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lunedì 31 agosto 2009

L' ASD Nardò Calcio ne fa 3 al Copertino

NARDO' ( 31 Agosto) Ecco le pagelle del blog dopo la partita Nardò-Copertino

I granata di mister Longo Vincono per 3-0 grazie alla doppietta di Montaldi e al goal dell' uruguagio Parlacino. Una buona cornice di pubblico e tanta carica per il derby con il Tricase di domenica.

LE PAGELLE

ASD NARDO':

Bassi 6 Poco impegnato, ma lesto e risolutivo nei momenti decisivi. Bella la parata sul tiro di De Benedictis Ang. nel secondo tempo sul risultato di 1-0.

De Padova 6 Non gioca di fino ma il suo calcio serve a portare via il pallone dall'area di rigore.

Contessa 6,5 (Massarelli 15°st) Gode di molta libertà sulla fascia sinistra e se la gode. Da lì nascono molte azioni pericolose per il Nardò

De Donno 6 Si vede poco, la condizione non è delle migliori.

Marini 7,5 Un muro invalicabile! Difende, s'inserisce, cerca pure la conclusione.

Ruggiero 6
Viene spesso scavalcato da lunghi lanci.

Tartaglia 6,5 Primo tempo di buona personalità. Prende palla e mette gli esterni immediatamente in moto. Cala nel secondo tempo.

Patera 6 Mantiene la posizione ma non brilla (Frascolla 22°st), ,

Di Rito 6,5 Si muove bene insieme a tutto il reparto.

De Benedictis N. 6,5 Dopo un avvio titubante si muove bene e corre tanto.

Montaldi, 8 Quando palla al piede gode di un po' di spazio per chi lo marca sono guai. Cerca spesso l'uno-due ma soprattutto cerca il gol. Va a segno 4 volte ma per ben due volte viene pescato in fuorigioco dalla terna arbitrale. Determinante.

Parlacino 7,5 E’ l’ultimo arrivato in casa granata. Subentra per Di Rito al 25° del secondo tempo e dimostra subito di saperci fare con il pallone. Corre dribbla e segna un gran goal. Tagliente.

A disp.: Vetrugno, Petilli, D'Agostino, Turitto - All. Longo.

COPERTINO: Di Candia, Carrino, Cottin, De Braco, De Benedictis And., Calcagnile, Palmisano (Ciurlia 36° st), Carlà, De Benedictis Ang., Lillo (Serio 19° st), Dell'Anna (Quarta 19° st) - A disp.: Picciotti, De Lorenzo, Calcagnile - All. Castrignanò.

ARBITRO: Scatigna di Taranto

MARCATORI: Montaldi al 20° p.t. e 45° st, Parlacino 43° st

BOB MARLEY - AFRICA UNITE


AFRICA UNITE

Africa unite
'Cause we're moving right out of Babylon
And we're going to our father's land
How good and how pleasant it would be
Before God and man
To see the unification of all Africans
As it's been said already
Let it be done right now
We are the children of the Rastaman
We are the children of the higher man
So Africa unite, Africa unite yeah
Africa unite
'Cause we're moving right out of Babylon
And we're grooving to our father's land
How good and how pleasant it would be
Before god and man
To see the unification of all Rastaman
As it is been said let it be done
I tell you who we are under the sun
We are the children of the Rastaman
We are the children of the higher man
So Africa unite, Africa unite yeah
Africa unite cause the children want
To come home, Africa unite, Africa unite
It's later, later than you think
It's later, later than you think
Unite for the benefit of your people
Unite for the Africans abroad
Unite for the Africans a yard

TRADUZIONE

Africa unisciti
Perchè stiamo uscendo da Babilonia
E stiamo andando alla terra di nostro padre
Come sarebbe bello e piacevole
Di fronte a Dio ed all'uomo
Vedere l'unificazione di tutti gli africani
Come è già stato detto
Lasciate che avvenga ora
Noi siamo i figli del Rastaman
Noi siamo i figli dell'Altissimo
Quindi, Africa unisciti, Africa unisciti, sì
Africa unisciti
Perché stiamo uscendo da Babilonia
E stiamo andando alla terra di nostro padre
Come sarebbe bello e piacevole
Di fronte a Dio ed all'uomo
Vedere l'unificazione di ogni Rastaman
Come già è stato detto, lasciate che avvenga adesso
Vi dirò chi siete sotto il sole
Noi siamo i figli del Rastaman
Noi siamo i figli dell'Altissimo
Quindi, Africa unisciti, Africa unisciti, sì
Africa unisciti, perché i figli vogliono
Ritornare a casa, Africa unisciti, Africa unisciti
E' più tardi, più tardi di quanto pensi
E' più tardi, più tardi di quanto pensi
Unisciti per il bene del tuo popolo
Unisciti per gli africani all'estero
Unisciti per gli africani a casa


L'ultima battaglia per Gaza

Il 15 agosto Hamas e un gruppo salafita hanno combattuto aspramente: 28 le vittime. Ma perché è successo?

La calma, si fa per dire, sembra tornata nella Striscia di Gaza dopo che due settimane fa è scoppiato l'inferno. I miliziani delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, ala militare di Hamas, e i poliziotti del movimento islamico hanno messo a ferro e fuoco la città di Rafah, al confine con l'Egitto. Obiettivo dell'operazione il gruppo Jund Ansar Allah e il suo leader e fondatore Abdul-Latif Moussa.

Ferragosto di fuoco. Almeno 28 persone sono morte e 150 sono rimaste ferite nello scontro a fuoco avvenuto tra gli uomini di Hamas, che controllano la Striscia dal 2007, e i seguaci di Moussa, barricati nella loro moschea di Rafah, la Ibn Taymiya. Lo stesso leader ha perso la vita nella battaglia, secondo alcune testimonianze vicino a uno dei suoi fedelissimi che si è fatto esplodere all'ingresso dei miliziani di Hamas nel luogo di culto dove, il giorno prima, Moussa aveva tenuto il sermone della discordia. Secondo il quotidiano israeliano Jerusalem Post, invece, lo stesso leader si sarebbe fatto trovare con un giubbino carico di esplosivo azionato al momento dell'arresto. La ricostruzione ufficiale di Hamas, infatti, individua nel contenuto della predica tenuta da Moussa il 14 agosto scorso il casus belli. ''Hamas ha abbandonato la retta via dell'Islam, sono infedeli. Proclamo l'Emirato Islamico di Palestina'', avrebbe detto il predicatore, che per la prima volta da quando aveva iniziato la sua attività leggeva il sermone da un foglietto, come mostra un video postato su YouTube.

