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venerdì 14 agosto 2009

Biblioteca di Sarajevo: solidarietà a Sergio Blasi

Lecce (salento) - L’Associazione “Biblioteca di Sarajevo”, da sempre impegnata sul fronte della difesa dell’ambiente da inquinatori come Copersalento, esprime piena solidarietà umana e politica a Sergio Blasi, querelato per diffamazione dal Sindaco di Maglie, Antonio Fitto, e dalla stessa ditta.

(Biblioteca di Sarajevo) - Ancora una volta, in questi giorni, si è scatenata una campagna di disinformazione mirata a nascondere le reali responsabilità di quanto è avvenuto sul territorio magliese.

Infatti per l’ennesima volta ci tocca assistere alla propaganda subdola del Pdl di Maglie. A poche ore di distanza dall’uscita di un manifesto del PD che evidenziava la responsabilità del Sindaco Fitto, della ASL e dei Vigili del Fuoco in merito alla mancata AGIBILITÀ della Copersalento, il Pdl in risposta affiggeva un manifesto con cui: banalizzava l'assenza della AGIBILITÀ quasi fosse una sciocchezzuola superabile con una sanzione di 500,00 euro;
accusava il centrosinistra di complicità con la Coopersalento;
insinuava “amicizie” compiacenti con la presidenza dell’ARPA e della Provincia.
Lasciamo ad altri il compito di commentare questa gravissima insinuazione, annidata nelle virgolette con cui evidenziavano la parola amici, per limitarci a chiarire il rilievo che l'AGIBILITÀ assume nelle procedure amministrative di qualsivoglia struttura edilizia.

Il problema è estremamente grave in quanto già per ottenere l'AGIBILITÀ di una civile abitazione o di una semplice officina meccanica, di quelle comunissime esistenti nei nostri piccoli comuni, con un solo addetto che di solito è il titolare, è necessario produrre una serie di documenti.

Ricordiamo i principali: possesso di un normale permesso di costruire, di un suo collaudo statico depositato presso l’Ufficio del Genio Civile, di uno specifico accatastamento, del progetto elettrico e quello termico, dei certificati di regolarità a norme CEE rilasciati dagli impiantisti per luce, acqua, gas (leggi sugli impianti del 1990 e 1991); smaltimento liquami e rifiuti pericolosi, superamento delle barriere architettoniche, relazioni sull’inquinamento acustico, certificato di prevenzione incendi rilasciato dai Vigili del Fuoco, perfetta impermeabilità delle pareti che ne permetta la lavabilità, ed infine, a differenza della civile abitazione, nulla osta da parte della ASL.

In possesso di tutti questi requisiti, il Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale rilascia, assumendosene la responsabilità, la necessaria AGIBILITÀ.

La legge Bassanini, dal marzo del 1997, ha conferito tale responsabilità al dirigente dell’UTC e non più al Sindaco. Facciamo attenzione a questa data, considerato che la Copersalento opera (ed inquina) il territorio di Maglie da oltre vent’anni, ragion per cui l’AGIBILITÀ doveva essere rilasciata prima del 1997 esclusivamente a firma del SINDACO pro tempore.

E non basta! Dopo l’AGIBILITÀ rilasciata dal Comune, l’impianto o l’immobile, necessita di una ulteriore autorizzazione alla attività, rilasciata sempre dalla ASL, prima di entrare in funzione!

Abbiamo preso a paragone la piccola officina meccanica per esplicitare quanto sia complesso l'iter finalizzato al rilascio della AGIBILITÀ in situazioni ordinarie e, di conseguenza, quanto lo sarebbe stato per una struttura come la Coopersalento. Altro che 500 euro!!!

Si può comprendere, invece, come si siano ben guardati Sindaci e Dirigenti dell’Ufficio Tecnico, nel corso di questi vent’anni, dal rilasciare l’agibilità in assenza di certificazioni quali, ad esempio, quelli sulla sicurezza degli impianti.

Ovvio chiedersi se nel corso di vent’anni di attività ci sia stato, come c’è stato, qualche sopralluogo della ASL o dei Vigili del Fuoco … Nessuno ha mai chiesto di esibire questa AGIBILITÀ? Ma se viviamo in uno Stato in cui si guardano prima “le carte” e poi tutto il resto, si può veramente credere che a nessuno sia venuto in mente di chiedere questi ineludibili documenti? E cosa hanno controllato? E a quando risale il primo controllo? Ci risulta, inoltre, che questo impianto, per le sue modifiche, sia stato oggetto, qualche anno fa, di una D.I.A (Denuncia di Inizio Attività): atto che dal 1995 sostituisce, per alcune opere, il permesso di costruire, avvalendosi di autocertificazioni. Ma non era anche l'autocertificazione un ulteriore motivo per verificarne l’attendibilità considerata sia la mole dell'impianto che le continue denunce da almeno quindici anni avanzate da associazioni ambientaliste e culturali (come la Biblioteca di Sarajevo che lo ha fatto più volte fin dalla sua nascita nove anni fa)?

E’ possibile allora che bastino 500 euro per sopperire alla mancanza di una certificazione che presuppone una serie di documenti così importanti? E’ evidente l’inveterata logica di monetizzare e sanare atti e comportamenti illegali!

E’ accettabile che chi ha garantito così tante coperture alla Copersalento si permetta poi di banalizzare in maniera così scadente il dissesto ecologico causato non solo nel territorio di Maglie ma in tutto il Salento?

da IlPaeseNuovo

E nascono i comitati in difesa di Vendola

Sannicandro a Zazzera "S'improvvisa novello Savonarola" Sinistra e libertà si organizza sul territorio per difendere meglio Nichi Vendola. In Puglia i coordinamenti cittadini del movimento fondato dal presidente della Regione, stanno sorgendo in quasi tutti i comuni.
L'ultimo a costituirsi è stato il coordinamento zonale dei comitati promotori di Sinistra e Libertà dei comuni Carovigno, Cisternino, Fasano, Francavilla Fontana, Ostuni che, per dare una mano al loro presiedente, stanno organizzando un fitto calendario di iniziative pubbliche.Il coordinamento, "convinto della specchiata onestà e della grande capacità amministrativa di Nichi Vendola, grande risorsa per la nostra regione, che negli ultimi anni ha visto meritarsi le attenzioni dell´Italia intera e dell´Europa per la bontà dei provvedimenti legislativi adottati nel campo delle energie rinnovabili, delle politiche sociali e del lavoro, delle politiche ambientali" ha redatto ed inviato un telegramma per esprimere solidarietà politica ed umana al presidente della Regione, "ingiustamente fatto oggetto di un violento attacco mediatico". Per rinfrancare l´immagine del governatore, 5 appuntamenti pubblici precederanno l´assemblea nazionale che di Sinistra e Libertà a Napoli, in corso dal 16 al 20 settembre.
In difesa di Vendola e del suo movimento, ieri è intervenuto anche il capogruppo di Sinistra e libertà in consiglio regionale, Arcangelo Sannicandro: «Non so quale dimostrazione di integrità morale e politica, l´onorevole Zazzera abbia avuto modo di dare prima che una legge infame lo catapultasse all´improvviso nel Parlamento italiano. Io non so, insomma, quale titolo abbia per improvvisarsi novello Savonarola o delegato del Santo Uffizio». Così il capo dei consiglieri di Sinistra e libertà si è scagliato contro il coordinatore regionale dell´Italia dei valori che, nei giorni scorsi, ha duramente criticato il governatore pugliese per la lettera indirizzata al pm Desireè Digeronimo: «Il presidente Vendola, è bene se ne convinca l´onorevole Zazzera, aveva e ha il diritto, al pari di qualunque cittadino italiano, di manifestare la propria opinione sullo svolgimento di questa come di qualunque altra inchiesta giudiziaria, così come chiunque ha il diritto di criticare e valutare governi, parlamenti, ed ogni altra istituzione statale. Ma - ha detto ancora Sannicandro - tutto questo sfugge a Zazzera, il quale ritiene che la magistratura sia una casta di intoccabili, e i membri dell´Italia dei valori siano i suoi sacerdoti».

