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venerdì 18 settembre 2009

DOMANI A NARDO' PROIEZIONE DEL FILM "OIL" DI MASSIMILIANO MAZZOTTA





Il film inchiesta "OIL: il potere e la dignità dei sardi" di Massimiliano Mazzotta è dedicato all'inquinamento e alle condizioni di lavoro alla Saras della famiglia Moratti, in Sardegna. Alla Saras hanno perso la vita di recente tre operai di una ditta appaltatrice. La Saras ha chiesto il sequestro del film.

Trattativa Stato-Mafia, interrogato Mancino


Secretati i verbali. La procura: un doppio negoziato durato per tre anni.
Il vicepresidente del Csm ascoltato per più di due ore a Roma dai magistrati siciliani.


Palermo. È l´unico uomo politico - al tempo era ministro degli Interni - che ha parlato di una «trattativa» che qualcuno voleva fare con la mafia. È l´unico uomo politico che ha spiegato perché quella «trattativa» è stata respinta «anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato». Diciassette anni dopo le stragi siciliane e due mesi dopo le sue prime dichiarazioni sulle tragiche vicende avvenute nell´estate del 1992, il vicepresidente del Csm Nicola Mancino sfila come testimone davanti ai magistrati di Palermo e di Caltanissetta.
Un interrogatorio di quasi tre ore a Roma, un faccia a faccia dell´ex ministro con i procuratori Messineo e Lari e gli aggiunti Di Matteo e Gozzo per ricostruire chi aveva intavolato le trattative, a cosa puntavano, chi dentro lo Stato non ha voluto accettare il ricatto di Cosa Nostra. Il verbale di interrogatorio è stato secretato. Se alla procura di Caltanissetta s´indaga sui massacri in Sicilia (Capaci e via D´Amelio nella primavera-estate del 1992) e se alle procure di Firenze e di Milano s´indaga sugli attentati del 1993 (le bombe in via dei Georgofili, a San Giorgio al Velabro, in via Palestro), alla procura di Palermo s´indaga sulla «trattativa» fra mafia e Stato. È un´inchiesta parallela a quelle sulle stragi, avviata qualche anno fa su un episodio specifico - la mancata cattura di Bernardo Provenzano il 31 ottobre 1995, imputati per favoreggiamento il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu - e ormai diventata il «contenitore» di tutte le investigazioni su ciò che è avvenuto in Sicilia prima e dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino.
L´inchiesta di Palermo ha scoperto negli ultimi mesi che ci sono state non una, ma ben due «trattative». La prima viene datata fra la morte di Falcone e quella di Borsellino, la seconda sarebbe stata avviata dopo la cattura di Riina da Bernardo Provenzano e con «un esponente di rilievo della nascente formazione politica». Secondo le dichiarazioni di almeno due pentiti e di Massimo Ciancimino, il partito sarebbe Forza Italia e l´interlocutore di Provenzano sarebbe stato Marcello Dell´Utri. La prima e la seconda «trattativa» sono collegate fra loro: nelle indagini l´anello di congiunzione sarebbe proprio la mancata cattura di Provenzano. Un arresto sfumato «conseguenza» dell´accordo fra pezzi dello Stato e mafia. Oggi i procuratori sono certi che la «trattativa» (o le «trattative») fra Corleonesi e apparati non sono durate soltanto qualche mese ma almeno tre anni. Fino agli ultimi mesi del 1995.
Nicola Mancino non è il solo uomo politico che ha testimoniato su quei tentativi di «avvicinamento» dei mafiosi. A metà luglio, dopo diciassette anni di silenzio, si è presentato alla procura di Palermo anche l´ex presidente della commissione parlamentare antimafia Luciano Violante per raccontare di tre contatti avuti con il generale Mori. L´ufficiale dei carabinieri gli aveva proposto un incontro «privato» con Vito Ciancimino. Violante rifiutò, chiese al generale se di quella voglia di parlare di don Vito era stata informata l´autorità giudiziaria, il generale gli rispose «che era una cosa politica».
Anche su questo ha testimoniato nei mesi scorsi Massimo Ciancimino, il figlio dell´ex sindaco di Palermo. Lui ha fatto ritrovare ai magistrati tre frammenti di lettere indirizzate fra il 1991 e il 1994 a Berlusconi, lettere provenienti a quanto pare da Provenzano dove si facevano velate minacce e si parlava del «contributo politico» che lo stesso Provenzano avrebbe voluto offrire a una «nuova formazione politica». Atti e verbali di interrogatorio che, ieri, dovevano finire nel processo d´appello dove il senatore Dell´Utri è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma la Corte ha respinto la richiesta dell´accusa perché «dall´esame dei contenuti dei verbali di interrogatorio di Massimo Ciancimino emerge un quadro confuso ed oltremodo contradditorio».

Tratto da: La Repubblica
da AntimafiaDuemila

"PASSEGGIATA A SAN GISEPPU..."


Nardò cinico. Vince con Montaldi e Di Rito sugli scudi.


