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sabato 8 agosto 2009

Sabato 8 agosto 2009: in Italia entra in vigore la legge-vergogna…


…. altresì nota come “pacchetto sicurezza”.

Noi della nostra piccola redazione "LA FONTE", speriamo che tante voci si faranno sentire di opposizione decisa e intransigente alla legalizzazione dello squadrismo (”ronde”), alle vessazioni inutili contro i migranti, all’introduzione del reato di clandestinità, alla mortificazione dei principi del diritto.

Speriamo che nascano presto campagne di disobbedienza civile:affittare casa ai migranti, proteggerli, realizzare il loro diritto alla salute, all’educazione, alla soggettività di cittadini (l’anagrafe, il riconoscimento dei propri figli!). Chiunque di noi può in qualche misura opporsi a questa legge scellerata non obbedendo, dichiarando apertamente la propria disobbedienza, incitando altri a disobbedire.

Non è questo il tempo e il luogo di spiegare perché chi scrive queste note non è in grado, oggi, di fare di più.

Il disorientamento è grande e le sfide immani. Può essere utile, oggi, ascoltare voci del passato di chi ha vissuto un’epoca storica ancora più difficile e ha fatto le scelte giuste.

Inchiesta Bari, Vendola scrive al pm Di Geronimo

<<Qualcuno sta costruendo scientificamente la mia morte>>.

Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha inviato una lettera al sostituto procuratore della Dda di Bari, Desiree Di Geronimo, che coordina una delle inchieste della Procura barese su un presunto intreccio politica-appalti nel settore della Sanità regionale Venerdí 07.08.2009 18:32

"L'amore per la verità non mi consente più di tacere. Ho l'impressione di assistere a un paradossale capovolgimento logico per il quale i briganti prendono il posto dei galantuomini e viceversa". Inizia così la lettera che il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha inviato al sostituto procuratore della Dda di Bari, Desiree Di Geronimo, che coordina una delle inchieste della Procura barese su un presunto intreccio politica-appalti nel settore della Sanità regionale.
Nichi Vendola

Nichi Vendola continua così: "Io ho la buona e piena coscienza non solo di non aver mai commesso alcun illecito nella mia vita -scrive Vendola - ma viceversa di aver dedicato tutte le mie energie a battaglie di giustizia e legalità. 'Nichi il puro' titola Panorama per stigmatizzare le mie presunte relazioni con un imprenditore che non conosco e a cui ho chiuso, dopo trent'anni, una discarica considerata un autentico eco-mostro (stupefacente notare che "L'Espresso" pubblica un articolo fotocopia del rotocalco rivale: sarebbe carino indagare sul calco diffamatorio che origina questa singolare sintonia di scrittura!). In effetti mi considero un puro: e non rinuncio ad aver fiducia nel genere umano e a credere che la giustizia debba alla fine trionfare. In questi anni di governo ogni volta che ne ho ravvisato la necessità ho adottato provvedimenti tanto tempestivi quanto drastici a tutela delle istituzioni: sono fatti noti, che fanno la differenza tra il presente e il passato. Ma la sua indagine, dott.ssa Degironimo, sta diventando, suo malgrado, lo strumento di una campagna politica e mediatica che mira a colpire la mia persona pur non essendo io accusato di nulla. Per antico rispetto verso la magistratura e verso di lei ho evitato, in queste settimane, di reagire alla girandola di anomalie con le quali si coltiva un'inchiesta la cui efficacia si può misurare esclusivamente sui tg".

"La prima anomalia - evidenzia il presidente della Regione Puglia - è che lei non abbia sentito il dovere di astenersi, per la ovvia e nota considerazione che la sua rete di amici e parenti le impedisce di svolgere con obiettività questa specifica inchiesta. La seconda anomalia riguarda l'aver trattenuto sotto la competenza della Procura Antimafia una mole di carte che hanno attinenza con eventuali profili di illiceità nella Pubblica Amministrazione. La terza riguarda l'acquisizione di atti che costituiscono il processo di gestazione di alcune leggi, come se le leggi fossero sindacabili dall'autorità inquirente. La quarta riguarda la incredibile e permanente spettacolarizzazione dell'inchiesta: che si svolge, in ogni suo momento, a microfoni aperti e sotto i riflettori. Così per la mia convocazione in Procura. Così per l'inaudita acquisizione dei bilanci di alcuni partiti e addirittura di alcune liste elettorali".

