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lunedì 20 luglio 2009

PAOLO......BORIS..........ROCCO..........RENATA

CARISSIMI AVETE FATTO BENISSIMO A RICORDARE BORSELLINO LA STRAGE DI VIA D'AMELIO LO SQUARCIO INQUIETANTE E I MESSAGGI CIFRATI CHE IL CAPO DEI CAPI STA MANDANDO A QUALCUNO...FUORI DAL CARCERE.

DOMANI SI COMMEMORA UN ALTRO EROE NELLA LOTTA ALLA MAFIA DEL SECOLO SCORSO - IL COMMISSARIO BORIS GIULIANO UCCISO IL 21 LUGLIO 1969.

BORIS E' STATO UN POLIZIOTTO ESEMPLARE IL PRIMO PENSATE BENE CHE SUL FINIRE DEGLI ANNI SESSANTA, QUANDO A PARLERMO IN PROCURA C'ERA QUALCHE MAGISTRATO CHE SOSTENEVA L'INESISTENZA DELLA MAFIA COME ORGANIZZAZIONE, CHE COMPRESE LA NECESSITA' DI INVESTIGARE A 360° CREANDO UN POOL DI INVESTIGATORI AD HOC, IL PRIMO A CREDERE CHE BISOGNAVA RECIDERE I CANALI ECONOMICI DELLA DROGA CON LA MAFIA AMERICANA ..

BORIS COMPRESE L'IMPORTANZA DELL'INFORMAZIONE E FU IL PRIMO A CONVOCARE IN QUESTURA PERSONAGGI COME NINO SALVO - L'ESATTORE DI COSA NOSTRA - -- A QUEI TEMPI - CERTI PERSONAGGI SE SI VOLEVA INTERROGARLI BISOGNAVA RECARSI A CASA E CHIEDERE PERMESSO..-- QUESTA ERA LA PRASSI ---

CREDO CHE UNA RIFLESSIONE ANCHE SU CIò CHE HA SIGNIFICATO E SIGNIFICA MAFIA IN PUGLIA E NEL SALENTO DEBBA CARATTERIZZARE QUESTO BLOG, IL CUI NOME DI CERTO CONSENTE DI CREARE UN LINK NATURALE CON IL FENOMENO MAFIA, PERCHE' NEL RICORDO DI RENATA SI PUO' E SI DEVE MANTENERE ALTA LA GUARDIA VERSO IL MALAFFARE E LA DEVIANZA NELLE SUE MOLTEPLICI ED INSIDIOSE FORME.

QUEST'ESTATE RICORRE INOLTRE L' ANNIVERSARIO DELLA PREMATURA SCOMPARSA DI UN GRANDE POLIZIOTTO CHE HA DIRETTO ANCHE IL NOSTRO COMMISSARIATO ED ARRESTATO ESECUTORI E MANDANTI DELL'ASSASSINIO BRUTALE DI RENATA - PARLO DI ROCCO GERARDI E NON NE PARLO A CASO IN OCCASIONE DELL'ANNIVERSARIO DI BORIS GIULIANO, POICHE' DETERMINAZIONE, TECNICHE INVESTIGATIVE E PASSIONE SUL LAVORO LI ACCOMUNAVANO..

E SE ORGANIZZASSIMO UN BEL CONVEGNO SULLA LEGALITA' E LA LOTTA ALLA MAFIA NEL NOSTRO SALENTO...??NEL RICORDO DI RENATA, ROCCO E BORIS --

PENSATE CHE ANCHE UN ALTRO EROE BEPPE MONTANA ERA LEGATO AFFETTIVAMENTE AD UNA DONNA DELLA NOSTRA CITTA'....... E SE NON AVESSERO INVIATO NEGLI ANNI '80 ALCUNI BOSS IN SOGGIORNO OBBLIGATO AD OSTUNI ..FORSE LA STORIA DELLA SACRA CORONA UNITA AVREBBE AVUTO UN ALTRO PERCORSO...VOGLIAMO RIFLETTERCI.........