da L'EspressoLocal

Davide "Dax" Cesare


Nella notte fra il 16 e il 17 marzo 2003 moriva Davide “Dax” Cesare, militante del Centro Sociale O.R.So (“Officina di Resistenza Sociale”) di Milano. Era da poco uscito, assieme ad alcuni compagni, da un bar del quartiere ticinese. Fuori, ad aspettare i ragazzi, un paio di neofascisti armati di coltelli, spalleggiati da un terzo elemento più anziano. Si scoprirà solo in seguito che i due giovani sono fratelli e che l’uomo è il loro padre; si tratta rispettivamente di Federico, Mattia e Giorgio Morbi (28,17 e 54 anni all’epoca del fatto). L’aggressione dei neofascisti è rapida e particolarmente violenta. Numerose coltellate vengono inferte in punti vitali: Davide non giungerà vivo all’ospedale; altri due ragazzi sono feriti (uno in modo grave, ma si salverà).

Alla tragedia di Dax seguono altri fatti a dir poco inquietanti. Prima il ritardo nei soccorsi; sul luogo del delitto arrivano per prime numerose pattuglie di polizia e carabinieri, che rendono ancora più difficoltoso l’arrivo del personale medico. Poi al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo, gli amici dei feriti (sconvolti dalla notizia che per Davide non c’è più nulla da fare) vengono brutalmente picchiati dalle forze dell’ordine. Uno scenario che ricorda tristemente le cronache di Genova e Napoli 2001; con la differenza che, stavolta, la brutalità della polizia non ha neppure la debole scusa delle tensioni di piazza. Una brutalità che finirà col coinvolgere anche personale di assistenza medica e pazienti dell’ospedale: in seguito alle cariche il pronto soccorso dovrà cessare il servizio fino alle sette del mattino seguente, e numerosi pazienti finiranno con l’essere trasferiti in altre strutture.
Infine giunge l’ultima vergogna, quasi un marchio di fabbrica delle vicende di cui abbiamo parlato finora: le menzogne degli apparati dello Stato, assecondati da organi di stampa sempre compiacenti e aiutati a posteriori dalla copertura morale prontamente offerta da certi politici. L’omicidio viene spiegato con il degenerare di una “rissa tra balordi”. Il pestaggio dei giovani al San Paolo viene giustificato con la reazione delle forze dell’ordine alle intemperanze dei compagni di Dax, ed in special modo alla loro richiesta di “trafugare” dall’ospedale la salma. Per fortuna le testimonianze dei giovani presenti all’ospedale, assieme alle dichiarazioni coraggiose di elementi del personale medico del San Paolo, hanno in seguito smentito quelle prime ricostruzioni (senza che, purtroppo, la stampa nazionale si sia affannata troppo nel concedere a tali smentite uno spazio uguale a quello che ebbero le prime, false versioni).
Dal punto di vista processuale la vicenda è tuttora aperta su più fronti: per la morte di Davide, Giorgio Morbi è stato già prosciolto (non ci sarebbero prove della sua partecipazione diretta all’agguato mortale); al giovane Mattia è stata riconosciuta quella che giuridicamente si chiama “messa in prova” (tre anni sotto il controllo di una comunità, al termine dei quali sarà valutato il suo “percorso di recupero”); a rispondere dell’omicidio resta dunque il solo Federico Morbi. Per quanto concerne i fatti del San Paolo, sono ancora aperte le indagini; presto si dovrebbe arrivare ai processi, sia a carico di alcuni giovani, sia a carico di alcuni fra gli agenti colpevoli dei pestaggi.

DAX
Tra i graffiti che colorano i muri cittadini il suo nome appare spesso, impresso a lettere grandi e chiare, «Dax vive». Nel ricordo degli amici, nell’immaginario dei giovani, triste simbolo di una violenza a sfondo politico che si pensava archiviata negli anni Settanta e che invece è tornata ad uccidere.

Venerdì le condanne in primo grado per l’omicidio di Davide Cesare, il ragazzo di 26 anni meglio noto come Dax fra i frequentatori del centro sociale Orso, avvenuto a Milano nella notte tra il 16 e il 17 marzo dell’anno scorso: 16 anni e 8 mesi di reclusione per il trentenne Federico Morbi, 3 anni e 4 mesi per il padre Giorgio Morbi. Condanne dure quelle disposte dal giudice per l’udienza preliminare Cesare Tacconi, di poco inferiori alle richieste avanzate dal pubblico ministero Nicola Di Plotti di 18 anni per il primo e 5 anni per il secondo, alle quali si accompagnano i risarcimenti per i familiari della vittima: 150mila euro alla madre e 200 mila euro alla compagna e alla figlia.

«È stato respinto il tentativo della difesa di trasformare gli aggrediti in aggressori e gli aggressori in aggrediti - ha commentato l’avvocato Mirko Mazzali, legale di parte civile - è una sentenza giusta, soddisfacente. A noi non interessava la pena, a noi interessava che le attenuanti chieste dai difensori, cioè quella della provocazione e della legittima difesa, non venissero accolte. E così è stato. Hanno tentato di gettare fango sulla vittima e non ci sono riusciti».

Resta, però, una nota d’amarezza: «Ora aspettiamo le scuse della famiglia Morbi, che non sono mai arrivate. Speravamo che in ambito processuale fosse fatta chiarezza sugli antefatti che hanno portato all’aggressione di Davide Cesare, invece gli imputati non hanno spiegato in modo chiaro e univoco quanto avvenne. È uno dei più grossi rammarichi della famiglia». Sono infatti molte le zone d’ombra che ancora avvolgono gli accadimenti di quella notte.

Forse tutto iniziò con una banale rissa verbale davanti a un bar di via Brioschi: lì in tarda serata si sono ritrovati Davide ed alcuni amici dell’Orso, lì sono passati Federico Morbi, il fratello M. di 17 anni e il padre Giorgio con il cane. Un rottweiler di nome Rommel, occasione per uno scambio di insulti sulle rispettive simpatie politiche poi degenerato in tragedia.

Restano incerti i dettagli della dinamica, non l’esito che ebbe: dai primi spintoni si è facilmente passati alla rissa, finchè uno dei Morbi ha estratto un coltello. L’arma con cui è stato colpito a morte Davide Cesare, 13 coltellate di cui 6 alla schiena, e con cui sono stati feriti gravemente altri tre ragazzi.

Questa la certezza processuale raggiunta: per omicidio volontario sono stati condannati i due fratelli, il più giovane dei quali sta scontando in una comunità i tre anni di messa alla prova già disposti dal tribunale dei minori. Il padre è invece stato condannato, insieme al figlio M., per il tentato omicidio di Antonino Alesi, uno degli amici di Dax presenti: lo teneva fermo per le spalle mentre il piccolo di famiglia lo feriva.

Tuttora in corso, invece, la vicenda processuale legata ai tumulti che scoppiarono all’ospedale San Paolo in seguito all’omicidio. Molti ragazzi dei centri sociali, infatti, si radunarono nella notte davanti al pronto soccorso in cui l’ambulanza aveva trasportato il corpo di Davide Cesare per chiedere informazioni sulla salute dell’amico. Ad accoglierli molte forze dell’ordine: «Hanno messo in atto una vera e propria caccia all’uomo sullo stile di Genova - dichiararono il giorno successivo i giovani autonomi - picchiando selvaggiamente e senza motivo».

