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martedì 15 settembre 2009

Video:" Yes we camp". L'Aquila e il terremoto da un altro punto di vista

Questa sera Berlusconi "consegnerà", in diretta televisiva, le chiavi di casette di legno ad Onna e festeggerà la riuscita del suo piano C.A.S.E... quello che nessuno vi dirà è che quelle case non sono quelle del governo italiano, ma sono quelle finanzate e realizzate dalla Provincia di trento e dalla Croce rossa tedesca...

Questo solo per dirvi che la realtà all'Aquila è completamente diversa da quella che propongono fuori dal cratere.



Sinossi: "Yes We Camp" prende il nome da una scritta comparsa sul cartellone di un giovane terremotato durante la manifestazione del 16 giugno durante la quale i terremotati chedevano di rivedere il Disegno Legge che avrebbe approvato il Piano C.A.S.E.
Inizia proprio da quella manifestazione in Piazza Montecitorio, prosegue con la fiaccolata del 6 luglio dedicata al ricordo delle
vittime, passa attraverso il racconto del G8 e di tutto il mese di agosto 2009 e dei primi giorni del mese di settembre, si chiude nel futuro, all'Aquila, nel 2032. E' il punto di vista di un osservatore esterno che cerca di capire e di raccontare le storie delle persone che fanno parte di una Storia in continua evoluzione. È un insieme di affreschi, senza pretesa di avere la verità in tasca. Un racconto che si apre e si chiude con un punto interrogativo.

"Yes We Camp" è un film in progress, un flusso che racconta storie e cerca di seguire i fatti di cronaca. E' stato realizzato in poco più di un mese e mezzo da Alberto Puliafito, che ha lavorato come filmmaker (girando, intervistando, montando), vissuto in tenda, parlato con gli aquilani, cercato di capire una realtà talmente sfaccettata da indurlo a evitare di raccontare un quadro generale e a dedicarsi, invece, al racconto di storie, affreschi, appunti sul Cratere. E' come una sorta di istant movie ma senza la frenesia dell'istant movie, con un linguaggio a metà fra il documentario e l'inchiesta.
Grazie a questa esperienza e all'esperienza del 3e32, uno dei Comitati Cittadini sorti spontaneamente all'Aquila dopo il 6 aprile, si costituirà un presidio per l'informazione indipendente all'Aquila, per proseguire in questa operazione e per garantire la presenza di qualcuno che possa documentare quel che accade nel Cratere. In questo senso, "Yes We Camp" è solo l'inizio di un percorso che proseguirà nei prossimi mesi.

ALBERTO PULIAFITO
Bio-filmografia

Nato a Torino nel 1978, è giornalista pubblicista dal 2001.
Dal 2000 a oggi, ha lavorato per emittenti televisive nazionali pubbliche e private, in qualità principalmente di regista, assistente alla regia e operatore.
Nel 2006, dall'incontro con il cantautore romano Simone Cristicchi, nasce un sodalizio artistico che porta alla realizzazione dei
videoclip dei brani “Ombrelloni” e “Ti regalerò una rosa” (Premio Miglior Videoclip Italiano 2007 – artista uomo) e del documentario “Dall'altra parte del cancello”.
Nel 2007, ha fondato, insieme a Fulvio Nebbia, la società di produzione audiovisiva iK PRODUZIONI, attiva principalmente in produzioni televisive, di videoclip e documentari.

Anni 31, da sette docente precaria di lettere nella provincia di Lecce (di Stefania Leaci)


Lecce (salento) - Quest'anno a causa dei tagli gelminiani un solo posto libero per l'immissione in ruolo nella mia materia, ma il peggio deve arrivare. Di 27 cattedre libere per via dei pensionamenti, ben 21 sono andate alle assegnazioni provvisorie di fuori provincia.

Ecco quindi l'ingiustizia nell'ingiustizia che dà l'avvio ad una guerra tra poveri ...e per giunta , anche se il binomio pare ovvio, meridionali. Il merito di tutto questo?
Non vorrei dirlo ma lo penso e come me la pensano in tanti: le USP e i sindacati che si sottomettono al gioco penoso di un governo insensibile. Il sud è ormai terra di barbarie feudali, molti i soprusi compiuti che vengono tenuti nascosti. Ma voglio uscire dall'esempio personale e allargo il campo del problema: insegnanti che, dopo tanti anni di insegnamento sono stati costretti ad accettare altre sedi nel lontano nord, assaporando tutto ciò che di amaro offre la lontananza forzata dal paese di origine; l'assurdo ordine del super affollamento delle classi con la presenza anche di 28-30 alunni in istituti superiori con l’impossibilità per i docenti di seguire tutti gli allievi dal punto di vista del rendimento e con grave danno della pedagogia; le riduzioni drastiche di classi parallele per arrivare all'obiettivo principale: meno posti di insegnamento. Potrei prolungarmi nel lungo elenco di tagli, sprechi morali e azioni senza senso, ma mi fermo qui.

Le conseguenze sono ineluttabili. La mortificazione ha il sopravvento sull’entusiasmo, le umiliazioni sovrastano le gratificazioni, l’insegnamento, che sin dall’antichità veniva considerato un lavoro di impegno e di responsabilità, nel quale la semplice trasmissione del sapere si amalgamava con sottili precetti di vita, oggi è calpestato dal sordo imperativo del risparmio a tutti i costi. Le vittime sono insieme docenti e allievi, quindi la società tutta. Ma a quanto pare tutti dormono, genitori in primis, abbandonando compiaciuti i propri sensi ormai irrimediabilmente avviluppati nella rete di programmi televisivi volgari e intellettualmente indecenti. ( Alla contestazione presso la Prefettura di venerdì 4 settembre i precari erano pochi e non supportati dalla presenza di nessuna mamma e di nessun papà perché i nostri alunni sono orfani!).

Forse la mia breve lettera al vostro sito, che vuole essere una piccola segnalazione di questo malessere sociale, non servirà a molto, è una goccia nell'oceano del silenzio, ma la scrivo e la invio ugualmente... perché tacere non sarebbe giusto e dignitoso.

di Antonio Romano da IlPaeseNuovo

SI SUICIDA IN CELLA A LECCE FIGLIO DI CAPO CLAN CAMORRA

Rosario Vollaro, 38enne, uno dei figli del boss di Portici, Luigi, detto “O’ Califfo”, è stato trovato senza vita nella casa circondariale di Borgo San Nicola, dove era stato trasferito di recente

LECCE – Ha usato un lenzuolo per impiccarsi nella cella nella quale era stato destinato. Si è tolto la vita così, nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce, Rosario Vollaro, 38enne.L’hanno trovato gli agenti di polizia penitenziaria quando non c’erano più speranze. Vollaro era stato trasferito sabato scorso dal carcere di Poggioreale nella casa circondariale del capoluogo salentino, su disposizione del ministero dell’Interno. Nella cella non è stata trovata una lettera, neanche poche righe per spiegare il gesto. L’autopsia sarà affidata al medico legale Alberto Tortorella.

Vollaro era noto nel napoletano per essere uno dei figli del capo del clan della zona di Portici, Luigi, detto “O’ Califfo”, al momento a sua volta detenuto. Di recente Rosario Vollaro era stato arrestato dagli agenti di polizia della squadra mobile e del commissariato di Portici, in relazione ad un caso di presunta estorsione nei confronti di una ditta che gestisce i parcheggi pubblici comunali. Insieme a lui, anche due altre persone, il fratello Raffaele e Giovanni Spina. Qualche anno addietro, un altro fratello di Rosario Vollaro, Ciro, si suicidò nel carcere di Rebibbia. Diventato collaboratore di giustizia, diede impulso a diverse indagini di rilievo sul clan retto dal padre.

da LeccePrima

ASSALTI FRONTALI - IL RAP DI ENEA



No Gelmini Day and Night

(da "il Manifesto" del 30 settembre 2008)


Sono un genitore della scuola Iqbal Masih della periferia sud est di Roma, in mobilitazione permanente dal primo settembre e vi scrivo da queste mura che sono ormai come una seconda casa. Siamo in emergenza, in allarme rosso e non c’è un’ora da perdere perché dobbiamo bloccare il Decreto Legge 137 del ministro Gelmini. Molti capiscono che è una legge dannosa per la scuola pubblica, ma solo chi è dentro questo mondo può già percepire la violenza che si sta abbattendo addosso ai nostri figli. Dietro la formula del “maestro unico” (e la farsa del grembiulino) ci stanno togliendo sotto gli occhi una delle poche cose che funzionano in Italia: la scuola primaria del tempo pieno. Noi siamo angosciati dalle notizie che arrivano dal ministero e la disinformazione in atto, ma anche carichi e determinati a vincere questa battaglia o a vendere cara la pelle.
In questi giorni qui all’Iqbal Masih succedono cose incredibili: genitori già gravati da cento impegni e maestre e maestri di tutte le classi si stanno trasformando in leoni che lottano. Il 15 settembre, alla prima campanella, abbiamo deciso di occupare la scuola. E’ stata una decisione presa alla maniera classica con alzata di mano durante un’affollata assemblea, ma per il resto tutta questa esperienza è nuova, fresca, totalmente autorganizzata di giorno in giorno. Simonetta Salacone, la direttrice, la chiama presidio permanente ed è felice di aprire la scuola a questa esperienza che ci fa crescere tutti e ci permette di comunicare e spiegare le ragioni della lotta. Nella sala grande del plesso abbiamo fatto la nostra base e c’è un via vai continuo di gente che viene per restare o solo per portare un appoggio o prendere contatti o portare una torta per i bimbi. Arriva il pedagogo Alberto Alberti a raccontare perché fu deciso di introdurre i due maestri e il tempo pieno e fa un discorso chiaro davanti a trecento persone: “Chi dice riduciamo il tempo nella scuola non ce l’ha col tempo pieno, ce l’ha con la scuola! Vogliono che i ragazzi vengano bocciati per mandarli alla scuola privata, vogliono clienti per la scuola privata.” Quando scende la sera srotoliamo i sacco a peli e i materassini per dormire tutti insieme, bambini, maestre e noi genitori in un clima di gioia e eccitazione che è difficile da contenere. Questa notte a scuola oggi è speciale e vale più di un giorno di lezione normale. Sono le esperienze formative come queste che fanno la conoscenza e oggi impariamo a lottare per i nostri diritti. Se ci si addormenta a mezzanotte, per questa volta non fa niente. Piano piano scende il silenzio e noi “grandi” facciamo turni di “guardia” ogni due ore, e che sia un’occupazione nuova si vede anche quando arriva la pattuglia della polizia al cancello: ci chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa e che possono fare per noi, poi si allontanano dicendo che abbiamo ragione. Sveglia alle 6.30 per pulire tutto, alle 8 comincia la lezione regolare, arrivano gli altri genitori con i loro figli. C’è chiaramente anche chi è scocciato dagli striscioni, dalle magliette, dalle assemblee, dalle foto e gli articoli sui giornali. Mentre volantiniamo si accendono discussioni. Qualcuno minaccia di togliere i propri figli e trasferirli dalle suore (contenti voi…). C’è chi è fatalista e già sconfitto per cui non c’è niente da fare. Chi è confuso e convinto che maestro unico e tempo pieno sono un aumento della qualità come dice la Gelmini. Buonanotte. La maggior parte, però, comincia a comprendere meglio i meccanismi della truffa che ci stanno cucinando. Non c’è nessuna riforma in atto, è Tremonti il pedagogo di riferimento della Gelmini. Bisogna fare cassa? Tagliamo le spese e gli stipendi dei militari! E’ venerdì 26 settembre, quando dopo una settimana di occupazione e una di assemblea quasi permanente, usciamo dal cancello dell’Iqbal Masih e attraversiamo il quartiere Centocelle con più di duemila persone! E chi se le aspettava. Con 38 scuole al nostro fianco. Dobbiamo resistere. Riguardo le foto di quelle prime notti di occupazione e mi commuovo, ma non c’è un minuto da perdere. Dobbiamo intensificare le azioni. In questi giorni il decreto arriva in parlamento per l‘approvazione alla camera. Abbiamo sentito istituti della Puglia e di Milano, maestri del Veneto, a Bologna la scuola elementare XXI aprile ha occupato e anche a Quartu S. Elena vicino Cagliari (e si chiama anche lei Iqbal Masih). Una scuola di Torre in Pietra ci dice che sono pronti a entrare in occupazione. La situazione è bollente. Dopo un veloce consulto collettivo lanciamo per giovedì 2 ottobre prossimo in tutta Italia un “No Gelmini Day”. E’ un modo per far parlare insieme queste scuole e le università, per produrre uno sciame di azioni diffuse. Chi può presidiare oltre l’orario scolastico è il momento di farlo. Anche chi si sente isolato può fare qualcosa. E che sia il giorno prima o quello dopo va bene uguale. Attacchiamo striscioni ovunque perchè sia chiaro e visibile il nostro NO! Ricordate le bandiere dell’arcobaleno appese alle finestre? Che ogni scuola abbia il suo striscione. Sarebbe bello che ognuno faccia una foto scrivendo il nome della scuola e la città e la invii a questa mail: nonrubatecilfuturo@gmail.com. Poi chiederemo a trasmissioni “amiche” come Blob o Striscia o le Jene o la Dandini se possono mandarle tutte con la musica di sottofondo dell’intervallo di un tempo (quando appunto c’era il maestro unico) a rappresentare una rete di scuole in lotta e degne che sono la nostra Repubblica. Come uno spot contro il decreto. Mettiamo sotto pressione la Gelmini. Noi amiamo e difendiamo la nostra scuola.