"Il polverone - conclude Vendola - si è mangiato i fatti: quelli circostanziati legati al cosiddetto sistema Tarantini: e nella festosa scena abitata da questo imprenditore io, a differenza persino di alcuni magistrati, non ho mai messo piede. Lei è così presa dalla sua inchiesta che forse non si è accorta di
come essa clamorosamente precipita fuori dal recinto della giurisdizione: sono diventato io, la mia immagine, la mia storia, la posta in gioco di questa ignobile partita. Non dico altro. Il dolore lo può intuire. Qualcuno sta costruendo scientificamente la mia morte. Per me che amo disperatamente la
vita è difficile non reagire. Le chiedo solo di riflettere su queste scarne parole".

Sopravvissuto a due atomiche

Ha novantatre anni e naturalmente è giapponese. Si chiama Tsutomu Yamaguchi l’uomo che è sopravvissuto agli unici due bombardamenti atomici della storia

Ha novantatré anni e naturalmente è giapponese. Si chiama Tsutomu Yamaguchi l’uomo che è sopravvissuto agli unici due bombardamenti atomici della storia, a tutti e due: quello di Hiroshima del 6 agosto e quello di Nagasaki, città poco più a sud sull’isola di Kyushyu, del 9 agosto 1945. E’ il primo e forse l’unico ad essere ufficialmente riconosciuto come tale. Le autorità delle due città giapponesi lo hanno annunciato martedì. Il signor Yamagughi, allora ingegnere della Mitsubishi Heavy Industries Nagasaki Shipyard & Machinery Works, si trovava a Hiroshima in viaggio di lavoro quando il 6 agosto del 1945 il B-29 americano sganciò la prima atomica. Colpito dalle radiazioni a circa 3 km di distanza dall’epicentro, ricevette ustioni di vario grado sul corpo e si fermò quella notte per ricevere alcune cure. Il mattino dell’8 fece ritorno a Nagasaki, sua città natale. Giusto in tempo per assistere al secondo bombardamento. Alcuni giorni dopo Yamaguchi si recò, inoltre, nelle vicinanze dell’epicentro di Nagasaki in cerca dei suoi familiari, rimanendo così esposto alle radiazioni residue.

La sua storia è stata verificata anche attraverso riscontri con un altro sopravvissuto. “Per quanto ne sappiamo, lui è il primo ad essere riconosciuto come vittima sopravvissuta a entrambe le bombe. E’ un caso molto sfortunato, ma potrebbero essercene molti altri come il suo”, ha commentato un funzionario di Nagasaki, Toshiro Miyamoto. Il riconoscimento del governo prevede per le vittime ancora in vita, i cosiddetti hibakusha (letteralmente “folgorati dalla bomba”), il diritto a una pensione, a trattamenti medici speciali gratuiti e alle spese per i funerali. Per Yamaguchi, già in precedenza certificato come hibakusha di Nagasaki, la pensione non si duplicherà. Ma per il signor Yamaguchi quello che conta è che ora la sua doppia esposizione alle radiazioni sia stata riconosciuta ufficialmente, un fatto storico. Per questo “potrò raccontare alle giovani generazioni le orribili storie dei bombardamenti atomici anche dopo la mia morte”, ha commentato secondo quanto riportato dal quotidiano Mainichi Shimbun. Yamaguchi è uno dei circa duecentosessantamila che sopravvissuti agli attacchi atomici. Tutti negli anni hanno sviluppato varie malattie causate dalle radiazioni, tra cui il cancro.

Tokyo cominciò nel 1957 a riconoscere il loro come uno status particolare e bisognoso di attenzioni specifiche. Ancora oggi sono migliaia gli hibakusha che chiedono di essere ufficialmente riconosciuti, ma che hanno visto rigettate le loro domande di assistenza. Proprio mercoledì la corte distrettuale di Hiroshima ha criticato la decisione delle autorità municipali di negare lo status di hibakusha a sette anziani tra i sessantacinque e i settantasei anni che nei giorni seguenti il bombardamento prestarono servizio come soccorritori (i cosiddetti rescue hibakusha). Lo scorso anno il governo ha allentato la cinghia, eliminando alcuni requisiti troppo stringenti. La popolazione giapponese è l’unica ad essere stata colpita da bombe nucleari. Più di centoquarantamila furono i morti a Hiroshima e settantamila a Nagasaki, ma a distanza di più di sessanta anni è ancora un problema tutt’altro che risolto e le atomiche continuano a far morire.