Forse sorpresi dalla rabbia e dal dolore generati dalla notizia della morte di Dax, polizia e carabinieri si sono scontrati con ragazzi lì radunati: colpi di manganelli su persone a terra, calci violenti al basso ventre e ai testicoli, ginocchia contro il petto. Qualcuno ha cerca di scappare fuori dalla sala d’aspetto, qualcun altro ha provato a rifugiarsi sotto le panche, e solo quando tutti si erano ormai allontanati anche gli agenti se ne sono andati dal San Paolo.

È quanto risulta dalle testimonianze: lo hanno raccontato i ragazzi, ma anche i medici e i pazienti che si trovavano allora al pronto soccorso. È quanto documenta un filmato, girato da un videoamatore che si trovava in zona e che, al richiamo delle urla e del rumore di vetri rotti, ha deciso di registrare gli avvenimenti. Per le inchieste aperte, a carico di alcuni agenti delle forze dell’ordine e di quattro persone dei centri sociali, sono state da poco terminate le indagini preliminari.

di Luigina Venturelli Unita.it

Pubblica insicurezza

INCREDIBILE GUARDATE IL VIDEO http://espresso.repubblica.it/multimedia/7190213

I tagli dei fondi rendono la vita degli agenti impossibile. E lasciano i cittadini senza protezione. Mentre partono le ronde, ecco in quali condizioni opera la polizia italiana

Ci sono due parole che irritano profondamente i poliziotti italiani. La prima è 'ronde': le cosiddette associazioni di volontari per la sicurezza. Quelle tanto apprezzate dal ministero dell'Interno, e che stanno per pattugliare le nostre città (sperando non finisca sempre come a Massa, dove lo scorso 26 luglio una ronda di destra e una di sinistra si sono a prese a pugni e seggiolate). La seconda parola sgradita, invece, è 'militari'. Almeno quelli utilizzati, da circa un anno, per arginare la delinquenza urbana. Secondo il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è merito loro se in certi quartieri i reati sono diminuiti del 40 per cento. Al contrario, i poliziotti li considerano "perfetti in guerra ma non nell'ordine pubblico". E, per giunta, ironizzano, "dobbiamo fargli da balia".

Polemiche su polemiche. È questa la quotidianità degli agenti di pubblica sicurezza. Si dicono dimenticati. Stanchi. Avviliti. E delusi, soprattutto. Come il graduato che parla a ruota libera nei 40 gradi della Palermo estiva. Scuote la testa e spiega come, nel disinteresse generale, sono costretti a lavorare i colleghi che scortano Maria Falcone, sorella dell'icona antimafia Giovanni e divulgatrice della legalità nelle scuole. "Alla signora spetta una protezione di terzo livello, cioè una Lancia K blindata con due uomini armati a bordo", dice, "ma questo non basta a garantirne la sicurezza". Oltre alla minaccia delle cosche, infatti, "c'è da combattere la drammatica condizione del nostro parco automobili". Di recente, ad esempio, "la macchina di Maria Falcone non ce l'ha fatta a uscire dal deposito della caserma: perdeva potenza". E quando è stata sostituita da un'altra vettura, quello stesso giorno, è finita ancora peggio: "Di colpo, lungo la strada, si è rotta l'aria condizionata e si sono bloccati i finestrini, trasformando l'abitacolo in un forno e obbligando la scorta a chiedere rinforzi".


"Assurdo ma frequente", confermano altri agenti. Lo sa bene il magistrato Anna Maria Palma, capo di gabinetto alla Presidenza del Senato, che si è trovata con l'auto della scorta inchiodata sulla Palermo-Messina. E altrettanto bene lo sa il sindaco di Palermo, Diego Cammarata, i cui uomini di protezione hanno dovuto muoversi - causa assenza fondi- anche su una vecchia Punto senza blindatura. "Episodi che altrove farebbero scandalo, mentre in Italia sono diventati normali", dice Felice Romano, segretario generale del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori di polizia): "Ormai la pubblica sicurezza è allo stremo in ogni parte d'Italia e su ogni fronte operativo: dalle scorte all'antidroga, dai commissariati di zona alle squadre volanti". Non a caso. Sul tavolo, il capo del Siulp ha le carte dei tagli che il governo ha riservato alle forze dell'ordine. Cifre paurose, quando si arriva al capitolo polizia di Stato: 263 milioni 497 mila euro cancellati nel 2009. Altri 283 milioni levati nel 2010. Ulteriori 492 milioni 726 mila euro eliminati nel 2011. Unica voce incoraggiante, i 100 milioni destinati alle polizie comunali, che sono un niente rispetto ai complessivi 3 miliardi e mezzo tagliati al comparto Sicurezza e difesa. Morale: da un lato "l'opinione pubblica viene stordita con gli effetti speciali", denuncia il sindacato Uilps, dall'altro si "trascura la gestione ordinaria". Cioè l'indispensabile.

Cosa significhi, in concreto, si può vedere a Milano: in teoria il simbolo dell'efficienza padana, in pratica una metropoli dove la polizia è in ginocchio. Basti pensare all'organico bloccato da 18 anni a 3.900 uomini, con una carenza di 50 sovrintendenti e ispettori, 30 funzionari, dieci dirigenti e oltre 500 agenti. Per non parlare delle 487 auto in dotazione alla questura, delle quali 250 ferme per riparazioni che avverranno quando avverranno. O ancora, dei 13 membri del pool antiterrorismo internazionale Digos, costretti a indagare fianco a fianco in un ufficio di 12 metri quadri. "La politica ci aveva promesso più personale, più mezzi, più soldi; ci aveva illuso che da bruchi saremmo diventati farfalle", spiega un agente milanese: "Invece siamo sprofondati in un baratro dove manca tutto: dalle divise alla carta del fax. Fino ai giubbotti antiproiettile, in certi casi scaduti dal '92". Un incubo che si materializza alla caserma Garibaldi di piazza Sant'Ambrogio, dove si trovano gli uffici che gestiscono volanti, scorte e personale. "S'intrufoli al secondo o al terzo piano", suggerisce qualcuno. Ed è una scena sconsolante, quella che appare. Una sequenza di vetri spaccati, bagni con porte mancanti, cumuli di mozziconi e spazzatura, televisori preistorici abbandonati nei corridoi, neon che non si accendono e materassi lerci appoggiati alle pareti. "Da qui parte il degrado", annuisce un sindacalista: "dal nostro quartier generale...".
Poi c'è l'esterno: ossia la parte che tutti i milanesi possono vedere e giudicare. A partire dai 17 commissariati, dei quali solo cinque riescono a garantire volanti per penuria di uomini e auto. "Contenitori di storie grottesche", li chiama chi ci lavora. Senza esagerare. Al commissariato Greco-Turro, ogni giorno confluisce un mare di extracomunitari per i permessi di soggiorno, e ad accoglierlo c'è il bagno dei disabili riadattato a stanzetta per le impronte. Il commissariato Porta Genova, invece, è un ex carcere minorile dove anche i settori aperti al pubblico hanno finestre sbarrate (in barba alle più ovvie norme di sicurezza), mentre il pavimento dell'archivio è pericolosamente piegato sotto a una montagna di fascicoli. "Problemi segnalati e mai risolti", lamentano i poliziotti. Al pari del commissariato Monforte-Vittoria, nel centro storico, gestito a colpi di buona volontà da Edmondo Capecelatro (anche dirigente del Siulp): "Nel 2003", dice, "l'organico prevedeva 99 persone: oggi siamo rimasti in 75, dei quali due ispettori pensionandi, due aggregati fuori sede, 15 assenti in media per ferie o malattia, una decina disseminati tra centralino e altri servizi, sette o otto richiesti ogni giorno per i servizi di ordine pubblico e un'altra decina bloccata negli uffici denunce e passaporti, ai quali va sommato un gruppetto per la burocrazia indispensabile. Risultato: ho circa sette uomini per presidiare una zona con 90 mila residenti. Che razza di sicurezza posso garantire?".