Militant A

Fuga da Nisida

Napoli, Gelmini inagura l'anno scolastico in un carcere minorile

Precari della scuola, Onda e genitori contestano la Gelmini

Inizia l'anno scolastico e la città di Napoli è stata la fortunata scelta dal Ministro Gelmini per l'inaugurazione, ovviamente scegliendo bene la location che gli permettesse di tener il più lontano e facilmente possibile le contestazioni dei maestri, genitori e studenti che l'attendevano.

Questa matina circa un centinaio tra maestri, genitori e studenti hanno presidiato l'ingresso del carcere minorile di Nisida, unica strada che collega l'isolotto di Nisida alla città, strada dove la Gelmini sarebbe dovuta passare, ma il blocco stradale effettuato dai manifestanti ha costretto la Gelmini ad arrivare alla scuola via mare e fuggire poi da li sempre via mare, proprio come farebbe qualcuno tentando di evadere.

I manifestanti hanno costretto i giornalisti arrivati lì per l'occasione a scendere dall'autobus che li trasportava, per ascoltare le ragioni della protesta prima di raggiungere la sala della conferenza stampa.

Questa è l'ennessima dimostrazione di come il governo ha intenzione di affrontare la crisi e le questioni della formazione e del lavoro.

Ancora una volta si ha la dimostrazione che davanti alle proteste e le richieste di chi lotta in questo paese, l'unica via possibile per la Gelmini e i suoi sono le convection private (all'inteno di un carcere e non una scuola) e la fuga, più lontano e più veloce possibile.

da GlobalProject

La combinazione Vaticano - Criminalità Organizzata scricchiola.

Incrinato l’asse portante del governo della Repubblica Pontificia negli ultimi 30 anni. La Repubblica Pontificia verso l’impasse!

Approfittare della crisi politica per cacciare la banda Berlusconi e instaurare un governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari!

Condurre su larga scala la Campagna d’Autunno per garantire un posto di lavoro ad ogni adulto: uomo, donna, autoctono o immigrato!

La fase terminale della crisi generale del capitalismo ha fatto aggravare in ogni paese imperialista anche la crisi politica. In ogni paese i governi borghesi mettono sotto pressione le forze di polizia e aumentano controlli, aggressioni, ronde, manovre sporche, pene e prigioni, nell’illusione di risolvere con l’apparato repressivo i problemi creati dall’ordinamento sociale sorpassato e dalla mancanza di coesione sociale. Grandi prospettive di vittoria si aprono per il movimento comunista ovunque si libererà abbastanza dal dogmatismo e dall’economicismo e abbraccerà con sufficiente decisione la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

In Italia la crisi politica si sta sviluppando in un modo suo particolare,

corrispondente alle particolarità del paese.

Come l’on. D’Alema ama spesso ripetere, l’Italia non è un normale paese imperialista. Fare dell’Italia un normale paese imperialista sembra in certi momenti essere il suo programma. Ma la complicità che lega tra loro gli esponenti delle classi sfruttatrici di fronte alle masse popolari e li rende ottusi od omertosi, impedisce a D’Alema di dire apertamente perché l’Italia non è un paese (imperialista) normale: D’Alema tira il sasso e nasconde il braccio o forse sente il suono delle campane ma non capisce da dove viene.

La principale particolarità del nostro paese, quella che fa l’Italia diversa da tutti gli altri paesi imperialisti, consiste nel fatto che il nostro paese è sottoposto a un’autorità politica (occulta) di ultima istanza, il Papa, inamovibile e insindacabile nell’ambito dell’ordinamento esistente ben più di quanto lo sia la “Guida Suprema” nella Repubblica Islamica dell’Iran. Il reggitore supremo del nostro paese è anche un’autorità internazionale residuata del Medioevo europeo e del ruolo svolto dall’Europa nella creazione del mondo attuale. In realtà è selezionato da una rete internazionale di prelati e di personalità ben al di sopra della borghesia italiana, ma pretende addirittura di essere designato da Dio e di derivare direttamente da Dio non solo la sua autorità (questo lo pretendevano tutti i monarchi d’un tempo), ma addirittura le sue parole, donde la sua infallibilità. Il Vaticano e la sua Chiesa sono l’eredità morbosa e malefica che il Medioevo europeo ha lasciato al nostro paese e di cui la borghesia, quando 150 anni fa lo unificò, non fu capace di liberarsi stante le condizioni in cui si svolse l’unificazione.

Chi cerca di capire la natura e la concatenazione degli eventi d’Italia senza tener conto di questo carattere particolare del paese, è fin dall’inizio fuori strada. Non gli è possibile ricostruire razionalmente né la storia dell’Italia moderna né lo sviluppo degli eventi contemporanei.

Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale il Papa aveva condiviso la soprintendenza alle cose d’Italia con il Re dei Savoia. Quando il Re fu travolto dalla sua complicità col fascismo, il Papa rimase solo a soprintendere agli affari della neonata Repubblica Pontificia, in combutta con gli imperialisti USA.

L’attuale crisi politica da noi si sviluppa in questo contesto, a circa 60 anni da quando la Repubblica Pontificia riuscì a imporsi in alternativa all’instaurazione del socialismo. Ed è una crisi della Repubblica Pontificia stessa, non di una sua soluzione governativa.

Per capire la natura e l’entità della crisi in corso e i suoi possibili sviluppi, bisogna quindi ripercorrere la storia della Repubblica Pontificia.

Alla fine degli anni ’40 del secolo scorso essa si impose grazie alla forza propria del Vaticano, alla forza degli imperialisti anglosassoni (in particolare USA), alla forza delle Organizzazioni Criminali (Mafia, ‘Ndrangheta, Camorra principalmente), alla disperazione della borghesia italiana debilitata dalla sconfitta del fascismo. Ma fu principalmente a causa della linea imposta nel PCI dai revisionisti moderni capeggiati da Togliatti che la Repubblica Pontificia prevalse sul movimento comunista. Togliatti e i suoi complici accettarono il Vaticano come centro occulto del nuovo assetto politico del paese, sperando e cercando di averne i favori e il mandato a governare le correnti relazioni economiche e sociali, in cambio del rispetto dei suoi interessi economici (la parte della ricchezza prodotta in Italia che il Vaticano e la sua Chiesa incamerano per mantenersi, per alimentare il lusso e lo sfarzo delle loro corti, dei loro palazzi e delle loro cerimonie, per fare le loro opere di beneficenza e finanziare le loro opere pie, per svolgere il loro ruolo internazionale) e della sua egemonia intellettuale e morale su una parte della popolazione. Come era facile prevedere, le cose andarono alquanto diversamente.

Incamerato il riconoscimento e consolidato il suo ruolo di autorità di ultima istanza, perché il Vaticano avrebbe dovuto lasciare spazio al movimento comunista sia pure diretto dalla destra? Si trattava pur sempre di un movimento che aveva le sue proprie basi di forza nelle masse lavoratrici che per i loro propri interessi erano contrapposte al Vaticano e alla sua Chiesa. La Democrazia Cristiana fu la soluzione governativa designata dal Vaticano. La politica DC combinava lo sfruttamento dei lavoratori con la beneficenza e l’elemosina: quindi ben si adattava al periodo di ripresa dell’accumulazione di capitale e di sviluppo dell’apparato produttivo che seguì la Seconda Guerra Mondiale e al regime di controrivoluzione preventiva che in quegli anni la borghesia imperialista importava dagli USA. L’abbandono del territorio, lo sfascio idrogeologico, ambientale, morale e intellettuale e la perdita di sovranità che vennero realizzati in quei decenni (e che per alcuni aspetti resero lo stato del paese persino peggiore di quello ereditato dal fascismo) ben si addiceva sia al tradizionale e naturale disinteresse del Vaticano e della sua Chiesa per le sorti terrene dei popoli che scorticano, sia al perseguimento del profitto subito e ad ogni costo, alla rapina e al saccheggio senza riguardo per le conseguenze future che caratterizzavano la mentalità del capitalismo americano che si trapiantava nel nostro paese. Le masse popolari pagarono a duro prezzo le conquiste di civiltà e di benessere e i diritti che tuttavia sulla scia del movimento comunista, ancora forte nel mondo e in Italia, riuscirono a strappare alla borghesia e al suo Stato.

Negli anni ’70 con l’inizio della seconda crisi generale del capitalismo incomincia però anche la crisi del regime DC su cui fino allora si era basata la Repubblica Pontificia per il governo degli affari correnti del paese.

La fine, per leggi proprie del modo di produzione capitalista, del periodo di ripresa dell’accumulazione di capitale e di sviluppo dell’apparato produttivo e l’esaurimento, per limiti nella crescita intellettuale del movimento comunista, della forza propulsiva del progresso umano che esso aveva esercitato durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, sono il contesto internazionale in cui avviene la fine del regime DC.

La fine del capitalismo dal volto umano è la fine della linea di politica economica e sociale su cui dopo la Seconda Guerra Mondiale il regime DC si era consolidato e per alcuni decenni aveva retto. La combinazione dello sfruttamento con la beneficenza e l’elemosina e il rispetto più o meno approssimativo delle conquiste e dei diritti strappati dai lavoratori, diventavano incompatibili con le misure necessarie per far fronte alla crisi assieme ai gruppi imperialisti degli altri paesi: privatizzazioni, esternalizzazioni, delocalizzazioni, finanziarizzazione, speculazione finanziaria, globalizzazione.

È a questo punto della storia d’Italia che le Organizzazioni Criminali (Mafia, ‘Ndrangheta e Camorra principalmente) tracimano dai territori tradizionali, travalicano i vecchi giri e mestieri, si impiantano a livello nazionale, invadono i grandi circuiti nazionali e internazionali della finanza, dell’industria e del commercio e assumono nuove responsabilità politiche a livello nazionale, ispirate da Licio Gelli e dalla sua P2.

Berlusconi e Craxi sono i personaggi chiave della nuova fase della Repubblica Pontificia, quella appunto che finisce in questi mesi.

