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giovedì 13 agosto 2009

UNA LETTERA SBAGLIATA - LO SFOGO DI UN COMPAGNO

Carissime Compagne/i,

un commento sotto il sole d'agosto che, evidentemente, a qualcuno sta facendo ribollire la "cabesa"... come considerate la letteraccia del nostro caro NICHI al magistrato di Bari che indaga sulle presunte nefandezze del centro sinistra...??????r
... ci si difende nei tribunali, ce lo siamo sempre detto... e dobbiamo sempre dirlo, anche perchè i tanti invisibili come amiamo chiamarli noi .. cui non è dato poter avere spazi nei giornali per un deficit di visibilità naturale, non avrebbero le stesse possibilità...

NICHI noi siamo con te in questo momento difficile e lo saremo in quelli che verranno e che saranno ancora più difficili, ma ti prego astieniti dal fare interventi che anzichè tutelare la tua immagine la danneggiano in misura considerevole..

la lettera alla PM di Bari che sta indagando sulle tante ipotesi di reato, che in altri termini, si possono chiamare casini dei componenti la giunta Vendola è stato un autentico autogoal, che mi auguro non decreti quello che il Presidente cercava di allontanare da se, la sua "morte" politica..

I magistrati si rispettano sempre sia quando si indaga a destra che quando si indaga a sinistra, troppo spesso il manicheismo di facciata ha provocato solo danni ed aberrazioni, lo sapete che non sono un giustizialista, anzi più volte ho considerato un'anomalia altrettanto grave la possibilità sic et simpliciter per le toghe di sfruttare la popolarità di talune inchieste per scendere in politica, ma i PM vanno rispettati per la loro funzione costituzionale e per il compito che assolvono, quando si hanno elementi per dubitare sul loro operato ci sono strumenti tecnici, quali la ricusazione ed altri che il codice (la legge) riconosce a tutti i cittadini al di là del censo, sesso, religione e convincimenti politici.

Bisognerebbe contare sino a 10 prima di scrivere boiate ed usare una retorica propria di altre parti politiche, che ne hanno approfittato (PUNTUALMENTE) per intingersi il biscotto...

Per quanto mi riguarda tali condotte unite ad un deficit di approccio organizzativo e, pertanto, ad un deficit di cultura democratica del nostro movimento mi portano ad un raffreddamento dell'entusiasmo verso idee, che camminano, purtroppo, su gambe fragilissime di uomini che si ritrovano soli non certo per colpa mia e dei compagni, che come non contano un ....bip e continueranno a non contare un ......bip..

SCUSATE LO SFOGO............ma................