LE PAGELLE

ASD Nardò calcio:

Bassi 7,5 Si fa trovare pronto nelle poche occasioni. FOTOGENICO

De Donno 6,5 Anche se non spinge con continuità non lascia un metro all'avversario. DILIGENTE

Contessa 7 Difende, si propone e rifinisce. La fascia sinistra è sua. PENDOLINO

Calabuig 7 Annulla il suo avversario diretto senza troppi sforzi. AUTORITARIO

De Padova 6,5 Combatte su tutti i palloni con il solito agonismo MASTINO

Ruggiero 6,5 Non sempre lucido come in altre occasioni ma tatticamente è ordinato. METRONOMO

Frascolla 7 E' un under ma non si direbbe. Grande personalità in mezzo al campo. VALOROSO

Tartaglia 7 (Patera 6)Si batte con vigore e detta i tempi alla squadra. CUOR DI LEONE

Parlacino 7 (De Benedictis s.v.)Fa impazzire gli avversari con le sue giocate. Meritava il goal. DRIBLOMANE

Montaldi 7,5 (Massarelli) Inizia a rallentatore con un assist e un goal. CAMALEONTICO

Di Rito 8 Vederlo giocare è uno spettacolo. Dà profondità alla manovra, apre gli spazi, gioca di sponda e segna un gran goal di fino. INCONTENIBILE

Copertino Calcio: Picciotti, Carrino, De Braco, Branà, De Benedictis, Calcagnile, Mastria, Carlà, De Benedictis, Corallo, Lillo.
Allenatore Castrignanò

"Per aver scoperto gli Intrallazzi della Sorella di Gianni Letta nell’amministrare la Croce Rossa mi stanno distruggendo…"

Croce Rossa.......sembra tutto normale?

Nella Croce rossa Abruzzese avvengono delle irregolarità amministrative-contabili. A denunciarle è il maresciallo Vincenzo Lo Zito, dipendente CRI, a compierle è la Presidente Maria Teresa Letta la quale ha anche provveduto al 2° Trasferimento per incompatibilità ambientale dello stesso. I fatti contestati dal maresciallo, toccano diverse sfere, dell’agire nella pubblica amministrazione ma attengono sempre alla stessa persona che vuole tutto sotto il suo controllo e la sua direzione.



Questa è una mail che abbiamo ricevuto. Il link dove potete leggere l'intera vicenda è questo vincenzoozito.blogspot.com/!!!!!

FABRIZIO DE ANDRE' - FILA LA LANA



FABRIZIO DE ANDRE' - FILA LA LANA

Nella guerra di Valois
il Signor di Vly è morto,
se sia stato un prode eroe
non si sa, non è ancor certo.

Ma la dama abbandonata
lamentando la sua morte
per mill'anni e forse ancora
piangerà la triste sorte.

Fila la lana, fila i tuoi giorni
lluditi ancora che lui ritorni,
libro di dolci sogni d'amore
apri le pagine al suo dolore.

Son tornati a cento e a mille
i guerrieri di Valois,
son tornati alle famiglie,
ai palazzi alle città.

Ma la dama abbandonata
non ritroverà il suo amore
e il gran ceppo nel camino
non varrà a scaldarle il cuore.

Fila la lana, fila i tuoi giorni
illuditi ancora che lui ritorni,
libro di dolci sogni d'amore
apri le pagine al suo dolore.

Cavalieri che in battaglia
ignorate la paura
stretta sia la vostra maglia,
ben temprata l'armatura.

Al nemico che vi assalta
siate presti a dar risposta
perché dietro a quelle mura
vi s'attende senza sosta.

Fila la lana, fila i tuoi giorni
illuditi ancora che lui ritorni,
libro di dolci sogni d'amore
chiudi le pagine sul suo dolore.

L'odiosa retorica

La guerra, la sua brutalità e concretezza, è di nuovo, forse non per molto, svelata, nuda.

L’odiosa retorica con cui lo stato tenta di difendersi dall’”effetto bare” è ormai solo un inutile rumore di fondo. Lo squarcio quei 150 chili di esplosivo non l’hanno prodotto solo sulle lamiere del blindato Lince della Folgore. La guerra, la sua brutalità e concretezza, è di nuovo, forse non per molto, svelata, nuda. Quello che le notizie (poche) e le immagini ( pochissime) delle stragi di civili, di bambini, di donne e uomini di tutte le età e di ogni condizione sociale compiute dalla Nato, dagli americani, dagli inglesi e anche dagli italiani, non riescono mai a fare, lo fanno, quando accade, le bare che tornano a riempire l’altare della patria.

La retorica le accoglie, impedisce che vengano sbattute sulla tavola aparecchiata dell’italiano medio, mentre si appresta a cenare. Le adagia piano piano in mezzo a corone d’alloro e bandiere, nasconde l’odore della morte, dei corpi fatti a pezzi, con quello della naftalina dei vestiti da parata dei corazzieri e dell’incenso delle chiese. Ma ogni volta, e i governi lo sanno bene, è sempre più difficile. E quel tempo che si apre, squarciato, tra una bara e l’altra, tra un funerale e un altro, perché così si scandisce il procedere di ogni guerra, è un tempo a rischio per chi comanda e impone la guerra.

Lascio i discorsi di cordoglio per i militari e le loro famiglie a qualcun altro, come quelli sulle missioni di pace per portare democrazia, o dall’altro versante quelli sull’imperialismo americano o sui combattenti della resistenza afgana. Roba da funerale, appunto, buona per chi ha già celebrato quello del suo cervello e della sua libertà. Invece credo che questo tempo, che durerà poco, vada riempito subito con una grande e rinnovata sfida alla guerra. Dagli stati uniti all’europa è il momento, di nuovo, di cogliere l’occasione e tornare a costruire mobilitazioni forti per delegittimarla e batterla. Per far ritirare i soldati e impedire che essa si prenda più spazio di quanto non abbia già sottratto alla democrazia vera, alla giustizia sociale, alla libertà e all’indipendenza.

