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sabato 29 agosto 2009

SAGRA DELL'APOLOGIA DI REATO

Prove tecniche di libertà d'espressione

L'iniziativa è davvero originale. E' stata lanciata su facebook da Gruppo Anarchico!

Inizio:
sabato 29 agosto 2009 alle ore 16.10

Fine:
lunedì 14 settembre 2009 alle ore 19.10

DESCRIZIONE

L'illegittimità dell'apologia di reato costituisce un forte freno, potenzialmente devastante se interpretata in maniera restrittiva, alla nostra libertà d'espressione. Postate come commenti le vostre apologie di reato, sostenete le peggiori nefandezze...io al massimo sono responsabile di apologia di apologia di reato.

Ritratto di signora: incontro con Suad Amiry


La scrittrice palestinese si racconta, combattendo l'occupazione con l'arma più temuta: un'intelligente ironia

Ironico, pungente, diretto, che non si abbandona al vittimismo ne all'autocommiserazione, il libro Sharon e mia suocera (ed. Feltrinelli, 2003) rispecchia appieno il carattere della sua autrice, la palestinese Suad Amiry.

Questo eclettico personaggio della scena culturale locale é una rifugiata orginaria di Jaffa, cresciuta tra Giordania e Siria, che è tornata a vivere a Ramallah nel 1981; è un architetto donna che si occupa di creazione di impiego nei villaggi di campagna; membro della delegazione palestinese ai colloqui pre Oslo (1991-93) e disillusa dai negoziati, ora combatte la sua battaglia aiutando le comunità rurali; e' una donna in menopausa che trabocca di energia e buonumore a differenza della sua amata terra, e ha addirittura un cane, animale impuro per la religione musulmana, che riesce a mimetizzare grazie all'aspetto da roditore.

Suad definisce la Palestina "terra in menopausa", in quanto sta attraversando quel periodo della vita in cui si stila il bilancio di cio' che si e' fatto, e l'idea che lei ci da' e' che interpreti questa difficile tappa come occasione da cui trarre nuova forza e consapevolezza per reinventarsi umanamente e professionalmente.
Entrando nella sede di Riwaq, centro di restaurazione e conservazione degli edifici storici fondato da Suad Amiry nel 1991, incontriamo una delegazione della International Women's Commission (Iwc), formata tra l'altro da Luisa Morgantini, ex vice presidente del Parlamento Europeo e l'ex Ministra degli Affari Esteri islandese, Ingibjorg Solrun Gisladottir. Suad cerca di far adottare alle signore europee qualche villaggio palestinese in modo da finanziare il restauro degli edifici storici abbandonati o in disuso. Ad Ottobre RIWAQ sara' presente alla Biennale di Venezia con un progetto intitolato "A geography: 50 villages", luoghi in cui la Amiry ha attivato progetti di recupero architettonico.

La battaglia di Suad riguarda la preservazione dell'identita' grazie all'architettura tramite il restauro del patrimonio culturale palestinese e la creazione di spazi di aggregazione alternativi alle moschee - "spesso unici punti di accesso culturale nei villaggi"- che siano a disposizione della comunita' intera, sottolinea Suad. "Il governo israeliano dal '48 al '51 ha raso al suolo 420 villaggi palestinesi", dice, "cancellando ogni traccia dell'esistenza dei palestinesi in quello che sarebbe poi diventato il territorio israeliano". Il principio sul quale si fonda Riwaq e' Riabilitazione attraverso la creazione di impiego: Riwaq offre il finanziamento e la supervisione del restauro di un edificio ad associazioni o ONG esistenti sul territorio a costo zero, dando cosi' lavoro ai numerosissimi dispoccupati delle zone rurali e utilizzando per la maggior parte materiale di costruzione locale. A Suad risulta relativamente facile scrivere un libro: "quando scrivo un libro lo concepisco come un edificio, cerco sempre di mostrare la complessita' dell'identita', voglio essere sicura di considerarmi multiculturale".