ciao

Vincenzo

Clan e droga a Milano, la politica tace


Cosa nostra e cannoli a Baggio. Pizza, cocaina e camorra tra Ponte Lambro e via Mecenate. Birra benedetta dal racket della ‘ndrangheta verso la Comasina. Ancora siciliani al Corvetto, calabresi nel fortino di via Fleming a San Siro, a Quarto Oggiaro, in viale Sarca. *
Poi l’hinterland industriale di San Donato dove un chilometro di strada, dritta, a fondo chiuso, circondata da palazzi popolari, è diventato il regno della Stidda. Ecco la mappa dei quartieri tenuti sotto scacco da almeno 15 clan mafiosi tutti italiani.
Milano chiede aiuto, ma la politica non risponde. Altro a cui pensare: ordinanze antialcol, furiose battaglie contro i writers e l’evergreen di un allarme sicurezza perennemente arenato sul problema extracomunitari.
Intanto le periferie soffocano, inondate di droga e stritolate nella morsa di una sempre più radicata sottocultura della illegalità. Perché, al di là dei nomi nobili della criminalità organizzata, quello che preoccupa è il dilagante controllo mafioso di certe zone.
Al Corvetto, ad esempio, la gestione del territorio parte dal basso, dalle gang di giovanissimi: tredici anni massimo, prima sentinelle e poi corrieri della droga. Sognano scene da Padrino, sedotti dalla violenza dell’estrema destra milanese e dalle gesta dei grandi boss. Nomi come quelli del palermitano Guglielmo Fidanzati, legato al mandamento di Resuttana, qui incutono timore e rispetto. Siamo in piazza Bonomelli, mentre a un centinaio di metri, in viale Ortles, operano gli eredi di Vittorio Mangano, l’ex stalliere di Silvio Berlusconi. Cambiano i nomi, non i legami, che restano strettissimi. Come ha dimostrato l’ultima operazione antimafia condotta dal pm Ilda Boccassini su un traffico di droga tra Milano e Palermo con epicentro proprio al Corvetto. La base era il bar La Rosa blu della famiglia D’Amico che scandiva modi e tempi dello spaccio.
Nella stessa inchiesta è stato arrestato il palermitano Giovanni Di Salvo, conoscente di uno degli ultimi padrini milanesi, Giuseppe Porto, legato alla famiglia di Pagliarelli del latitante Gianni Nicchi e artefice di una joint venture mafiosa con la ‘ndrangheta del clan Morabito.
Dopodiché il Corvetto sono strade, piazze, palazzi. Tutte zone da spartirsi in nome dello spaccio: ci sono, ad esempio, gli Schettino, origine napoletana, ma investitura (mafiosa) calabrese, che dettano legge nei palazzi popolari di via dei Cinquecento: gestione Aler, 621 alloggi, il 10% occupati abusivamente soprattutto da italiani.
Stessa edilizia popolare in via Uccelli di Nemi a Ponte Lambro, quartiere satellite strappato alla città dalla tangenziale. Qui sono 220 gli alloggi con un 8% di abusivi. La droga resta il piatto forte, da spacciare sotto i portici scrostati e imbrattati di scritte. In questa zona comandano le famiglie calabresi originarie del quartiere Archi di Reggio Calabria. Poco più in là verso via Mecenate il testimone malavitoso viene raccolto dal clan napoletano dei Costanzo, gente in odore di camorra che gestisce bar e pizzerie.
A nord della città, il quartiere della Comasina, già terra di conquista del bandito Renato Vallanzasca, è sotto il controllo della cosca Flachi. Giuseppe Flachi, detto don Pepè, è in carcere. E così a gestire gli affari, soprattutto racket e pizzo, sono i suoi parenti. Il marchio è quello della ‘ndrangheta legata al padrino Franco Coco Trovato. Mafia ad alto livello, dunque che, però, strizza l’occhio a personaggi del neofascismo milanese, abilissimi nel reclutare bassa manovalanza per minacciare, intimidire, estorcere.
Il binomio estrema destra e mafia è una delle novità che emergono dalle ultime inchieste. A Quarto Oggiaro, per esempio, il clan mafioso dei Crisafulli ha contatti diretti con i fascisti del centro sociale Cuore Nero. In questo quartiere, fino a poco tempo fa, i clan Carvelli e Tatone si dividevano le piazze di spaccio. Ma dopo l’arresto del boss Mario Carvelli, calabrese di Petilia Policastro, il mercato dello spaccio viene gestito dai napoletani Tatone sotto il controllo dal carcere dei fratelli Crisafulli, Biagio e Alessandro.
In altri casi, come per il fortino di via Fleming, il mix mafia e neofascismo si contamina con la sottocultura degli ultras del calcio. Siamo in via Novara, a due passi dallo stadio Meazza. Nomi e cognomi sono ben noti e rimandano alla potente cosca calabrese dei Sergi, a loro volta legata con i Barbaro-Papalia di Platì. Il ras della zona, già coinvolto nell’omicidio del figlio di un boss della ‘ndrangheta legato ai Morabito, frequenta le tribune del Milan ed è legato a Giancarlo Lombardi capo criminale della curva rossonera con buone entrature nel clan Vottari di San Luca e una non nascosta passione fascista. Nel gennaio 2007 partecipò commosso ai funerali del terrorista nero Nico Azzi.