Sono altresì convinto che con gli arnesi del ceto politico, anche quello post-noglobal, non andremo molto lontano. E’ necessario parlare a molti, a milioni di persone che in questo momento possono ascoltare, e per farlo bisogna mettersi nelle condizioni di essere parte, di contribuire, alla formazione di qualcosa di più grande di noi, fatto di tanti e diversi, accomunato temporaneamente da un desiderio comune, quello di fare qualcosa perché la guerra si inceppi.

Il far tornare a casa i soldati, tutti professionisti dei corpi d’elite, che fanno questo di mestiere e non per costrizione, di certo non farà cessare le atroci sofferenze che da almeno trentanni il popolo, o meglio i popoli che abitano i monti e le pianure chiamate Afghanistan, ininterrottamente devono subire. Li attende la barbarie delle bande e del fanatismo religioso, un miscuglio tra affari, sadismo e fascismo. Quelli che tagliano le dita a chi va a votare, o i signori della guerra e dell’oppio amici di Karzai, o i reclutatori di bambini schiavi, o i torturatori delle donne. Non ci sarà certo la fine della guerra per questa gente sfortunata, che ne combatterà una al giorno, o al minuto, per sopravvivere, anche dopo che l’ultimo soldato invasore se ne sarà andato. Ma il ritiro delle truppe occidentali, l’unica cosa su cui noi, da qui, possiamo incidere, può significare molto, anche al di là dell’interrompere la partecipazione della nostra parte di mondo alla carneficina diretta contro i civili, ciò che la guerra è nelle sue materiali conseguenze.

Ma appunto non è solo questo, anche se l’orrore deve bastare a motivarci. La guerra è oggi, come ogni azione strutturata a livello del comando globale, anche un enorme catalizzatore della crisi. A meno che non pensiamo che in fondo tutto cambia ma in realtà tutto resta sempre uguale, la crisi di sistema che da un anno e mezzo investe le strutture del capitalismo, ha modificato anche la guerra, la sua possibilità di utilizzo intensivo e progressivo nel governo del mercato e del pianeta. Se vogliamo forse è proprio negli apici di guerra, lì dove la sua geometria variabile mostra il massiccio impegno della macchina economico militare e il conto delle vittime è a sei zeri, che la crisi è stata anticipata, e se non provocata, di sicuro acuita e velocizzata.

Il fallimento dell’avventura iraquena di Bush, quanto ha inciso sul crollo delle banche d’affari di Wall Street? E viceversa, i sentori dell’imminente crollo della finanza, come hanno pesato sulle scelte politico militari? Sono domande che è legittimo porsi, vista anche la stretta connessione temporale degli accadimenti. E la risposta, al di là dei necessari approfondimenti, non può che portarci ad una stretta connessione tra guerra e crisi.

Se così è, lottare contro la guerra significa oggi anche impedire che le impotesi di exit strategy, dalla crisi e non dall’Afghanistan, propendano verso un utilizzo maggiore della guerra come elemento di stabilizzazione, o di riequilibrio, dell’economia globale. Lì dove non può il sistema finanziario, i cannoni sono sempre a disposizione. Non è certo passato inosservato, ad esempio, il comportamento bifronte di Obama nell’affrontare l’Iraq da una parte e l’Afghanistan dall’altra. Via armi e bagagli dal primo teatro, e aumento dei soldati, e due su tre oggi sono americani, nel secondo. Semplice furbizia del governante, oppure qualcosa di più complesso, legato proprio all’ipotesi che l’intensificazione dell’impegno militare in Afghanistan potesse essere volano di ripresa per l’economia americana, e soprattutto per le quotazioni americane nel borsino dei potenti del mondo? In ogni caso l’idea che l’aumento del tasso di guerra generale possa contribuire alla rimessa in sesto del ciclo finanziario globale, non è certo una novità.

La teorizzavano i neocon di Bush, ma anche molti esponenti di spicco democratici, giocando proprio sull’aspetto dell’aumento, tramite la guerra, del tasso di democrazia reale e subordinata ad un governo multipolare del pianeta. Ne abbiamo anche esempi nostrani, e non c’è qui bisogno di ricordarli. Vi è poi un secondo aspetto che interessa il binomio guerra/crisi, e che non è meno importante: il caos.

Pur essendo questa una crisi strutturale globale, non è catastrofica. Chi pensa che bisogna solo aspettare il crollo imminente del capitalismo, aspetti. In realtà questa crisi che è globale, profondamente annidata nei gangli più profondi del sistema, ma non è catastrofica, e non ha ancora conosciuto nessuna ipotesi di superamento capace di affermarsi senza entrare in crisi essa stessa, definisce una situazione di caos in cui tutto e tutti siamo immersi. Anche l’andamento della guerra, la sua crisi nell’affermarsi come strategia vincente e la sua impossibilità di produrre uno sviluppo, un’uscita, un avanzamento, è il caos. In questa situazione grandi sono le possibilità di affermare un altro mondo e modo possibile di vivere, ma grandi sono i rischi, perché tutte le opzioni sono in campo. Quella che tenta di uscire dalla guerra dispiegata, e quella che invece vorrà rilanciare, con nuovi scenari da aprire anche a noi geograficamente molto vicini. E’ meglio per tutti, e in primis per coloro che rischiano di essere bombardati, che vinca la prima ipotesi. E noi dobbiamo costringerla a vincere, e dobbiamo distruggere l’altra.