Paragona se stessa alla Palestina "abbiamo un carattere complesso" dice, "spesso i politici semplificano e purificano questo carattere per negare o togliere i diritti che spettano a tutti gli individui". Sostiene che la riduzione di un individuo ad una etichetta di appartenenza perpetua quegli stereotipi che deumanizzano le persone.
La Amiry ha partecipato nel '91 e '93 ai colloqui di pace presso il Dipartimento di Stato a Washington come unico membro donna della delegazione palestinese: "ho ricevuto una chiamata, ero spaventata, ma ho accettato. Hanno scelto me come membro della PLO, ma anche perche' ero attiva mantenendo il mio lavoro di architetto come attivita' principale". "Ho avuto la possibilita' di vedere come pensano gli israeliani, e cio' che posso dire di quei due anni, e'che sono stati una perdita di tempo, non erano seri riguardo alla negoziazione. E' stata comunque una delle esperienze piu' intense che abbia mai vissuto ", e magari, ci dice, scrivera' un libro dal titolo Un punto di vista femminile sulla politica.

A Suad non piacciono gli stereotipi che troppo spesso caratterizzano i Palestinesi: "non voglio essere un simbolo di morte, ma di vita. Nella mia scrittura cerco di mostrare che esiste un popolo che vuole vivere in modo semplice, andare al cinema, passeggiare, vivere". "Sono legata ai dettagli, alla texture (trama) della vita. Un bambino che non puo' andare a scuola per me e' una notiza piu' importante rispetto ad Hamas che ha fatto questo o quello". Dalle alte sfere della politica alla vita semplice dei palestinesi Suad non ha cambiato la sua visione degli stereotipi: "come Palestinese ho sempre sofferto a causa di essi. La generazione della PLO ha speso il suo tempo a dire siamo vittime dell'occupazione. Gli stereotipi sono uno degli strumenti principali delle occupazioni, l'abbiamo visto in Vietnam ed in Sudafrica ad esempio. Quando scrivo cerco si enfatizzare quanto gli esseri umani siano simili: simpatia ed empatia sono estremamente importanti per realizzare che cio' di cui ho bisogno io corrisponde a cio' di cui ha bisogno l'altro".

Le chiediamo se il distruggere gli stereotipi e' il motivo per cui i suoi libri sono tanto famosi e Suad ci risponde che non pensava che il suo primo libro, Sharon e mia suocera, avesse un pubblico di lettori tra i suoi connazionali, in quanto tutti i palestinesi vivono le stesse esperienze di occupazione, corpifuoco, impossibilita' di vivere una vita quotidiana semplice proprio come lei. Afferma di aver imparato che: "che cio' che esce dal cuore va diretto al cuore del lettore".
Per questo nel suo libro "Niente sesso in citta'" la Amiry racconta storie personali di sue amiche attive nella PLO, tutte nel periodo della menopausa, come la Palestina: " la situazione della PLO e'che ha perso potere a vantaggio di Hamas, che ora si propone come la PLO negli anni '70, con la solo differenza della componente religiosa. Io e le mie amiche dobbiamo rivalutare la nostra vita e in questo momento il sesso e' altamente simbolico, come per Hamas, che vorrebbe una societa' religiosa conservativa in cui il sesso e' bandito".

Chiediamo alla Amiry come sia cambiato il ruolo delle donne dagli anni '70 ad oggi e ci risponde che " le attivita' per la liberazione della palestina erano connesse con quelle della liberazione delle donne. Molte di noi erano politicamente attive nella PLO, specialmente quelle appartenenti al DFLP e al partito comunista, ma non in quanto femministe, solo come politiche". Sostiene che nel processo di liberazione della terra si vada incontro alla liberazione della donna in quanto e' spinta a muoversi, viaggiare e conoscere. Sottolinea che le donne di cui si parla sono sempre di classe medio borghese, che, nonostante dicano di rappresentare la classe proletaria, hanno agende politiche e sociali corrsipondenti ai propri bisogni e legate alle loro possibilita'. Si definisce piu' simile ad una donna italiana per via del suo grado di istruzione, delle possibilita' di conoscere e viaggiare e per lo standard di vita, che non ad una di Hebron: "probabilmente dando a lei le stesse opportunità di educazione e di viaggiare avremmo molti più punti in comune."
"Ora le donne sono piu' qualificate e specializzate, non hanno un interesse spiccato per i temi generali, ora c'e' un vuoto, ed e' il prezzo che dobbiamo pagare". Aggunge che"questo vuoto cerca di essere riempito da Hamas, dalla sua agenda politica attenta al sociale.Le donne di Hamas sono molto attive nel mobilitare la gente, il loro credo e' Dio, per noi erano Marx o Mao Tse-tung".