Angelo Miotto da PeaceReporter

«Ho paura, sono clandestina». E si butta al fiume

Oggi per la legge italiana sarebbe un illegale. Un fantasma senza diritti, una di quelle a cui consegnare un foglio di via e farla ritornare da dove è arrivata. Sarebbe, perché Fatima non c’è più. Si è suicidata gettandosi nel fiume Brembo a Ponte San Pietro, vicino Bergamo. «Il pensiero di essere clandestina la terrorizzava», ripete Mohamed giustificando così il gesto estremo di sua sorella. Che magari non avrebbe tollerato il pensiero di essere sorpresa da qualche ronda malintenzionata mentre camminava per le strade del suo paese.
Ventisette anni, marocchina e un sogno diventato ossessione: «Essere italiana a tutti gli effetti». E a tutti i costi. Lo ripeteva da tempo, confida suo fratello, «ma negli ultimi giorni le è venuta un’ansia particolare. Aveva letto sui giornali la storia del reato di clandestinità e l’idea di doversi separare da noi non la faceva dormire la notte». Da cinque anni viveva nel Bergamasco con i due fratelli e i genitori. Tutti regolari, tranne lei. E questa cosa «non la faceva dormire». Ha provato in vari modi ad ottenere la cittadinanza italiana «ma le hanno chiuso tutti la porta in faccia», dice Mohamed. Avrebbe potuto chiedere il ricongiungimento (visto i fratelli regolari), ma nessuno ha mosso un dito per sanare la sua posizione.
Senza un lavoro e senza amici la sua era una non vita. L’unico contatto col mondo esterno lo aveva grazie ad un’amica della madre da cui andava spesso. E da lei aveva detto di andare anche giovedì scorso, quando è uscita da casa per l’ultima volta. Il suo corpo è stato ritrovato ieri, notato sotto un ponte da alcuni passanti. Sui veri motivi della morte di Fatima, però, i carabinieri sono cauti. La paura di essere espulsa può essere solo uno degli aspetti, dicono, che l’hanno portata a compiere il gesto. La ragazza, fanno sapere gli uomini dell’Arma, soffriva di «problemi psichici» che probabilmente hanno «aggravato» la situazione. Smentiti però dal fratello: «Aveva solo dei forti dolori di pancia». Per questo andava spesso all’ospedale cittadino, presentandosi con l’identità di sua sorella (regolare e che vive altrove) ma i medici non avevano trovato nulla che non andasse.
Ma senza stare tanto a soffermarsi sulla causa scatenante che l’ha spinta al suicidio, quella di Fatima rimane comunque una storia a forte impatto emotivo. Arrivata a poche ore dall’entrata in vigore del pacchetto sicurezza e dopo mesi di campagna mediatica anti-clandestina messa in campo dal governo. Una storia «che mostra in modo drammatico quale sia la realtà della vita per molti immigrati, che spesso rimane sotto silenzio», così Livia Turco, capogruppo Pd in commissione Affari sociali della Camera. Dalla maggioranza, invece, nessuna parola. La tragica morte di un clandestino non merita neanche di essere commentata.

di Stefano Milani da Il Manifesto

Fausto e Iaio

"Associazione Familiari e amici di Fausto e Jaio - 1978 - Milano"

