglio delle proteste degli ultraortodossi. In molti, però, hanno parlato di un'ingiusta punizione collettiva. Dopo la mediazione del presidente israeliano Peres, sono arrivati gli arresti domiciliari per la donna. Questo potrebbe stemperare la tensione, ma l'episodio ha riportato alla luce una tensione di fondo che attraversa la società israeliana: il rapporto con gli ultraortodossi.

Un salto nel tempo. Fare una passeggiata per Mea Shearim, che in ebraico significa 'delle cento porte', è come fare un viaggio nel tempo. Costruito a partire dal 1875, il quartiere è il secondo agglomerato formatosi fuori dalla città vecchia, dai seguaci del rabbino Auerbach. Loro si sono rinchiusi in un ghetto volontario, per vivere nella più totale osservanza degli scritti religiosi e si vestono come i loro antenati dell'Europa centro-orientale del Settecento. I cappelli a falda larga, le lunghe barbe e i riccioli che escono dai copricapi sono i segni distintivi di una comunità che non riconosce lo Stato d'Israele, perché la tradizione vuole che lo fonderà il Messia al suo ritorno e non possono farlo degli uomini comuni. Non parlano la lingua ebraica, ritenuta sacra e da utilizzare solo per la preghiera, e si esprimono in yiddish, l'idioma degli ebrei originari dell'Europa dell'est. Per una passeggiata tra le migliaia di sinagoghe e di yeshivot (le scuole talmudiche) è consigliabile un atteggiamento composto e un abbigliamento castigato. Inoltre durante il sacro sabbath (dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato) è proibito fumare e fotografare per le strade del quartiere. Un altro mondo, fatto anche di privilegi, però. Nel 1947, dopo un accordo tra Ben Gurion, uno dei padri d'Israele, e i leader ultraortodossi, si stabilì che questi ultimi potevano rimandare il servizio militare, le loro scuole ricevono fino a 170 milioni di dollari di sussidi e non lavorano.
Ben Gurion ne ottenne l'appoggio politico, ma il resto della società israeliana ha sempre mal tollerato i loro privilegi che, secondo una stima, costano alla comunità un miliardo di dollari l'anno in termini di forza lavoro sottratta all'economia israeliana.

Rabbini contro Israele. Da sempre posti agli estremi della società israeliana, nella galassia ultraortodossa non mancano neanche quelli che non accettano denaro e non fanno patti con lo Stato. Come il gruppo di Neturei Karta, per esempio. Il movimento è stato fondato a Gerusalemme, nel 1938, schierandosi da subito su posizioni anti sioniste. Partendo da presupposti, però, differenti da quelli degli anti sionisti politici. I seguaci del movimento, infatti, partono da una base teologica e sostengono d'interpretare alla lettera la Torah, il libro sacro dell'ebraismo. Secondo loro, le sacre scritture proibiscono la creazione di uno stato ebraico prima della venuta del Messia. Quindi, secondo questa lettura, lo stato d'Israele è un'impostura e la sovranità sulla Terra santa è dei palestinesi. Uno di loro divenne consigliere di Yasser Arafat per le questioni ebraiche.
Il movimento è stato oggetto, nel tempo, di polemiche e di attentati da parte di ebrei che li vedono come il fumo negli occhi. A settembre dello scorso anno, a Teheran, il governo di Mahmoud Ahmadinejad organizzò un convengo contro il sionismo che, tra gli ospiti, contava tanti negazionisti dello stesso Olocausto. Facile immaginare la reazione in Israele alle immagini provenienti dall'Iran, dove alcuni esponenti di Neturei Karta pregavano con Ahmadinejad. Ieri, mentre gli ultraortodossi di Gerusalemme davano battaglia, quattro di loro sono andati a trovare Ismail Hanyieh, leader di Hamas, a Gaza.
''Noi sentiamo la vostra sofferenza, noi piangiamo le stesse vostre lacrime'', ha detto ad Haniyeh il rabbino Yisroel Weiss, uno dei leader di Naturei Karta. Una dichiarazione decisamente poco ortodossa.