Lo scontro, oltre la retorica. Come sono andate davvero le cose è difficile dirlo, anche perché a tutti i giornalisti (palestinesi e stranieri) è stato proibito l'accesso alla moschea Ibn Taymiya e a tutti gli ospedali e gli obitori di Rafah e della Striscia di Gaza. Un black-out dell'informazione condannato da Reporters sans Frontière, che denunciava come il ministero degli Interni di Hamas abbia giustificato il divieto con motivi di sicurezza per gli stessi giornalisti. Alcune immagini, però, sono circolate lo stesso, grazie a telefonini e social network. In alcune di queste, postate in rete poche ore dopo i combattimenti a Rafah, mostrano alcuni militanti di Jund Ansar Allah in fila contro un muro del cortile della moschea Ibn Taymiya che vengono giustiziati sul posto dai miliziani di Hamas. Rihbi Rantisi, uno dei portavoce di Hamas, ha sconfessato le immagini, sostenendo la tesi secondo cui tutte le vittime sono cadute nello scontro a fuoco generato dal fatto che i circa cento miliziani di Moussa hanno opposto resistenza all'arresto.

Fase diplomatica. La dinamica di quanto accaduto il 15 agosto scorso rimane un mistero. Restano i 28 morti e l'importanza di quanto accaduto. Il governo israeliano, fin dalla sua vittoria alle elezioni del 2006 e dopo la presa del potere nella Striscia di Gaza nel 2007, considera Hamas un'entità ostile' e non ha mai voluto intraprendere alcun dialogo con il movimento islamico. Una delle accuse che Israele muove ad Hamas, tra le altre, è quella di essere un'emanazione del network internazionale di al-Qaeda. Stando così le cose e prendendo per buone le interpretazioni secondo cui Jund Ansar Allah fosse un gruppo salafita (che predica il ritorno all'Islam delle origini) legato a Osama bin Laden, il governo israeliano dovrebbe ammettere che Hamas lavora per un governo confessionale moderato, eliminando in prima persona gli integralisti. Questo non accadrà mai, ma proprio nei giorni in cui si prepara al Cairo il vertice con il leader politico di Hamas Khaled Meshaal per la liberazione del caporale israeliano Shalit (rapito tre anni fa a Gaza) potrebbe essere un buon elemento da spendere con l'opinione pubblica interna israeliana, o almeno con quella parte della stessa che rifiuta l'idea di trattare con Hamas.

C'eravamo tanto amati. Questa è una delle possibili interpretazioni, anche perché Hamas attraversa un periodo molto 'diplomatico' delle sue relazioni con Israele. I miliziani del movimento controllano palmo a palmo la Striscia per evitare contrasti con Tel Aviv. Dopo l'ultimo conflitto Hamas ha cantato vittoria, ma anche subito un duro colpo ed è tutta concentrata sulla riorganizzazione. Alcuni militanti di Jund Ansar Allah, invece, hanno attaccato a cavallo l'esercito israeliano causandone la reazione e facendo infuriare Hamas. Inoltre, secondo fonti palestinesi, la polizia di Gaza ha intercettato un carico di armi diretto a Moussa e ai suoi uomini. Hamas ha temuto il peggio, anche perché i suoi rivali del Fatah, in passato, attraverso l'onnipresente dirigente Mohammed Dahlan, avrebbe finanziato e armato Moussa per creare difficoltà al movimento islamista. Quello che non si capisce, però, è come mai proprio adesso Hamas abbia deciso di agire con tanta durezza. Il sermone del venerdì 14 agosto sembra un motivo un po' debole per le dimensioni dell'operazione scattata il 15 agosto.

Il medico che volle farsi califfo. Jund Ansar Allah è stato fondato, a novembre dello scorso anno, da Abdul-Latif Moussa. Il leader, medico di formazione, è stato per anni in Egitto, molto vicino al movimento dei Fratelli Musulmani. Tornato in Palestina dopo gli accordi di Oslo ha lavorato come impiegato al ministero della Sanità palestinese prima di dedicarsi agli studi religiosi. Le sue posizioni si sono sempre più radicalizzate e, come ricostruito da Taher a-Nunnu, un portavoce di Hamas, ''il gruppo si è reso colpevole di attentati contro barbieri e parrucchieri, coffee shop, internet cafè e matrimoni, sempre con l'intento di punire coloro che non si attenevano al vero Islam. Ma il loro comportamento, nella Striscia post 2007, non è differente da quello di altri gruppetti salatifi come Salafi Jihad o Jaysh al-Islam. Il denaro per le armi, le moschee e per le opere caritatevoli (con le quali fare proselitismo tra la gente di Gaza) veniva dall'Arabia Saudita, mai favorevole alla relazione tra Hamas e l'Iran. Anche questo era un elemento noto da tempo alle forze di sicurezza di Hamas. A livello dottrinale, poi, le differenze non sono così sostanziali tra la linea di gruppi come Jund Ansar Allah e quello che predica l'ala dei falchi di Hamas. Perché, allora, tutta questa fretta improvvisa nel chiudere il conto con il gruppo? Davvero Hamas ha così paura di una reazione d'Israele da affrontare il rischio di una mattanza di palestinesi?