Scarsa, risponde lui stesso: anzi scarsissima. Come nella vicina Monza, dove gli agenti della squadra investigativa hanno dovuto attraversare la città in autobus, con i faldoni sottobraccio, perché tutte le auto erano fuori servizio. O come alla Stazione Centrale di Milano, dove l'area di sorveglianza è stata quasi raddoppiata per l'apertura di nuovi spazi, ma senza aggiungere un solo agente alla già misera polizia ferroviaria. Il che può stupire i non addetti ai lavori, ma conferma il contenuto di un appunto riservato a firma Dipartimento di pubblica sicurezza. Due pagine nelle quali si indicano i tagli più pesanti alla polizia di Stato: meno 5,1 milioni di euro per le missioni nazionali, meno 2,3 per quelle all'estero, meno 3,8 per i servizi di pulizia e meno 10,8 per le spese telefoniche. Fino alla batosta conclusiva: 6,2 milioni tagliati agli armamenti, pari a un meno 84,72 per cento. "Tenuto conto di quanto sopra premesso", si legge in calce al documento, "anche quest'anno vi saranno notevoli difficoltà per assicurare alcuni dei servizi particolarmente penalizzati". Di più: "La situazione", scrive il Dipartimento, "è aggravata dal trascinamento di notevoli debiti dei passati esercizi", i quali a quanto pare "non hanno trovato copertura nelle dotazioni di bilancio".

Parole chiare. Lapidarie. Sufficienti, insomma, per catalogare automaticamente sotto la voce 'uscite infelici' quella di Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica, secondo cui il guaio della polizia è di avere troppi "panzoni" dietro le scrivanie e pochi Rambo in strada: dichiarazione dello scorso 28 maggio, poi rimediata con scuse generiche. "Una visione distorta della realtà", la chiama uno dei sovrappeso sotto accusa: "Non siamo noi poliziotti da ufficio a essere scadenti, ma le strumentazioni che abbiamo e le strutture in cui operiamo". Caso esemplare, in questo senso, è la sede della polizia postale di viale Trastevere, a Roma, nella quale si combattono crimini tutt'altro che secondari come la pedofilia on line. Al primo piano del palazzo, solo in teoria inaccessibile agli estranei, gli uffici operativi hanno vetri blindati che non si possono aprire: "Neanche se scoppia un incendio", testimoniano i dipendenti: "Inoltre, l'areazione è quasi sempre rotta, tant'è che una collega è svenuta dal caldo". Quanto all'aspetto investigativo, "il 30 per cento dei computer risale a fine anni '90: quindi è obsoleto, lento ed esposto ad hackeraggi". Ragione per cui gli agenti, stufi di chiedere e non ricevere, si arrangiano portando avanti e indietro da casa i loro personal, "con comprensibili timori per la riservatezza dei dati".
Dopodiché tutto è possibile, nell'Italia delle polemiche. Si può sostenere, come ha fatto il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che nel bilancio 2009 la polizia ha avuto circa il 10 per cento in più rispetto all'anno precedente per le spese correnti ("Tralasciando di specificare che non si tratta di uno stanziamento aggiuntivo, ma del tentativo di sanare i buchi pregressi, più le somme per pagare gli aumenti contrattuali decisi dal governo Prodi", contestano i sindacalisti). "Si può anche continuare ad appoggiarsi sulla nostra voglia di sacrificio", provocano gli agenti, "sorvolando sugli stipendi che ci vengono pagati in ritardo". Ma certo colpisce sapere che nella capitale il commissariato Tuscolano ha solo una volante per un'area affollata da 500 mila abitanti. Dispiace sentire che, in occasione dell'ultimo G8, decine di poliziotti sono stati per ore sull'autostrada Roma-L'Aquila, senza ricevere un bicchiere d'acqua o un panino. E ancora più pesante, per il morale degli agenti di polizia, è stato quanto accaduto durante le vacanze pasquali a Napoli del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Una volta arrivati", riferisce chi c'era, "il seguito dei carabinieri ha dormito al Grand hotel Oriente, quattro stelle nel cuore della città". Per i poliziotti, invece, il budget non prevedeva l'albergo: né ad alto né a basso costo. "Li hanno portati in convento".

E qui si torna al punto di partenza: alla dedizione degli agenti, che nel 2009 "ha consentito di ridurre la delittuosità dell'11,4 per cento rispetto al 2008", usando le parole del capo della polizia Antonio Manganelli, ma anche alla penuria di finanziamenti e personale diffusa sul territorio italiano.

Allarmante, per dire, è la segnalazione del Silp (Sindacato italiano lavoratori polizia) riguardo al porto di Genova, dove "a fronte di un organico di 305 unità previsto nel 1989, operano attualmente 178 agenti": il che significa che quattro poliziotti, in un giorno, hanno dovuto controllare 1.600 passeggeri. Altrettanto condivisibili sono le preoccupazioni della polizia stradale per il comprensorio Forlì-Cesena, dove gli agenti hanno denunciato al Dipartimento di pubblica sicurezza lo "scarso livello di sicurezza" e le "sporadiche pattuglie presenti". Per non parlare di Perugia, con i poliziotti mortificati dalla "carenza di scarpe, divise e automezzi". O dell'ufficio immigrazione di Modena, dotato di 31 agenti per "gestire quasi 80 mila stranieri". O ancora, dei poliziotti in servizio nella nuovissima sede di Fiumicino, costretti a pietire il toner delle stampanti al gestore dell'aeroporto.

"Piccole cose, certo, ma enormi se accumulate una sull'altra", commenta Vittorio Costantini, segretario provinciale Siulp a Palermo. Una frase che ripete spesso, mostrando di persona le emergenze della sua città, dalle scorte in poi. C'è il commissariato di Brancaccio, zona ad altissima densità criminale, dove la mafia si combatte con un'unica volante e una sede che cade a pezzi: talmente vulnerabile da avere subìto l'assedio di familiari dei malavitosi arrestati. C'è il reparto a cavallo nel parco della Favorita, cruciale per i servizi antidroga e antistupri, che su otto animali ne ha due troppo anziani e due non montabili per tare caratteriali (dettagli sconcertanti quanto gli spogliatoi a ridosso della fogna, o i container sfondati che dovevano sostituire i vecchi uffici). E c'è, ancora una volta, il delirio dell'ufficio immigrazione, con 6 mila domande di permesso di soggiorno arretrate, un ex magazzino accanto (in uso alla questura) infarcito di topi e un cortile sommerso dalla spazzatura.

Ma la tappa più avvilente, e importante, è quella successiva: lo sfogo di due agenti della squadra mobile al tavolino di un bar. Poliziotti pieni di rabbia non per le 90 mila ore di arretrati non pagate, ma per l'impossibilità di battersi ad armi pari contro Cosa nostra. "Dopo i tagli ai finanziamenti", spiegano, "ci hanno chiesto di indagare soltanto all'interno della città. Mai fuori, senza eccezioni. Anche se tutti sanno che le famiglie dei boss si annidano nelle province".

Una beffa ai danni degli italiani, la definiscono. Un colpo basso per quei poliziotti che si dedicano giorno e notte all'antimafia. "In altre parole: il più bel regalo che lo Stato potesse fare agli eredi di Riina e Provenzano".

di Riccardo Bocca da L'Espresso

In carcere a 12 anni, ingiustamente

In Inghilterra il 2008 è stato l’anno dell’emergenza criminalità giovanile. Ma se il governo aveva pensato di risolverla con le maniere forti, ora affiorano i primi problemi: 170 bambini sono in carcere ingiustamente.

Secondo l’associazione Barnardo’s, in Inghilterra e in Galles un terzo dei minori tra i 12 e i 14 anni che sono in prigione (in totale sono 513) non hanno commesso reati gravi. Metà di loro ha subito abusi, un terzo vive con un pregiudicato e un terzo ha assistito a episodi di violenza familiare, scrive l’Independent.