Nel 1976 Craxi strappa a Mancini la segreteria nazionale del PSI. Di quale nuovo corso Craxi fosse portatore e di quale ambiente fosse l’esponente politico e la marionetta, era noto a una larga cerchia della classe dominante. Come sfrontatamente dirà D’Alema durante Tangentopoli nei primi anni ’90, “Lo sapevano tutti”: ovviamente tutti gli individui che contano. Ma in una classe dominante che vive nella paura delle masse popolari e fonda il suo potere sulla loro intrattenuta ignoranza, sulla loro fiduciosa credulità, sulla diversione della loro attenzione e sulla mancanza di un loro orientamento unitario, vi è una complicità di ferro che lega tra loro, anche di fronte ai crimini, gli esponenti “responsabili” della politica, della finanza, del clero, dell’amministrazione pubblica, delle forze armate e delle polizie, degli affari: solo chi è complice è ammesso a sapere (e a spartire il bottino) e se qualcuno esce dal coro senza essersi precostituito adeguate protezioni, paga con la vita. O comunque con l’emarginazione.

Fino allora la Mafia aveva avuto voce in capitolo nella politica nazionale tramite la DC di Andreotti. Con l’installazione di Craxi alla testa del PSI nel 1976, essa inizia a costruire una propria rappresentanza politica a livello nazionale alternativa alla DC. Tramite tra la Mafia e Craxi in questa operazione sarà proprio Berlusconi. Questi ha fatto la sua carriera di operatore finanziario della Mafia e la sua fortuna di speculatore immobiliare nella Milano della cui amministrazione comunale Craxi è padre e padrone da anni, proprio nel periodo in cui la Mafia si installa a Milano, nella Borsa e nel mondo finanziario.

Silvio Berlusconi è persona di grandi capacità e di grande ambizione che, stante la scuola a cui è stato formato, ha impiegato e impiega contro le masse popolari italiane e contro il progresso dell’umanità, per perpetuare nel contesto concreto il sistema di relazioni sociali borghesi nell’ambito della Repubblica Pontificia, come Mussolini lo fece nel contesto della prima crisi generale del capitalismo e dell’eredità della Prima Guerra Mondiale nell’ambito della diarchia Monarchia-Vaticano. Le ha impiegate con successo dapprima per fare carriera come finanziere della mafia, poi per costruirsi un impero economico personale, quindi per acquistare autonomia anche rispetto alla Mafia senza farsi schiacciare ed eliminare (come successo invece a Virgillito, a Sindona, a Calvi e ad altri), assurgere alla direzione delle Organizzazioni Criminali e del sistema della P2 di Licio Gelli e diventare la personificazione più moderna del padrino mafioso e dell’uomo politico borghese dei nostri tempi. Come ha fatto con altri personaggi, ad esempio con Mussolini e ancora di più con Hitler, quando le cose volgono male la borghesia cerca di confondere le tracce e di far in modo che non si riconosca in dati personaggi l’espressione più integrale e più pura del suo proprio carattere nelle condizioni dell’epoca. Ma in realtà Berlusconi incarna meglio di qualunque altro personaggio il carattere della borghesia imperialista della nostra epoca. Questa è anche la ragione del suo successo a livello nazionale e internazionale nei molti campi in cui si è cimentato. Tuttavia il soggetto reale dell’attuale crisi politica italiana non è Berlusconi con i suoi vizi e le sue virtù. Il soggetto reale della crisi è la Repubblica Pontificia.

Analogamente il soggetto reale del passaggio politico degli anni ’70 nel nostro paese non è la coppia Craxi - Berlusconi, ma la Repubblica Pontificia che deve trovare una soluzione governativa alternativa alla DC e la trova nella rappresentanza politica nazionale delle Organizzazioni Criminali costituita dal PSI di Craxi.

Nella classe dominante in quegli anni “tutti” sono al corrente sia della penetrazione della Criminalità Organizzata nel mondo industriale e finanziario della Lombardia e del resto del paese, sia del ruolo che il PSI di Craxi sta assumendo. Alcuni esponenti della classe dominante non sono convinti della piega che gli avvenimenti stanno prendendo: temono che finirà male. Berlinguer cercherà di coalizzare attorno al suo PCI quella parte della classe dominante che si oppone alla penetrazione mafiosa e criminale nei “salotti buoni” della borghesia settentrionale e al ruolo politico nazionale che le Organizzazioni Criminali stanno assumendo per la prima volta nella storia d’Italia. A sua maniera Berlinguer denuncia l’operazione in corso e il ruolo del PSI. Ma lo fa senza la decisione di chi dà una battaglia in cui o si vince o si muore, senza parlare chiaro, parlando per allusioni, guardandosi bene dal mobilitare le masse popolari con il progetto di un’alternativa realistica. Insomma si oppone al ruolo politico delle Organizzazioni Criminali di cui Craxi è portatore, ma salvaguardando anzitutto la solidarietà che lega tra loro i membri della classe dominante contro le masse popolari, alla quale le Organizzazioni Criminali e i loro portavoce politici appartengono.

Berlinguer denuncia chiaramente che con l’avvento di Craxi alla segreteria del PSI negli anni 70, il ruolo del PSI nella politica italiana era cambiato e gli equilibri di potere erano cambiati. In effetti la Mafia stava passando da un ruolo politico locale in relazione con DC-Andreotti a un ruolo politico nazionale per il quale PSI-Craxi era il suo strumento. Era grazie ai soldi della Mafia che arrivavano al PSI tramite Berlusconi, che Craxi emancipava finanziariamente il PSI dal PCI e ne faceva il protagonista principale del teatrino nazionale della politica borghese. Ma la partita giocata da Berlinguer non aveva prospettive di successo, era un progetto velleitario da sinistra borghese. Nelle aspirazioni e nelle ispirazioni era una linea di conservazione, perpetuazione e perfezionamento della politica DC, ma quando oramai questa era incompatibile con la nuova crisi generale del capitalismo. Nella pratica (la linea dell’EUR lo mostra chiaramente, come lo confermano la linea seguita dai “socialisti” Mitterand in Francia, Gonzalez in Spagna, Schmidt in Germania) avrebbe seguito la stessa linea seguita dalla coppia Craxi - Berlusconi: il “programma comune” della borghesia imperialista che si viene definendo in quegli anni. L’estrema destra del PCI, Napolitano & C, rimprovereranno sempre a Berlinguer di non avere subordinato il PCI al “progetto di modernizzazione” sostenuto da Craxi, permettendo così al PSI di sganciarsi radicalmente dalla DC e di separare le sue sorti da quelle della DC.

In realtà di fronte alla nuova crisi generale del capitalismo solo la mobilitazione delle masse popolari organizzate avrebbe potuto imprimere alla storia del nostro paese un corso diverso da quello che c’è stato, imponendo un nuovo sistema di relazioni sociali: dal capitalismo dal volto umano all’instaurazione del socialismo. Per ragioni di classe, i borghesi che si opponevano a che le Organizzazioni Criminali assumessero un ruolo politico nazionale preminente, non la potevano neanche prendere in considerazione. Restando operazione di palazzo, interna alla classe dominante e chiusa nell’orizzonte delle sue relazioni sociali, il progetto di Berlinguer non poteva che fallire, minato dal contrasto tra la sua ispirazione e le necessità imposte dagli interessi della classe che doveva farsene realizzatrice, tra la sua teoria e la pratica.

Né le Brigate Rosse, che allora erano la sinistra del movimento comunista, avevano una comprensione abbastanza dialettica della situazione da concepire un progetto di così ampio respiro e usare esse a proprio vantaggio il passaggio politico in corso e i contrasti tra i suoi protagonisti borghesi trasformando il tutto in crisi e disfatta della Repubblica Pontificia. Quando in un paese vi è un contrasto decisivo, o si è alla testa dello scontro, o si è usati da chi è alla testa: che lo si voglia o no, che se ne sia consapevoli o meno. Così la lotta di classe diretta dalle Brigate Rosse (emblematica la lotta del 1980 alla FIAT) di fatto indebolì ulteriormente il progetto Berlinguer. Gianni Agnelli era schierato con Berlinguer (ancora nel 1994 contro Berlusconi appoggerà la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto finita contro un muro con il fiasco del 27 marzo), ma persino la FIAT pesò a favore delle Organizzazioni Criminali grazie a Cesare Romiti, quello che con tutta la famiglia farà fortuna nel malaffare dei rifiuti, in Campania e altrove, in connivenza e collaborazione con le Organizzazioni Criminali.

Negli anni ’80 Craxi e il suo PSI diventano dunque a livello nazionale la rappresentanza politica della Mafia e delle altre Organizzazioni Criminali, profondamente penetrate nel mondo finanziario e industriale di tutto il paese. Il mandato del Vaticano a governare arrivò al PSI di Craxi negli anni ‘80. La nuova combinazione tra Vaticano e Organizzazioni Criminali viene consacrata con l’elevazione di Pertini alla presidenza della repubblica, con l’avvento di Craxi alla testa del governo, con il rinnovo del Concordato (1984). Sono anche gli anni in cui il PSI di Craxi lancia l’attacco alle conquiste economiche e sociali e ai diritti strappati dalle masse popolari alla borghesia: con il Decreto di S. Valentino (febbraio 1984) viene intaccata d’autorità la scala mobile.

Quando a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 la combinazione degli avvenimenti nazionali e internazionali diventa tale che la DC e il PSI di Craxi-Andreotti-Forlani (il CAF) vengono insieme travolti, Berlusconi che fino allora era stato il burattinaio di Craxi, l’eminenza grigia del regime, per salvare il salvabile deve occuparsi direttamente del teatrino della politica borghese.

L’allarme di Berlusconi per la ripresa in questi mesi delle inchieste di Palermo e Milano sulle stragi dei primi anni ’90, è legato al fatto che quelle stragi sono il contesto in cui lui, che come fiduciario della Mafia aveva fino allora manovrato Craxi e il suo PSI, dopo che Craxi era stato eliminato decise di scendere personalmente in politica e divenne capo del governo (1994). Se le due Procure procedono, vuol dire che ora si è formata una coalizione che si sente abbastanza forte per eliminare Berlusconi (se fossero iniziative personali di magistrati aspiranti suicidi, qualcuno li aiuterà a suicidarsi).

Riassumendo:

1. la banda Berlusconi, rappresentanza politica nazionale delle Organizzazioni Criminali, per più di quindici anni ha governato l’Italia su mandato del Vaticano (con la complicità di Prodi e D’Alema, che hanno svolto il ruolo sussidiario nell’attuazione del “programma comune” della borghesia imperialista ogni volta che la banda ne ha avuto bisogno);

2. gli scricchiolii dell’asse Vaticano - Berlusconi sono gli scricchiolii dell’asse Vaticano - Organizzazioni Criminali su cui da alcuni decenni si regge il governo italiano.

Quali soluzioni può avere la crisi politica in corso? Su chi il Vaticano può appoggiarsi per perpetuare la Repubblica Pontificia, delegandogli la gestione delle correnti relazioni economiche e sociali nelle attuali condizioni, le condizioni della fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo?

Di questo discutono nella Conferenza episcopale italiana (Bagnasco, Ruini, Tettamanzi & C) e in Vaticano (Ratzinger, Bertone & C). La rottura del Vaticano con le Organizzazioni Criminali rappresentate politicamente dalla banda Berlusconi è quindi un passaggio decisivo della crisi politica dell’Italia borghese. In questi mesi si spezzano le particolari relazioni tra il Vaticano e le grandi Organizzazioni Criminali (Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta principalmente) su cui regge il governo italiano da 30 anni in qua, prima nell’epoca Craxi poi nell’poca Berlusconi. In questi mesi può avvenire qualcosa di analogo a quello che avvenne nei primi anni ’90. La Conferenza Episcopale italiana discute del dopo Berlusconi, sotto il manto della “Guida Suprema”, Benedetto XVI (alias Joseph Ratzinger).