Il nodo gordiano. Hamas, in realtà, sta giocando su un tavolo più importante ancora della contrapposizione con Israele: quello del suo rapporto con l'amministrazione Obama e il governo britannico. Il nuovo corso di Washington, sancito dalla fine dell'era Bush, ha aperto spiragli interessanti per Hamas. La sensazione è che sia alla Casa Bianca che a Downing Street qualcosa si muove per la spinta alla ripresa dei negoziati con Israele e che, per la prima volta, Hamas potrebbe essere considerato un interlocutore credibile. Colpire un gruppo come Jund Ansar Allah, in aria di lista nera Usa, potrebbe essere stato il prezzo da pagare alla nuova dimensione politico internazionale che Hamas cerca di ritagliarsi, sul modello di Hezbollah, ormai coinvolta a pieno titolo nello scenario internazionale. ''Noi combattiamo al-Qaeda'', potrebbe essere il significato di tutta l'operazione. Lo sdoganamento di Hamas, infatti, aprirebbe la strada a un governo di unità nazionale palestinese e alla ricostruzione di Gaza, utile politicamente, ma ancor di più un business milionario nel quale la leadership del movimento vuole entrare con tutte le scarpe. I finanziamenti della comunità internazionale sono un bottino che fa gola.

Sottile strategia. I punti di vista sulla vicenda, come sempre, sono molteplici. Walid Phares, docente universitario a Washington e direttore del Future Terrorism Project presso la Fondazione per la Difesa della Democrazia, un think tank conservatore statunitense, lancia il suo allarme.
''Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non devono cadere nella trappola che si cela dietro lo scontro tra Hamas e Jund Ansar Allah. I vertici di Hamas vogliono entrare nel club dei 'jihdaisti buoni' che combattono i 'jihdaisti cattivi', ma non sono affatto differenti tra loro'', ha scritto il prof. Phares come in Libano, quando il gruppo di Fatah al-.Islam venne combattuto con violenza e presentato come la filiale libanese di al-Qaeda. Gruppi come Hamas ed Hezbollah vogliono farsi coinvolgere nella vita politica dei rispettivi paesi, per ottenere una patente di presentabilità che permetta loro di trattare con Usa e Gran Bretagna. Il modello dello stato islamico e quello della lotta senza quartiere a Israele è identico a quello di gruppi come Fatah al-Islam e Jund Ansar Allah. Cambia solo la strategia: una visione di medio - lungo periodo contro una visione di breve periodo. I gruppi minori vogliono la jihad senza quartiere, Hamas ed Hezbollah puntano a vincere la loro battaglia senza porsi limiti di tempo'', conclude Phares.

Imbarazzo di Hamas. Il corrispondente di al-Jazeera English da Gaza, Ayman Mohyeldin, ha messo in imbarazzo uno dei portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, chidendogli dopo lo scontro a fuoco: ''Non crede che le persone che avete appena eliminato si limitassero a invocare quell'emirato islamico in Palestina che è presente come obiettivo del vostro stesso statuto?''. Hamad, dopo una serie di goffi tentativi di evitare la domanda, ha risposto: ''Questa gente vuole stabilire il califfato con effetto immediato in tutte le zone liberate dall'occupazione israeliana. Sono irrazionali, non capiscono che la jihad ha tempi e modalità particolari. Come i nostri''. Non proprio una smentita categorica. E' anche vero, però, che una certa retorica jihdaista è sempre rivolta all'opinione pubblica interna, soprattutto a Gaza, dove la disperazione causata dall'assedio che dura dal 2007 stanno spingendo sempre più giovani palestinesi su posizioni oltranziste e integraliste, sconosciute fino a qualche anno fa alla cultura religiosa palestinese. Hamas, quindi, pur se sposasse un approccio diplomatico alle cancellerie occidentali (come sembra confermato dallo stretto controllo esercitato dai suoi uomini per impedire attacchi a Israele in questo periodo di intense trattative) non lo andrebbe certo a sventolare come un vessillo davanti a un'opinione pubblica ridotta alla fame.

Emulazione e radicalizzazione. Quello che Hamas teme di più è che il suo immenso consenso tra la popolazione civile di Gaza, che gli ha garantito il trionfo delle elezioni del 2006, si stia erodendo di fronte alle tragiche condizioni di vita che i palestinesi della Striscia vivono da due anni. L'operazione Piombo Fuso dell'esercito israeliano, a cavallo tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009, ha aggravato ancora le privazioni della gente di Gaza e dintorni. Il timore della leadership di Hamas è quello, prima o poi, di sentirsi accusati dai loro stessi sostenitori di aver contribuito a questo disastro. Gli esiti possibili di questa evoluzione possono essere due: il ritorno in auge del partito dei moderati di Fatah o la radicalizzazione dei giovani verso forme incontrollabili di guerriglia. Entrambi due scenari inquietanti per Hamas. Illuminante in questo senso un'intervista concessa al settimanale egiziano al-Arham Weekly da Yahya Moussa, vicepresidente di Hamas. ''I gruppi che fraintendono i principi della religione esistono in tutto il mondo. Ma da noi il fenomeno è molto limitato rispetto al fondamentalismo presente in altri paesi. Abbiamo la situazione sotto controllo, anche se esiste un rischio di emulazione dei giovani palestinesi nei confronti di quello che accade in Iraq o in Afghanistan. Molti di questi gruppi si sono formati e rafforzati proprio dopo l'ultimo attacco israeliano, per le sofferenze che tutti hanno subito. Non permetteremo, però, che la Striscia di Gaza ripiombi nel caos''. Per scongiurare questo rischio, però, forse è già tardi.

di Christian Elia da PeaceReporter

Neofascisti e Pariolini si divertirono “a morte”

Una storia agghiacciante che a cadenze quasi sincopate, si è riproposta per le fughe, le dichiarazioni, la liberazione anticipata dei suoi compiti, la violenza morale sulle vittime (”borgatare”, “zoccole”), il ruolo della Roma nera e bene.

Il massacro dei Circeo fu questo.

Violenze e sevizie di ogni tipo per una notte intera in una villetta al Circeo, la spiaggia all’ìepoca della Roma Bene.

Una vicenda di cronaca indelebile nella memoria collettiva di chi oggi ha cinquant’anni e qualche cosa di più, meno nei più giovani che hanno scoperto questa vicenda (forse) dalle trasmissioni e articoli di giornale sulle imprese di uno dei complici di Guido, il neofascista Angelo Izzo.