Come Israele continua a espellere i palestinesi

Dopo le espulsioni delle famiglie palestinesi Al Ghawi e Hanoun, giunge dalla corte distrettuale israeliana l`ennesima sconfitta per le famiglie palestinesi di Gerusalemme est. Domenica scorsa la corte ha respinto infatti la richiesta di far rientrare nelle proprie case almeno 7 famiglie, tra le 9 espulse nei giorni scorsi, contro le quali non era mai stato emanato nessun ordine di espulsione formale. Oltre a respingere l`appello, la corte ha emesso contro i due capi famiglia Abdelfatah Al Ghawi e Maher Hanoun una nuova sanzione di 10.000 shekel (1.800 euro) .
Il 2 agosto, alle prime ore dell`alba, le forze di occupazione israeliane hanno fatto irruzione nelle case delle famiglie dei 6 fratelli Al Ghawi e dei 3 fratelli Hanoun costringendole a lasciare le proprie case nel quartiere di Sheykh Jarrah a Gerusalemme est dove risiedevano dal 1956. 53 persone, tra le quali 19 minori, sono ora senza casa. Solo un paio d'ore dopo l'esproprio un gruppo di coloni israeliani era già pronto per occupare le case palestinesi protetto delle stesse forze di polizia e dell'esercito israeliano che avevano preventivamente transennato l'intera area e che tuttora presidiano notte e giorno gli ingressi delle abitazioni espropriate.
Nella stessa mattina le forze israeliane hanno demolito per la settima volta la tenda simbolo della protesta non violenta contro le espulsioni di palestinesi di Gerusalemme est costruita nel novembre 2008 dopo l`espulsione forzata di un'altra famiglia palestinese di Sheykh Jarrah, la famiglia Al Kurd. Le proteste degli abitanti del quartiere e degli attivisti alle nuove espulsioni sono state represse con una trentina di arresti.
Nel quartiere di Sheykh Jarrah a Gerusalemme est ci sono ancora 25 famiglie che rischiano l`espulsione. Dai primi anni '70, subito dopo l'occupazione militare israeliana di Gerusalemme est, un gruppo di coloni ebrei rivendica la proprietà di quei terreni, nonostante la proprietà fosse stata trasferita alle famiglie, profughi del 1948, direttamente dal governo giordano e dall'UNRWA (l'agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi) nel 1956. L'espansione delle colonie israeliane a Gerusalemme est ha come effetto la frammentazione territoriale dei quartieri palestinesi e l'isolamento di Gerusalemme est dal resto della Cisgiordania, creando di fatto le condizioni per cui Gerusalemme diventi la capitale 'unica ed eterna' di Israele compromettendo irrimediabilmente la prosecuzione dei negoziati di pace.
Intanto sono ormai quotidiane le aggressioni dei coloni israeliani contro i residenti palestinesi del quartiere di Gerusalemme dove sono avvenute le espulsioni. Venerdì scorso sono stati colpiti con pietre e bottiglie di vetro alcune donne e bambini palestinesi che partecipavano a un campo estivo. Sabato sera è stato aggredito Khamis Al Ghawi di 59 anni poi arrestato dalla polizia israeliana. Domenica pomeriggio l'episodio più grave. Durante la visita ai nuovi coloni di Yacov Katz e Uri Ariel, membri del partito religioso Unità Nazionale e rappresentanti alla Knesset, una trentina di coloni ha poi attaccato i residenti palestinesi provocando diversi feriti. La polizia israeliana è intervenuta lanciando gas lacrimogeni contro la folla. A queste espulsioni sono seguite le immediate reazioni di condanna da parte della comunità internazionale. Il coordinatore speciale per il Processo di pace in Medioriente per le Nazioni unite, Robert Serry, ha definito ''inaccettabili'' queste espulsioni e richiama Israele ''al rispetto del diritto internazionale e degli oblighi della Roadmap''. Posizioni forti sono giunte anche dal Segretario di stato americano Hillary Clinton che condanna l'espulsione delle famiglie palestinesi e le demolizioni di case a Gerusalemme est e accusa inoltre Israele di "non tenere fede agli obblighi internazionali previsti dalle iniziative di pace". Simili condanne sono state espresse dall'Unione europea nonché da diversi paesi dell'Unione tra i quali Svezia, Norvegia, Francia e Gran Bretagna. Inespressa rimane invece la posizione dell'Italia.

Zapatero bandisce il crocifisso dalla scuola pubblica

Ancora Zapatero. Il premier spagnolo fautore di una serie di riforme che deliziano o orripilano a seconda del loro orientamento l'opinione pubblica - ma che in Spagna evidentemente piacciono poiché il suo partito il Psoe ha rivinto l'anno scorso le elezioni - stavolta va all'attacco di un simbolo-feticcio della vecchia Spagna franchista del Dio-patria-famiglia, ma assai caro anche nell'Italia vaticana, ovvero il crocefisso. Il governo spagnolo sta infatti mettendo a punto un disegno di legge sulla libertà religiosa da sottoporre al Parlamento in autunno. Tra i provvedimenti in scaletta la rimozione dalle aule della scuola pubblica dei simboli religiosi che non abbiano «valore storico o artistico», mentre in quelle convenzionate con lo stato si rispetteranno «usi e costumi».
La normativa, che difficilmente piacerà all'opposizione, si applicherà con elasticità. Non toccherà, ad esempio, simboli tradizionali come, ad esempio, i presepi. Ma, se sarà approvata, dovrebbe portare alla rimozione della maggior parte dei crocifissi ancora presenti in aule pubbliche del paese.