Abbiamo bisogno di tornare a costruire, a produrre lo spazio pubblico dell’opinione contro la guerra. Dobbiamo usarlo come motore e terreno di consenso, di egemonia, per poter esercitare la nostra azione contro la guerra. Per essere legittimati a delegittimare. E’ per questo che nei prossimi giorni e mesi è necessario esserci. Partecipare a tutto ciò che si muoverà contro la guerra, e determinare un nuovo inizio. Il tempo è una risorsa scarsa, e in questo caso è ancor più vero. Prima che si richiuda lo spazio che esiste tra un gruppo di bare in mostra sull’altare della patria e l’altro, dovremmo agire.

di Luca Casarini da GlobalProject

APERTE DUE INCHIESTESUI RESPINGIMENTI. INTERROGAZIONI IN PARLAMENTO

MILANO - "Siamo torturati mentalmente e fisicamente da anni, è terribile guardati intorno, non abbiamo futuro, ormai abbiamo perso la speranza". Ascoltate questo straordinario documento. È stato registrato dentro il campo di detenzione di Misratah, in Libia, dal giornalista Roman Herzog in un documentario che sarà presentato a Roma il 24 settembre. Era il novembre del 2008.


Un anno dopo non è cambiato niente. Anzi, agli eritrei arrestati nel 2006, a Misratah si sono aggiunti quelli respinti questa estate. Anche quelli del primo luglio. Ricordate? Una barca con 89 passeggeri fu respinta. Bene a bordo c'erano 74 eritrei, erano in mare da quattro giorni. Nel giro di 24 ore, ricevemmo la lista completa dei loro nomi dalla comunità eritrea a Tripoli, che ci informava che una ventina erano stati malmenati dai militari italiani a bordo del pattugliatore Orione durante il trasbordo sulla motovedetta libica. I fatti vennero verificati dall'Acnur, che intervistò in Libia i superstiti e scrisse una lettera al Governo italiano.

In questi giorni abbiamo parlato al telefono con alcuni di loro. Una trentina sono stati trasferiti a Misratah. Degli altri non si conosce il destino. In tre mesi hanno incontrato una sola volta i funzionari delle Nazioni Unite, ma inutilmente visto che sono ancora detenuti. Ci hanno confermato non solo le violenze avvenute a bordo della nave della marina (manganellate e scariche elettriche), ma hanno anche riferito della presenza di ufficiali italiani a bordo delle motovedette libiche. Tutti dettagli che potrebbero essere utili alle procure di Agrigento e Siracusa.

Già perché finalmente sono state aperte due indagini parallele sui respingimenti. L'ipotesi di reato, per il momento contro ignoti, è quella di violenza privata. Alla procura di Agrigento se ne occupano il procuratore Renato Di Natale e il suo sostituto Ignazio Fonzo, che hanno chiesto alla Guardia di Finanza di acquisire la documentazione relativa alle direttive impartite. Diamo loro un consiglio: signor Di Natale, si procuri una copia del video girato dai finanzieri sulla Bovienzo il 6 maggio.

A Siracusa, un'indagine parallela è coordinata dal procuratore Ugo Rossi. I magistrati hanno già ascoltato il comandante della motovedetta della Guardia di Finanza che il 31 agosto scorso intercettò a largo di Capo Passero un barcone con 75 somali, che furono riportati in Libia. L'ufficiale sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati. Si sta cercando di capire perché a bordo non venne data la possibilità ai rifugiati somali di chiedere asilo politico.

Noi abbiamo avuto modo di parlare telefonicamente anche con i somali. Il giorno dopo il respingimento, il primo settembre. Dal campo di detenzione di Zuwarah, dove dicevano di trovarsi, confermavano le notizie date dalla stampa. Erano in 80, tutti somali. Quattro persone, tra cui una donna e un neonato, erano state ricoverate a Malta, e un altro in Sicilia. Mi dissero personalmente che a Zuwarah erano rinchiusi tutti in un'unica cella e che non mangiavano niente da due giorni, da quando erano stati intercettati in mare. Con loro c'erano 15 donne e 5 bambini. Nessun medico li aveva visitati. L'asilo? Certo che l'avevano chiesto, mi disse allora in un corretto inglese, l'uomo con cui parlai. Il giorno dopo il telefono suonava spento. E così fino ad oggi.

Forse sono stati trasferiti, forse sono stati rilasciati. Già perché in occasione del 40° anniversario del regime di Gheddafi, un'amnistia generale ha interessato i detenuti delle carceri e dei campi di detenzione degli immigrati. Non ci sono statistiche, ma si sa che in molti sono stati rilasciati. Inoltre pare che il governo libico stia trattando con il governo transitorio somalo per trovare una soluzione per le migliaia di somali detenuti, che permetta il loro rilascio e la loro regolarizzazione.

Intanto, mentre le Procure indagano, in Parlamento qualcuno prova a discutere dei respingimenti. Lo fa il deputato Jean Léonard Touadi (Pd), con un'interrogazione a risposta scritta depositata il 14 settembre proprio sul respingimento degli eritrei del primo luglio. E lo fa Matteo Mecacci (Radicali) con un'interrogazione a risposta orale in Commissione esteri in merito all'inchiesta de L'Unità, secondo cui i morti del naufragio di marzo in Libia sarebbero stati oltre 600.

da Fortress Europe

La cultura delle veline

Che l’intemperanza sessuale rappresenti il peccato per eccellenza, in assenza del quale non si possono rilevare infrazioni degne di nota è un vecchio portato della morale cattolica, di cui sarebbe ora di liberarsi.