A finire nelle mani di tre aguzzini ‘pariolini’ - i teppisti neofascisti Angelo Izzo e Andrea Ghira, ed il figlio di un alto funzionario di banca, Gianni Guido - furono Maria Rosaria Lopez, che fu uccisa, e Donatella Colasanti, trovata in fin di vita, giusto in tempo perché potesse salvarsi, almeno fisicamente. Nascosta sotto una coperta nel portabagagli di un’auto. Fisicamente sopravvisuta, psicologicamente provata. Per sempre.

Un vigile notturno il 30 settembre 1975 in via Pola si avvicinò ad una ‘Fiat 127’ dalla quale provenivano gemiti e nel bagagliaio scoprì i corpi delle due ragazze avvolti in sacchi di plastica e sotto delle coperte.

L’auto era di proprietà di Gianni Guido che, rintracciato subito dai carabinieri, confessò la partecipazione al ‘festino’ e fece i nomi dei suoi due complici, rampolli di agiate famiglie capitoline. Neofascisti.

Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti avevano conosciuto casualmente a Roma Angelo Izzo, Gianni Guido e un altro ragazzo, risultato poi completamente estraneo al massacro. Ed avevano accettato, il 29 settembre 1975, di partecipare ad una ‘festicciola’ tra amici nella villa del padre di Andrea Ghira, ma da subito, una volta in auto con i tre ragazzi, le giovani compresero che non ci sarebbero stati molti motivi di spensieratezza e gioia per quell’ appuntamento. Nel corso delle sevizie ininterrotte, Maria Rosaria Lopez perse i sensi ed i ragazzi la uccisero immergendole ripetutamente la testa nella vasca da bagno.

Donatella Colasanti riuscì ad evitare la morte perché, sottoposta ad una bastonatura, si finse morta ingannando i suoi torturatori. A quel punto i ragazzi avvolsero i due corpi in buste di plastica, li caricarono nel bagagliaio dell’ auto e tornarono a Roma. In città parcheggiarono la vettura davanti all’ abitazione di uno dei tre e si allontanarono, forse prevedendo di sbarazzarsi dei corpi in un secondo momento. Donatella Colasanti accortasi che l’auto era stata abbandonata, cominciò a gemere richiamando l’attenzione di un vigile notturno che la salvò.

da Indymedia

Ancora un respingimento di migranti

Ieri motovedette italiane sono intervenute bloccando un'imbarcazione con a bordo diversi migranti (la cifra esatta è sconosciuta, ma si ipotizza una settantina). L'imbarcazione era già stata assistita da unità della marina maltese, che poi l'avevano lasciata continuare sulla rotta per l'Italia.
I migranti sono stati trasferiti su un pattugliatore d'altura della guardia di finanza che li sta trasferendo a Tripoli. Un solo migrante è stato portato in Italia, dato che necessitava di cure mediche per la frattura di alcune costole.
I migranti sarebbero quasi tutti originari del Corno d'Africa, dove imperversa una fortissima instabilità politica che ha portato a diverse guerre civili, per niente concluse.
Dalla prima applicazione dell'accordo bilaterale tra Italia e Libia, avvenuta il 6 maggio, migliaia di persone sono state rispedite in Libia, dove vengono rinchiuse in strutture concentrazionarie, seviziati. Spesso finiscono abbandonati nel deserto a morire di stenti.
L'abominevole Gasparri, presidente dei senatori dei PdL, ha dichiarato che grazie agli accordi Italia-Libia gli sbarchi sono diminuiti del 94% e che le polemiche sui rapporti tra i due paesi sono inutili sofismi.

Ci scusino, i signori assassini, se c'è qualcuno che considera delle vite umane qualcosa di più di un sofisma.

da Indymedia

In Italia ci diamo sempre alle rivoluzioni tardive

Cambiamenti politici clamorosi sono avvenuti in questi anni in molti paesi: solo in Italia la situazione è ferma da 20 anni.

Stati Uniti, 2008: avviene una cosa impossibile.
Dopo 8 anni di dominio dell'estrema destra repubblicana, Teocon e Neocon, che trascina il paese in due guerre disastrose, gli fa perdere la fiducia e la credibilità di molti alleati, lo pone in svantaggio rispetto a rivali fino ad allora giudicati inferiori o sconfitti (Cina, India, Russia, Brasile) e lo fa persino regredire sul piano del diritto (Patriot Act, sospensione dell'Habeas Corpus, Abu Grahib, prigioni segrete, torture, ecc), viene eletto un presidente nero, politicamente "self made man" e a capo di una corrente dei democratici giudicata "socialisteggiante".
Naturalmente non è tutto oro quel che riluce e Obama ha già deluso molti suoi fans, ma la portata storica del cambiamento da lui incarnato è indiscutibile.

Giappone, 2009: un altro cambiamento impossibile. (notizia di oggi)
Dopo 54 anni di dominio quasi incontrastato, i liberaldemocratici vengono sonoramente sconfitti alle elezioni politiche generali dai rivali di centrosinistra del partito democratico, del partito socialdemocratico e del nuovo partito del popolo. I liberaldemocratici, che in passato avevano fatto del Giappone la seconda potenza economica mondiale, negli ultimi dieci anni tolto Koyzumi erano riusciti solo a raggranellare magre figure.
Crescita zero per dieci anni consecutivi, pagati a caro prezzo dalle classi più povere in un paese privo di un vero e proprio stato sociale, e totale incapacità d'affrontare la crisi globale scoppiata a novembre del 2008 sono le due principali ragioni della loro Caporetto politica.