Il Vaticano in Italia è l’autorità politica di ultima istanza, ma resta un’istituzione medioevale. Per sua natura, non è in grado di svolgere in prima persona il ruolo che uno Stato moderno ha nelle relazioni economiche e sociali di un paese capitalista, analogamente a come nel Rinascimento non poteva promuovere esso stesso la costituzione di uno Stato nazionale in Italia (come ben spiegò a suo tempo Machiavelli). Se cercasse di farlo, diventerebbe un partito o una fazione politica tra le altre. Quindi subirebbe la sorte di ogni partito o fazione politica. Il Vaticano invece è un’istituzione che opera ancora oggi come un’istituzione medioevale, quando la Chiesa, come le altre istituzioni dell’epoca, estorcevano ai contadini e agli artigiani una quota parte del prodotto del loro lavoro, ma non assumevano direttamente la gestione delle relazioni e delle attività economiche. Cosa che oggi uno Stato non può più fare.

Il Vaticano non ha una sua politica economica e sociale adatta alla crisi generale, ma non può neanche accettare e avallare la politica economica e sociale con cui la Banda Berlusconi e le Organizzazioni Criminali affrontano la fase terminale della crisi generale.

Negli anni ’70 il Vaticano ha dovuto rinunciare alla linea del capitalismo dal volto umano impersonata dalla DC, linea diventata incompatibile con la crisi generale del capitalismo iniziata a metà degli anni ‘70. Finché si trattava di tirare in lungo e procrastinare gli sbocchi catastrofici della crisi generale, la rappresentanza politica nazionale delle Organizzazioni Criminali, prima con Craxi e poi con Berlusconi, per il Vaticano ha “ben operato” seguendo il “programma comune” della borghesia imperialista. Ma da un anno siamo entrati nella fase terminale della crisi generale e il Vaticano non può aderire alla linea apertamente criminale e razzista impersonata dalla banda Berlusconi. Perché è una linea incompatibile con l’egemonia del Vaticano e della sua Chiesa sulle masse popolari italiane, in qualche misura formate dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria a difendere i propri interessi di classe e a una certa comprensione del carattere collettivo della vita di ogni individuo. La prima ondata della rivoluzione proletaria ha costretto persino la Chiesa e il Vaticano all’aggiornamento del Secondo Concilio Vaticano.

Il Vaticano e la sua Chiesa sono un residuato del Medioevo europeo. Il potere del Vaticano e della sua Chiesa non ha né origini né basi misteriose ed è tutt’altro che indistruttibile. Al contrario, è pericolante.

Su cosa poggia il potere del Vaticano? Sostanzialmente su quattro pilastri che si condizionano tra loro:

1. l’egemonia intellettuale e morale che il Vaticano ha su una parte (decrescente ma ancora importante) delle masse popolari italiane,

2. la debolezza della borghesia italiana che non ha mai instaurato una sua egemonia intellettuale e morale su una parte decisiva delle masse popolari italiane,

3. le relazioni che il Vaticano ha con le autorità e i potentati degli altri paesi imperialisti (ancora tutti, salvo il Giappone, di origine europea: l’Occidente bianco),

4. l’aiuto che il Vaticano dà ai gruppi imperialisti di origine europea (all’Occidente bianco) nello sfruttamento di gran parte dei paesi oppressi e nel tenerli sottomessi.

Di questi quattro pilastri, decisivo è il primo: crollato questo, tutto l’edificio medioevale del Vaticano crollerebbe. Il Vaticano quindi ricorrerà a ogni mezzo per evitare che si formi una contrapposizione aperta tra sé e le masse popolari italiane, per evitare che si riduca ulteriormente e fortemente la frazione delle masse popolari italiane su cui esso ha ancora egemonia intellettuale e morale.

Ma le masse popolari italiane non sono subordinate intellettualmente e moralmente al Vaticano per decreto divino. Una parte importante si è già sottratta all’egemonia vaticana. In molti campi della vita, in primo luogo quelli relativi alle relazioni familiari, alla procreazione, alla contraccezione, alle relazioni sessuali l’egemonia del Vaticano è ridotta al lumicino. La parte delle masse popolari che ha aderito al programma razzista e criminale delle Lega Nord ha già in parte rotto, da destra, con l’egemonia del Vaticano e della sua Chiesa. Anche se Bossi e la sua Lega Nord hanno abbandonato il dio Po e ora si dichiarano difensori della “tradizione cristiana cattolica e romana del nostro paese”, il Vaticano non può dare mandato di governare alla Lega Nord.

Questo è il vicolo cieco in cui si trova la politica borghese in Italia. Il fattore decisivo tra l’impasse politico della borghesia e l’instaurazione del socialismo è il progetto politico del governo di Blocco popolare: un’alternativa politica, di governo, alla mobilitazione reazionaria.

L’instaurazione della Repubblica Pontificia è stata un successo del Vaticano, ma ha anche creato una trappola in cui il Vaticano resterà incastrato, se il nuovo movimento comunista italiano sarà all’altezza del suo compito.

Noi comunisti dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani del marasma in cui ha cacciato le masse popolari del nostro paese.

Dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani della sorte dei milioni di disoccupati ed emarginati che la Repubblica Pontificia ha creato e sta creando nel nostro paese.

Dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani della sorte di miseria, umiliazione, galera e morte a cui la Repubblica Pontificia condanna centinaia di migliaia di emigranti.

Dobbiamo impedire con ogni mezzo e ad ogni costo che il Vaticano si lavi le mani dell’abbrutimento razzista in cui ha condotto una parte importante delle masse popolari: le zone di maggior impiantamento della Lega Nord sono anche le zone dove la Chiesa ha maggiore egemonia intellettuale e morale (anzitutto il Veneto, le province di Bergamo e Brescia e le altre province lombarde).

Questi sono i temi che dobbiamo porre al centro della battaglia politica, imporre come centro dell’attenzione anche nel teatrino della politica borghese.

Per realizzare tutto ciò dobbiamo in particolare dare una prospettiva politica realistica e costruttiva anche alle masse popolari che, in misura più o meno forte, ancora subiscono l’egemonia intellettuale e morale del Vaticano e della sua Chiesa, ma sono contrarie alla condotta razzista e criminale della banda Berlusconi, alle loro associazioni, correnti, gruppi e ai personaggi che le rappresentano. Dobbiamo evitare che il buonismo, stupido, ipocrita e inconsistente alla prova dei fatti, della sinistra borghese, porti anch’esse all’esaurimento e a cedere il passo alla mobilitazione reazionaria.

Non ha senso predicare a chi è a rischio di perdere quello che ha conquistato, che deve dividere la miseria con chi non ha nulla. Una vita dignitosa per tutti è possibile. Questo dobbiamo porre come obiettivo!

Le sei misure che sintetizzano i provvedimenti che prenderà il governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari (il governo di Blocco Popolare) sono l’unico programma realistico e costruttivo anche delle associazioni e correnti antirazziste cattoliche. Dobbiamo portarlo anche tra esse e tradurlo anche con esse in un movimento politico che le attui: la costituzione di un governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari.

Che il Vaticano levi dal fuoco le sue castagne, che peli le sue gatte, che ingoi i suoi rospi!

Per la natura stessa delle cose le masse popolari che ancora in tutto o in parte subiscono l’egemonia intellettuale e morale del Vaticano e della sua Chiesa non possono darsi altro programma che le sei misure che noi proponiamo per il governo di Blocco Popolare, salvo aderire alla mobilitazione reazionaria. Per non perdere completamente la sua egemonia, il Vaticano e la sua Chiesa saranno costretti a ingoiare o a spaccarsi. Su questo oggi i vescovi e i prelati del Vaticano stanno già litigando. Noi comunisti dobbiamo portare con decisione e chiarezza la nostra proposta politica alle masse popolari da cui il Vaticano e la Chiesa dipendono! Il Vaticano e la sua Chiesa per loro natura sono nemici del socialismo e incompatibili col socialismo. Ma le masse popolari sono il loro tallone d’Achille e il loro futuro è nel socialismo.

Questo è il quadro della crisi politica in Italia, questi sono i suoi attori principali dal lato delle classi dominanti.

Come si vede, è un quadro strettamente legato alla Campagna d’Autunno per i posti di lavoro, all’instaurazione di un governo d’emergenza formato dalle Organizzazioni Operaie e dalle Organizzazioni Popolari, all’instaurazione del socialismo. Per capirlo chiaramente e tradurre questa interpretazione del mondo in un’efficace azione di trasformazione del mondo bisogna che noi comunisti assimiliamo a un livello superiore il Materialismo Dialettico, che rompiamo ancora più nettamente i nostri legami con il dogmatismo e con l’economicismo che hanno infettato e frenato e in definitiva reso impotente il vecchio movimento comunista del nostro paese e degli altri paesi imperialisti, che adeguiamo la nostra azione alla situazione concreta con cui abbiamo a che fare che a grandi linee, a livello nazionale, è quella sopra descritta.

La strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata ci permette e ci obbliga a elaborare tutte le forme di transizione, tutti i passaggi necessari tra la situazione presente che abbiamo sopra delineato, l’instaurazione del socialismo, il comunismo. Essa porta nel movimento comunista del nostro paese, e degli altri paesi imperialisti, una grande innovazione. Secondo la concezione prevalente nel vecchio movimento comunista, la rivoluzione socialista consisteva in un’insurrezione che prima o poi sarebbe scoppiata per la combinazione e la confluenza di una serie di fattori su cui il Partito comunista aveva poca o nessuna influenza. La rivoluzione socialista era un evento che sarebbe scoppiato e il Partito comunista doveva prepararsi per essere pronto a cogliere l’occasione. Questa concezione si è dimostrata fallimentare nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria. Il movimento comunista non ha instaurato il socialismo in alcun paese imperialista. Non a caso simile concezione (rivoluzione che scoppierà e partito che si prepara) trova la sua espressione più aperta e integrale e nello stesso tempo caricaturale nella concezione e nella pratica delle sette trotzkiste e bordighiste. Mentre nel movimento comunista reale quella concezione primitiva, mutuata dall’esperienza della rivoluzione borghese, è sempre entrata in contrasto con le esigenze pratiche del movimento stesso. Noi abbiamo tirato le conclusioni teoriche di quel contrasto che l’esperienza ha più volte messo in luce. E il movimento comunista per arrivare al successo ha bisogno di una certa coscienza di quello che sta facendo: senza teoria rivoluzionaria il movimento comunista non può andare oltre un livello elementare.

Il valore della strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata sta invece nel concepire la rivoluzione socialista come un processo che il Partito costruisce campagna dopo campagna, una linea che il Partito attua facendo leva sul movimento spontaneo delle masse popolari per accrescere le sue forze, una guerra che il Partito conduce manovrando fase dopo fase le forze di cui già dispone per acuire le contraddizioni tra la classe dominante e le masse popolari e le contraddizioni tra i gruppi della borghesia imperialista (insomma la crisi politica) fino a rendere impossibile alla borghesia il governo del paese.

L’instaurazione del socialismo sarà un processo compiuto dalle masse popolari promosso e guidato dal Partito comunista a partire dalla situazione attuale e facendo leva sulle contraddizioni proprie della situazione attuale, in primo luogo sulle contraddizioni della crisi politica della classe dominante: quelle che abbiamo fin qui illustrato.

Noi dobbiamo avanzare tutte le rivendicazioni economiche e pratiche, dobbiamo esigere dalle Autorità e dai capitalisti tutti i provvedimenti economici necessari per alleviare immediatamente le sofferenze delle masse popolari, in primo luogo lavoro e reddito. Le sei misure del governo di Blocco popolare sintetizzano questi provvedimenti. Le rivendicazioni economiche sono indispensabili e possono avere successo. Ma il fattore decisivo del successo e quello che a lungo andare decide di tutto è la lotta politica.

In un contesto come quello della fase terminale, i problemi economici si risolvono con misure politiche.

Le singole aziende sono in crisi, perché l’intero sistema delle relazioni sociali è in crisi, deve cambiare!

La rinascita del movimento comunista è frenata dal dogmatismo e dall’economicismo dei comunisti.