Christian Elia da PeaceReporter

Quelle pale non devono girare

La bozza presentata dal ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola prevede per gli impianti solari ed eolici una tale ridda di studi e divieti da rischiare di affossare l'energia verde in Italia

Finalmente il governo ha deciso di regolare severamente le fonti di energia che, evidentemente, considera deleterie per il nostro Paese. Carbone e nucleare? No, vento e sole. Le linee guida alla legge 387 del 2003 dovevano servire, su richiesta europea, a unificare e rendere più veloce l'iter per la realizzazione di impianti a energie rinnovabili, oggi regolato a livello regionale. Ma la bozza presentata dal ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, prevede per gli impianti solari ed eolici, al di sopra rispettivamente di 20 e 60 kW, una tale ridda di studi, pareri e divieti, da rischiare di affossare l'energia verde in Italia. "Sono norme più rigide di quelle previste per le fonti non rinnovabili", hanno commentato gli industriali dell'eolico. Per installare turbine eoliche, per esempio, si prevedono studi finanziari, tecnici, sanitari, naturalistici, climatici, paesaggistici, idrogeologici e persino sociali e per loro sono comunque off limits ben 14 tipi diversi di territorio, comprese, chissà perché, le aree ad agricoltura biologica e Doc. "Con queste regole", spiega l'ingegnere energetico Alex Sorokin, "tempi e costi di installazione, già più alti in Italia che in Germania o Spagna, aumenterebbero ancora. Speriamo che le regioni, quando valuteranno questa bozza, la riportino
allo spirito originale: rendere cioè la vita più facile, non più difficile, a chi vuole produrre energia rinnovabile".

di A. S. da L'Espresso

Il Cavaliere indagato anche in Honduras

Secondo il quotidiano honduregno "La Nacion", un piemme locale avrebbe messo sotto inchiesta Berlusconi con l'accusa di aver promesso al golpista Micheletti un posto a Strasburgo

Non accenna a diminuire l'ondata di attacchi e pesanti critiche della stampa internazionale a Silvio Berlusconi. Anzi, si sta diffondendo dai giornali più autorevoli, come l''Economist' e 'Le Monde', a quelli meno paludati, come il settimanale di enigmistica finlandese 'Ullelappe' che nel cruciverba di prima pagina, al sette verticale, alla definizione 'persona disgustosa' fa corrispondere il nome di Berlusconi. Ma vediamo gli ultimi casi.
Borneo News È il quotidiano di lingua inglese del Borneo. In un'accurata inchiesta sostiene che Berlusconi avrebbe acquistato, a un prezzo irrisorio, la più bella villa del Borneo, un'immensa reggia pensile sospesa sugli alberi della foresta. L'accusa, infamante anche nel Borneo, è di averla rivestita in perlinato e di avere ricavato al livello del suolo una tavernetta col caminetto. Un giudice locale ha messo sotto inchiesta Berlusconi, sospettato di avere corrotto un anziano funzionario delle Belle Arti borneesi promettendogli un posto da parlamentare europeo.

Al Baharab Quotidiano del minuscolo emirato di Al Baharab, famoso perché i suoi 30 abitanti sono tutti sceicchi miliardari, giocano a bocce con i diamanti, si accendono i sigari con le litografie di Bacon e indossano solo vestaglie di salmone affumicato. In un duro editoriale, il quotidiano accusa Berlusconi di essere "un totale burino arricchito perfino per i nostri parametri, il che è tutto dire". Nelle pagine interne si dà notizia che un pretore locale ha messo sotto inchiesta Berlusconi a scopo cautelativo, nell'imminenza di una sua visita di Stato nel Al Baharab.

Wong Ping Yang Popolarissimo giornale della sera di Shanghai. Nella rubrica comica
'la bacchetta nell'occhio', le barzellette su Berlusconi hanno ormai superato per numero quelle che Berlusconi invia ogni settimana insistendo per farsele pubblicare. Un giudice locale avrebbe aperto un fascicolo su Berlusconi, sospettato di avere corrotto il redattore della rubrica comica promettendogli un posto da parlamentare europeo.


Bonka Star Il quotidiano congolese denuncia i continui tentativi di Berlusconi di influenzare le nomine della televisione pubblica di quel paese. La circostanza inspiegabile è che Berlusconi non ha interessi economici né politici in Congo. "Questo", scrive il Bonka Star, "rende evidente che lo fa soltanto per rompere i coglioni perfino qui da noi".

La Nacion Il quotidiano honduregno, la cui redazione è in esilio dopo il recente colpo di Stato, sostiene che il golpista Micheletti non aveva nessuna intenzione di fare politica e tantomeno di rovesciare il governo. Secondo la ricostruzione del giornale, Micheletti incontrò casualmente Berlusconi a una cena in piedi. Siccome gli era istintivamente simpatico, Berlusconi gli promise la carica di presidente dell'Honduras. Pur di non deludere l'amico e realizzare la sua promessa, avrebbe successivamente organizzato il colpo di Stato, nonostante Micheletti fosse riluttante. Un piemme locale ha messo sotto inchiesta Berlusconi con l'accusa di avere promesso a Micheletti anche un posto a Strasburgo, non mantenendo l'impegno.

di Michele Serra da L'Espresso