Venezuela, 1998;
Brasile, 2001;
Argentina, 2001;
Bolivia, 2005;
Ecuador, 2006;
Nicaragua, 2007;
Paraguay, 2008 (insieme a qualche altro paese latinoamericano): vengono eletti nuovi governi socialisti, guidati da formazioni politiche nate dal basso, che mettono all'opposizione sia i conservatori sia la vecchia sinistra compromessa con quest'ultimi.
Iniziano grandi riforme politiche, sociali ed economiche che nel giro di pochi anni portano questi paesi a ridurre allo 0% l'analfabetismo (precedentemente oscillante fra il 20 e il 30%), a dar vita a un vero sistema sanitario, alla formazione di nuovo personale medico e docente, a programmi di riqualificazione delle aree urbane e rurali più disagiate. Un successo che invano i conservatori cercano di minimizzare e nascondere, di fronte ai dati schiaccianti delle organizzazioni internazionali che disperdono senza pietà tutte le loro false accuse.
E non mancano altri successi, altri cambiamenti importanti avvenuti anche nel resto del mondo, in aree che non fanno notizia: dall'Africa (nuova vittoria dell'ANC in Sud Africa, per esempio) all'Asia (chi ha più sentito parlare, dopo il '98, di Timor Est?).

E in Italia? Tutto come prima, tutto come vent'anni fa.
Dopo Prodi gli italiani hanno rimesso sul seggiolone Berlusconi, che v'era stato sopra fino a due anni prima. Ma gli italiani non sono contenti; cercano soltanto di rassegnarsi. Per il momento non hanno ancora individuato l'alternativa all'attuale classe politica. Non c'è problema, presto la troveranno.
La società si sta muovendo: di fatti come quelli dell'INNSE, della Marelli e della LASME ne sono avvenuti molti più di quanto vogliano farci credere i nostri giornali e telegiornali. C'è un'opposizione che sta nascendo nei cuori e nelle coscienze della gente; e non ha nulla a che fare nè coi sindacati nè coi partiti della sinistra (nè tantomeno con quelli della destra).
Al momento buono quest'opposizione delegittimerà tanto la destra quanto la sinistra ufficiali, scegliendo di farsi rappresentare da sè stessa. Ci riuscirà.
I governanti e i loro cortigiani sono tutti avvertiti.