1. Anche di fronte al precipitare in questi mesi della seconda crisi generale del capitalismo la maggior parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti si rifugiano virtuosamente nell’analisi che Marx ha fatto delle crisi cicliche decennali del secolo XIX. Per anni hanno negato che operavamo nel contesto di una situazione rivoluzionaria in sviluppo; oggi interpretano la fase terminale della seconda crisi generale come una crisi ciclica analoga a una delle crisi cicliche decennali del secolo XIX la cui successione si è arrestata negli anni ‘70 del secolo XIX, come chiaramente indicato già da Engels. A conferma della giustezza della loro lotta contro il revisionismo moderno, rivendicano la confermata verità del marxismo (quello che però ora fa perfino Tremonti). In realtà la crisi attuale ha a che fare solo alla lontana con quella successione di crisi cicliche decennali. Esse duravano al massimo pochi anni ed erano risolte dalla spontanea ripresa degli affari, dei consumi e degli investimenti. L’attuale non è una crisi ciclica di breve periodo. È la fase terminale della seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Lo studio dell’esperienza della prima crisi generale del capitalismo, quella svoltasi nella prima parte del secolo XX, più che lo studio dell’esperienza delle crisi cicliche decennali del secolo XIX, ci aiuta a capirla. Essa ha prospettive, forme di sviluppo e leggi di sviluppo diverse da quelle delle crisi cicliche decennali del secolo XIX. Dalla crisi attuale non si esce per ripresa spontanea degli affari, dei consumi e degli investimenti. Si esce tramite uno sconvolgimento profondo delle relazioni politiche internazionali e del sistema delle relazioni sociali almeno dei maggiori paesi. Questo è il contesto della nostra lotta.

2. Di fronte al precipitare della crisi la maggior parte dei partiti comunisti dei paesi imperialisti invocano misure politiche keynesiane e ne promuovono la rivendicazione. Certamente bisogna costringere la borghesia e le sue autorità a prendere provvedimenti contronatura (cioè contrari alla natura dei capitalisti), ed è possibile farlo: le sei misure del governo di Blocco popolare ne sono la sintesi. L’enormità del disastro economico, sociale e ambientale, la salutare paura di perdere tutto (non solo la ricchezza ma anche la pelle) e l’esistenza di strumenti tecnici come la moneta fiduciaria mondiale (che resiste nonostante le spinte verso l’oro che sta diventando anch’esso nuovamente moneta internazionale) ci consentono di obbligare i capitalisti a misure contronatura. Ma i capitalisti le prenderanno e le manterranno e queste misure saranno passi e aspetti del processo costruttivo di un nuovo ordine e non solo fattori di disfacimento del vecchio, ferite inferte al corpo già malato del vecchio ordinamento sociale, solo se saranno promosse e imposte da un movimento di lavoratori e masse popolari organizzate che vogliono instaurare il socialismo (quindi nell’ambito della strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, con forme di transizione adeguate al grado di sviluppo dell’organizzazione e della coscienza delle masse, con strumenti organizzativi adeguati). Le misure keynesiane alleviano momentaneamente, ora qua ora là, le sofferenze delle masse popolari ma non risolvono la crisi. La prima crisi generale fu risolta dalle guerre mondiali e dalla prima ondata della rivoluzione proletaria, non dal New Deal di Roosevelt né dalle affini politiche economiche fasciste e naziste. Le misure keynesiane creano a loro volta altri contrasti e costrizioni insopportabili. Generano corruzione ad ogni livello e di svariatissimi tipi, nelle classi dominanti e tra le masse popolari. Gruppi di capitalisti approfittano delle misure che le masse popolari impongono alla loro classe, le deformano e le revocano (le misure sono precarie). Tutto ciò crea un disfacimento sociale generale. Infatti sono misure che agiscono solo sul lato della distribuzione, non agiscono anche sul lato della produzione. Un partito comunista che propone solo o principalmente una politica keynesiana (nel migliore dei casi un reddito universale) senza una riorganizzazione generale del sistema delle relazioni sociali (in primo luogo di quelle di politiche e poi di quelle economiche), crea principalmente caos e si limita al caos. Quindi apre la via (o lascia comunque la via aperta) alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Una politica rivoluzionaria che mira all’instaurazione del socialismo è la sola che rende massime le possibilità di successo delle singole rivendicazioni e combina ogni singolo successo in un processo che sfocerà nell’instaurazione del nuovo superiore ordine sociale: il socialismo.

La strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata ci permette di combinare in modo giusto lotta politica e rivendicazione economiche, l’obiettivo finale con i singoli passi del processo che porta all’obiettivo finale. Ci permette di tirare dalla crisi, politica economica e culturale in cui la borghesia ha gettato l’umanità, tutto il positivo possibile. La borghesia ha causato un grande cataclisma. L’umanità è coinvolta e sconvolta da un dramma di dimensioni epocali. Ma può uscirne con un grande passo in avanti dell’evoluzione storica della specie umana. Questo è il senso della nostra lotta.

Il nostro programma è fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. Per fare dell’Italia un nuovo paese socialista facciamo leva anche sulle anormalità, sulle caratteristiche particolari che fanno dell’Italia attuale una Repubblica Pontificia, governata da un’autorità di ultima istanza che si vuole di origine divina.

I primi paesi socialisti ci hanno mostrato a grandi linee la strada da seguire. Le aziende devono diventare istituzioni pubbliche come le scuole, gli ospedali, le tante aziende di servizi pubblici che già abbiamo visto all’opera. Devono essere amministrate secondo criteri di pubblica utilità, per soddisfare la richiesta individuale e collettiva di beni e di servizi da parte della popolazione. I beni e i servizi devono essere distribuiti alle famiglie, ai lavoratori autonomi, alle aziende o destinate a impieghi di pubblica utilità secondo criteri noti e condivisi. Questo è il punto di partenza e la base materiale del socialismo. I primi paesi socialisti, nella prima fase della loro esistenza, prima che la destra vi prendesse il sopravvento, introducesse criteri borghesi di direzione e di gestione e li avviasse sulla via della decadenza, della putrefazione e del disfacimento, ci hanno mostrato che il socialismo è possibile e che è un sistema superiore di società. Chi nega il ruolo storico principalmente positivo dei primi paesi socialisti e rifiuta la strada che nella prima fase della loro pur breve esistenza essi hanno indicato al mondo, non è in grado di presentare un progetto di società alternativa alla società attuale. È inevitabilmente ridotto ad auspicare sterilmente una società come l’attuale senza i suoi lati evidentemente negativi, un capitalismo senza speculazione, con il capitale finanziario moderato, con i capitalisti che si accontentano del “giusto profitto” e con la moderazione che consentirebbe a tutti di avere di che vivere. In realtà solo superando i limiti messi in luce dalla prima ondata della rivoluzione proletaria ma applicando le sue lezioni possiamo concepire e realizzare una società alternativa all’attuale.

Nell’immediato, non si tratta di inventare piattaforme di obiettivi che dovrebbero unire e mobilitare le masse. Si tratta di imporre alla borghesia, sulla scala più vasta che le forze già esistenti consentono, tramite la paura di perdere tutto compresa la pelle, misure che per la borghesia sono contronatura e quindi impossibili e provvisorie, di raccogliere grazie ai successi così conseguiti forze maggiori fino a costituire un nuovo potere abbastanza forte per instaurare un nuovo organico sistema di relazioni economiche e sociali in tutto il paese e un nuovo sistema di relazioni internazionali.

Il comunismo è principalmente il movimento pratico di trasformazione dello stato attuale delle cose. È nella pratica della lotta per distruggere il sistema imperialista mondiale e costruire il nuovo mondo che si dimostra la superiorità della concezione comunista. Per trasformare il mondo, bisogna conoscerlo. Ma l’aspetto principale è la trasformazione. Conosciamo per trasformare!

Questa è la concezione che guida il (nuovo)Partito comunista italiano!

È animati da questa concezione che noi chiamiamo tutti i comunisti, tutti i lavoratori avanzati, tutti i progressisti e i sinceri democratici a lottare con forza contro il governo della banda Berlusconi e contro la Repubblica Pontificia, per porre fine alla sua politica aggressiva contro i popoli oppressi e per porre fine alla crisi generale in cui ha precipitato le masse popolari del nostro paese. Si tratta di una unica lotta.

Le misure per impedire gli effetti più disastrosi della crisi generale del capitalismo e l’instaurazione di un governo di Blocco Popolare che le attui, aprono la via all’instaurazione del socialismo e rafforzano la lotta antimperialista in ogni angolo del mondo!

Con la nostra lotta per instaurare il socialismo nel nostro paese diamo un grande contributo alla lotta delle masse popolari degli altri paesi e alla rinascita del movimento comunista a livello internazionale!

Per la nostra lotta per instaurare il socialismo nel nostro paese possiamo giovarci delle lotte che le masse popolari degli altri paesi in tutto il mondo conducono per far fronte alla fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo e per porre fine all’aggressione imperialista!

Per questo lotta il nuovo Partito comunista italiano!

Per questa lotta il nuovo PCI chiede il concorso e il contributo della parte più generosa e onesta, della parte più avanzata delle masse popolari del nostro paese!

Compagni, operai, proletari, donne, immigrati e giovani: arruolatevi nel (nuovo)Partito comunista italiano!

Partecipate alla campagna di organizzazione del Partito!

Costituite clandestinamente in ogni azienda, in ogni zona e in ogni organizzazione di massa un Comitato di Partito!


da svizzera.indymedia

Lecce: detenuto napoletano di 38 anni si suicida impiccandosi

Lecce: detenuto napoletano di 38 anni si suicida impiccandosi

Ansa, 14 settembre 2009

Rosario Vollaro, 38enne, uno dei figli del boss di Portici, Luigi, detto "Ò Califfo", è stato trovato senza vita nella Casa Circondariale di Borgo San Nicola, dove era stato trasferito di recente.
Ha usato un lenzuolo per impiccarsi nella cella nella quale era stato destinato. Si è tolto la vita così, nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce, Rosario Vollaro, 38enne.
L’hanno trovato gli agenti di polizia penitenziaria quando non c’erano più speranze. Vollaro era stato trasferito sabato scorso dal carcere di Poggioreale nella casa circondariale del capoluogo salentino, su disposizione del ministero dell’Interno. Nella cella non è stata trovata una lettera, neanche poche righe per spiegare il gesto. L’autopsia sarà affidata al medico legale Alberto Tortorella.
Vollaro era noto nel napoletano per essere uno dei figli del capo del clan della zona di Portici, Luigi, detto "Ò Califfo", al momento a sua volta detenuto. Di recente Rosario Vollaro era stato arrestato dagli agenti di polizia della squadra mobile e del commissariato di Portici, in relazione ad un caso di presunta estorsione nei confronti di una ditta che gestisce i parcheggi pubblici comunali. Insieme a lui, anche due altre persone, il fratello Raffaele e Giovanni Spina. Qualche anno addietro, un altro fratello di Rosario Vollaro, Ciro, si suicidò nel carcere di Rebibbia. Diventato collaboratore di giustizia, diede impulso a diverse indagini di rilievo sul clan retto dal padre.

da Indymedia

IL MEMORIALE MORO e lo scandalo Italcasse

Durante i 55 giorni di prigionia Moro scrisse molto sia per sua volontà sia perché obbligato dai suoi carcerieri che lo sottoposero ad un vero e proprio interrogatorio (che nulla aveva a che fare con un “processo popolare” come venne chiamato dai brigatisti) al quale lui non si sottrasse. Ma a distanza di trent’anni non si sono mai trovati né i manoscritti né i dattiloscritti completi. Moro scriveva su fogli quadrettati di un grande block notes (cm 20 x 30); fotocopie delle risposte manoscritte (passate alle cronache come “memoriale”) vennero poi portate a Milano, nella base brigatista di via Monte Nevoso, ma non risulteranno nei verbali dei reperti compilati dai carabinieri dopo l’arresto di Azzolini e Bonisoli e la scoperta del covo milanese (1° ottobre 1978).