Vincenzo Renna

SALENTO,BURRASCA IN MARE: BAGNANTE E FAMIGLIA TRATTI IN SALVO

Momenti di paura per un bagnante rimasto isolato su un isolotto a largo della Montagna Spaccata. Si è reso necessario l'intervento di un elicottero. Una famiglia, con due bimbe, salvata sull'Adriatico

NARDO' - Giornata difficile in acqua per bagnanti e imbarcazioni rimasti in panne a causa del forte vento. L'intervento più impegnativo per gli uomini della capitaneria di porto di Gallipoli, poco dopo le 18,30 nei pressi della Montagna Spaccata, a Santa Maria al Bagno, marina di Nardò. Un bagnante aveva raggiunto un isolotto che affiora dall'acqua a circa una ventina di metri dalla costa: una nuotata per poi fare qualche tuffo. Il programma, però, non aveva preventivato il repentino ed improvvso cambiamento delle condizioni climatiche.

In appena cinque minuti, il mare si è increspato. Si sono alzate forti raffiche di vento e il bagnante è rimasto bloccato e isolato sull'isolotto, uno scoglio di una decina di metri quadrati. L'allarme è partito da alcuni villeggianti che si trovavano in spiaggia. Le motovedette della capitaneria di porto di Gallipoli hanno raggiunto lo specchio d'acqua antistante lo scoglio, ma il recupero non è stato possibile per le impervie condizioni del mare. La risacca rispediva indietro i mezzi. Si è così reso necessario l'intervento di un elicottero dell'Aeronautica Militare giunto da Bari per recuperare via cielo il bagnante.

Nei prossimi minuti le operazioni di soccorso dovrebbero concludersi positivamente e il bagnante verrà accompagnato da un'ambulanza dell'ospedale di Nardò giunta sul posto negli uffici della capitaneria di porto di Gallipoli per un visita medica. Sul versante adriatico, momenti di paura si sono vissuti poco dopo le 18 per una famiglia di Merine, frazione di di Lizzanello, uscita in mare a bordo del proprio gommone a circa mezzo miglia dalla costa delle "Cesine". Anche in questo caso le operazioni sono state ostacolate dal repentino cambio del vento; a detta degli stessi esperti i due venti di scirocco e tramontana si sono scontrati a lungo, increspando il mare.

L'imbarcazione sulla quale si trovavano una coppia, marito e moglie e le due figliolette ha segnalato un'avaria al motore. L'immediata telefonata al numero di pronto intervento 1530 ha smistato l'emergenza negli uffici della capitaneria a di porto di San Cataldo. Un gommone Gc 150 in dotazione nell'ambito dell'iniziativa "Spiagge sicure" ha raggiunto l'equipaggio rimasto in panne e il gommone è stato trainato a rimorchio fino alla darsena della marina leccese. Fortunatamente per le due bambine, solo un forte spavento ma nesuna conseguenza fisica.

Borsellino, pochi palermitani in piazza

Paolo Borsellino è stato un eroe della legalità, la memoria della sua passione civica resta indelebile e preziosa per la società civile»: nel diciassettesimo anniversario della strage di via D´Amelio, il messaggio inviato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano arriva in una Palermo desolata, vuota.

Alle celebrazioni per ricordare il giudice Borsellino e la sua scorta, morti nell´attentato del 19 luglio del 1992, la partecipazione è stata bassissima. Ieri mattina in via D´Amelio c´erano solo i ragazzi di «Ammazzatecitutti» arrivati dalla Calabria e qualche scout.
Speravo che i palermitani almeno oggi (ieri, ndr) si svegliassero, ma purtroppo vedo che non c´è nessuno», si sfoga Salvatore Borsellino, fratello del giudice. Rita Borsellino, la sorella, punta invece il dito contro l´assenza delle istituzioni: «Basta col dire che i palermitani sono assenti alle commemorazioni per mio fratello, in questi giorni ci sono state diverse manifestazioni molto partecipate - dice Rita - Chi non ha risposto è lo Stato, che avrebbe dovuto essere presente».