di Filippo da Indymedia

Penny nel cuore


Finalmente, dopo essere rimasta desaparecida per 31 anni, sono stati trovati e identificati i resti di Laura. Laura, presa e assassinata dai militari nel ‘78 quando aveva 18 anni, era la figlia di Mabel Itzcovich.
Il manifesto ha avuto la fortuna, e il merito, di poter sempre contare su grandi corrispondenti dall’Argentina, a cominciare da Osvaldo Soriano. Mabel Itzcovich fu uno di questi. Per vent’anni. Dal 1984, quando alla fine della dittatura del ‘76-’83 era tornata a Buenos Aires dopo 7 anni di esilio romano, fino agli ultimi articoli del maggio 2003, quando fu eletto Néstor Kirchner, lo sconosciuto peronista di cui lei, che non aveva mai amato i peronisti, da principio si mostrava diffidente ma di cui fece in tempo a ricredersi almeno per il capitolo desaparecidos. Che per l’Argentina degli ultimi 30 anni è un capitolo cruciale della sua storia tormentata.
Fu Mabel che un giorno sul finire degli anni ‘70 ci portò Soriano nella vecchia redazione romana di via Tomacelli, anche lui in esilio a Bruxelles e Parigi, che ancora pochi conoscevano per aver letto il suo straordinario Triste solitario y final. Per tutti e due – e per noi – fu l’inizio di un rapporto di comunanza umana e politica che si sarebbe concluso – fra amori e rotture – solo con la morte di entrambi. Osvaldo il 29 gennaio 1997, Mabel il 29 maggio 2004.
La storia personale di Mabel Itzcovich, che era nata a Rosario da due immigrati ucraini arrivati nel 1905 per sfuggire ai pogrom zaristi, è per molti versi la storia degli ultimi 50 anni dell’Argentina, «l’impossibile Argentina». E ha un valore emblematico cha va molto oltre la sua figura.
Intellettuale coltissima, cinefila, militante a modo suo (il socialismo e il cinema sarebbero rimaste le grandi passioni della sua vita), beona e fumatrice (furono i polmoni a tradirla), sarcastica e ruvida ma dolce e affettuosa come solo una «grande mamma ebraica» sa essere, passionale e allo stesso tempo razionale (ma solo con gli altri), dai rapporti personali complicati, Mabel ha avuto un vita densa e difficile. Anche per un caratteraccio che gliela rese ancor più complicata. E per una tragedia che, come un’infinità di altre madri argentine della sua generazione, la funestò, senza darle pace anche se non amava parlarne. Laura Isabel, «Penny», la più piccola delle sue due figlie, avute dal matrimonio con il regista Simón Feldman, desaparecida.
Anche Mabel aveva rischiato di finire nel grande gorgo di quegli anni che si lasciò dietro 30 mila desaparecidos. Nella primavera del ‘77, un anno dopo il golpe di Videla e Massera, l’appartamento di Mabel a Buenos Aires, in calle Uriarte, fu visitato da una squadraccia militare. Mabel era fuori città e non la trovarono. E neanche trovarono le sue due figlie, Ana Nora di 19 anni e Laura di 17. Alcuni amici avvisarono Mabel, che era senza documenti e con solo il vestito che portava addosso, e riuscirono a farla imbarcare sul ferry che da Buenos Aires porta in Uruguay, sull’altra sponda del Rio de la Plata. Dopo un orrendo colloquio all’ambasciata d’Israele di Montevideo (dove in pratica l’accusarono di essere una «terrorista trotzkista»), riuscì ad avere i documenti e il biglietto aereo per l’Italia, anche grazie a un dimenticato eroe italiano, Cesare Bensi, un socialista.
Si era salvata. Ma a un prezzo straziante. Era sola e le sue due figlie erano rimaste indietro. Ana fu fortunata. Fu trovata dal padre, l’ex marito di Mabel, prima che dai militari e riuscì anche lei, dopo un’avventurosa fuga attraverso San Paolo del Brasile e Montevideo, ad arrivare in Italia, dove ritrovò Mabel. Laura non ebbe altrettanta fortuna. Fu presa, insieme al suo compagno, il 18 febbraio 1978. Lei aveva 18 anni e lui 19. Di loro non si seppe più nulla. Fino all’aprile 2009, quando i suoi resti sono stati identificati con certezza dall’Equipo Argentino de Antropología Forense. E in dicembre si aprirà il processo contro 8 dei macellai accusati per i crimini commessi nel lager clandestino del «Vesubio», uno dei tanti di Buenos Aires dove vennero sequestrati, torturati, assassinati e fatti sparire nel nulla «i sovversivi» in nome del delirio nazi «occidentale e cristiano» dei militari.
Quando cominciò il lavoro di scavo nei cimiteri clandestini e nelle tombe marcate «N.N.», Mabel, prima di morire e dopo che Kirchner sulla spinta delle indomabili Madri e Nonne della Plaza de Mayo riaprì con forza il capitolo dei desaparecidos – un merito che nessuno gli potrà disconoscere nel giudizio che la storia darà del suo governo -, riuscì ad avere qualche vaga e incerta notizia su Laura. Ma non è vissuta abbastanza per avere finalmente la certezza che fosse lei e poterla piangere su una tomba. E neanche per vedere il suo nome fra quelli dei desaparecidos scolpiti sul Muro della memoria che Kirchner ha fatto erigere sulle rive del fiume sul finire del 2007. Quando morì la figlia Ana Nora mandò un necrologio ai giornali. Diceva: «Mabel Itzcovich è morta il 29 maggio 2004. Sua figlia Ana Nora Feldman, suo fratello Oscar, sua cognata Anna e i suoi nipoti Guilio e Elena partecipano con dolore alla sua scomparsa e invitano a ricordarla come amica e compagna insieme con sua figlia Laura (desaparecida)». Allora, solo 5 anni fa, La Nación, il miserabile giornale dell’establishment, la rifiutò adducendo grottesche motivazioni legali che non consentivano la pubblicazione della parola «desaparecida». Solo dopo lo scandalo che ne seguì fu pubblicato.
Ora, dopo 31 anni da desaparecida, finalmente Laura è stata riconosciuta con certezza assoluta, grazie allo straordinario lavoro dell’équipe degli antropologi forensi argentini che in questi anni si sono fatti, a ragione, una fama mondiale (sono stati chiamati anche in Spagna a riaprire le fosse e identificare le vittime della barbarie franchista di 70 anni fa).
Mabel non ha avuto, per sua volontà, né un funerale né una tomba e le sue ceneri sono state disperse nelle acque del Rio de la Plata, da un ponte di Puerto Madero, il quartiere sulla riva del fiume che le ricordava forse la Senna dell’epoca bohemienne passata in gioventù all’Institute des Hautes Etudes Cinematographiques di Parigi. Non ha fatto in tempo a liberarsi dell’angoscia per la figlia perduta, né a soffermarsi sulla sua tomba. Ma lo farà Ana. Per lei sarà forse la liberazione da una sorta di inconfessabile e immotivato ma certo lancinante senso di colpa per essersi salvata al contrario della sorella.
Per questo ha scritto una «solicitada», un annuncio-appello che ha spedito ai giornali. Dice: «Laura Isabel Feldman, «Penny». Nacque l’11 agosto del 1959. Fu sequestrata e desaparecida il 18 febbraio del 1978. Fu vista nel centro clandestino di detenzione “Vesubio”. L’assassinarono il 14 marzo dello stesso anno. Il suo corpo fu seppellito come N.N. nel cimitero di Lomas de Zamora. (...) Il 15 dicembre del 2009 comincerà il processo pubblico in cui saranno giudicati otto repressori accusati per i crimini commessi al “Vesubio”. A 31 anni dal suo assassinio, quando alcuni propongono ancora che “bisogna gettarsi alle spalle il passato”, quando ci chiedono di dimenticare e perdonare, quando chiamano “rivincita” o “vendetta” il lento lavoro della giustizia, ci sono altri che insistono con tenacia nella ricerca della giustizia, ci sono molti come noi che sostengono e appoggiano questa linea e questa lotta. 31 anni dopo abbiamo fatto un nuovo passo contro la menzogna e l’occultamento e la repressione selvaggia disseminata dal Terrorismo di Stato in Argentina i cui effetti, l’abbiamo potuto verificare, non sono ancora finiti. 31 anni dopo possiamo dire addio a Penny, che è sempre stata nei nostri cuori e continuerà a esserci, vegliare i suoi resti, celebrare la cerimonia e il lutto che finora si è voluto impedire ed evitare. 31 anni dopo, grazie al lavoro di molti, fra cui vogliamo indicare lo staff di antropologi forensi, facciamo appello a diffondere questa notizia, sollecitiamo coloro che hanno informazioni ancora non rese sui nostri desaparecidos perché si facciano vivi con gli organismi dei diritti umani, reclamiano l’accelerazione dei processi nei tribunali di giustizia, informiano che i famigliari decisi a sottoporsi a test di sangue per contribuire all’identificazione dei resti dei desaparecidos per mano del Terrorismo di Stato possono mettersi in contatto con lo 0800-333-2334 dell’Equipo Argentino de Antropología Forense. I famigliari, gli amici e i compagni invitano a vegliare i resti e a ricordare Laura il 10 settembre dalle ore 12 alle 19 nella hall della scuola Carlos Pellegrini, in via Marcelo T. Alvear 1851. Né oblio né perdono».
Vedremo se anche questa volta giornalacci come La Nación e Clarín rifiuteranno la pubblicazione dell’annuncio.
Né oblio né perdono. Giustizia. Per Laura, per Mabel, per Ana. Per tutti gli argentini decenti. E per l’umanità.