Faceva freddo a Milano il 18 marzo 1978, e il centro era intasato di auto della polizia e dei carabinieri: lampeggianti accesi, posti di blocco, mitra spianati. Due giorni prima a Roma era stato rapito Aldo Moro, e la macchina dello Stato sembrava impegnata in una buffa parodia di efficienza e "pronta risposta alla sfida brigatista", come promesso dal ministro dell'Interno Francesco Cossiga. Ma non c'erano sirene e poliziotti al Casoretto, quartiere di periferia. Solo persiane sbarrate a tener fuori lo smog e televisori accesi, in attesa del tg delle 20. A quell'ora Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci camminano lungo via Mancinelli, stretti nei paltò. Chiacchierano, e il freddo forma nuvolette di vapore davanti alle loro bocche. Hanno trascorso un pomeriggio tranquillo: Lorenzo in piazza Duomo insieme alla sua ragazza, Fausto al Parco Lambro con gli amici. Mezz'ora prima si sono incontrati alla "Crota Piemunteisa", un bar-trattoria di fronte al centro sociale Leoncavallo, e ora si dirigono verso casa di Fausto, in via Montenevoso 9, per l'appuntamento del sabato col risotto di mamma Danila. L'edicolante all'angolo tra via Casoretto e via Mancinelli li vede fermarsi davanti alle edizioni straordinarie dei giornali, a commentare i titoli sul sequestro Moro. Sono ragazzi come oggi ce ne sono sempre meno, Fausto e Iaio: attenti al mondo intorno a loro, impegnati nel quartiere. Negli ultimi mesi hanno lavorato ad un dossier sullo spaccio di droga al Casoretto.
All'altezza dell'Anderson School di via Mancinelli ci sono tre persone infagottate in trench bianchi. Una signora, Marisa Biffi, vede Fausto e Iaio fermi alla loro altezza. Ecco il suo racconto, tratto dal libro Fausto e Iaio, di Daniele Biacchessi, uno dei tanti giornalisti che hanno tentato di ricostruire il delitto: "Tre ragazzi sono in piedi sul marciapiede, a 5-6 metri da me. Contemporaneamente un altro giovane è leggermente piegato e si comprime lo stomaco con entrambe le mani. Odo tre colpi attutiti che lì per lì sembrano petardi. I tre giovani sul marciapiede scappano velocemente mentre quello che è piegato su se stesso cade a terra. Mi avvicino al giovane caduto... Subito oltre il suo corpo, a un paio di metri, il corpo di questo ragazzo che prima non avevo visto né in piedi né a terra. Nessuno dei due ragazzi pronuncia un parola... Altrettanto fanno gli assassini che fuggono nel silenzio, avviandosi verso via Leoncavallo. Noto che il giovane con l'impermeabile ha un sacchetto che sembra di cellophane bianco in mano".
Dalla testimonianza si deduce che gli assassini sono professionisti: agiscono rapidamente, non dicono un parola, raccolgono i bossoli nel sacchetto di plastica che la signora Biffi ha visto nelle mani di uno dei killer. A sparare otto o nove volte è stata una Beretta 80 calibro 7,65, arma leggera e agile, ideale per colpire da vicino. Prima è caduto Fausto, colpito all'addome, al torace, al braccio destro e ai lombi. Poi è toccato a Lorenzo: torace, ascella destra, inguine, fianco destro.
Dopo l'omicidio, il gruppetto di tre sparisce nel nulla. L'indomani un funzionario della Questura parla con i cronisti: "E' chiaro, si tratta di una faida tra gruppi della nuova sinistra, o inerente al traffico di stupefacenti". La scientifica fa circolare la voce che l'assassino abbia sparato con una pistola calibro 32. "E' un'ipotesi tirata per i capelli, come del resto quasi tutte quelle formulate - scrive L'Unità -. C'è almeno un elemento certo nelle indagini sulla barbara uccisione di Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli. I killer per uccidere hanno usato pistole automatiche avvolte in sacchetti di plastica".
L'articolo è firmato da Mauro Brutto. Non ancora trentenne, Brutto è il prototipo di una specie oggi in estinzione, il cronista di nera. La Milano di quegli anni, splendidamente raccontata da Scerbanenco, gli offre mille spunti di lavoro. Ma Brutto è anche un uomo di sinistra, e nella morte di Fausto e Iaio vede chiaramente la mano della destra milanese. Ne parla mesi dopo il delitto con Danila, la mamma di Fausto: "Mauro venne a casa mia - ha raccontato la donna - si stava occupando del connubio tra trafficanti di eroina, fascisti milanesi e romani, apparati dello Stato; mi disse che la verità su Fausto e Iaio non era chiara".