La Amiry crede nei partiti politici, senza i quali non puo' avvenire alcun cambiamento, ma dice che "stiamo vivendo la fine di un'era. L'UnioneSovietica e il Socialismo sono crollati, ci e' voluto molto tempo per capire cosa stesse succedendo.Tutti parlano di Hamas ma nessuno menziona il DFLP, il PFLP o il partito comunista. Abbiamo bisogno di nuovi movimenti che si propongano come alternativa, il movimento delle donne si e' disperso".
Chiediamo alla scrittrice se crede in Obama e lei sorridendo ci risponde che Obama rappresenta la nuova era, l'alternativa che nominava prima. Descrive il neo presidente americano come qualcuno che ha capito che il mondo e' cambiato: " i nostri cervelli colonialisti devono accettare questi cambiamenti. Obama e' il presidente delle nuove realta', riassume in se' tratti diversi, e' multiculturale, multi strato come un vero statunitense". "Dimentichiamoci della Palestina" dice provocativamente "non mi importa della Palestina, quando e' arrivato Obama ho pensato all'Iraq, agli afroamericani negli USA, la mia terra non e' l'unico argomento al mondo. Si' sono molto ottimista riguardo al futuro dell'umanita' non solo per la Palestina".

Ines Gramigna e Virginia F. da PeaceReporter

Argentina, nuovi metodi di lotta alla droga


La Corte Suprema di Buenos Aires: "Uso personale di marijuana non è più illegale"

Un intero continente, quello americano, da molto tempo ha dichiarato guerra alla droga. E ai cartelli che ne controllano produzione e vendita.

Dalla Colombia al Paraguay, passando per Argentina e Bolivia e arrivando fino in Messico, montagne di marijuana e cocaina invadono le strade di ogni paese dell'area. In tutto il continente, isole comprese, è facilissimo acquistare un po' d'erba da fumare. Purtroppo non è difficile nemmeno trovare qualche grammo di cocaina pura da sniffare. I prezzi sono bassi e la percentuale di giovani che si approcciano per la prima volta alla droga (sia essa pesante o leggera) aumenta ogni anno. I metodi usati finora per cercare di contrastare produzione e vendita di sostanze stupefacenti sono stati quasi inutili. Il proibizionismo, ad esempio, ha fallito. I mega finanziamenti e i progetti Usa (vedi Plan Colombia) si sono rivelati inutili: la roga circola ancora e sempre in maggiori quantità. Che fare, dunque? L'unica via da seguire sembra essere quella di legiferare in materia e giungere a una sorta di legalizzazione delle droghe, soprattutto quelle leggere. Diverse nazioni hanno già preso una decisione. Come l'Argentina. Buenos Aires, infatti da oggi dichiara guerra alla droga facendo in modo diametralmente opposto a prima. La Corte Suprema infatti ha deciso: il possesso di marijuana per uso personale non sarà più illegale e quindi perseguibile dalla legge. Secondo la Corte "Ogni adulto è libero di decidere per la sua vita senza l'intervento dello Stato. Lo Stato non può stabilire cos'è morale e cosa non lo è" e per questo non è costituzionale perseguire chi fa uso di marijuana.

Altri Paesi hanno già più o meno deciso di seguire la stessa strada. Alcuni lo stanno già facendo. Come ad esempio il Messico (conosciuto come uno dei maggiori produttori di ganja del pianeta). L'amministrazione messicana si è addirittura sbilanciata è ha legiferato anche su droghe pesanti. Da qualche tempo in Messico detenere 5 gr. di erba, 0,5 gr. di eroina, 0,4 gr. di cocaina e qualche grammo di oppio non è più reato. La volontà era quella di non punire più il consumatore finale e alleggerire le forze si sicurezza da compiti di minore importanza per concentrarsi sulle indagini per scovare i grandi narcotrafficanti. Ecuador e Brasile hanno già fatto sapere di voler valutare la situazione ma che le decisioni come quella argentina sono fra le più positive.
E non va dimenticato come nei mesi scorsi il governatore della California, uno degli stati Usa dove dal confine messicano entra più droga, Arnold Schwarzenegger, aveva ipotizzato una nuova legislazione in materia di marijuana spiegando l'intenzione di voler tassare la coltivazione, il commercio e l'uso di cannabis, così da rimpinguare facilmente in modo veloce le casse dello Stato da lui governato.