di Maurizio Matteuzzi da IlManifesto

La Gelmini predica nuove regole per i docenti


Il nuovo regolamento lo presenta, manco a dirlo, al meeting ciellino in corso a Rimini. Il ministro Maristella Gelmini, dopo i regali ai docenti di religione cattolica, sceglie una platea a lei vicina (anche se il suo intervento si è svolto in una saletta secondaria del meeting) per rivelare i contenuti di un prossimo regolamento sul reclutamento degli insegnanti. Assunzioni solo se strettamente necessarie. «Si passa dal semplice sapere al sapere insegnare», ha detto. Ma se si va un centimetro oltre lo slogan ad effetto di concreto rimane ben poco. «Iniziamo a progettare un nuovo tassello per il cambiamento del nostro sistema scolastico, un tassello fondamentale, perché riguarda la formazione iniziale dei futuri insegnanti», ha spiegato. Ecco, «futuri». Per quelli che per anni si perdono nelle interminabili liste d’attesa alla ricerca della cattedra perduta: ripassare più tardi.
Il ministro la parola «precari» neanche la pronuncia. Ma pesa molto: 42.500 insegnanti e 15.000 del personale ausiliario. Tanti il prossimo anno rimarranno fuori dagli istituti scolastici dopo la sforbiciata di viale Trastevere. Secondo una prima stima effettuata dalla Flc-Cgil subito dopo i trasferimenti saranno almeno 16.000 i supplenti di scuola media e superiore che non troveranno più la cattedra. A questi bisogna sommare i colleghi della scuola elementare, fatti fuori dai «maestri unici», e almeno 10.000 Ata che dopo anni di supplenza e l’aspettativa di entrare di ruolo si ritrovano in mezzo a una strada.
Cifre che sembrano non preoccupare il ministro Gelmini, spedita verso la «scuola del futuro» e già orfana di una delle famigerate tre «I» della sua collega Moratti. Non c’è più «Impresa», rimangono «Internet» e «Inglese». Stavolta non per gli studenti ma per gli insegnanti. E a loro sono rivolte le nuove regole messe in campo dal Miur. A parte le competenze linguistico-tecnologiche, per ottenere l’agognata cattedra i prof italiani dovranno sostenere un ulteriore tirocinio, e non più frequentare la Ssis che va definitivamente in pensione. Un anno sabatico tra la laurea e l’incarico di ruolo. Gli Uffici scolastici regionali organizzeranno e aggiorneranno gli albi delle istituzioni accreditate che ospiteranno i tirocini sulla base di appositi criteri stabiliti dal ministero. Questi Usr avranno anche funzione di controllo e di verifica sui tirocini stessi.
Bene, ma una volta superate tutte queste «prove» e acquisite tutte queste «competenze» (per insegnare nella scuola dell’infanzia e alla primaria sarà necessaria la laurea quinquennale, in quella secondaria media e superiore occorrerà avere la laurea magistrale) l’insegnante può insegnare, finalmente? Se c’è posto sì, rispondono dal ministero. Perché «il numero di nuovi docenti sarà deciso in base al fabbisogno». In questo modo si dichiara «fine all’accesso illimitato alla professione che creava il precariato». E, «con la fine del precariato, sarà consentito ai giovani l’inserimento immediato in ruolo». Peccato che l’attuale fabbisogno delle scuole italiane recita un laconico «tutto esaurito».

di Stefano Milani da IlManifesto

SANGUE MISTO - LO STRANIERO



LO STRANIERO

Io sono il numero 0
facce diffidenti quando passa lo straniero in sclero, teso vero
vesto scuro, picchio la mia testa contro il muro
sono io l'amico di nessuno stai sicuro
resto fuori dalla moda e dallo stadio
fuori dai partiti e puoi giurarci, io non sono l'italiano medio
ma un cane senza museruola
la N E la doppia F A Passaparola
chico canta che ti passa, ma non mi passa piu'
testa bassa, la repressione
mi butta giu' schiaccia
quando lo sbirro mi da' i pugni nella faccia
per me lo stato e' solo stato di minaccia
quando vedo il tunisino all'angolo che spaccia
la nera presi a schiaffi del magnaccia
io so che e' tutto made in Italy percio'
non chiedermi se canto Forza Italia o no...
Rit.:
None none... la mia posizione e' di straniero nella mia nazione...
Non parlate alla straniero e lo guardate male
e ogni singolo secondo la tensione sale
e' SangueMisto e non rispetta piu' il confine
viene da dove era stato cacciato fuori come un cane
e ora non ci sto, non ci credo e non ne voglio piu'
solo disprezzo per lo stato e le divise blu
Schivo come Neffa a 0 grado di fiducia
quando la terra brucia
e' allarme rosso per le strade, non sei piu' al sicuro
tu stavi chiuso in casa ed e' crollato il muro
quindi adesso e' tutto pronto per lo scontro,
con chi viene da fuori e non ci sta piu' dentro
quello che mi han dato da quando sono nato l'ho pagato
e ho visto ogni 2 anni una strage di stato
e' un rompicapo, ma dubbi sui mandanti non ne ho
sono lo straniero questo e' quel che so...
Rit.:
none none... la mia posizione e' di straniero nella mia nazione...
Io quando andavo a scuola da bambino
la gente nella classe mi chiamava marocchino,
terrone "Muto! Torna un po' da dove sei venuto!"
E questa e' la prima roba che ho imparato in assoluto...
La seconda e' che sei fatto nell'istante in cui ti siedi
quando sento la pressione dalla testa ai piedi
la situazione per me non cambia: era merda e resta merda
per i cani della strada, razza bastarda
alla sbarra sott'accusa ed ogni giorno c'e' un buon motivo
e la giuria ha gia' detto ed il mio verdetto e' negativo
straniero nella mia nazione
perche' qualcuno vuol metter fine alle storie di un guaglione...
La tensione in strada sale a 1000
vivo questa situazione sopra la mia pelle
giorno dopo giorno, notte dopo notte resto all'erta
guardo le mie spalle anche se la strada e' deserta
stesso film, stessa storia:
Neffa ha gia' salvato quindi resta in memoria
e un guaglione mette a fuoco il suo pensiero
resto fuori perche' io sono lo straniero.
Rit.:
None none... la mia posizione e' di straniero nella mia nazione...