Visto che nel paese l’età della punibilità è stata abbassata a 10 anni ( in Scozia a otto), ora alcuni chiedono che sia specificato che la detenzione sia limitata a chi commette reati gravi come l’omicidio o a chi ripete il reato.

Quello che è certo è che in Inghilterra e nel Galles sono detenuti circa 2.900 ragazzi tra i 10 e i 17 anni. Un numero altissimo, superato in Europa solo dall’Ucraina.

da Internazionale

Nuova influenza e vecchi complotti

“Bisogna parlarne e riderne, con il rischio di rinfocolarli? O è meglio ignorarli? Il dilemma è sempre lo stesso quando si tratta di teoria del complotto o di altri deliri cospirazionisti”, scrive il blog scientifico di Le Monde. Anche la nuova influenza ha scatenato le più fantasiose teorie.

Certo, per alcuni il virus H1N1 non è stato un terremoto. Per esempio, le grandi aziende farmaceutiche hanno firmato dei contratti molto interessanti per i loro portafogli. E alcuni politici hanno approfittato del caos momentaneo per far passare in secondo piano la crisi economica o altri problemi interni. Ma a parte qualche dietrologia giustificata, in rete è un proliferare di teorie (fenomeno, d’altronde, già registrato da più parti, tra cui Rue89).

Secondo Le Monde, della nuova influenza sono stati incolpati gli illuminati, i massoni, gli statunitensi, Obama, i nemici di Obama e un grande classico: gli ebrei.

da Internazionale

Brasile, criminal Real TV


Il caso di Wallace Souza presentatore e deputato brasiliano accusato di aver ordinato sei omicidi per alzare lo share del suo format e liberarsi dei cartelli della droga concorrenti

La sopravvivenza di un media nel circuito economico si basa su una semplice equazione: più pubblico uguale più vendite. Per la televisione, che è il mezzo di comunicazione per eccellenza, questa equazione, questa linfa vitale del commercio, è rappresentata dallo share. Più alto è lo share più un programma ha successo e, quindi, possibilità di restare on air e arricchire coloro che permettono la sua trasmissione. Per lo share si fa, e si è fatto di tutto. Si è passati dalle furibonde liti dei talk show made in USA della metà degli anni ’80 fino all’occhio del Grande Fratello che tutto sa e tutto fa sapere. I limiti del ragionamento capitalistico televisivo, per i quali il profitto viene prima di ogni altra cosa, sembravano ormai insuperabili. Non c’era da chiedere più nulla alla televisione. Fino ad oggi. Fino a che le autorità giudiziarie brasiliane non hanno aperto un’inchiesta a carico di Francisco Wallace Cavalcante de Souza, presentatore televisivo, deputato più votato nello stato dell’Amazonas ed ex agente di polizia. L’accusa è quella di essere il mandante di ben sei omicidi. Il movente è quello di trarre da questi una percentuale di share, e quindi di guadagno, notevole. Sei omicidi e sei scene del crimine sulle quali le telecamere del suo programma, opportunamente avvisate, sono arrivate prima delle altre e finanche prima delle forze dell’ordine. L’indagine, per essere più chiari, rischia non solo di portare all’incriminazione di un membro dell’assemblea legislativa dello Stato di Amazonas, bensì di rivelare anche l’ultima, questa volta si, frontiera dello show televisivo: la morte al servizio dello share.

Criminal Real Tv. “Canal livre” è il programma condotto da Souza su una TV locale brasiliana che ogni settimana, dal 1989, fa registrare picchi di share che minacciano i colossi nazionali. Il numero di spettatori incollati davanti alla televisore di casa ingloba un'ampia fetta del 1 milione e 700 mila abitanti di Amazonas. Pochi, o probabilmente nessuno, di loro avrebbero mai potuto immaginare che il loro amato format di “inchiesta giornalistica” potesse essere indicato dagli inquirenti come una copertura perfetta per i triplici interessi di Souza. Oltre che giornalista e parlamentare a capo della Sicurezza Pubblica, organo volto per lo più alla prevenzione del narcotraffico, Souza sarebbe infatti coinvolto, secondo le autorità inquirenti, in un traffico di sostanze stupefacenti gestito insieme ad ex colleghi della polizia. “Canal Livre” offriva a queste tre vocazioni del politico il giusto mezzo per ottenere il massimo dalla suo sistema: eliminare gli affiliati ai cartelli della droga concorrenti, ottenere profittevoli esclusive giornalistiche dagli omicidi commissionati e, infine, ostentare il controllo della criminalità organizzata di fronte al pubblico elettorale. La trama di quello che sembrerebbe essere il capolavoro di uno scrittore di romanzi gialli è stata svelata ieri da Thomas Vasconelos, il capo dell’intelligence della polizia locale, che in un intervista all’Associated Press ha rivelato: “L’ordine di giustiziare qualcuno è sempre partito dal deputato e dal figlio, che poi avvertivano le troupe televisive perchè arrivassero sul posto prima della polizia. Tali esecuzioni – ha specificato Vasconelos – sembra siano state ordinate per liberarsi dei suoi rivali e aumentare l’audience del suo show televisivo”.

Il personaggio. Lo scandalo che ha colpito Wallace Souza il giorno del suo quarantanovesimo compleanno (è nato il 12 agosto del 1958 ndr) è solo l’ultimo atto di una carriera professionale tinta di luci ed ombre. Nel 1979 si arruola nel corpo di polizia dal quale verrà espulso nel 1989 in seguito a diversi reati compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Nel 1987 una commissione interna lo mette al centro di un’indagine per il suo coinvolgimento in una frode su i test d’ammissione al college sulla quale stava investigando. Due anni dopo viene aperto un nuovo fascicolo nel quale sono contenute prove di una truffa pensionistica architettata con alcuni complici dell’istituto di previdenza sociale. Sempre lo stesso anno Souza è stato colto in flagranza di reato mentre organizzava dei traffici clandestini col carburante in dotazione alla sua vettura di ordinanza. Uscito con demerito dalla Polizia Souza da vita insieme al fratello Carlos a “Canal livre” che fino ad oggi lui stesso ha definito un pilastro del “giornalismo investigativo volto alla lotta al crimine e all’ingiustizia sociale”. La popolarità televisiva gli garantisce nel giro di pochi anni l’elezione a parlamentare per tre legislature consecutive. Nel corso delle ultime elezioni del 2006 Souza è risultato primo candidato nello Stato di Amazonas, ottenendoo la maggior parte dei 238.420 voti, il 17.1%, conquistati dal suo Partido Progressista.

L’immunità del Padre non ricade sui figli. Nel corso delle indagini sono finiti agli arresti dodici persone fra le quali Rafael, il figlio ventisettenne di Souza. I capi d’accusa per lui sono quelli di omicidio, traffico di droga e possesso illegale di arma da fuoco. Un reato non nuovo al giovane Rafael che già lo scorso 25 aprile era stato fermato per il possesso di una grande quantità di denaro e munizioni trovate a casa del padre e di cui il ragazzo aveva assunto la responsabilità. Per ora Rafael è l’unico che aspetterà in carcere il corso delle indagini dal momento che il padre è protetto dall’immunità garantitagli dallo status di parlamentare. Ad incastrare la “banda” di Souza sarebbe stato uno dei componenti della stessa, l’ex poliziotto Moacir Costa. Le rivelazioni di quest’ultimo avrebbero convinto il procuratore generale dello stato di Amazonas Otavio Gomez sulla presunta collusione di Souza con i narcotrafficanti. Pedro Bezerra, il publico ministero incaricato delle indagini, non ha ancora sciolto le riserve sull’incriminazione del politico a causa della mancanza di indizi necessari a stabilire una connessione con la banda. Ieri, tuttavia, è stata annunciata dalla Camera dei Deputati l’istituzione di una commissione d’inchesta speciale che potrebbe mettere in scacco il presentatore il quale contiunua a dichiararsi estraneo alle accuse. “Io sono quello che ha lanciato inchieste parlamentari sulla criminalità organizzata, il traffico di droga tra la polizia, il sistema carcerario, la corruzione e la pedofilia– ha argomentato Souza davanti ai giornalisti – Sostenere che un programma di grande successo per tanti anni risorge grazie ad omicidi premeditati è totalmente assurdo”.

di Antonio Marafioti da PeaceReporter

Cari Cattolici scendete in piazza e inCrociate i vostri sani principi

Sta a voi, adesso, care donne cattoliche e cari uomini di fede, attaccare, lottare con le unghie e con i denti, ricorrere al Tar, indignarvi, fare appelli e scrivere lettere a Signori e Monsignori, Ministre e Ministri di questo Libero e Democratico Paese. Mettetevi in Sicurezza e Protezione voi cari Giovani Benedetti: la Vita è una cosa seria. Accrescetevi e moltiplicatevi.