È strano. Si è parlato tanto di “veline”, in questi mesi, e nessuno, che io sappia, ha mai sentito il bisogno di ricordare che l’uso contemporaneo di questo termine – nel senso, più o meno, di giovane donna partecipante in funziona esornativa a spettacoli televisivi di vario tipo – è il frutto di una metafora, anzi, di una doppia metafora strettamente legata al mondo dell’informazione.“Veline”, nel gergo giornalistico, erano le direttive che, in periodo fascista, e anche dopo, i vari ministeri facevano avere alle redazioni per prescrivere come andassero trattate le notizie del giorno e per evitare commenti sgraditi al governo. Erano scritte, queste istruzioni, su fogli di carta sottile (velina, appunto, anche se il termine esatto sarebbe dovuto essere “vergatina”), perché all’epoca la tecnologia della produzione simultanea di testi identici non andava oltre l’uso della carta carbone, che tale materiale, in genere, richiedeva, e nessuno avrebbe associato il termine a una bella ragazza finché, in tempi a noi più vicini, un comico televisivo nel cui programma si simulava l’attività di una redazione non ebbe l’idea di far apparire accanto ai suoi finti giornalisti appunto delle “veline” personificate. Era un accenno piuttosto pesante alla mancanza di libertà e di spirito critico che in quel mondo vigeva e vige tuttora, ma l’allusione andò presto perduta e l’espressione, come spesso succede, rimase, moltiplicandosi, anzi, fino a produrre le “letterine”, le “letteronze”, le “meteorine” e tutti gli altri diminutivi e accrescitivi usati per indicare le giovani sorridenti e non molto vestite che sempre più affollano i teleschermi.
Che poi, nella società dello spettacolo in cui ci tocca di vivere, quelle care figliole dai teleschermi finissero per uscire, diventando protagoniste in prima persona della vita sociale e passando, quindi, dal ruolo di operatrici dell’informazione a quello di soggetti della medesima, sfruttando anche l’ormai acquisita consuetudine con personaggi maschili illustri, quali calciatori, imprenditori e uomini politici di primo piano, non è cosa che possa stupire nessuno. Come non è da stupirsi se un personaggio che già di suo tende a esorbitare dai vari ruoli televisivi confondendoli tutti (è, al tempo stesso, proprietario di televisioni, personaggio televisivo e oggetto, in quanto uomo politico, di cronaca e commenti in TV) apprezzi particolarmente la loro compagnia. Pure non si dovrebbe dimenticare che ogni volta che sulla stampa o in televisione si parla di “veline” si allude, in genere senza accorgersene, al problema di fondo dei rapporti tra informazione e potere, con particolare riguardo alle incessanti pretese del secondo di conculcare la prima. Da questo punto di vista, è fin troppo naturale che la compagnia di veline si addica particolarmente a chi ha giocato tutta la sua carriera politica e imprenditoriale sull’uso e l’abuso degli strumenti di informazione. E nel fatto che chi di veline ha ferito di veline rischi, se non di perire, almeno di soffrire dei seri danni, si potrebbe vedere, con un pizzico di ottimismo, la manifestazione di una sorta di nemesi mediatica.

Problema culturale

Tutta mediatica, d’altronde, è la guerra che si è combattuta, nel corso della recente campagna elettorale, attorno al presidente del consiglio, sulle sue frequentazioni femminili e sul loro significato personale e morale. La storia del perfido Silvio e della povera Veronica e quella, simmetrica, della perfida Veronica e del povero Silvio si sono contrapposte sulle prime pagine dei quotidiani e nei salotti televisivi, il che, visto la stato di squilibrio vigente in Italia in tema di controllo di quegli strumenti non ha potuto che produrre una versione squilibrata dei fatti. Così, il problema – assolutamente trascurabile – dell’eventuale esistenza di un intercorso sessuale tra l’anziano premier e una giovinetta dei dintorni di Napoli (un evento, a mio avviso, piuttosto improbabile, vista la pubblicità che lo stesso presidente del consiglio ha dato ai loro rapporti) ha avuto un rilievo francamente spropositato, lasciando in ombra una quantità di altri, pur leciti, interrogativi.
Perché, in definitiva, se scopro che il leader politico del paese ha fatto l’amore con una minorenne, posso scandalizzarmene – certo – o dirmi che da un tipo così non ci si poteva aspettare nient’altro, ma, in fondo, quelli restano affari suoi e di motivazione tutt’altro che oscura, mentre mi possono interessare di più i motivi della sua pubblica comparsa in una discoteca alle falde del Vesuvio, o il tipo di feste che usa organizzare nella sua villa di Porto Rotondo, o altri dati relativi agli ambienti che frequenta e in cui si riconosce. È un problema, in buona parte, di carattere culturale, ma merita di essere posto. Che l‘intemperanza sessuale rappresenti il peccato per eccellenza, in assenza del quale non si possono rilevare infrazioni degne di nota è un vecchio portato della morale cattolica, di cui sarebbe ora di liberarsi. Perché poco mi interessa delle imprese erotiche di Berlusconi (o dell’esistenza di eventuali “compagni” di sua moglie) e molto di più vorrei sapere sul tipo di morale sociale che il personaggio incarna, sulla cultura che propone e adibisce nel governo del paese. Ma so bene che di argomenti del genere la stampa e la televisione delle veline non hanno né la capacità né l’interesse di trattare.