Il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, ha invece preso parte alla commemorazione nella caserma della polizia. Nel pomeriggio un corteo è stato organizzato dal comitato 19 luglio, e in serata si è snodato per le vie del centro la fiaccolata di Azione giovani alla quale ha preso parte il ministro per le politiche giovanili Giorgia Meloni.

Tanti comunque i messaggi arrivati alla vedova Agnese Borsellino. A partire da quello del Capo dello Stato: «Rendo commosso omaggio alla memoria di Borsellino e degli agenti addetti alla sua sicurezza», scrive il presidente della Repubblica. «La lezione di Paolo dimostra che la battaglia per la cultura dello Stato deve essere combattuta insieme», scrive il presidente della Camera, Gianfranco Fini. (20 luglio 2009)

Cia, così nacquero gli interrogatori "duri"

Dal panico post-11 settembre al waterboarding. L'inchiesta del Washington Post
Le prove generali furono fatte in una cella di Bangkok, dopo l'arresto di Abu Zubayda


La discesa nella valle degli orrori della Cia avvenne un passo alla volta, come sempre avviene, senza accorgersi che la fortezza della democrazia si stava trasformando nel nemico che voleva combattere. E diventava un'altra "Villa Triste" globale per sadici e aguzzini, nel nome della sicurezza nazionale.

Siamo soltanto all'inizio di questo processo, tipicamente americano, di catarsi e di autoflagellazione attraverso la verità, appena sei mesi dopo il cambio di amministrazione. Dagli armadi socchiusi della "guerra al terrore" avanza ormai una processione discheletri destinata soltanto ad allungarsi, perché finalmente, ora che il padrone è cambiato, le coscienze si sentono libere di parlare, almeno a mezza bocca.

Sono storie di sospetti terroristi - sospetti, neppure colpevoli accertati - sottoposti al finto annegamento chiamato waterboarding fino a 83 volte in cinque giorni, come Abu Zubayda, nella speranza di strappare loro quei piani e quei nomi che avrebbero protetto l'America, secondo il mito isterico della "bomba che ticchetta" da telefilm "24", che anche giureconsulti come il professor Alan Dershowitz di Harvard giustificavano. Il Washington Post enumera cataloghi grandguignoleschi di privazione di sonno, una delle tecniche più atroci; sequestri in scatole di legno troppo piccole, costretti a restare per giorni in posizione anchilosata fino all'esplosione di dolori lancinanti alle giunture; teste ripetutamente pestate contro il muro, ma avvolte in asciugamani per non lasciare tracce. È un campionario che sembra tratto dall'ordine di servizio emesso nel 1937 dal leader della Gestapo, Heinrich Mueller, inventore della "Verschaerfte Vernhemung". L'interrogatorio inasprito, adottato dall'America di Bush.

Come già nelle fosse dell'Afghanistan, nel carcere di Abu Grahib o nella pratica di appaltare le torture dei prigioneri ad altre nazioni più ruvide, al cuore di questa tragedia dell'onore americano stanno due elementi: 1) Il panico dell'11 settembre, con la rivelazione lancinante della vulnerabilità dell'America e della inettitudine dei servizi segreti; 2) La commistione tossica fra funzionari di governo e contractors privati, di ex militari, agenti, avventurieri passati ai migliori redditi offerti da chi prendeva in appalto quello che militari e agenti in servizio non volevano o non potevano fare. Sciolti da ogni codice di comportamento, fuori dai confini nazionali e ubriachi del loro potere assoluto sulle vittime.