"Forse il motivo principale che ha spinto uno stato come il Messico a una revisione così radicale del tema droghe è stata la violenza. Si è fatta troppo visibile e feroce e negli ultimi anni la lotta fra bande di narcos e lo stato centrale ha assunto i connotati di una vera e propria guerra. Combattuta senza esclusione di colpi e con l'uso frequente di armi da guerra" dice Pietro Moretti, vicepresidente dell'Aduc, l'associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori. "E' stato giusto pensare a soluzioni diverse dal proibizionismo, mentalità fallita. Ed è giusto rivalutare i danni. Fa più male uno spinello o stare in carcere per pochi grammi di erba? Nel secondo caso il danno è maggiore perchè si rovina la vita a un ragazzo e alla sua famiglia. Il suo futuro è compromesso. Legiferare in materia di droga e ripensare al tutto sarebbe più positivo. E poi oggi - continua Moretti - la lotta alla droga oggi è visto anche come un argomento di politica internazionale".

di Alessandro Grandi da PeaceReporter

Caro Silvio, adesso denunciaci tutti. Appello per la libertà di stampa


Caro Silvio Berlusconi.

Noi sottoscritti, cittadini italiani, pretendiamo che lei, Presidente del Consiglio dei Ministri, risponda alle domande che Repubblica le sta ponendo da mesi. Riteniamo che per il ruolo che lei ricopra abbia il dovere di fornirci chiarimenti e non di denunciare chi da lei vuole avere delle semplici risposte. Noi cittadini, infine, a seguito della sua denuncia, lanciamo questo appello. Che tutte le radio, che tutti i siti, che tutti i blog, che tutti i giornali anche quelli più distanti e che odiano lo stile giornalistico di Repubblica decidano assieme di ripubblicare le 10 domande perché quello che accade oggi a Repubblica potrà capitare a chiunque.
E allora, caro Presidente del Consiglio, adesso denunciaci tutti!!

Dear Mr. Berlusconi,
being our First Minister, Italian's citizen expect that you answer to the questions that the Daily “Repubblica” is asking you since several months.
We think that for the role you fill you must give us explanations and you have not to inform against who wants to have only answers.
Following your complaint Italian's citizen appeal all radios, web sites, blogs, newspapers, even far from us, and even those who doesn't like Repubblica's journalistic style to decide on publish this ten questions, because what is happening today to Repubblica could happen to whoever. At now, dear Mr. Berlusconi, inform all of us!!

(FIRMA L'APPELLO, ANCHE IN INGLESE PER I CITTADINI EUROPEI) / E' la prima volta, in Europa, che si censurano delle domande – di Giuseppe Giulietti / LIBERTA' DI STAMPA, L'APPELLO DI TRE GIURISTI SU REPUBBLICA



da Articolo21

Crisi alimentare in Kenya. L'Onu lancia l'allarme


L`Organizzazione delle Nazioni Unite per l`alimentazione ha lanciato un allarme sulla gravissima crisi alimentare causata dalla scarsità di piogge che sta colpendo il Kenia, sollecitando aiuti per 230 milioni di dollari per sfamare nei prossimi sei mesi quasi quattro milioni di kenioti, cioè un decimo circa della popolazione del Paese africano. "Ci sono campanelli d`allarme in tutto il paese" dice Burkard Oberle, direttore del Programma Alimentare Mondiale (WFP) del Kenia. "La gente sta soffrendo la fame e la malnutrizione colpisce sempre più bambini piccoli; il bestiame muore. La nostra è una sfida davvero grande perciò sollecitiamo la comunità internazionale affinché ci fornisca i mezzi necessari per potercela fare", ha aggiunto ancora Oberle.