«La nostra idea - spiega alla stampa il ministro alla Giustizia Francisco Camaano - è che nelle scuole pubbliche non ci sia nessun simbolo religioso». Questo, ha aggiunto, perchè «ci sia una separazione chiara fra il fenomeno religioso e lo spazio pubblico, la laicità dello stato». La nuova normativa sarà applicata con moderazione: «se risulta che c’è una immagine che fa parte del patrimonio storico in un centro pubblico, se ha valore storico o artistico, non potrà essere rimossa», chiarisce Caamano.

Per le scuole private convenzionate con lo stato si procederà in funzione di «usi e costumi», ovvero con una certa elasticità. Secondo il quotidiano Abc si tratta di una manovra politica: il governo socialista, rimasto senza maggioranza da marzo in Parlamento, punta a usare la legge sulla libertà religiosa per ccompattare attorno a sè i piccoli partiti di sinistra.
E' una nuova "provocazione" dopo il disegno di legge sulla depenalizzazione dell’aborto - con la libera scelta se abortire o meno fino alla 14ma settimana per tutte le donne, e le adolescenti dai 16 ai 18 anni - sul quale già convergono Psoe e sinistra.

Nuovo capitolo di una lista della svolta laica impressa alla Spagna dal governo Zapatero che dal 2004 ha già varato, tra le altre cose, il divorzio breve, una legge liberalizzatrice sulla fecondazione assistita, una riforma che ha allargato la possibilità del matrimonio anche alle coppie omosessuali, garantendo loro gli stessi diritti riservati alle coppie eterosessuali, sposate o di fatto, tra cui quello di adottare figli. E ancora, alleggerito le pratiche di modifica delle generalità per i transgender, legalizzata la sperimentazione medica della cannabis, ridotte molte restrizioni sulla clonazione terapeutica e sull'uso di cellule staminali di origine embrionale ai fini di ricerca scientifica.
Cronache da un altro pianeta.

Escort, "In una casa di via Capruzzi l'alcova"

«So che Gianpaolo frequenta il gruppo di politici pugliesi vicini a D´Alema, e in particolare Roberto De Santis e Sandro Frisullo. So con certezza che Massimo Verdoscia faccia tuttora parte di quella compagine».

E´ Alessandro Mannarini, nell´interrogatorio del 20 maggio, a svelare il luogo dove Gianpaolo Tarantini faceva in modoche una escort intrattenesse i suoi ospiti eccellenti. E´ un appartamento in via Capruzzi, nel palazzo che ospita la filiale della Bnl: lì una prostituta incontrava i clienti che Gianpaolo Tarantini procacciava: medici, dirigenti sanitari forse, ma anche e soprattutto esponenti politici.

Il particolare emerge dagli atti allegati al fascicolo di indagine che, venerdì, ha portato agli arresti di Massimiliano Verdoscia e Stefano Iacovelli, accusati, l´uno di aver ceduto la droga a Gianpaolo Tarantini, l´altro di aver procurato la sostanza stupefacente. Tra i documenti che costituiscono i principali atti di accusa del pubblico ministero Giuseppe Scelsi, ci sono cinque verbali. Uno è quello di Alessandro Mannarini: 40 anni, leccese di buona famiglia, faceva l´autista di Gianpaolo Tarantini, con il quale, però, raccontano le carte dell´inchiesta, condivideva anche la passione per la polvere bianca.