Per mesi Mauro Brutto raccoglie elementi sul delitto di Via Mancinelli. In novembre qualcuno gli spara tre colpi di pistola senza colpirlo. Pochi giorni dopo il giornalista mostra una parte del suo lavoro ad un colonnello dei carabinieri. Il 25 novembre, dopo cena, Brutto ha appuntamento con una sua fonte. Lo vedono entrare in un bar di via Murat, comprare due pacchi di Gauloise, uscire, attraversare la strada. A metà della carreggiata si ferma per far passare una 127 rossa. In senso inverso arriva una Simca 1100 bianca, lo investe e scappa.
"La Simca sembrava puntare sul pedone", dirà nel corso della rapida inchiesta l'uomo a bordo dell'altra auto, la 127. Sparisce il borsello di Brutto, pieno di carte, forse trascinato dalle auto in corsa. Lo ritrovano qualche ora dopo in una via vicina, vuoto.
Ci sono elementi sufficienti per fare ipotesi, ma non per evitare che la morte di quel bravo cronista sia archiviata come incidente, mentre prosegue l'inchiesta su Fausto e Iaio. Dopo il delitto sono arrivate alcune rivendicazioni di ambienti di estrema destra. La più credibile appartiene all'Esercito nazionale rivoluzionario - brigata combattente Franco Anselmi. Anselmi era un neofascista romano, morto dodici giorni prima dell'omicidio di Fausto e Iaio, mentre tentava di rapinare un'armeria della capitale. Tra i camerati del gruppo di Anselmi c'è Massimo Carminati, il guascone senza paura che svolge i lavori sporchi per conto della banda della Magliana, la più potente organizzazione criminale romana, e ha rapporti con i servizi deviati. Tra le molte cose, Carminati è stato accusato di aver ucciso Carmine Pecorelli ed ha lavorato con due ufficiali del Sismi a un tentativo di depistaggio dell'inchiesta sulla strage di Bologna...
Dopo anni d'indagine, Carminati sarà prosciolto per l'omicidio di Fausto e Iaio insieme ai camerati Claudio Bracci e Mario Corsi. Nei loro confronti ci sono alcuni indizi e le dichiarazioni dei pentiti, ma niente che si tramuti in prove certe. Del gruppo, oggi il più famoso è Corsi. Lo chiamano Marione, ed è il conduttore di una popolare trasmissione calcistica sulla Roma, in onda su "Radio Incontro". Cliccando sul suo sito internet ci si trova davanti ad un volto aperto e sorridente che incornicia due occhi gelidi. Ma è davvero un esercizio inutile, a distanza di tanti anni, cercare di rintracciare su quel viso i segni dell'uomo che Mario Corsi è stato, e di quello che ha fatto o non ha fatto.
Resta invece una domanda: perché Fausto e Iaio? Due ragazzi come tanti, di sinistra ma senza strette appartenenze. Più politicamente in vista di loro, a Milano, vi sono migliaia di persone. Si è parlato molto del dossier sulla droga cui i due ragazzi avevano collaborato, ma quel lavoro, una rigorosa analisi dello spaccio milanese, non contiene rivelazioni di alcun tipo. E allora bisogna fermarsi su una coincidenza, come ha fatto recentemente Aldo Giannuli, consulente della commissione Stragi: i due ragazzi vengono ammazzati cinquantasei ore dopo il sequestro Moro, e Fausto Tinelli abita in via Montenevoso 9, dirimpetto al covo dei misteri brigatisti, quello in cui sarà custodito il memoriale di Moro. Dalla stanza di Fausto alla finestra del covo brigatista ci sono meno di dieci metri, e in quell'ambiente il ragazzo del Casoretto passa buona parte delle sue giornate, a leggere e ascoltare musica. Se esiste un misterioso legame tra il sequestro Moro e il duplice delitto di Milano, bisogna dare atto ai registi della trama di aver fornito anche la controprova: nel 1981 in provincia di Roma venne ucciso il capitano di polizia Francesco Straullu, e il delitto fu rivendicato dal nucleo fascista che si rifaceva a Franco Anselmi. Il fatto è che anche il nome di Straullu riporta al caso Moro: il capitano aveva indagato sul famoso borsello trovato nel 1979 in un taxi romano, e carico di "simboli" riferiti a Moro e al giornalista Pecorelli. Coincidenza per coincidenza, Carminati è stato indagato e prosciolto anche per l'omicidio Pecorelli. L'autore di quel delitto, chiunque fosse, indossava un trench bianco. Come i carnefici di Fausto e Iaio.