BIO

« ...Neffa, Deda e DJ Gruff in dopa ...ohjeah, we jammin' »
(La porra - SxM)

« ...perché devo svoltare i tempi duri, seguo la mia idea visto che ancora oggi, come ieri, vivo un clima di tensione negativo, perciò non venirmi a dire che sono ostile perché non c'è un motivo, le radiazioni han fatto danni, su chi è cresciuto negli ultimi vent'anni, abbiamo avuto il piombo, il fango ed ogni giorno: la dose quotidiana di merda che ci cade attorno... »
(Cani Sciolti - SxM)

I Sangue Misto, conosciuti anche con la variante di Sanguemisto, sono stati un gruppo hip hop italiano, formatisi nel 1993 e scioltisi nel 1996.

La band è formata dagli mc Deda e Neffa e dal beatmaker Dj Gruff, tutti provenienti dall'Isola Posse All Stars[1]. I tre artisti provengono rispettivamente da Bologna[2], Scafati in provincia di Salerno[3] e Terralba, in provincia di Oristano[2], ma si conoscono nella città di Torino, dove vivono durante il periodo in cui fanno parte del gruppo.

Il primo album, SxM, prodotto nel 1994 dall'etichetta Century Vox, è considerato una pietra miliare dell'hip hop italiano[1], ed è l'unico prodotto del gruppo assieme al singolo Cani sciolti remix, pubblicato l'anno successivo. Nel 1996 il guppo si scioglie, Neffa pubblica tre album hip hop, Neffa & i messaggeri della dopa nel 1996 e 107 elementi nel 1998 e Chicopisco nel 1999, passando successivamente alla musica pop[3]; Deda fonda il gruppo Melma & Merda con i rapper Kaos One e Sean, con cui pubblica nel 1999 un album omonimo[4] e si dedica successivamente alla carriera solista con lo pseudonimo di Katsuma.org, pubblicando nel 2004 Volume 1 - Moonbooty[5] e nel 2008 Volume 2 - Rituals of Life; Dj Gruff fonda la crew Alien Army[6], con cui pubblica numerosi album nell'ambito dell'hip hop underground italiano.

I Sangue Misto nascono dalle ceneri del gruppo Isola Posse All Stars, nato a Bologna nei primi anni 1990 e, assieme all'Onda Rossa Posse, tra i primi collettivi a diffondere l'hip hop in italiano, rifacendosi all'East Coast hip hop e al raggamuffin Giamaicano. Inizialmente la band era composta da 6 membri, che si riducono presto a tre, gli mc Neffa e Deda ed il beatmaker Dj Gruff; i motivi che spingono il gruppo a sfoltirsi sono spiegati da un'intervista concessa da Neffa alla rivista Aelle: "anche se era una figata stare in sette e andare in giro, dopo due anni che vai in giro impari anche, e forse la cosa inizia a starti un po' stretta". Il gruppo ha come sede uno storico centro sociale bolognese: l'Isola del Kantiere.

Il gruppo si forma nel'ambito underground italiano raccogliendo traiettorie provenienti anche dal decennio precedente: ad esempio, dj Fabri e Neffa sono stati, uno dopo l'altro, batteristi del gruppo hardcore italiano Negazione. La prima formazione dei Sangue Misto comprende Papa Ricky, Gopher D, Dj Fabri e Deda, ma l'orientamento reggae e raggamuffin dei primi tre li porta ad intraprendere strade soliste: per i primi due come cantanti, con hit come "Lu sole mio" per il primo, e collaborazioni coi conterranei Sud Sound System (a loro volta provenienti in parte dall'esperienza dell Isola Posse All Stars) per il secondo - mentre dj Fabri crea il Vibra sound, primo sound system reggae a Bologna. A questo punto Deda, più orientato all'hip hop, si unisce a Gruff e Neffa per continuare il progetto. Gruff ha già pubblicato Rapadopa in cui partecipano rapper della scena nazionale quali Kaos, Esa e gli stessi Deda e Neffa.

Nel 1994 prende quindi forma il vero e definitivo progetto Sangue Misto, che conduce i tre membri alla realizzazione di SxM. A causa della distribuzione Century Vox, SxM ha qualche problema di commercializzazione, così come il successivo album solista di Neffa, sugli scaffali solo dopo circa un anno dalla sua realizzazione. A seguito del successo dell'album viene pubblicato anche il discomix "Cani sciolti Remix" sempre per la Crime Squad/Century Vox, nel formato 12".

A proposito della loro collaborazione con i Casino Royale, con il remix di Cose Difficili, il giornale Rumore ha scritto che si è trattato de "l'incontro tra i due migliori gruppi oggi in Italia".[senza fonte] Poco dopo questa partecipazione al progetto del gruppo milanese, i Sangue Misto praticamente si dividono ed i componenti si dedicano a carriere soliste.

da Wikipedia

Nardò: COSTRUISCE CASA DI 150 METRI QUADRATI MA SENZA PERMESSO *FOTO*

Denunciato dai carabinieri un 60enne di Nardò che aveva pensato di costruire una casa all'interno di un terreno recintato ma senza alcuna autorizzazione comunale. Sequestrato l'edificio in periferia
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La storia ha dell’incredibile, perché assurdo è che nel 2009 c’è ancora qualcuno che immagina di costruirsi una palazzina senza alcuna autorizzazione. Niente. Tu ha un terreno di proprietà? Bene, costruisci tranquillamente senza che il Comune sappia quello che stai facendo, senza autorizzazione, senza alcuna agibilità e via dicendo. Furbizia che però al proprietario 60enne F.G. è costata una denuncia e il sequestro dell’edificio da parte dei carabinieri di Nardò. Se ne sono accorti proprio i militari, ma è plausibile pensare che qualcuno abbia potuto anche telefonare in caserma per raccontare quel che stava avvenendo da quelle parti, alla periferia di Nardò.

Cos’ i militari hanno appurato che il 60enne aveva costruito senza alcuna autorizzazione, che invece sarebbe dovuta essere stata rilasciata dall’ufficio tecnico del Comune di Nardò. Si tratta di una casa di circa 150 metri quadri, stabile che si trova all’interno di un lotto completamente recintato e il cui accesso è consentito solo attraverso un cancello metallico.

Della questione si sta interessando anche la polizia municipale, che ha constatato l’assenza di permessi da parte del costruttore e proprietario. Sequestrato quindi l’edificio.