Neppure ben cinque processi hanno permesso di recuperare gli originali degli scritti di Moro durante la prigionia, né la trascrizione-sbobinatura degli interrogatori registrati al magnetofono, né gli stessi nastri delle registrazioni. La tesi che i nastri sarebbero stati distrutti per impedire l’identificazione della voce che “interrogava” Moro – cioè quella di Mario Moretti, il quale ha sempre sostenuto di essere stato il solo a interrogare il prigioniero – è implausibile, dal momento che la voce di Moretti era già stata “bruciata” dalla lunga telefonata a casa Moro che lui stesso sostiene di avere effettuato il 30 aprile 1978, intercettata e registrata dagli inquirenti. Se effettivamente avvenne, la distruzione dei nastri con registrati gli interrogatori di Moro ha una sola possibile spiegazione: l’esigenza di nascondere la voce di un secondo “interrogante” esterno al Comitato esecutivo brigatista.

Del memoriale e delle lettere di Moro, in via Monte Nevoso ne sono state trovate due versioni: una (49 cartelle dattiloscritte) nell’ottobre 1978, e una seconda (419 fogli manoscritti in fotocopia) nell’ottobre 1990. Dall’analisi comparata delle due versioni emerge che il testo del memoriale nella seconda versione (quella manoscritta) è più ampio rispetto alla prima versione (quella dattiloscritta), e soprattutto contiene materia relativa a segreto di Stato.

Il presidente della Dc aveva rivelato ai terroristi la struttura occulta paramilitare “Gladio”, ben nota ai servizi segreti alleati e anche avversari, ma per ben quarant’anni nascosta al Parlamento italiano – infatti, quando la Commissione parlamentare stragi cercherà di approfondire la questione, si scontrerà a più riprese con l’apposizione del “segreto di Stato”: «Ma con un metro più severo il Parlamento e la magistratura dovranno valutare ciò che è stato fatto dal 1977 a oggi. È in questi anni che si è instaurata una nuova e più grave “illegittimità”, una “illegittimità” che il presidente del Consiglio non ha più ritenuto di dover coprire, fornendo gli elementi perché si sciogliesse il segreto e fosse resa possibile la eliminazione di Gladio»; e la relazione della Commissione concluderà: «Ma Gladio è stata una componente di quella strategia che, immettendo nel sistema elementi di tensione, ha giustificato la necessità di opportuni interventi stabilizzatori».

Altre parti dell’“interrogatorio” di Moro trovate nel 1990 trattavano il tema dei servizi segreti: il grave giudizio su Cossiga, divenuto «ministro degli Interni, quale eredità del sottosegretariato alla Difesa tenuto in precedenza» (una eredità propiziata a Cossiga dall’attività da lui svolta per “Gladio” e dalla gestione del “segreto di Stato”); il riferimento al falso comunicato del Lago della Duchessa, la «macabra grande edizione della mia esecuzione» che Moro sembrava attribuire a una logica extra Br implicante i servizi segreti; il giudizio su Andreotti come colui «che diresse più a lungo di chiunque altro i servizi segreti, sia dalla Difesa, sia poi dalla Presidenza del Consiglio con i liberali. Si muoveva molto agevolmente nei rapporti con i colleghi della Cia (oltre che sul terreno diplomatico), tanto che poté essere informato di rapporti confidenziali fatti dagli organi italiani a quelli americani», giudizio espresso nel contesto di un discorso sulla strategia della tensione, dove Moro rimarcava le implicazioni del Sid e delle forze di polizia e accennava anche a connivenze da parte della stessa Dc. È da rilevare come Moro, nelle parti del suo “memoriale” emerse nel 1990 tra le maglie del “segreto di Stato”, avesse appuntato la sua dura critica in particolare su Andreotti e su Cossiga – cioè sul presidente del Consiglio e sul ministro degli Interni che avevano le più gravi responsabilità per la condotta degli apparati dello Stato durante i 55 giorni del sequestro.

C’è comunque una consistente ragione deduttiva per ritenere che neppure il manoscritto moroteo trovato nel 1990 sia completo, in quanto privo almeno di una parte dedicata proprio al tema dei servizi segreti. Infatti, in due circostanze Moro rinvia a brani già scritti che nel testo originale risultano mancanti. Nel manoscritto si leggono spesso espressioni tipo: «Come ho già detto», «Ho già detto altrove», «Ricordo di avere detto», e – a eccezione appunto di due casi – tutti i rimandi trovano corrispondenza nei fogli scritti e sono di aiuto nel ricostruire l’ordine di svolgimento del suo discorso.

Una prima “incognita” si presenta con il paragrafo dedicato alla strage di piazza Fontana, là dove Moro scrive del Sid: «Ho già detto altrove che, per quanto riguardava i fini istituzionali del mio ministero, quell’organismo si comportò bene, tutelando, tra l’altro, i rilevanti interessi italiani in Libia e mantenendo proficui contatti con i vari movimenti di liberazione» – ma nel resto del memoriale non c’è alcun accenno alla vicenda. Un’altra “incognita” è contenuta nel paragrafo dedicato al «famigerato periodo della strategia della tensione», laddove Moro scrive: «Ho già detto altrove dell’on. Andreotti il quale ereditò dal Sios (Servizio informazioni Esercito) il gen. Miceli e lo ebbe alle sue dipendenze dopo Rumor e prima di ricondurlo a Rumor al finire del governo con i liberali. Ho già detto che vi era tra i due una profonda diffidenza»; anche questo rimando non trova corrispondenza nel testo, e quella risulta l’unica menzione del nome di Miceli. Né questi “rimandi” si possono spiegare col fatto che Moro si riferisse a risposte orali: è escluso dalla precisione dei riferimenti e dai riscontri puntuali di tutti gli altri rimandi nel testo.

E del resto, su “Op” del 24 ottobre 1978 Pecorelli aveva scritto di «stralci del memoriale Moro che si riferiscono a Miceli e a De Lorenzo», e inoltre che «sul memoriale originale di Moro... figurano gli elogi e i giudizi positivi su Miceli e De Lorenzo»: ma, mentre c’è il brano riferito a De Lorenzo, manca quello relativo a Miceli, del quale infatti il memoriale non contiene alcun elogio né giudizio. Ancora: la parte del memoriale dedicata alla strategia della tensione contiene lunghi paragrafi sulla strage di piazza Fontana e su quella di piazza della Loggia, ma nessun accenno alla strage del treno Italicus nella quale erano implicati i servizi segreti. La “incognita” più misteriosa è che nel memoriale moroteo non c’è alcun cenno agli innumerevoli “omissis” relativi al Sifar, cioè a una vicenda che – stando al Comunicato Br n. 2 – costituiva uno dei principali “capi di imputazione” del “processo” brigatista. È dunque più che probabile che dal “manoscritto” di Moro trovato nel 1990 sia tuttora mancante almeno un paragrafo dedicato ai servizi segreti.

Lo stesso ex ministro Cossiga fornirà una prova (forse involontaria) della incompletezza del memoriale trovato nel 1990 scrivendo:

«Ricordo che quando mi fecero leggere, il giorno prima che fosse reso pubblico [ottobre 1990, ndr], il secondo memoriale con l’interrogatorio delle Brigate rosse, la notte ero molto turbato: Moro mi indicava infatti come se fossi plagiato da Berlinguer. Non capivo bene tutto, perché a un certo momento parlava dell’Irlanda e diceva che io gli avevo raccontato come gli inglesi mi volessero far vedere dei villaggi irlandesi finti dove venivano addestrati i soldati che poi erano inviati a tenere l’ordine in Irlanda. Ecco, si ricordava persino questo».

Ma nei manoscritti morotei trovati nel 1990 non c’è scritto niente del genere. Rispondendo a una domanda sulla strategia antiguerriglia della Nato, Moro aveva parlato dell’Irlanda solo in questi termini: «In via eccezionale, benché neutrale, ma non è una neutralità istituzionale, l’Irlanda deve avere attuato una qualche forma di collaborazione sulla base della sua esperienza di guerriglia nell’Irlanda del Nord». In nessuno degli scritti di Moro prigioniero delle Br – né nel memoriale, né nelle lettere – noti fino a oggi, c’è scritto quanto asserito da Cossiga in merito a “villaggi finti” destinati all’addestramento dei soldati inglesi poi inviati “a tenere l’ordine” in Irlanda. Per cui i casi sono due: o si tratta di una farneticazione cossighiana, oppure è la conferma che vi sono altri scritti di Moro (“censurati” prima dalle Br e poi da organi dello Stato) dei quali Cossiga è a conoscenza.

Il memoriale moroteo conteneva svariati molti richiami alla “questione morale” che avranno valore testamentario per la Democrazia cristiana: capitoli dedicati ai finanziamenti al partito, allo scandalo Lockheed, al potere Dc nelle banche, ai loschi maneggi andreottiani, «un intreccio inestricabile nel quale si deve operare con la scure». Moro scriveva della necessità di una «riflessione in spirito di verità... autocriticamente come classe dirigente del Paese» sui fenomeni di «sporco diffuso», di «notevole indifferenza per le esigenze ed i diritti del Paese che contribuisce a dare a questa epoca la caratteristica di un regime che si va corrompendo ed esaurendo, quasi consumato in se stesso dalle proprie irrimediabili deficienze». Moniti ignorati, che un quindicennio dopo porteranno agli epocali scandali di Tangentopoli e all’estinzione della Dc e del Psi; ma nel momento in cui vennero scritti, essi erano formidabili strumenti per la propaganda brigatista, che tuttavia le Br ebbero cura di censurare e occultare. «Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese. Pensateci bene cari amici. Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani», scriveva Moro nella sua lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini (20 aprile), convinto che lo “scambio di prigionieri” fosse il prezzo da pagare meno oneroso per la Dc, rispetto all’uccisione del suo presidente.

Un brano del memoriale nella versione del 1990 riguarda specificamente Andreotti: la sua amicizia col banchiere Mario Barone e la contestata nomina di questi a presidente del Banco di Roma; il suo viaggio negli Usa per incontrare il bancarottiere Michele Sindona e partecipare con lui a un grande banchetto, nonostante il parere contrario dell’ambasciatore italiano a Washington; la sostituzione di Giuseppe Arcaini dall’Italcasse, contrattata dall’andreottiano Gaetano Caltagirone che non aveva alcun titolo per farlo, ma ugualmente «incaricato da chi [Andreotti, ndr] ha il potere di tutelare gli interessi pubblici per tutelare invece gli interessi più privati del mondo»; la singolare forma con cui Andreotti rivelò la qualifica di Guido Giannettini “nel Servizio”. Quattro temi solo accennati nel “memoriale” del 1978, e trattati separatamente in altri scritti, ma qui raggruppati per porre precisi interrogativi sulla attività di Andreotti: «Sono tutti segni di una incredibile spregiudicatezza che deve avere caratterizzato tutta una fortunata carriera (che non gli ho mai invidiato) e della quale la caratteristica più singolare è che passi così frequentemente priva di censura o anche solo del minimo rilievo. Quali saranno state le altre manifestazioni di siffatta personalità in un ambiente come Roma, in una attività variabile, ma senza mai soste? Che avrà significato la lunga permanenza alla Difesa, quali solidi e durevoli agganci essa deve avere prodotto?».