***
da una intervista a Danila Angeli, mamma di Fausto:
"Quel sabato avevo preparato il risotto e lo strudel perché li aspettavo tutti e due a cena. Era anche l'anniversario del mio matrimonio.
Alle 19.45 Fausto era sempre a casa per la cena, era sempre puntuale ma quel giorno non si vedeva. Alle 20.30 cominciai a preoccuparmi e dopo aver messo il piccolino a letto , decisi di telefonare a qualche amico di Fausto ma nessuno sapeva nulla. Il bambino quella sera non voleva dormire, era agitatissimo.
Poi ho sentito bussare alla porta e dalla finestra ho visto dei poliziotti. Sono saliti e mi hanno chiesto dove abitava Fausto Tinelli. Io ho risposto che era mio figlio. Poi hanno rovistato in giro per la casa e mi hanno chiesto dov'erano le armi. Fausto era onesto, non aveva armi. In camera sua c'erano solo libri e giornali. I libri erano le sue armi.
I poliziotti mi hanno poi detto che aveva avuto un incidente in manifestazione. Impossibile, perché quel giorno non c'erano manifestazioni in programma. Un incidente in auto. Ma Fausto non aveva neanche la patente. Infine mi hanno detto che aveva preso una bastonata in testa, consigliandomi di recarmi in ospedale.
Allora sono andata all'ospedale "Bassini" e ho chiesto notizie di Fausto. Mi ha risposto un poliziotto dicendomi che era morto già da un pezzo.
A quel punto sono scappata a casa e ho acceso RadioPopolare per sapere cos'era accaduto.
Ho sentito che avevano ucciso anche Iaio per un regolamento di conti riguardante l'eroina.
Io ho subito chiamato la radio smentendo questa cosa perché Fausto e Iaio lavoravano contro lo spaccio e per la prevenzione.
Il giorno dopo quelli di Democrazia Proletaria mi hanno detto di far eseguire l'autopsia sui corpi, per dimostrare che i ragazzi non assumevano nessuna sostanza.
L'autopsia è stata fatta e non è risultato nulla. Fausto non fumava nemmeno le sigarette.
Il Giudice ha ammesso che i ragazzi erano assolutamente puliti e che con la droga non c'entravano nulla ma fino ad ora non c'è stato giustizia e io voglio la verità."
***
Messaggio di DANILA ANGELI, madre di Fausto Tinelli, in occasione del convegno "I comitati civili contro silenzi e impunità", tenuto a Genova il 12 luglio 2003.
Sono la madre di Fausto Tinelli e voglio esprimere quello che provo, oltre alla mia sincera solidarietà verso i parenti delle vittime delle stragi e di quelle cadute sotto un gioco perverso. So quello che si prova in quei momenti, l'ho sperimentato sulla mia pelle.
All'inizio non capisci, non ti rendi conto di quello che è accaduto. Vivi come un brutto sogno, stupito e incredulo. Vivi nel frastuono: un bel funerale di stato, belle parole e con questi gesti tutti se ne lavano le mani. Subito dopo ritorni alla realtà. Il dolore ti fa impazzire, entra in te come l'aria che respiri. E allora cerchi aiuto e conforto.
Chiedi una mano e riponi tutte le tue speranze nella giustizia, che ti aiuti a capire. Ma ti si chiudono le porte in faccia perché tu non sei di serie A anche se sei una persona onesta, come lo erano Fausto e Iaio, due ragazzi che frequentavano il Leoncavallo e perciò "carne da macello". Il privilegio di sperare giustizia, di avere un processo, di essere risarciti del sangue dei nostri cari non è un nostro diritto.
Anche se sono vittime innocenti della strategia di quel periodo e nessuno si azzardi a dire il contrario.
Da ben 22 anni mi sono costituita parte civile in un procedimento contro 3 individui di estrema destra, ma questi vivono tranquilli e fanno carriera.
Perché nessuno li tocca?
Eppure ci sono 6 pentiti che li accusano.
Perché i pentiti dei nostri processi non sono attendibili?
Forse lo sono solo quelli che vogliono loro e i nostri non sono tra questi.
Dove sono tutte quelle belle frasi che da bambina ti hanno insegnato a scuola, come ama la patria, difendila e rispettala. Io l'ho fatto questo, ma lei non mi ha ricambiato.
Noi per lo stato siamo vittime invisibili, che non vuole proprio vedere. E io mi sento come una madre argentina e Fausto e Iaio dei desaparecidos.