Fate tutto quello che potete, con tutti i mezzi e i Media in vostro possesso. Non vi mancano danari e proselitismo, ascolti e mondi globali: raschiate dal basso verso l’alto e viceversa.

Indecente! A scuola non potete essere neanche per un attimo padroni del futuro di chi va per imparare cosa è la libertà.

Ieri sera un amico giovane afghano, rimpiangeva di non esserci mai stato, i suoi primi dieci anni se li è fatti con la testa su e giù ad imparare il Corano, gli altri 15 a sbatterla contro un muro di indifferenza. Sbatteteci voi: è la vostra ora. Provate per credere e tornate a sentirvi vittime, perseguitati, come ai tempi delle Crociate.

InCrociate le dita, brandite crocefissi e martiri, partite con papamobili e somari, pregate e aprite i dibattiti. I corsi e i ricorsi, si snodano alla luce di questo Evo , infame, come i precedenti, infiorati dal Catechismo.

Non bussiamo al Regno di Dio, rimaniamo fuori, come in tante e tanti dai Corsi di Religione.

Un consiglio per Ferragosto, non fatevi aprire solo i portoni delle carceri, bussate anche a quelli dei Centri di Identificazione, anticamera dell’Inferno, e chiedete se potete ospitare quante e quanti albergano là, nel Vostro Regno dei Cieli. Poi fateci sapere chi ha vinto la corona di reginetta Miss Padania e quanto avete volato e solidarizzato per la Famiglia e la Libertà in questo caldo week end.

Perchè giù giù, la luna bussò…

E allora giù
quasi per caso
più vicino ai marciapiedi
dove è vero quel che vedi
tra le ciglia di un bambino
per potersi addormentare
c’è bisogno della luna
giù giù giù

di Doriana Goracci da Reset-Italia

Torino - Rivolte nei CIE in via Corelli e in corso Brunelleschi

Rivolta e repressione in via Corelli
Dopo avere scoperto che a moltissi di loro è stato prorogato il termine di uscita dal Centro di altri due mesi, i reclusi di Corelli hanno dato vita ad una nuova sommossa. In questo momento la polizia in assetto antisommossa sta usando gli idranti e tenta di entrare nelle gabbie. Forse alcune detenute sono state picchiate.

Ascolta la diretta su: http://www.autistici.org/macerie/

Dopo due tentativi di assalti c’è un momento di calma, poi la battaglia riprende: http://www.autistici.org/macerie/

Alla fine, la polizia riesce ad entrare nelle camerate, e ritorna “la calma”. Ci sono vari feriti e sostanzialmente non ci sono notizie delle donne: nella loro sezione c’è ancora tensione, sono terrorizzate e hanno paura di parlare. Ascoltate le drammatiche testimonianze che abbiamo raccolto alla fine della battaglia, testimonianze di due reclusi che ora sono rinchiusi in due stanze differenti su http://www.autistici.org/macerie/

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Rivolta in corso Brunelleschi

Il secondo giorno di sciopero della fame al Cpt di corso Brunelleschi è già un giorno di rivolta. Dopo aver rifiutato il cibo a colazione e a pranzo, i reclusi nel pomeriggio cominciano a gridare tutti assieme «libertà! libertà!». Esasperati dalle condizioni di reclusione, preoccupati per la salute di alcuni reclusi svenuti per i primi effetti dello sciopero della fame, in contatto con il centro di via Corelli a Milano in lotta da giorni, resisi conto che l’estensione a 180 giorni di reclusione li colpisce direttamente, dentro cominciano a spaccare il primo ostacolo che li separa dalla libertà: le porte. Intanto, a rincuorarli, fuori dal Centro si forma un rumorosissimo presidio di solidali. La polizia, che da ieri gira in tenuta antisommossa, carica. E per ben due volte i reclusi tengono, non fuggono, resistono. Alla terza carica la polizia e i militari riescono a sfondare, e picchiano giù duro. Nel frattempo, il presidio fuori si disperde, assediato da poliziotti e alpini. In serata, la situazione si tranquillizza, e la polizia vuole l’ultima parola, con una specie di perquisa con cani e macchine fotografiche.

Ascolta le dirette su: http://www.autistici.org/macerie/

da Indymedia

L'italia è un paese sempre più razzista

A denunciare l'episodio di razzismo un congolese impiegato
in un hotel di Latina. Ma tra chi ha sentito nessuno si fa avanti

Un cliente lo chiama "sporco negro"
l'azienda non gli crede, lui si licenzia

La direzione: è una "vicenda personale", non ci sono prove

LATINA - Un cliente dell'albergo di Latina dove lavorava come responsabile del personale lo chiama "sporco negro", la direzione dell'hotel non gli crede e si licenzia. E' accaduto sabato scorso ad un cittadino congolese di 37 anni, Ali Shadadi, in Italia dal 1997, mediatore culturale e regolarmente impiegato in un hotel del capoluogo pontino. L'uomo ha raccontato la vicenda in una intervista a www.articolo21.info.

La storia. L'uomo ha raccontato di essere stato avvicinato da un abituale cliente dell'albergo che, svegliatosi tardi, chiedeva di mangiare anche se la cucina era ormai chiusa. Di fronte al diniego il cliente ha alzato il tono della discussione: "Possibile che per mangiare io debba chiedere a te, un negro. E' per questo che l'Italia non va avanti, perché iniziano a comandare i negri". Arriva addirittura a strattonare Ali e a minacciarlo davanti al personale dell'albergo e ad altri clienti dicendogli "ho una pistola". Il cittadino congolese, impaurito e ferito nella dignità, si è rivolto alla direzione della struttura: "Questo cliente è scomodo, si può allontanare?" e si è sentito rispondere che si trattava di una "vicenda personale" della quale comunque non c'erano prove. Dopo aver denunciato l'accaduto alle forze dell'ordine, non ricevendo solidarietà dai suoi datori di lavoro, ha deciso di licenziarsi: "Non si può far finta che nn sia successo niente, la dignità non si può comprare".

da Indymedia

A vincere si prende gusto ! - Resistenza Operaia

Innocenti, Breda, Falck, Magneti Marelli, Pirelli, Alfa Romeo, O.M.,Sit-Siemens, Borletti...Ci fermiamo qui, ma l'elenco potrebbe andare avanti a lungo!Questa era la Milano delle fabbriche e degli operai. Una Milano rude, ma solidale. Una città di conflitti durissimi, ma capace di progettualità. Una metropoli aperta e vitale...e non livida, impaurita e rinchiusa in se stessa come oggi. Allora gli immigrati erano i "terun". Oggi sono stati rimpiazzati da altri, ma la storia è sempre la stessa. Facili capri espiatori da additare per tutti i mali perché i veri responsabili continuino a farla franca. Ma poi si sa... E' arrivata la ristrutturazione industriale di fine anni'70 ed i padroni hanno deciso di farla finita con quei "rompicoglioni" delle tute blu. Lentamente, una dopo l'altra, le fabbriche hanno chiuso. Soppiantate da centri commerciali, call-center, atelier di moda e tanti altri elementi della famosa "produzione immateriale". Gli operai sono stati spezzati nella loro unità e sono scomparsi dalla scena politica. Ovviamente, non hanno cessato di esistere, visto che di fabbriche, specialmente in Lombardia, ce ne sono ancora tantissime. Semplicemente non si parla più di loro. Se non quando muoiono in massa alla Thyssenkrupp di Torino o quando qualcuno di loro viene arrestato con fantasiose imputazioni da anni '70. Il mondo del lavoro è scomparso dal dibattito pubblico, come se la gente per vivere, avesse trovato modi diversi dal lavoro! Ma... Ma c'è un ma...