L'imperativo di "proteggere la nazione" sembrava giustificare tutto, nel solito commercio luciferino fra sicurezza e libertà, fra la legge e le scorciatoie. Se la guerra segreta condotta dallo spionaggio nei 50 anni di Guerra Fredda non era mai stata un tè per nobildonne, almeno qualche elementare codice di comportamento fra Usa e Urss esisteva, nella certezza che ciò che tu avessi fatto al mio agente, io avrei fatto al tuo. Ma questi parametri saltarono quella mattina dell'11 settembre, di fronte a macellai accecati dal fanatismo e indifferenti alla propria morte.

Se un personaggio come Zayn al-bidin Mohammed, Abu Zubayda, cadeva nelle mani della Cia in Pakistan, la macchina dell'interrogatorio "verschaerfte", inasprito, scattava, e le squadra miste di agenti ufficiali e di contractors si metteva in azione. Tutto era lecito, anche la tecnica di "far diventare blu" gli interrogati, tenendoli a bagno nell'acqua ghiacciata per ore, già denunciata al processo di Norimberga come crimine di guerra. A volte autorizzata, a volta improvvisata, ma sempre nella certezza che fosse stata approvata downtown, in centro, cioè dal governo di Washington.
Ci fu chi si ribellò, come sempre c'è, come lo psicologo dr. Mitchell, aguzzino poi disgustato, ex Cia passato a una delle tante società per la guerra private. Nel 2005, anche il Ministero della Giustzia a Washington, quello che sfornava ambigui documenti legali a comando per autorizzare le torture, dichiarò non più necessari gli interrogatori "inaspriti".

La ubriacatura del terrore, che non è la necessaria protezione, si stava riassorbendo, insieme con il sospetto che quelle sevizie non producessero niente e nuocessero all'anima, prima ancora che all'immagine, dell'America. Ora è naturalmente la Cia a essere chiamata a rispondere, mentre il governo Obama sta cercando di ridefinire i criteri, i limiti, le responsabilità, togliendo il monopolio alla Cia di futuri interrogatori, perché il pericolo non è passato e la speranza non è una difesa contro i folli suicidi. Ma l'apertura di quegli armadi serve almeno a ricordare, a questo e ai futuri presidenti, il rischio eterno di confermare la profezia di un famoso personaggio di fumetti americani che formarono una generazione di lettori negli anni '50 e '60, l'opossum Pogo. Che annunciò agli altri animali della foresta inquieti di "avere finalmente incontrato il nemico". E di avere scoperto "che il nemico siamo noi".

(20 luglio 2009) da "la Repubblica"