di Carlo Oliva da "A"rivista

Doppio attacco suicida in Somalia

Due esplosioni hanno colpito la base della forza di pace dell’Unione africana (Ua) di stanza a Mogadiscio, uccidendo 14 persone. La missione dell’Ua è presente nel paese per difendere il debole governo somalo dalle continue minacce dei ribelli islamici. Tra le vittime c’è anche il coordinatore della missione. L’attacco è stato rivendicato da Al Shabaab, il braccio armato di Al Qaeda in Somalia, ed è avvenuto dopo che i miliziani hanno imposto nuove condizioni per il rilascio di uno dei due consulenti della sicurezza francesi sequestrati a luglio. -Mail & Guardian, Sudafrica

I leader dell’Unione europea raggiungono un accordo sui bonus prima del G20.

I capi di stato e di governo dell’Unione europea, riuniti ieri nel Consiglio europeo di Bruxelles, hanno raggiunto un accordo sulla possibilità di annullare i bonus concessi ai manager bancari in caso di risultati negativi della banca, e di introdurre una clausola di rimborso, equivalente a una sanzione, per i premi ingiustificati. In questo modo si vuole colpire una delle cause principali dell’attuale crisi finanziaria. L’Unione proporrà di introdurre il limite sui bonus durante il vertice del G20 che si terrà a Pittsburgh il 24 e il 25 settembre. -Le Monde, Francia

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Almeno 25 morti in un attentato suicida in Pakistan.

Almeno 25 persone sono morte e decine sono rimaste ferite in un attentato suicida a Kohat, una città che si trova a 150 chilometri da Islamabad, nel nordovest del Pakistan. L’attacco è avvenuto nell’area di un mercato e ha distrutto anche molti negozi. Kohat è una città a maggioranza sciita vicina alle zone tribali al confine con l’Afghanistan. Gli attacchi contro gli sciiti fanno parte della strategia dei ribelli taliban per rovesciare il governo. -Dawn, Pakistan

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Massacri di civili nello Yemen.

L’aviazione yemenita è accusata di aver ucciso almeno 85 persone in un raid su un campo profughi nella provincia di Saada, nel nordovest del paese. La maggior parte delle vittime sono donne e bambini. L’attacco rientra nell’escalation di violenza in corso nella regione a causa degli scontri tra i gruppi ribelli sciiti e l’esercito. Le organizzazioni umanitarie internazionali hanno lanciato l’allarme per i profughi yemeniti, che sono più di centomila, costretti a vivere in campi d’accoglienza in zone di montagna. -The Guardian, Gran Bretagna

da Internazionale

Bologna: ministro Maroni "ospite sgradito"


La notizia ha il sapore dell'assist delle istituzioni al movimento. O di una provocazione.Il 28 settembre Roberto Maroni, ministro dell'Interno e simbolo assoluto, concreto e Reale del Governo Berlusconi, parteciperà, come oratore, ad una conferenza organizzata dalla Facoltà di Giurisprudenza su «Lo Sport in Tribuna: disciplina e gestione degli impianti sportivi L'uomo dei respingimenti continui dei migranti, dell'infame pacchetto sicurezza, della tessera del tifoso si presenta a Bologna in occasione di un convegno , finanziato da Sky e Quotidiano.net (Resto del Carlino) in compagnia di diversi personaggi importantissimi del giornalismo (il direttore del Resto del Carlino) e del mondo del calcio (i presidenti Cellino del Cagliari, Ghirardi del Parma ma anche dirigenti di Inter Juve e Samp), politici come il senatore comasco del PDL Alessio Butti, docenti universitari e cosi via in questo crescendo di bei figuri.

La giornata di studio è stata accreditata, come si legge dal sito del Dipartimento giuridico Antonio Cicu, come evento formativo dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bologna: la partecipazione consente ad avvocati e praticanti legali di conseguire gratuitamente 8 crediti formativi. Alla faccia della meritocrazia tanto sbandierata..8 crediti solo per ascoltare una giornata di convegno! Vi si può leggere un'anticipazione del futuro delle università trasformate in fondazione: se ascolti l'intervento del politico di turno, o dell'industriale del momento, eccoti un po' di crediti! Che meraviglia..
L'evento è di quelli importanti, in un momento di crisi di consenso per il governo Berlusconi. La reazione dei movimenti non si è fatta attendere; già l'Onda Anomala di Giurisprudenza ha risposto convocando un'assemblea di Ateneo per il 22 settembre.

L'Onda universitaria, insieme a tutti i movimenti che lottano per i diritti dei migranti, così come contro la criminalizzazione dei tifosi, così come in opposizione tout court alle politiche del governo Berlusconi, ha l'occasione per ribadire, dopo le precedenti contestazioni a Ferrara, Gelmini, Cofferati, Calzolari, Brunetta, che anche Maroni è un ospite sgradito. Tra l'altro, ironia della sorte, proprio il decreto Maroni, già violato a Bologna il 21 marzo scorso, renderà di fatto illegale la protesta convocata per sabato 19 dall'assemblea Genitori-Studenti della scuole di Bologna e dal Coordinamento Precari della Scuola. Insomma, Maroni è di fatto centrale, in assenza e presenza, in questa prima fase di movimento.

da Infoaut

Bari per l'amore. NO all'omofobia!