C’era poi il brano dedicato ai finanziamenti alla Dc anche da parte della Cia, tema già compreso nel dattiloscritto del 1978, ma qui trattato più ampiamente e con accenti di dura condanna: «Dall’esterno, bisogna dirlo francamente, in molteplicità di rivoli, offrivano per un certo numero di anni gli aiuti della Cia, finalizzati ad una auspicata omogeneità della politica interna ed estera italiana ed americana. Francamente bisogna dire che non è questo un bel modo, un modo dignitoso, di armonizzare le politiche. Perché, quando ciò, per una qualche ragione è bene che avvenga, deve avvenire in libertà per autentica convinzione, al di fuori di ogni condizionamento. E invece qui si ha un brutale “do ut des”. Ti do questo danaro perché faccia questa politica. E questo, anche se è accaduto, è vergognoso e inammissibile. Tanto inammissibile che gli americani stessi, quando sono usciti da questo momento più grossolano e, francamente, indegno della loro politica, si sono fermati, hanno cominciato le loro inchieste, ci hanno ripensato su». Inoltre, questi fogli contenevano, come già il dattiloscritto del 1978, una denuncia delle corruttele politiche: «Le entità economiche indicate nelle domande rispondono al vero. Si aggiungono innumerevoli imprese, in opera, per lo più, sul piano locale, ma anche in grandi dimensioni. Si aggiunga il campo inesauribile dell’edilizia e dell’urbanistica dei quali sono già ora più ricche le cronache giudiziarie. E lo sconcio dell’Italcasse? E le banche lasciate per anni senza guida qualificata, con la possibilità, anche per ciò, di esposizioni indebite, delle quali non si sa quando ritorneranno ed anzi se ritorneranno. È un intreccio inestricabile nel quale si deve operare con la scure. Senza parlare delle concessioni che vengono date e talvolta da finanziarie pubbliche, non già perché il provvedimento sia illecito, ma perché anche un provvedimento giustificato è occasione di una regalia, di una festa in famiglia».

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/8316/78/

da Indymedia

La satira sbarca in Palestina

"Far ridere le persone delle loro tragedie" è questo l'obiettivo del nuovo programma di Palestine Tv

Si chiama "Watan al Watar" - "La patria appesa a un filo" - il primo tentativo di satira politica in Palestina.
Il nuovo programma di Palestine TV prende di mira i politici inetti, i poliziotti prepotenti e gli estremisti musulmani, attraverso divertenti sketch messi in scena per trenta minuti ogni sera da un noto trio di comici. Sebbene la satira resti una forma d'arte più che marginale nei Paesi arabi, dove i regimi autoritari normalmente impongono la censura sui media, il popolo palestinese sembra essersi presto abituato alla novità, vista la popolarità conquistata in pochissimo tempo dalla trasmissione. Palestinesi di ogni parte del West Bank, di Gaza e di Gerusalemme est dicono di guardare lo show insieme a tutta la famiglia, appena dopo il pranzo serale che segna la fine del digiuno del Ramadan.
In una recente scenetta un attore che impersona il leader di Fatah, Abbas, mentre presiede la settima convention del partito, ironizza sulla tendenza dei leader arabi a trasmettere il proprio lavoro agli eredi. "Il presidente lo guarda e ride", ha affermato Yasser Abed Rabbo, direttore dell'emittente tv., che ha dovuto comunque agire con cautela, chiedendo il permesso di Abbas prima di mandare in onda l'episodio.
Ma la satira di Palestine TV ha preso di mira anche altri politici come il Primo ministro Salam Fayyad o il negoziatore capo Saeb Erekat, che in un episodio consegna i propri pantaloni in cambio lo smontaggio di un posto di blocco militare israeliano, un compenso irrisorio per anni di trattative di pace. Un'altra sera lo sketch aveva per protagonista un estremista islamico che non riconosceva una delle sue tante mogli perché indossava un mantello nero e un velo che le copriva quasi tutto il viso, l'"uniforme" imposta alle donne musulmane dai tradizionalisti.
Secondo Manal Awad, uno degli attori che ha dato vita al programma, "è un segnale che il pubblico è assetato di maggiore libertà". "Stiamo cercando di rompere le tre linee della società palestinese: la politica, il sesso e la religione. Vogliamo inviare un messaggio chiaro agli ascoltatori: abbiamo bisogno di dire le cose così come sono in realtà, non di evitarle".
"Non abbiamo limiti, possiamo criticare qualsiasi cosa vogliamo", ha detto Imad Farragine, uno degli autori della trasmissione, facendo notare come lo scorso martedì la trasmissione abbia avuto la libertà di parlare della detenzione dei rivali politici, un tema particolarmente delicato sia per Fatah che per Hamas.
Non tutti però vedono di buon occhio questa mancanza di censura. "Penso che gli attori si metteranno nei guai", sostiene Zaal Abu Ruqti, abitante della West Bank, dando voce ai timori di molti suoi concittadini.
"Voglio far ridere le persone delle loro tragedie e tentare di cambiare la loro situazione", è la risposta degli autori del programma.

da PeaceReporter

Somalia, raid Usa nella città di Barawe: forse uccisa figura chiave al-Qaeda

Saleh Ali Saleh Nabhan era ricercato dall'Fbi fin dal 2002 per una serie di attentati in Kenya

Durante un raid in Somalia, nella città costiera di Barawi, le forze Usa hanno "probabilmente ucciso" Saleh Ali Saleh Nabhan, un keniota che ricopre un ruolo di primo piano all'interno di al-Qaeda.
Secondo quanto riferito da un ufficile statunitense, la piccola flotta di elicotteri che avrebbe preso parte al raid ha individuato e colpito la macchina a bordo della quale viaggiava Saleh Nabhan. Per i testimoni locali non è stata chiara fin da subito la nazionalità dei militari stranieri e in molti erano convinti che fossero francesi. Il keniano Saleh Ali Saleh Nabhan, 28 anni, è sospettato di aver preso parte agli attentati di Mombasa nel 2002, poi rivendicati da al-Qaeda. In quella occasione 18 persone, tra le quali tre terroristi kamikaze, morirono nell'attacco a un hotel in cui alloggiavano alcuni cittadini israeliani. In seguito fu lanciato un missile contro un aereo dell'El Al decollato da Mombasa dopo aver raccolto i feriti e gli scampati all'esplosione. Si pensa che successivamente agli attentati, scappò in Somalia dove trovò protezione e appoggio nel gruppo di al-Shabab

da PeaceReporter

A caccia di bloggers

Non è un buon periodo se vivi in Vietnam e sei un blogger, racconta l’Economist di questa settimana. Nelle scorse settimane due blogger molto noti e un giornalista sono stati arrestati dalla polizia, a seguito del loro tentativo di stampare delle magliette con slogan critici nei confronti della Cina, il principale partner commerciale del paese.

I tre sono stati accusati di avere “abusato delle libertà democratiche” per danneggiare lo stato. “A un anno dal congresso del Partito comunista che metterà in gioco le tre principali cariche politiche del paese, il governo sta tentando di imbrigliare i commentatori più indisciplinati. Una norma approvata lo scorso dicembre impedisce ai blogger di scrivere anonimamente e di occuparsi di politica, ma far rispettare questa legge è estremamente complicato”. In Vietnam, infatti, oltre un quarto della popolazione utilizza internet e i blog stanno mostrando una “crescita spettacolare”.

“Le associazioni per la libertà di stampa”, prosegue l’Economist, “considerano ormai il Vietnam rischioso quanto la Cina e la Birmania, per quel che riguarda la libertà dei bloggers”. Ma davanti a un numero così vasto di cittadini da tenere sotto controllo, l’ondata repressiva potrebbe rivelarsi controproducente. “Il governo rischia di farsi un grosso autogol. Quando un blogger viene arrestato, il numero dei suoi lettori decolla”.

da Internazionale

Democrazia feudale

È ora di smettere di guardare al passato e capire quali sono state le cause della crisi globale, scrive Loretta Napoleoni.

Questa settimana ricorrono due anniversari importanti: il crollo delle torri gemelle e quello della Lehman Brothers. Fiumi d’inchiostro sono stati spesi per interpretarli, ma forse è ora di smettere di guardare al passato per capire quali sono state le cause. Proviamo invece ad analizzare il presente e il futuro. Chi ha guadagnato da queste tragedie?La risposta è sconcertante: uno stato democratico ha perseguito gli interessi di un’oligarchia di privilegiati, i feudatari della globalizzazione, che detengono il potere economico-finanziario e controllano l’informazione.

In difesa della democrazia feudale statunitense George W. Bush, dopo aver dichiarato la guerra al terrorismo, ha inaugurato la politica della paura. La minaccia di Osama bin Laden è stata ingigantita per giustificare una serie d’interventi armati che non servivano a sradicare la malerba del terrorismo, ma a rilanciare l’egemonia statunitense. A dirigere queste grandi manovre era il vicepresidente Dick Cheney, che lavorava per conto delle lobby petrolifere e militari, e i falchi della destra repubblicana, il nocciolo duro della moderna democrazia feudale. Sono loro i pochi eletti che pagano le costosissime campagne elettorali e che decidono chi entra ed esce dalla Casa Bianca.

Gli esperti, quelli veri, si sono accorti subito che la guerra al terrorismo non aveva nulla a che vedere con gli attentati. La questione delle fonti di finanziamento dei gruppi armati islamici è finita presto nel dimenticatoio. I 150 milioni di dollari congelati dall’11 settembre a oggi sono una cifra irrisoria, e sono soprattutto una frazione infinitesimale di quanto è stato speso per riuscire a racimolarli. Ma l’obiettivo era un altro: fare gli interessi delle lobby vicine all’amministrazione e rilanciare l’America come unica superpotenza.

È bastato poco a raggiungerlo: il prezzo del petrolio è salito alle stelle fino a quota 150 dollari al barile, quasi dieci volte i 18 dollari che costava alla vigilia dell’11 settembre. E le multinazionali del petrolio nordamericane, che l’oro nero non solo lo producono ma lo raffinano e lo commerciano per conto dei produttori arabi, hanno registrato enormi profitti. Anche l’industria della guerra, privatizzata dai predecessori di Bush, va a gonfie vele. Dai contractor – i nuovi mercenari – ai fornitori di armi, uniformi e razioni per le truppe, chiunque avesse un piede nell’arte della guerra ha trovato in Iraq e Afghanistan una vera cuccagna.

I neoconservatori hanno imposto la loro visione del mondo a tutti, anche contro la volontà delle Nazioni Unite. L’Iraq è stato invaso con una coalizione di amici di Bush, non con il consenso dell’Onu. A tenere alta la paura del terrorismo islamico in casa ci ha pensato la fiorente industria della paura, formata da uno stuolo di professori, diplomatici, intellettuali, giornalisti, ex poliziotti, militari e mercenari diventati improvvisamente tutti “esperti di terrorismo”. Ecco i servi dei feudatari democratici, volti ormai noti che vediamo scorrere sui nostri televisori notte e giorno. Nessuno mette in dubbio le loro parole.

Le banche cascano in piedi
E veniamo al crollo della Lehman Brothers, che appena un anno fa faceva presagire una valanga di fallimenti nelle alte sfere della finanza mondiale. Non è successo niente di tutto questo. Gran parte delle grandi banche americane, con in testa Goldman Sachs, e di quelle internazionali hanno ottenuto profitti da capogiro nel secondo trimestre del 2009. E i bonus per i dirigenti sono stati da record. Naturalmente questo “miracolo” è frutto dei nostri risparmi distribuiti dalle banche centrali.

Una in particolare, la Federal reserve è stata molto generosa: nel settembre 2008 si è battuta contro il congresso americano finché non ha ottenuto un piano di salvataggio per le banche da 700 miliardi di dollari. E guarda caso tra i vincitori della crisi del credito c’è proprio la Federal reserve, un’organizzazione privata e a scopo di lucro, che ha incassato 14 miliardi di dollari di interessi negli ultimi due anni sui soldi dati in prestito agli istituti di credito in difficoltà. E tutti questi bigliettoni verdi non sono finiti nelle casse del tesoro, ma sono e saranno distribuiti come dividendi tra i suoi soci.

Anche i feudi dell’alta finanza hanno il loro peso nell’elezione dei presidenti americani. E Barack Obama lo sa bene. Infatti ha proposto di aumentare i poteri della Fed, ha confermato alla sua guida Ben Bernanke e ha richiamato alla guida dell’economia i falchi della deregulation clintoniana.