L'Obama cancellato- l'America che non piace ai media italiani

Scritto da Gianni Minà

La nuova America di Barack Obama mantiene le promesse riguardo i diritti umani violati a più riprese dall’amministrazione di Bush Jr.
La Commissione di intelligence del Senato americano indagherà a breve sui metodi di interrogatorio e sulle modalità di detenzione messe in atto negli anni scorsi dalla Cia
da Il Manifesto del 6 febbraio 2009
La nuova America di Barack Obama mantiene le promesse riguardo i diritti umani violati a più riprese dall’amministrazione di Bush Jr.
La Commissione di intelligence del Senato americano indagherà a breve sui metodi di interrogatorio e sulle modalità di detenzione messe in atto negli anni scorsi dalla Cia nei confronti di presunti terroristi.
La notizia, per ora riservata, è stata confermata da fonti del partito democratico del Congresso e ovviamente ignorata dalla maggior parte dei mezzi di informazione italiani, anche da quelli che, ritualmente, hanno la faccia tosta di parlare di diritti umani.
Il silenzio è sconcertante, specie se si considera, per esempio, che nel lager di Guantanamo, dove i detenuti erano reclusi in celle simili a stie per polli, dal 2001 al 22 gennaio di quest’anno, quando il nuovo presidente degli Stati Uniti, evidentemente anche lui turbato da questo quadro, ha dato l’ordine di chiuderlo, sono transitati 775 prigionieri dei quali 420 sono stati liberati, dopo torture e offese, senza nessuna accusa o incriminazione.
Un contesto tragicamente simile a quello descritto da Claudio Fava, giornalista, scrittore e parlamentare europeo, presidente della Commissione che ha indagato sulle extraordinary rendition, in un passaggio della prefazione per il libro di Giulietto Chiesa Le carceri segrete della Cia in Europa: “Questa storia è anche un viaggio nell’orrore e nel ridicolo: nomi storpiati, abbagli, menzogne. Con un più tragico e grottesco dettaglio: delle venti extraordinary rendition che la Commissione di inchiesta ha ricostruito, almeno diciotto riguardavano casi di persone totalmente innocenti. Catturate, detenute, torturate e infine- un anno dopo, due anni dopo, cinque anni dopo- liberate con un’alzata di spalle “C’eravamo sbagliati”. E’ solo una stolta avventura della Cia? Non credo. Quegli abusi, quelle menzogne, quegli eccessi sono anche i nostri”.
Anche i dati che abbiamo citato sopra sono indiscutibili e fino a qualche tempo fa, perfino nell’Italia democristiana, avrebbero imposto almeno una riflessione di prima pagina.
Ora invece sono letteralmente spariti, anche in quotidiani prestigiosi come il Corriere della Sera che ha ben due vicedirettori che si dichiarano esperti nell’argomento diritti umani, Magdi Cristiano Allam, candidato dell’Udc alle europee, che appena può lancia una fatwa contro il mondo islamico, per lui radice di ogni violenza del mondo moderno, e Pierluigi Battista che, nei suoi fondi, senza nessun rispetto per i lettori, chiama “dittatore” Ugo Chavez, che in dieci anni di governo del Venezuela ha affrontato una dozzina di consultazioni elettoriali o referendarie, perdendone una sola, e accettando nell’occasione e senza discussione quel risultato.
Mi viene naturale, allora, ricordare con fastidio le faccie stolide di quei presunti esperti di strategie militari che nello studio televisivo di Bruno Vespa, fra il 2001 e il 2003, giocavano a RisiKo con i plastici raffiguranti l’Afghanistan e successivamente l’Iraq convinti, in entrambi i casi, che gli Stati Uniti avrebbero archiviato quelle pratiche strategiche in poche settimane e avrebbero “esportato la democrazia”.
Invece l’Afghanistan è nuovamente in mano ai talebani, ai mercanti d’oppio e ai signori della guerra. Mentre nella terra della civiltà babilonese le vittime civili sono ormai 900mila e a Falluja e in altre zone è provato siano state utilizzate dall’armata Usa armi chimiche.
Lo sconcerto, poi, diventa totale leggendo la conclusione preliminare dell’inchiesta voluta da Barack Obama, addirittura all’indomani dell’investitura, che afferma “Nonostante gli ingenti finanziamenti disposti a partire dal 2003, con i soldi dei contribuenti americani, è impossibile trovare testimonianza di un solo cantiere aperto nella capitale irachena, fatta eccezione per quello del complesso che da pochi giorni ospita la nuova ambasciata Usa”, la più faraonica sede diplomatica del governo nordamericano nel mondo, un complesso di ventuno edifici costato quasi due miliardi di dollari.