Là dove c'era l'Innocenti con i sui 4.500 operai, tra speculazione edilizia, ponti della tangenziale, enormi capannoni abbandonati c'è una spettacolare realtà produttiva che ancora resiste. Si tratta della Innse-Presse di Via Rubattino 81. Un azienda metalmeccanica di qualità, capace di produrre elementi del razzo Arianne del Progetto Spaziale Europeo e tristemente ridotta all'osso dall'ignavia dei vari padroni che si sono succeduti negli anni. Già... I padroni italiani... Grandi specialisti della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite. Gente priva di qualsiasi idea, pronta a puntare solo su appetitosi progetti edilizi (Pirelli Real Estate insegna) e su ardite operazioni finanziarie. Che tanto poi a pagare son sempre gli altri! Personaggi come Genta... Della serie "prendi i soldi e scappa". Un imprenditore (?) patrocinato dalla Lega Nord e dall'ex-Ministro Castelli (ma la Lega non era il nuovo partito degli operai?). Uno che ha comprato una fabbrica per 700.000 euro e dopo due anni ha pensato di fare come tanti altri chiudendo la fabbrica, mandando a casa i lavoratori, licenziandoli con un telegramma, rivendendo i macchinari e speculando sui terreni. Sembrava un gioco da ragazzi e invece gli è andata male! Perché è incappato nei magici 50 poi purtroppo divenuti 49 dell'Innse... 16 mesi fa davanti a quei cancelli eravamo davvero pochissimi, il sindacato completamente assente, e poca la capacità di comunicare con il resto della città. Di settimana in settimana la solidarietà cresceva e la gente circolava, davvero pesante l'assenza di partiti, sindacati e istituzioni. Volantini, iniziative, presidi, cene, magliette spille, tutte quelle cose che si fanno per una campagna di difesa di un posto di lavoro. In brevissimo tempo arriva Febbraio e le notizie non promettono bene. Siamo nel mezzo del periodo infuocato successivo allo sgombero di Conchetta che vedrà sfilare a Milano due cortei da 10.000 persone e la rioccupazione del centro sociale. Genta vuole entrare, prendersi le sue macchine e iniziare a smantellare l'officina. Iniziano i famosi 3 giorni di Febbraio, nella notte del 10 vengono alzate delle barricate, alcune vengono infuocate per scaldarsi ma sopratutto per dare un segnale alla Questura. In università l'Onda sta scendendo, ma abbiamo bisogno di rilanciare: bisogna essere in tanti e sopratutto bisogna bloccare Genta e la Polizia.

La mattina del 10 Febbraio alla 4 e 30 davanti ai cancelli della Innse siamo 300, il gruppo più numeroso, dopo gli operai, è quello degli studenti, oltre un centinaio. Quella mattina in maniera coordinata Genta venne bloccato, dopo diverse cariche e spostamenti improvvisi e tentativi di sfondare il cordone della Polizia, Genta viene bloccato e se ne torna a Torino con i suoi camion vuoti. Da lì inizia un periodo di riorganizzazione: "La prossima volta verranno più determinati i poliziotti" si dice al presidio. Fino a Giugno accadono un paio di scaramucce causate da Genta, che con iniziative personali si presentava ai cancelli con i suoi gorilla ma veniva sempre respinto. Noi continuiamo le riunioni del coordinamento per la Innse e le iniziative di solidarietà. Verso i primi di Luglio arriva la notizia che Genta vuole entrare di nuovo, così ci organizziamo per resistere un'altra volta. A fine Luglio il sindacato fa sapere che si può andare in vacanza, la regione assicura che non succederà niente.

Il 2 Agosto si presentano le "Forze dell'ordine". Sono decisi a proteggere lo smantellamento dell'officina, sgomberano il presidio permanente e occupano tutti gli ingressi. Non fanno i conti però troppo bene: quella fabbrica ha mille accessi e gli operai ci lavorano da oltre 30 anni. Nei 16 mesi di presidio permanente erano stati studiati più piano antisgombero, e così come per magia 4 operai accompagnati da un dirigente sindacale riescono a salire sulla gru del carroponte e bloccare i lavori. Da lì è storia dei nostri giorni: il presidio permanente sotto il sole di Via Rubattino, le scaramucce ai cancelli, le manganellate sulla Tangenziale Est, i presidi in Prefettura che poi si spostano lungo le vie della città accaldata, le mille voci, gli sbirri accaniti e quelli che si vergognano di quel che stan facendo. E poi la trattativa con le sue fasi di stasi e le brusche accelerazioni. Fino al brivido di ieri sera: "Hanno firmato!!". I cinque che scendono e, riemergendo dal buio, compaiono ai cancelli festeggiati come astronauti di ritorno dal viaggio sulla Luna. Gli slogan, le torce, i compagni che si riprendono il presidio, l'enorme striscione "Hic sunt leones", gli sbirri che abbassano lo sguardo e circospetti alzano i tacchi per andarsene.

Una vittoria insomma.

Parziale e non definitiva. Ma pur sempre una vittoria. Contro l'arroganza della speculazione, della finanza e del dio denaro. Per la dignità.

...Ed è proprio vero che a vincere ci si prende gusto!


da Infoaut

Bum, bum … chi è? La polizia …

Storia di una volgare e pericolosa provocazione della polizia ai danni di un militante del Centro Sociale Rivolta di Marghera.

La polizia preleva un ragazzo rumeno, attivista del Cso Rivolta, già con l'obbligo di dimora nel comune di Venezia per l'inchiesta sugli incidenti durante il G8 Università a Torino, portandolo in commissariato, sottoponendolo ad un anomalo e strano colloquio. Oggi durante la conferenza stampa davanti al commissariato la Questura nega che l'episodio sia mai successo.
Si sono presentati al calar della sera, appena scende l'ultima luce, hanno detto di essere poliziotti e di seguirli, erano in quattro, in borghese. Lui pensava fosse per qualche notifica in relazione agli arresti e all'obbligo di dimora a cui è costretto per l'inchiesta sugli incidenti alla manifestazione contro il G8 Università a Torino. In commissariato lo hanno messo in una stanza, un computer davanti con le immagini della manifestazione del 4 Luglio a Vicenza e subito sono partite le accuse, le richieste di riconoscimento.

Mezz'ora di vecchi e sani metodi da buon poliziotto navigato; se crolli abbiamo un nuovo collaboratore altrimenti una buona lezioncina per far capire l'aria che tira ... ... un'aria di paura.

No questo non è un racconto, una storia di fantasia, questo è quello che succede in una calda serata di agosto nelle strade di Marghera e nel commissariato di Mestre, una brutta storia da raccontare.

Nel caldo agostano si rifanno vive pratiche e mezzi da sempre appartenuti a istituzioni e corpi dello stato; il decreto sicurezza e le istanze, o meglio i mal celati desideri, di ordine e giustizia di partiti, movimenti di opinione e magistratura hanno riattivato quel magma, melmoso e maleodorante, mai veramente raffreddato e sopito in questo paese.