Questa lettura dei due crolli ci spinge a pensare che le loro cause siano molto più serie e radicate della follia religiosa di un branco di esaltati arabi o dell’incontrollabile avidità di giovani banchieri rampanti. Né la voglia di tornare a vivere come faceva Maometto né il desiderio di comprarsi una Ferrari bastano a produrre crisi politiche ed economiche come queste. A monte, ahimè, c’è il logoramento delle democrazie moderne e lo spostamento progressivo verso forme di governo premoderne.

Loretta Napoleoni è un’economista italiana che vive a Londra. Il suo ultimo libro è La morsa. Le vere ragioni della crisi mondiale (altri articoli di Loretta Napoleoni per Internazionale).

da Internazionale

"Botte dai leghisti perché albanesi" Aggrediti due camerieri a Venezia ·

Venezia. «Mentre mi bastonavano urlavano “albanese di merda”»

L'albanese picchiato racconta: «Erano in 8, vestiti di verde»
Mazzonetto: «Non so se fossero dei nostri, devono pagare»

di Michele Fullin
VENEZIA (14 settembre) - È stato preso a bastonate, calci e pugni, picchiato perché albanese. L’episodio, che non può avere scusanti, non è accaduto in qualche periferia-ghetto del profondo Nord ma nella civilissima Venezia, vicino a piazza San Marco. Ervin Doci, 21 anni, lavora al ristorante "La bricola" da poco più di due mesi e non sa farsene una ragione. Col braccio ingessato e un cerottone sul naso, racconta la disavventura, accaduta ieri, mentre confluiva in città il popolo della Lega.

«Erano in otto, vestiti in verde - racconta Ervin - stavano battendo sulle vetrine del locale quando sono uscito e ho chiesto loro di lasciarci lavorare. Non l’avessi mai fatto: sono venuti dentro, hanno spaccato tutto e si sono accaniti su di me. Vedi questo braccio? È rotto perché cercavo di ripararmi la testa dalle pedate mentre ero a terra. Mentre mi bastonavano gridavano "Albanese di merda!". Non mi era mai successa una cosa del genere. Mi hanno colpito solo perché hanno sentito dall’accento che sono straniero. Ma sono qui per lavorare».

Il fatto è accaduto sulle 11,30 e subito dopo Nabil Wahba, di origine egiziana, titolare con il fratello di diversi locali a Venezia, ha chiamato la polizia e oggi intende sporgere denuncia per danneggiamento. Per ora non è possibile capire se gli aggressori fossero appartenenti alla Lega o degli sbandati infiltrati tra la folla. Un altro cameriere, di origini algerine, è rimasto ferito alla bocca da una "sedia volante".

«Guarda cos’hanno fatto - dice - le sedie, i tavoli, tutto rovesciato. Venezia non ha bisogno di questa gente. Abbiamo perso tutta la giornata, ma non è la prima volta che capita. Lo scorso anno, sempre in occasione del raduno, un gruppo di persone in camicia verde ha mangiato rifiutando di pagare. Ho dovuto chiamare i vigili. Ma che cosa sta succedendo? Lavoriamo da oltre 30 anni a Venezia e siamo una famiglia stimata che ha sempre lavorato».

«Un pestaggio in piena regola - attacca il capogruppo dei Verdi in consiglio comunale, Beppe Caccia - con aberranti motivazioni razziste. Tutto è accaduto mentre decine di poliziotti e carabinieri erano occupati a dare la caccia ai manifestanti contro l’ampliamento della base di Vicenza».

Il capogruppo leghista Alberto Mazzonetto condanna l’episodio e prende le distanze: «Non so se i responsabili di ciò che dite erano simpatizzanti della Lega ma mi auguro che paghino per ciò che hanno fatto. Però non si può, come vorrebbe qualcuno, far ricadere sul partito o sulla folla che è venuta a Venezia la responsabilità di una banda di teppisti».

http://www.gazzettino.it/articolo.php?id=73113&sez=NORDEST
da Antifa

L'Onu contro i respingimenti, «violano il diritto internazionali»

«In molti casi, le autorità respingono i migranti e li lasciano affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche di rifiuti pericolosi»: è netta la presa di posizione dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay sui respingimenti. Nel testo del suo discorso inaugurale alla 12esima sessione del Consiglio dell’Onu dei diritti umani, che sarà pronunciato martedì e anticipato a Ginevra, Pillay cita il caso del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la Libia, Malta e Italia ad agosto, e menziona in generale la situazione nel Mediterraneo, nel Golfo di Aden, nei Caraibi, nell’Oceano indiano e in altri tratti di mare.Quindi l’Alto Commissario denuncia le politiche nei confronti degli immigrati, «abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale». «La pratica della detenzione dei migranti irregolari, della loro criminalizzazione e dei maltrattamenti nel contesto dei controlli delle frontiere deve cessare. Oggi – ha aggiunto – partendo dal presupposto che le imbarcazioni in difficoltà trasportano migranti, le navi le oltrepassano ignorando le suppliche d’aiuto, in violazione del diritto internazionale».
Il portavoce del Pdl Daniele Capezzone ha risposto che «le ormai troppo frequenti esternazioni di rappresentanti dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani contro l’Italia sono politicamente irricevibili».

da Carta

«Associazione a delinquere»: arresti per tre senza casa

Un'operazione militare, gestita dai carabinieri, ha portato ieri mattina all'arresto di tre persone che vivevano nella scuola occupata 8 marzo, al centro della campagna diffamatoria di alcuni quotidiani romani. I movimenti annunciano una mobilitazione permanente. Alle 17, sit in al carcere di regina Coeli.

“Associazione a delinquere, estorsione, violenza privata”: queste le ipotesi di reato che hanno condotto tre attivisti della scuola occupata 8 marzo [nel quartiere della Magliana] condotti questa mattina nelle carceri di Regina Coeli e Rebibbia. L’operazione sembra seguire la campagna stampa del Messaggero e del Tempo, tesa a screditare i movimenti di lotta per la casa. Alle prime luci dell’alba, un centinaio di carabinieri, in assetto anti sommossa, si sono presentati ai cancelli dell’ex scuola, con una richiesta di perquisizione dell’immobile e tre mandati di arresto. I carabinieri hanno tentato l’irruzione, ma sono stati respinti dalla reazione delle famiglie, che hanno prima barricato l’ingresso e poi si sono rifugiate sul tetto dello stabile. Nel frattempo, dai palazzi vicini, decine di persone sono scese in strada per esprimere la solidarietà alle famiglie asserragliate sul tetto.

Due ore di tensione, stemperate soltanto dall’arrivo degli avvocati che hanno monitorato il comportamento delle forze dell’ordine. Alla fine della mattinata, tre persone sono state portate in carcere con la stessa accusa che aveva colpito, qualche anno fa, gli attivisti di Action, in seguito scagionati completamente. Verso le 13, nella conferenza stampa promossa da tutti i movimenti romani, è stata ribadita l’assoluta estraneità dei comitati alle accuse della magistratura. “Non abbiamo nulla da nascondere – hanno detto gli occupanti della scuola – Noi non paghiamo il pizzo, noi lottiamo. Le diffamazioni diffuse da sedicenti giornalisti, che qui non sono mai venuti, non ci fanno recedere dalla nostra lotta. In questi due anni di occupazione abbiamo recuperato uno spazio pubblico abbandonato al degrado, riaprendolo a tutto il quartiere". Antonia Di Maggio, avvocato degli arrestati ha spiegato che ‘’il super testimone del racket delle occupazioni è un cittadino eritreo allontanato dall’ex scuola 8 Marzo perché era violento, si ubriacava diventando pericoloso per i bambini’’. Secondo il legale ’’l’eritreo per un anno ha minacciato telefonicamente una delle donne arrestate. Pochi mesi fa ha aggredito un altro abitante della ex scuola causandogli sei punti di sutura. Ricattava quasi quotidianamente gli abitanti’’.

Reazioni entusiaste nella destra capitolina, attraverso i commenti in fotocopia dei “tre moschettieri della paura”: il sindaco Alemanno, il delegato alla sicurezza Ciardi e il presidente della commissione sicurezza Santori. “Pieno sostegno ai carabinieri che sono intervenuti al centro sociale Macchia Rossa – ha detto Alemanno, associando intenzionalmente il centro sociale all’operazione di polizia – Quello che sta emergendo è inquietante: un vero e proprio racket sulle occupazioni, con persone costrette a pagare un affitto e a partecipare a manifestazioni”.

Chiedono invece il rilascio immediato degli arrestati, i consiglieri d’opposizione del Municipio XV. “Massima solidarietà alla lotta dei senza casa – si legge in una nota congiunta del Pd, Sinistra e libertà e la lista Grillo – ma anche stupore e sgomento per le modalità adottate per pervenire al fermo dei cinque occupanti; i quali, non essendo latitanti e non avendo nulla da nascondere, si sarebbero presentati spontaneamente, se convocati presso il comando dei Carabinieri. La loro unica colpa è quella di essere lavoratori precari e non potersi permettere di acquistare una casa. Per questo – conclude la nota – hanno occupato uno stabile abbandonato da 20 anni, insieme ad altre famiglie che vivono il dramma degli sfratti e della impossibilità di avere un alloggio popolare pur avendone i requisiti". I movimenti danno appuntamento alle 17 davanti il carcere di Regina Coeli e stanno valutando la possibilità di partecipare alla manifestazione di sabato 19 in difesa della “libertà d’informazione”, ma “dalla parte di chi si batte per i diritti”.

da Carta

BREVI DAL MONDO (Cina, Norvegia, Afghanistan, Onu, Stati Uniti)

CINA –E’ cominciata oggi a Pechino la riunione del Comitato centrale del partito comunista cinese. I 200 membri discuteranno fino al 18 Settembre delle celebrazioni del 60° anniversario della fondazione della Repubblica popolare – che culmineranno il 1° Ottobre – e delle conseguenze della crisi economica globale. Secondo alcuni osservatori potrebbero anche essere decise alcune nomine di particolare rilievo in vista del rinnovo dei vertici del partito e dello stato nel 2012.

NORVEGIA – La coalizione di centro-sinistra è stata riconfermata alla guida del paese dopo aver ottenuto la maggioranza dei seggi parlamentari in seguito alle elezioni che si sono svolte ieri. Secondo i primi dati, che saranno confermati alla fine della giornata, la coalizione guidata dal primo ministro uscente Jens Stoltenberg ha ottenuto 86 dei 169 seggi disponibili, uno in meno rispetto alla passata legislatura, sufficienti però a mantenere il governo.

AFGHANISTAN – La commissione che si sta occupando dei ricorsi presentati dopo le elezioni presidenziali del 20 Agosto riconterà le schede del 10% dei seggi elettorali del paese. Lo ha reso noto il presidente della stessa commissione ammettendo la presenza di prove evidenti di brogli e altre irregolarità. A causa delle migliaia di ricorsi presentati potrebbero servire molte settimane prima di poter conoscere i risultati definitivi delle elezioni.

ONU – In occasione della 53ma conferenza generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) che si è tenuta a Vienna si è ufficialmente insediato Yukiya Amano, il nuovo direttore dell’organismo delle Nazioni Unite. Amano prende il posto di Mohamed el Baradei che nel suo ultimo discorso ha parlato dei risultati raggiunti durante il suo mandato e della strada che manca ancora per un completo disarmo nucleare.

STATI UNITI – A un anno dall’inizio ‘ufficiale’ della crisi economica globale, ricordando il fallimento di alcune grandi banche internazionali, il presidente Barack Obama ha invitato a fare di più per limitare gli eccessi del passato e ha ammonito l’industria finanziaria che “sta ignorando le lezioni del fallimento della banca Lehman Brothers”. Obama ha anche sollecitato il varo di nuovi organismi di controllo e assicurato che nel frattempo continuerà il suo lavoro per una riforma del sistema sanitario dal quale oggi restano fuori milioni di americani.

da Misna