Danila Angeli

da un articolo di "Liberazione", estratto da
http://digilander.libero.it/infoprc/faustoiaio.html


Scheda a cura di Kiappo, del collettivo Borgorosso - Piacenza

Pescara - Cicchitto indagato per ricettazione, prese soldi per una candidatura

L'inchiesta a Pescara parte dal memoriale dell'ex moglie del parlamentare Pdl Sabatino Aracu

Cicchitto indagato per ricettazione
L'accusa: "Prese soldi per una candidatura" Le rivelazioni dell'Espresso. "Sono indignato, querelo tutti, piena fiducia nella magistratura"

ROMA - Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto è indagato per ricettazione dalla procura di Pescara, in seguito alla pubblicazione del memoriale della ex moglie dell'esponente del Pdl e parlamentare Sabatino Aracu. Ne dà notizia l'Espresso sul numero di oggi in edicola.
La donna non ha prove, ma afferma di ritenere sulla base di una serie di elementi che suo marito "abbia consegnato all'onorevole Cicchitto, anche per sostenere la propria candidatura, somme certamente non inferiori a 500 mila euro". Dice di avere saputo dallo stesso Aracu, "che quest'ultimo effettuava consegne di denaro nelle mani di Cicchitto per importi annui di almeno 500 mila euro. La cosa avveniva a Roma e la dazione consisteva in somme in contanti".

Con l'onorevole Cicchitto, aggiunge la Maurizio, "abbiamo trascorso una vacanza estiva in Sardegna. Il deputato di Fi, anche in mia presenza, assicurava a mio marito che gli avrebbe conservato l'incarico di coordinatore regionale del partito in considerazione delle attenzioni riservategli". Attenzioni che avrebbero trovato puntuale conferma nella vicenda riguardante la candidatura di Filippo Piccone. "Ricordo che mio marito", scrive la ex moglie di Aracu, "si fece dare da costui l'importo di 600 mila euro per ottenere la candidatura al Senato. Di tale somma 150 mila euro circa vennero consegnati all'onorevole Cicchitto. Il tutto mi è stato riferito da mio marito".

Ma la donna è molto più prodiga di particolari su Aracu, che è segretario del gruppo pdl a Montecitorio, ma anche alto dirigente sportivo, presidente della federazione pattinaggio, coinvolto nell'organizzazione dei giochi del Mediterraneo. Aracu avrebbe usato soldi dell'organizzazione per farle regali. La Maurizio lo chiama in causa soprattutto per avere preteso tangenti dai baroni della sanità privata regionale, a cominciare da quel Vincenzo Angelini titolare della clinica Villa Pini di Chieti che lo scorso anno ha provocato con le sue rivelazioni l'arresto dell'ex governatore Ottaviano Del Turco.

Infine, un capitolo sulla compravendita dei posti in Parlamento: la donna parla di somme a cinque zeri intascate per inserire candidati nelle liste forziste al Senato. Come nel caso di Filippo Piccone, eletto nel 2006 a palazzo Madama e diventato primo coordinatore del Pdl in Abruzzo, che secondo la Maurizio avrebbe consegnato ad Aracu 600 mila euro. Una parte dei soldi, secondo quanto la Maurizio ha riferito, sarebbero finiti a Fabrizio Cicchitto.

Cicchitto smentisce l'Espresso e annuncia querela nei confronti del settimanale e della signora. L'Espresso riporta ampi stralci del memoriale consegnato al procuratore di Pescara Nicola Trifuoggi.