In compenso quella che fu la terra della civiltà babilonese è stata inondata di denaro, 125 miliardi di banconote che Paul Bremer, allora scelto da Bush Jr per “ricostruire” un paese appena raso al suolo, aveva preteso in contanti.
Ora l’indagine governativa in corso sta rilevando che la metà dei soldi risulta sparita nel nulla, 57,8 miliardi di dollari, che dovevano essere destinati a scuole, ospedali, strade, abitazioni e a ricostruire i servizi essenziali, e che invece sono finiti nelle tasche degli speculatori internazionali, o fanno parte dei bilanci di ditte come la Hullyburton, creatura cara all’ex vice presidente Dick Cheney, i cui manager arrivavano in Iraq accompagnati da guardie del corpo chiamate contractors e pagate non meno di 15mila dollari al mese.
Al Pentagono, gestito allora dal disinvolto ministro Donald Rumsfeld, che stava conducendo la guerra e aveva già approvato informalmente la pratica della tortura, Bush aveva infatti affidato, senza scrupolo anche l’incarico della ricostruzione. L’ordine era di sospendere sia la legge irachena, sia quella americana.
In questo modo gli investitori hanno potuto godere di una immunità tale da traformare l’Iraq in una “zona di libera frode”, in cui milioni di dollari in contanti sono stati consegnati a truffatori per opere mai portate a termine.
La stampa occidentale, compresa quella “liberal” nordamericana (era l’epoca dei giornalisti uccisi a Bagdad o a Falluja dal “fuoco amico”) che, nell’occasione, come mi disse Noam Chomsky, aveva abdicato alla sua storia, non ebbe il coraggio e la dignità di denunciare quello scempio.
Paura o cinismo? Forse solo opportunismo.
Certo, ora che la realtà viene a galla, così meschina, così feroce, è sconcertante scoprire che, salvo alcuni casi, l’atteggiamento dell’informazione non è cambiata. Ignorare, eludere, queste notizie continua ad essere la linea dei media occidentali, specie in Italia dove è passato sotto silenzio perfino l’inquietante lavoro di lobby che il presidente Bush nell’estate del 2006 fece con i senatori repubblicani McCain, Warner, Graham e Collins, compagni di partito che, assaliti evidentemente da un sussulto di coscienza, si opponevano all’approvazione della legge che avrebbe autorizzato la tortura, ora subito sospesa da Barack Obama.
Una storiaccia senza morale che avrebbe meritato, allora come adesso, uno straccio di editoriale, due righe di commento, delle penne democratiche del nostro paese o della satolla Europa.
Ma la latitanza morale dei nostri più prestigiosi editorialisti e commentatori tv diventa ancor più colpevole quando, meno di una settimana dopo, è arrivata la notizia che Bush Jr aveva trovato un accordo con i senatori “ribelli”. Ribelli a che cosa? Al cinismo e all’ipocrisia della nazione guida delle democrazie occidentali?
Eppure le conclusioni preliminari dell’inchiesta amministrativa in corso sono esplicite:”L’intero progetto di ricostruzione in Iraq è stato un pieno fallimento. Si è passati da una guerra lampo all’idea di mettere insieme uno stato dalle fondamenta, senza avere un progetto degno di questo nome alle spalle. La Coalition Provisional Authority ha dato prova di cattiva gestione, di assoluta mancanza di controllo, spalancando le porte ad ogni tipo di attività criminale”.
Sono parole che mi fanno venire in mente il bellissimo documentario Ma dove sono finiti i soldi del giovane medico e giornalista iracheno Ali Fadhil, trasmesso all’epoca alle undici di sera a C’era una volta, il programma di Rai Tre di Silvestro Montanaro, dove si vedevano i marines durante le operazioni di scarico di un aereo in Iraq prendere a calci, come se giocassero a football, i sacchi di dollari inviati per la “ricostruzione”.
Norma Rangeri, nella rubrica sui programmi televisivi che tiene sul Manifesto, si domandò giustamente perché nemmeno una di quelle immagini fosse stata mostrata in un telegiornale e, aggiungo io, nemmeno nei programmi di Vespa, Ferrara, Mentana, Santoro, Floris e Piroso.