Se l'inchiesta di Torino del procuratore Caselli, sulla manifestazione dell'Onda per il G8 dell'Università è stato il primo tentativo di suggerire e ridisegnare scenari, assai vecchi, che coinvolgano e criminalizzino i movimenti, ora come non mai sembra essere tornato il tempo del gioco sporco, della minaccia, dell'intimidazione che coinvolgano per primi quelli ritenuti più deboli, più facilmente colpibili.

Un ragazzo rumeno è chiaramente sempre un buon motivo, che sia per un'inchiesta giudiziaria o per dare un buon esempio e, in caso scoppiasse la grana, una buona giustificazione: avrà capito male, avrà frainteso, o peggio si è inventato tutto.

E' rumeno, immigrato ma non stupido; conosce il valore delle parole e delle persone, tanto da passare le serate d'inverno a fare l'operatore di strada per i senza fissa dimora; ne tanto meno lo sono i suoi compagni, i suoi amici e i suoi avvocati, che si sono subito mobilitati, per difendere la sua e la nostra libertà.

Il suo e il nostro diritto a non aver paura del futuro della vita e di ogni vero o falso poliziotto che prova a negarcele.

da Infoaut

Venezia, pochi soldati e zero ambulanti

In giro per la città, fin dal mattino, per capire l'effetto - agghiacciante - che può fare vedere il posto in cui vivi, militarizzato. Ne incrociamo due solo dalle parti del tribunale, ma l'idea della militarizzazione basta e avanza. La locandina di un giornale locale urla: «Militari in Piazza San Marco ma il grande bivacco continua», come se fossero da militarizzare pure i flussi turistici. Più che comprensibile in un paese, l'Italia di oggi, dove tutto viene risolto in emergenza per manifesta incapacità di governare, di amministrare. Poi però, che il bivacco di turisti in piazza continui è più che comprensibile: provate a guardare i prezzi negli immediati e anche non immediati dintorni di San Marco e poi dite se non bivacchereste pure voi. Già, perché a Venezia anche il turista, non solo l'ambulante extracomunitario, è un nemico, da maltrattare e turlupinare. Ci sono delle eccezioni, certo, ma spiccano proprio perché rare. C'è una frase del Cacciari politico che andrebbe scolpita sui masegni di Piazza San Marco: i veri nemici di Venezia sono i veneziani. Per questo, allora, i veneziani se ne sono trovato un altro, di nemico, un obiettivo facile da additare prima e perseguitare poi. Gli ambulanti, da cacciare via in ogni modo possibile. E per oggi la Venezia militarizzata sembra avercela fatta. Almeno nella zona che va da San Marco a Riva degli Schiavoni.
Secondo giorno dei soldati in laguna, voluti dalla nuova presidente della provincia, la populista e xenofoba (leghista) Francesca Zaccariotto, ai quali ha deciso di aggiungere la sua polizia provinciale, e per tale decisione è stata denunciata in procura dal consigliere regionale dei verdi Gianfranco Bettin per abuso e omissione d'ufficio, visto che quei poliziotti sarebbero destinati ad altre mansioni. Ma si sa, questo paese si nutre ormai solo di demagogia, di terrore inculcato ai cittadini in dosi massicce, e allora ecco che il più grande problema di Venezia, sono gli ambulanti extracomunitari. Più che un problema. Sono il male assoluto, la rovina definitiva della città, sono il peggio possibile e perciò vanno combattuti con tutte le armi. Armi vere, stavolta. Quelle dell'esercito. Non serve essere assennati e abitarci, a Venezia, per sapere che tutto ciò è pura invenzione di un partito, la Lega, che non parla nemmeno più alla pancia della gente. Si rivolge più giù, alle parti basse. È con quello che tanti italiani sembrano ormai «ragionare», veneziani compresi. La città veneta da sempre considerata anomala perché aperta - rispetto alla chiusura del Veneto profondo, laddove la Lega spopola - anche lei pare aver ceduto. Le categorie che dominano la città - commercianti e gondolieri su tutti - si sono schierate apertamente. Fanno campagna elettorale per il centrodestra. L'anno prossimo si vota a Venezia e nel Veneto.
I gondolieri, poi, stanno vivendo il loro quarto d'ora di gloria per aver soccorso un ragazzino spagnolo, ferito leggermente, investito dagli ambulanti messi in fuga l'altro giorno dal vigili urbani. «Non hanno paura più di niente», hanno sentenziato. «È ora di finirla con questi irregolari, ben vengano i militari». A dar loro man forte i commercianti, soprattutto quelli della zona di Piazza San Marco e i bancarellari di Riva degli Schiavoni. «Irregolari», li definiscono. Già. Vendono borse contraffatte e alcuni di loro sono pure clandestini, certo. Ma c'è da domandarsi se sia invece regolare fare un lavoro - quello del gondoliere - per il quale non si stacca mai uno scontrino o una ricevuta (dichiarano dai 5 ai 15 mila euro all'anno, i poveretti). Oppure se è regolare vendere le magliette di calcio tarocche, le maschere fatte in Cina e spacciate per artigianato locale, se è regolare far pagare una bottiglietta d'acqua minerale sei euro. Se è regolare vendere in negozi regolari le stesse borse contraffatte degli irregolari. C'è da domandarsi se è regolare vedere solcare la fragile laguna da quei mostri marini che sono le navi da crociera, che spostano là sotto tonnellate d'acqua e devastano i fondali e le rive, oppure se è regolare veder sfrecciare i taxi (dalle tariffe esorbitanti) e ogni altro tipo di imbarcazione «regolare» come se i canali di Venezia fossero delle autostrade senza limiti di velocità.
Va detto però che c'è un responsabile della caccia all'ambulante. C'è chi li ha portati alla luce come un'emergenza. È il vice sindaco del Pd Michele Vianello che poco più di un anno fa ha innescato una vera e propria caccia all'uomo nei confronti degli ambulanti. Oggi, sembra quasi fare finta di niente quando - giustamente - sottolinea i dati del ministero dell'interno che dicono come Venezia non rappresenti affatto un'emergenza e quindi non ha bisogno dei militari. E un anno fa, quando si è messo a giocare allo sceriffo? Questo è il prezzo che si paga quando il centrosinistra scimmiotta la Lega. Come fa il sindaco di Padova Zanonato, che è stato rieletto, certo, ma solo perché la Lega, a Padova, ha boicottato il candidato della destra. Altrimenti non ci sarebbe stata partita. E oggi è l'unico sindaco del centrosinistra ad avere detto sì alle ronde. Nemmeno Gentilini è arrivato a tanto.
Scriviamo, qui in Riva degli Schiavoni, e degli ambulanti, sono le quattro del pomeriggio, non c'è traccia alcuna. Ha vinto la xenofobia, oggi, e domani sarà il trionfo della demagogia. Proclami, esibizione dei muscoli. Poi, fra qualche giorno, tutto tornerà come prima, perché guai a risolverla - certo, con tutt'altri mezzi - la questione ambulanti. Gli xenofobi della Lega non avrebbero più ragione di esistere. Anche i veneziani, dunque, si sono trovati il classico capro espiatorio. E mai nessuno che racconti questa vicenda dall'altro punto di vista, quello di questi ragazzi che la paura, il terrore, ce l'hanno sul serio. Lo leggi nei loro occhi quando scappano, quando si nascondono in una calle e tremano come foglie. A volte vanno addosso a qualcuno, certo, ma bastava non creare ad arte il clima di terrore cui sono sottoposti da più di un anno. Così, oggi, per la gioia di molti, anche Venezia è entrata di diritto dentro al più profondo nord. Quello populista e xenofobo. Sarà capace di uscirne?

di Roberto Ferrucci da Il Manifesto