GLI STRALCI DEL MEMORIALE

In una nota, Cicchitto spiega: "Le dichiarazioni della sig.Ra Maurizio nei miei confronti pubblicate sull'espresso sono false, totalmente infondate, ridicole e rese pubbliche solo a scopo diffamatorio e calunnioso. Sono profondamente indignato per l'operazione mediatica che, utilizzandole, si sta realizzando nei miei confronti. Ho dato incarico ad uno studio legale del luogo di sporgere querela e agire in sede civile nei confronti della signora Maurizio e dell'Espresso".

"Naturalmente - conclude - nutro il massimo rispetto per l'operato della magistratura pescarese che certamente farà presto e bene il suo lavoro tanto che ho già provveduto da tempo spontaneamente a fornire ad essa tutte le delucidazioni e le smentite del caso".

E sul caso interviene anche Aracu. Per il deputato Pdl, intervistato dall'Agenzia Radiofonica Econews, dietro tutto questo c'è "solo l'odio di una donna che sente di aver perso tutto. Mi ha fatto stalking per anni, è stata seguita in psicoterapia per anni per tanti problemi. Quello che è grave è vedere che un giornale possa scrivere tutte queste cose senza neanche consultarmi. L'unica voglia che ha questa donna è distruggermi. E' disposta a far stare male perfino mia figlia pur di far stare male me. Contro la pazzia non ci sono armi". Aracu definisce inoltre Cicchitto "una persona integerrima".

da Indymedia

Prima vittima del Pacchetto Sicurezza

Il corpo di Fatima, 27 anni, è stato ripescato gioved' 6 luglio durante la sera dal fiume Brembo a Ponte San Pietro. Il fratello, con regolare permesso, ha raccontato "Era disperata. Non riusciva a regolarizzarsi"

Bergamo, immigrata marocchina si suicida

(7 agosto 2009)
BERGAMO - Si è uccisa perché era clandestina e non riusciva a regolarizzarsi, e per questo era caduta in depressione. Il corpo senza vita di Fatima Aitcardi, 27 anni, marocchina, è stato ripescato ieri sera dal fiume Brembo a Ponte San Pietro. La donna, notata da alcuni passanti, era sotto il ponte del centro storico, è stato riportato a riva alle 21 circa.
E' stato il fratello Mohamed stamattina a presentarsi ai carabinieri per denunciare la scomparsa della sorella, uscita di casa ieri alle 14. L'uomo, che invece è regolare e vive proprio a Ponte San Pietro, ha raccontato che Fatima era disperata: era irregolare in Italia, aveva tentato in tutti i modi di regolarizzare la sua posizione ed era terrorizzata dalla scadenza di domani, giorno in cui la clandestinità diventa reato. E questo l'avrebbe portata a uccidersi.

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/cronaca/immigrati-9/clandestina-suicida/clandestina-suicida.html

da Indymedia

Niente da fare: il processo Politkovskaja continua così

Il giudice del tribunale militare di Mosca ha ordinato la ripresa del processo contro tre presunti complici nell’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja. I familiari e le parti civili si sono detti contrari alla decisione, perché avrebbero voluto l’avvio di una nuova inchiesta. I figli della giornalista, in particolare, volevano che il procuratore riunisse i risultati dell’inchiesta sui tre imputati con quelli che riguardano il presunto autore, sfuggito all’arresto, e il mandante, rimasto sempre sconosciuto. Il processo per l’omicidio si era aperto il 2 ottobre 2008. I tre imputati erano Sergej Khadjikurbanov, ex funzionario di polizia, accusato di aver organizzato il delitto, e i fratelli Dzhabrail e Ibrahim Makhmudov, che avrebbero pedinato la giornalista e guidato la macchina del killer. Un altro dei fratelli Makhmudov, Rustam, è ricercato come esecutore dell’omicidio. Il 19 febbraio 2009 gli imputati sono stati assolti.

Il 25 giugno 2009 la Corte suprema russa ha accolto il ricorso della pubblica accusa, annullando la sentenza. La famiglia di Anna Politkovskaja ha criticato la scelta: “Crediamo che gli imputati siano coinvolti nell’omicidio, ma le prove contro di loro erano insufficienti”.

Gli articoli di Anna Politkovskaja pubblicati da Internazionale.

da Internazionale