Purtroppo i giornalisti liberali o riformisti, come si dice ora, sono in Italia, tendenzialmente, distratti o servili. Non provano nemmeno il disagio che Barack Obama ha espresso già il giorno successivo al suo insediamento, quando ha deciso di chiudere il lager di Guantanamo, fermare le commissioni militari, veri illegali tribunali speciali che vi agivano e mettere al bando l’uso della tortura da parte della Cia.
Insomma, tentando di smontare in pochi giorni alcuni dei passaggi più inquietanti della politica di Bush Jr.
Da noi, invece, gli otto anni nefasti di W., che Oliver Stone, il regista di Platoon, Nato il 4 luglio e JFK, ha accusato pubblicamente di “aver infranto ogni limite morale”, hanno trovato eco solo da pochi giorni nella rubrica del critico televisivo del Corriere della Sera.
Aldo Grasso si è offeso perché Miguel d’Escoto, antico combattente per i diritti dei più poveri e degli esclusi, prete sospeso a divinis dal Vaticano perché aveva accettato l’incarico di ministro degli esteri dell’esausto Nicaragua sandinista, scampato alla guerra sporca dei contras, le milizie del dittatore Somoza, sostenute dal presidente Usa Ronald Reagan, si era augurato, in un collegamento con il Festival di Sanremo, di poter superare l’isolazionismo che aveva caratterizzato la politica nordamericana negli anni della presidenza di Bush Jr.
D’Escoto parlava da New York come presidente (eletto per il suo prestigio internazionale) della 63a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, estemporaneamente intervistato da Paolo Bonolis in una di quelle iniziative spericolate della tv generalista, quando vuole dare prestigio ad un programma nazionale e popolare.
Aveva affermato d’Escoto: “O ci amiamo o affondiamo tutti (…) Cogliamo, con l’aiuto della musica l’occasione di rinnovare lo spirito per lottare tutti insieme per un mondo migliore”, accenando alla speranza di superare l’atteggiamento non collaborativo dell’America di Bush nei riguardi delle Nazioni Unite.
Ma tanto era bastato al critico del Corriere per sollecitare addirittura le alte cariche dello Stato italiano a chiedere scusa agli Stati Uniti.
Scusa di che, Aldo Grasso? Se è vero, come è vero, che d’Escoto ha affermato una verità inconfutabile, specie per un cittadino di un paese latinoamericano, massacrato dalla “guerra sporca” benedetta trenta anni fa da Ronald Reagan?
Questa purtroppo è la nostra informazione. Tutte le notizie non gradite agli Stati Uniti, o che sottolineano una loro sconfitta materiale e morale, vengono eluse, evitate, respinte, quasi fosse il pedaggio da pagare ancora ai vincitori della seconda guerra mondiale, per antonomasia indiscutibili, democratici e liberatori.
Invece, le “gesta” dei nordamericani, nell’ultimo mezzo secolo, sono state spesso anche scorrette, egoiste, poco eroiche. Dalla guerra in Vietnam, per di più persa miseramente, al crudele Plan Condor, voluto dal presidente Nixon e dal segretaio di stato Kissinger per coordinare fra loro le dittature militari latinoamericane degli anni ’70, ed aiutarli ad annientare tutte le opposizioni progressiste del continente, fino alla guerra in Iraq.
Quando si verificano eventi così inquietanti c’è, in Italia, una sorta di consegna del silenzio, una fuga dalla realtà.
Per capire con quale superficialità vengono spesso decisi i nostri destini c’è voluta, per esempio, la testardaggine di Oliver Stone, un vecchio cacciatore di documenti inoppugnabili, che diventano sceneggiature di indimenticabili film di denucnia. Questa volta, raccontando nel film W., le “imprese” del Presidnete degli Stati Uniti negli anni in cui è crollato anche il muro del capitalismo, si può permettere perfino il lusso di essere magnanimo e di leggere il catastrofico bilancio del suo governo come la frustrazione di un piccolo uomo schiacciato dalla figura del padre, che fu direttore della Cia, vice presidente di Raegan e a sua volta presidente.
Tutto questo però senza dimenticare di sottolineare la follia di una politica avida, corrotta e guerresca, che solo la malafede della nostra informazione ha continuato pervicacemente a ignorare.