Il comitato "Bari per l'amore. NO ALL'OMOFOBIA", formato dalle associazioni Arcigay Bari "Liberi di Essere", Amnesty International, AGEDO Puglia (associazione di parenti ed amici di omosessuali), Arcilesbica Mediterranea, Desiderandae, UDU Bari, Un Desiderio in Comune, organizza venerdì 18 Settembre una fiaccolata che partirà da Piazza Prefettura, dove è fissato il raduno dei partecipanti, alle ore 19:30.Percorso: raduno ore 19:30 in piazza Prefettura.
Partenza ore 20:00 seguendo: Piazza Massari, Piazza Isabella d'Aragona (Castello Svevo), Piazza della Cattedrale, Strada Carmine, San Nicola, Strada Palazzo di Città, Piazza Mercantile.
L'arrivo è previsto in Piazza Ferrarese, dove saranno proiettati brani tratti da "Improvvisamente l'inverno scorso", mediometraggio sui "DI.CO." di Gustav Hofer e Cristian Ragazzi.

I pestaggi e le discriminazioni contro le persone omo e transessuali stanno aumentando in modo esponenziale nel nostro paese ed è urgente che il Parlamento approvi la legge contro l'omofobia, attualmente in discussione in Commissione Giustizia alla Camera, per garantire il diritto ad una esistenza serena a tutti i cittadini italiani, senza distinzione ed in applicazione del "principio di uguaglianza" sancito dalla Costituzione.

Enrico Fusco, presidente di Arcigay Bari afferma:"Visto il successo della iniziativa di due settimane fa, abbiamo deciso di replicare, questa volta portando il nostro messaggio inclusivo nelle vie della Città vecchia di Bari; la manifestazione, che avverrà in contemporanea in molte città italiane (tra le altre, Roma, Milano, Firenze e Catania) è necessaria, perché ieri la conferenza dei Capigruppo alla Camera non ha inserito la Legge contro l'omofobia nell'agenda dei lavori di Montecitorio, con ciò ignorando ancora una volta quella che è sempre più una emergenza sociale".

Lucia Laterza, presidentessa di AGEDO Puglia, invita "i genitori, tutti i genitori a scendere in piazza, per fare di questo paese un luogo più inclusivo e più sicuro per i nostri figli. Richiamo l'attenzione - conclude Laterza - sul fatto che la tutta la classe polita italiana, anche quella nostrana, non faccia seguire ai proclami, alle dichiarazioni di intenti ed ai programmi inseriti nelle grandi riforme gli atti necessari per realizzare quanto promesso".
"La fiaccolata è per tutti i cittadini, non solo per gli omosessuali, perché si tratta di rispetto dei diritti umani", afferma Giuseppe Induddi, responsabile del gruppo di Bari di Amnesty International.

"A questo punto esiste un richiamo alla responsabilità collettiva: il fenomeno non riguarda una comunità "marginale" ed è il segnale di un clima crescente di odio che riguarda tutte le differenza", dichiara Rosy Paparella dell'Associazione Desiderandae.

Antonella Favia, presidente di Arcilesbica Bari: "E' necessario informare l'opinione pubblica sul fenomeno-problema dell'omofobia, perché i cittadini pugliesi possano avvicinarsi alle differenze senza timore di contrarre una "malattia contagiosa". La diversità è una risorsa e non una minaccia. Le violenze (primitive) contro donne, migranti ed omosessuali sono il frutto del fare politica in modo discriminatoriio e oscurantista".

Claudio Riccio, coordinatore UDU Bari: "Vogliamo la libertà di non essere giudicati, libertà di essere, libertà di vivere senza paura, camminando in uno stato laico che non discrimina, che non respinga i migranti lasciandoli morire nel mare, che non lasci morire nessuno nell'indifferenza o nella solitudine. Liberi tutti."

Appuntamento in piazza prefettura venerdì 18 Settembre alle ore 18:30 per la partenza della fiaccolata: la cittadinanza è invitata.

VIDEOSLOT FUORI LEGGE: SU DIECI LOCALI OTTO SEQUESTRATI

NARDO' - Ovviamente è solo una parte, un piccola percentuale di giochi d’azzardo disseminati in bar e circoli della provincia leccese che saltano fuori dopo in controlli. Il resto di videopoker e slot machine continuano ad essere lo specchietto per le allodole di quanti immaginano di svoltare la giornata con una vincita. Può anche accadere, ma non è una bella vita. Anche perché aumenta il numero delle moglie e madri disperate che si rivolgono alle forze dell’ordine per denunciare mariti e figli incappati nel pericolosissimo vortice del gioco.

Tanto per rendere l’idea di come stanno realmente le cose, questa mattina a Nardò i carabinieri della locale stazione, in collaborazione con personale dei Monopoli di Stato, nell’ambito di una serie di attività finalizzate a contrastare il fenomeno delle truffe, hanno fatto “visita” a 10 tra bar e circoli privati, dislocati non solo nella cittadina neretina ma su tutto il territorio di competenza.

E così, a seguito delle ispezioni i carabinieri hanno sequestrato 8 macchinette fuori legge (la media è di quasi una per ogni locale), elevavano a esercizi commerciali sanzioni amministrative per un ammontare di 16 mila euro.

I videoslot erano privi del nulla osta dei Monopoli di Stato e scollegati elettronicamente con lo stesso Ministero perchè privi del modem di trasferimento delle giocate. Un escamotage che garantisce al proprietario del locale e al gestore delle apparecchiature di evadere le imposte. Ma la beffa per i clienti, è che gli ignari giocatori in questo modo non hanno alcuna garanzia di vincita, come invece stabilito dalla legge. Eppure il richiamo del gioco è troppo forte e si tenta ugualmente la fortuna.