E´ lui il primo ad ammettere. Indagato con l´accusa di aver distribuito polvere bianca, il 20 maggio, prima ancora che i riflettori si accendessero su Tarantini e sul presunto giro di escort e droga, Mannarini parla. Della droga, delle feste in Sardegna e del luogo che l´imprenditore barese aveva riservato agli incontri tra una escort e i suoi ospiti. Dice il quarantenne leccese, alla fine del verbale, lungo tre pagine: «So che Gianpaolo frequenta il gruppo di politici pugliesi vicini a D´Alema, e in particolare Roberto De Santis e Sandro Frisullo. So con certezza che Massimo Verdoscia faccia tuttora parte di quella compagine».

E poi ancora: «So che Gianpaolo Tarantini aveva disponibilità dell´appartamento sito sulla Bnl di via Capruzzi frequentato per passare qualche ora con una ragazza che lui pagava affinché effettuasse prestazioni sessuali. So che tale appartamento sia stato prestato affinché tale ragazza, tale Terry alta e bruna, di cui non conosco l´identità, prestasse i propri prestigi sessuali ad altre persone, sempre su richiesta e pagamento di Gianpaolo. Le chiavi dell´appartamento si trovano nell´auto condotta dal suo autista».


Affermazioni di scarsa importanza nel fascicolo sul giro di droga, ma che invece assumono rilevanza nell´indagine sulle escort che Tarantini ha reclutato (una, Patrizia D´Addario ha incontrato il premier Berlusconi) per ingraziarsi politici, medici e dirigenti ospedalieri. Mannarini, con il suo interrogatorio, conferma l´ipotesi investigativa. Parla di «tale Terry alta e bruna» e cioè, scoprono gli uomini della Guardia di finanza, di Maria Teresa De Nicolò, una delle giovani donne che ha ammesso di aver partecipato a Palazzo Grazioli ad una delle feste organizzate dal premier. A fare il suo nome è anche Gianpaolo Tarantini.

Nell´interrogatorio della fine di luglio, l´imprenditore confessa di aver più volte, in passato, acquistato droga e così risponde ad una domanda del pm: «Confermo di essere a conoscenza che Maria Teresa De Nicolò era una escort e di averla pagata affinchè prestasse prestazioni sessuali a favore di terzi. Ricordo di averle corrisposto 500 euro per le prestazioni a Bari e mille per quelle fuori Bari, se non ricordo male».

Nel capoluogo pugliese il luogo degli incontri, quindi, era l´appartamento di via Capruzzi. Un particolare quest´ultimo sul quale si concentra l´attenzione delle fiamme gialle nel fascicolo d´indagine sul presunto giro di escort. Agli atti dell´inchiesta, in questo caso, ci sono anche tre verbali di sommarie informazioni di Maria Teresa De Nicolò che, tra gli altri, ha fatto il nome di Sandro Frisullo, ex vice presidente della Regione Puglia. E poi quelli di Patrizia D´Addario che ha confermato di aver trascorso una notte con il premier, a Palazzo Grazioli.

L'Aquila, "Villa Certosa o Palazzo Grazioli" lo sfollato chiede di abitare dal premier

"Non è una provocazione ma una richiesta legittima basata sulle dichiarazioni del presidente"

L'AQUILA - "Vorrei abitare a Villa Certosa o a Palazzo Grazioli". E' il 'desiderata' apparso tra le domande per la sistemazione in alloggi provvisori presentate dai terremotati aquilani.
La richiesta di abitare nelle residenze del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è stata inviata alla protezione civile e al Comune dell'Aquila da Antonio Bernardini, la cui casa, nella zona rossa del centro storico del capoluogo Abruzzese, è inagibile. Nel tipo di sistemazione preferita, alla voce "alloggi in affitto" a penna è stato aggiunto "se possibile, a villa Certosa oppure a palazzo Grazioli".

"Non si tratta di una provocazione - ha detto all'Ansa il terremotato aquilano - ma di una richiesta legittima basata sulle dichiarazioni del presidente il quale aveva pubblicamente promesso che avrebbe ospitato nelle sue case alcuni terremotati. In questo modo avrei anche l'occasione di essergli utile con consigli basati sulla mia esperienza di terremotato prima in auto, poi in tenda e infine in due alberghi, e di profondo conoscitore della città".

Bernardini è segretario generale ed economo del Consorzio di ricerche applicate alla biotecnologia (Crab), ma fu licenziato illegittimamente sei anni fa ed è in attesa che sia dato seguito a due sentenze della magistratura che impongono al Consorzio il suo "reintegro immediato" nelle funzioni e il pagamento delle retribuzioni e dei contributi.