Attualmente, il WFP sta fornendo assistenza alimentare a 2,6 milioni di persone in Kenia colpite dalla siccità e spera di poterne aiutare altre 1,2 milioni.
Molte regioni del Kenia sono state colpite da diverse stagioni consecutive di siccità e si presume che le condizioni peggiorino ulteriormente. I pascoli e l`acqua per il bestiame sono rapidamente in calo e il governo prevede inoltre che il principale raccolto di mais sarà ridotto di quasi un terzo rispetto alla media dei cinque anni precedenti.
La popolazione keniota maggiormente colpita è dovuta ricorrere a misure drastiche come ridurre il numero di pasti giornaliero, mangiare cibi più economici e di scarso valore nutritivo, migrare verso i centri urbani e accollarsi ingenti debiti.
In alcune aree, la percentuale di grave malnutrizione in bambini al di sotto dei cinque anni d`età supera il 20 per cento, molto più della soglia di emergenza stabilita al 15 per cento.
"La vita non è mai stata facile per i poveri del Kenia, ma ora le condizioni sono ancor più disperate di quanto non lo siano state nell`ultimo decennio" sottolinea Burkard Oberle. "L`obiettivo del WFP", continua Oberle, "è di aiutare approssimativamente un keniota su dieci ad affrontare questa gravissima crisi, ma non lo possiamo fare senza soldi." L`agenzia ONU spera inoltre che l`afflusso di fondi permetterà di estendere ad altre centomila unità il programma di alimentazione per le scuole raggiungendo così 1,2 milioni di bambini.
Attualmente, seguendo un proprio piano interno, il governo keniota garantisce il pranzo scolastico a circa altri cinquecentomila giovani.
In tutto il Corno d`Africa, il WFP si trova ad affrontare carenze di finanziamenti, tra i quali più di 160 milioni di dollari per la Somalia e quasi 100 milioni per l`Etiopia.
Il mese scorso, Josette Sheeran, Direttore Esecutivo del WFP, ha reso noto che milioni di persone che soffrono la fame in varie parti del mondo non riceveranno quest`anno aiuti alimentari a causa di un "pericoloso e senza precedenti" deficit di bilancio di tre miliardi di dollari.
Quest`anno, il WFP spera di fornire assistenza alimentare a 108 milioni di persone in 74 Paesi, ma prevede di ricevere solamente 3,7dei 6,7 miliardi di dollari necessari per il 2009.

da http://africa.blog.ilsole24ore.com/2009/08/crisi-alimentare-in-kenya-lonu-lancia-lallarme.html

I pm Ingroia, Marino, Scarpinato: i registi non raccontano la realtà

«Mafia finta in tv e al cinema. Così si rischia di favorire i boss»

Perché il cinema e la televisione italiana raccontano solo certe storie di mafia e non altre? E ancora: siamo proprio sicuri che quei film e quelle fiction trasmettano allo spettatore un’immagine negativa della mafia o c’è il rischio che finiscano per esaltarne il fascino sinistro? Domande pesanti, che mettono in discussione anni di cinema e di televisione, soprattutto perché a farle non è un qualche cinefilo maniaco del dibattito, ma tre magistrati impegnati in prima persona nella lotta contro la malavita organizzata: Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia della procura di Palermo e Raffaele Marino di quella di Torre Annunziata. E le fanno dalle pagine del prossimo numero di duellanti , in edicola dal 2 settembre, che dedica uno speciale al rapporto tra film, fiction e mafia. Perché proprio adesso queste do­mande, si chiede nell’editoriale il di­rettore della rivista Gianni Canova? Perché «in un momento di sbanda­mento del nostro cinema, ma anche di ricerca e di riflessione» è particolar­mente importante che «ci si metta in­sieme — almeno fra coloro che han­no ancora a cuore le sorti di un paese che si sta a poco a poco perdendo — per provare a immaginare di racconta­re storie diverse». Diverse, per esempio, dalla rappre­sentazione della mafia come un grup­po di «brutti, sporchi e cattivi», che si esprime in un italiano approssimati­vo, figli del degrado economico e am­bientale, contro cui lottano coraggio­samente un pugno di paladini-eroi pronti ad arrivare fino all’estremo sa­crificio. È così la realtà? No, risponde Scarpi­nato, portando a testimonianza la sua esperienza sul campo e i tantissimi processi di cui è stato protagonista: quella della mafia è una storia fatta di delitti e stragi «decise in interni bor­ghesi da persone come noi, che han­no fatto le nostre stesse scuole, fre­quentano i nostri stessi salotti, prega­no il nostro stesso Dio (...), un terribi­le e irrisolto affare di famiglia, inter­no a una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e pre­datrici della storia occidentale». Di fronte a cui è difficile «spiegare il si­lenzio, la distrazione — che talora sembra sconfinare nell’omertà cultu­rale — di tanti sceneggiatori e regi­sti ».