Alcuni apparecchi sequestrati, inoltre, a seguito di interrogazione effettuata tramite L’Ufficio regionale dei Monopoli di Bari, sono risultati dichiarati con schede di gioco diverse da quelle originali. Alcuni apparecchi, per esempio, sono risultati dotati di “rulli” virtuali (sono i temi del gioco) che oltre a visualizzare le fasi di gioco, consentivano l’accumulo di punti tramutabili in crediti, e quindi denaro, a favore del giocatore.

A tutte le apparecchiature elettroniche i militari hanno apposto i sigilli. E sono state affidate in custodia ai titolari delle attività. Inoltre è stata richiesta all’autorità competente la proposta di chiusura degli esercizi commerciali.

Taranto, l'ira di Vendola dopo il sì all'Eni

L'ampliamento della centrale Eni? «Taranto ha il diritto di ribellarsi». Il deficit sanitario? «Stiamo risanando i disastri di una lunga stagione». Il presidente Nichi Vendola mena fendenti a tutto campo. Dall´ambiente alla sanità, passando per la crisi economica, attacca a testa bassa il governo Berlusconi, rispondendo indirettamente alle critiche che gli aveva rivolto l´altro giorno il ministro Raffaele Fitto. Vendola coglie l´occasione del dibattito in Fiera con Antonio Bassolino e Michele Iorio, presidenti di Campania e Molise, per dire la sua su una serie di questioni al centro del confronto politico.
Il primo "siluro" al governo Berlusconi è sul progetto di ampliamento della centrale elettrica Eni di Taranto. «Il via libera del ministro dell´Ambiente, Stefania Prestigiacomo, alla valutazione di impatto ambientale per l´ampliamento di quella centrale - attacca il governatore pugliese - è l´ennesima provocazione del governo Berlusconi, oltre che un´ulteriore aggressione nei confronti di una città già martoriata, che è arrivata ormai ad un livello di saturazione industriale». Vendola ricorda il parere negativo espresso dalla Regione, ma soprattutto sottolinea come la decisione del ministro dell´Ambiente sia in netta contraddizione con quanto Claudio Scajola, ministro delle attività produttive, ha detto sabato scorso in Fiera. «Il provvedimento del ministro Prestigiacomo - accusa Vendola - arriva due giorni dopo la presa di posizione ufficiale del ministro Scajola sul rispetto delle vocazioni dei territori e il riconoscimento di quanto fatto dalla Puglia, passata dal nulla a essere la prima nel campo delle energie rinnovabili».
Il presidente della giunta regionale polemizza a distanza anche con Raffaele Fitto. A cominciare dalla sanità. «Risanare i disastri di una lunga stagione e di un modello che per metà è fondato sulla lottizzazione e per metà su un aziendalismo arruffone - avverte - è opera che richiede molto tempo». In ogni caso, sottolinea, «a differenza di Fitto non ho mai messo la testa sotto il tappeto e non ho mai fatto finta di niente». Vendola, poi, avverte: «Per affrontare la crisi, nel Sud bisogna ripartire dal rifiuto delle caricature». Il governatore pugliese non ha dubbi. «Questa idea che il Sud sia tutto dentro una sorta di metafora infernale, su una gigantesca Gomorra - dice - è un´idea inaccettabile ed è un´idea che rischia di rendere sfiduciati coloro che operano in buona fede, nel rispetto delle regole».

Raffaele Lorusso

FABRIZIO DE ANDRE' - LA BALLATA DELL'EROE





LA BALLATA DELL'EROE

Era partito per fare la guerra
per dare il suo aiuto alla sua terra
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vendere cara la pelle.

E quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinse a cercare la verità
ora che è morto la patria si gloria
d'un altro eroe alla memoria.

Ma lei che lo amava aspettava il ritorno
d'un soldato vivo, d'un eroe morto che ne farà
se accanto nel letto le è rimasta la gloria
d'una medaglia alla memoria.

Un'altra tra le più celebri canzoni di Fabrizio de André, originariamente scritta per Luigi Tenco.
La versione di Tenco faceva parte della colonna sonora del film "La cuccagna", per la regia di Luciano Salce

"Sempre a Milano, con Giampiero Reverberi, registra 'La ballata del Michè/La ballata dell'eroe' (Karim KN 103), pubblicato nel 1961. E' il primo capolavoro di "Fabrizio" (i primi dischi furono incisi con questo nome d'arte). I temi affrontati nella 'Ballata del Michè' (il suicidio) e nella 'Ballata dell'eroe' (l'antimilitarismo) delineano in maniera netta e inequivocabile quelle che seranno le caratteristiche della sua identità di artista rivoluzionario, anticonformista. I riferimenti stilistici rivelano l'influenza della canzone francese (Brassens) e sono lontani dalla musica angloamericana; nella scelta della tematica antimilitarista (anche qui è la Francia a fare da battistrada: nel 1954 era uscita la 'scandalosa' 'Le Déserteur' di Boris Vian) De André precede addirittura luminosissimi nomi d'oltreoceano (Dylan, per esempio)." - Da: Luigi Viva, "Non per un dio ma nemmeno per gioco - Vita di Fabrizio de André", Feltrinelli, Milano 2000 (8a edizione), pagina 91.