Antonio Ingroia, che a fine giugno aveva organizzato a Palermo un incon­tro da cui ha preso le mosse lo specia­le di duellanti , è ancora più diretto quando invita a non sottovalutare l’impatto che certe rappresentazioni distorte possono avere sul lavoro di chi combatte la mafia: «È accaduto, accade e accadrà che certe rappresen­tazioni finiscano per propagare, spes­so al di là delle migliori intenzioni, il fascino sinistro dell’eroe del male» e fa l’esempio della fiction Il capo dei capi (su Riina), che veicola «una certa idea dell’immutabilità e dell’eternità della mafia stessa, difficile da vincere in una terra incline al fatalismo come la Sicilia». Mentre ricorda che altri film (a cominciare da Salvatore Giu­liano di Rosi per continuare con quel­li di Damiani e Petri) e altre fiction (come l’americana I Soprano ) sanno restituire la complessità e la ferocia dei comportamenti mafiosi senza ce­dere a indulgenze celebrative o facili ammiccamenti. Un compito così diffi­cile? Sempre Ingroia scrive: «In anni più recenti abbiamo colto questo in­tento in titoli come Gomorra e Il divo. Basta volerlo, assumersi qualche ri­schio e qualche responsabilità».

Allo stesso modo Raffaele Marino si chiede perché il serial La nuova squadra , che nelle precedenti stagio­ni «era fortemente agganciata alla re­altà di Napoli che non è mai stata tut­ta bianca, ma nemmeno tutta nera», adesso sia stato ridotto a «un campio­nario di luoghi comuni e incongruen­za che difficilmente si poteva riuscire a concentrare in un’opera che, seppur di fantasia, ha (o per meglio dire ave­va) la pretesa di ritrarre un ambiente e un territorio complesso come la Na­poli odierna». E una realtà complessa e sfuggente come quella napoletana è raccontata facendo ricorso a «una sor­ta di duello all’O.K. Corral fra polizia e inverosimili boss, o addirittura a guer­re intestine fra rappresentanti delle forze dell’ordine». Non sono rilievi da poco, perché chiamano in causa direttamente regi­sti e sceneggiatori italiani e i troppi luoghi comuni delle loro storie: «È co­sì impossibile raccontare la mafia co­me una narrazione della realtà che ro­vesci gli stereotipi», si chiede ancora Antonio Ingroia? Mettendo in scena «i retroscena del Potere mafioso inve­ce della sua dimensione più colorita e folcloristica»? Si aspettano risposte...

Prezzi bassi dell’uva: la Regione Puglia a fianco dei produttori per fronteggiare la crisi

“Una crisi congiunturale senza precedenti che ha incrociato le vicissitudini di una globalizzazione senza regole e mal governata"

“La Regione Puglia è già da tempo impegnata, accanto ai produttori di uva, a tenere testa agli effetti drammatici dell’attuale crisi”. Così l’assessore alle Risorse agroalimentari della Regione Puglia Dario Stefàno, intervenendo sul tema del calo dei prezzi dell’uva pugliese. “Una crisi congiunturale senza precedenti – prosegue - che ha incrociato le vicissitudini di una globalizzazione senza regole e mal governata, che ci ha chiamato all’imperativo di fare il possibile per accompagnare il sistema pugliese che, senza dubbio, avverte in maniera ancora più acuta e sofferente le difficoltà congiunturali a causa della perdurante frammentarietà e della mancata organizzazione dell’offerta”. “E proprio con tale senso di responsabilità – sottolinea Stefàno - abbiamo avviato già da diverse settimane, d’intesa con i produttori, alcune iniziative con l’obiettivo di attivare tutte le possibili misure di intervento a sostegno della filiera”.

Il riferimento dell’assessore Stefàno è al tavolo tecnico con la GDO, al tavolo di crisi convocato d’urgenza il 12 agosto con i produttori dell’area foggiana e alle istruttorie con le sedi provinciali necessarie al Comitato consultivo vitivinicolo regionale, che si riunirà il prossimo 31 agosto.

“Sono solo alcune iniziative che dimostrano la volontà della Regione Puglia di non starsene certo con le mani in mano. Auspichiamo – conclude l’assessore Stefàno - che la stessa responsabilità caratterizzi ora l’atteggiamento del governo centrale e del ministro Zaia che, purtroppo mi duole dirlo, non sta dimostrando forse adeguata sensibilità istituzionale, dal momento che da diversi giorni risulta praticamente assente nonostante le mie ormai quotidiane sollecitazioni”.