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martedì 22 settembre 2009

AREA - GIOIA E RIVOLUZIONE



AREA - Gioia e rivoluzione

Canto per te che mi vieni a sentire
suono per te che non mi vuoi capire
rido per te che non sai sognare
suono per te che non mi vuoi capire

Nei tuoi occhi c'è una luce
che riscalda la mia mente
con il suono delle dita
si combatte una battaglia
che ci porta sulle strade
della gente che sa amare
che ci porta sulle strade
della gente che sa amare

Il mio mitra è un contrabbasso
che ti spara sulla faccia
che ti spara sulla faccia
ciò che penso della vita
con il suono delle dita
si combatte una battaglia
che ci porta sulle strade
della gente che sa amare

Sinistra e Libertà, un appello per la Puglia

Sinistra e libertà in Puglia, Sinistra per Bari hanno avuto un buon risultato elettorale. Ma c'è bisogno, oggi più che mai, di dare una risposta anche organizzativa alla fiducia e alla speranza che gli elettori hanno riposto in questo soggetto. Ai tanti che non hanno da tempo luoghi per esprimere le proprie idee, per 'fare politica'.
Oggi c'è bisogno di sinistra, di una sinistra che trovi nel valore del lavoro, dei diritti individuali e sociali, delle libertà, della laicità,della partecipazione la sua ragion d' essere, che lavori per una diversa idea dell'economia, che costruisca programmi prima ancora che alleanze, che sappia essere forza di opposizione ma anche di governo.

E ce n'è bisogno oggi più che mai nel quadro di un governo del Paese sempre più autoritario e illiberale (pensiamo ai continui attacchi del
premier e dei suoi fedeli alla libertà di stampa e perfino a quella di opinione) dove la crisi della democrazia va di pari passo con quella dell'economia.

Nonostante le continue rassicurazioni la crisi economica non è affatto risolta . La pagheranno, anzi la stanno già pagando, i più deboli in termini di disoccupazione, di precarietà, di riduzione di servizi sociali, di impoverimento della scuola pubblica. La pagherà il Paese per le scelte dissennate che si vanno a compiere, come quella del nucleare.
Ce n'è bisogno in Puglia dove alle indagini già avviate dalla magistratura sulla sanità pugliese (indagini ancora in corso e che si intrecciano con altre inchieste) si aggiungono "indagini e accuse mediatiche" volte soprattutto ad attaccare il Presidente della regione, a mettere in discussione la sua ricandidatura e ad oscurare i buoni risultati del governo di centrosinistra alla Regione Ce n'è bisogno a Bari per riprendere e trasformare in iniziativa politica nella città il programma presentato alle elezioni.

C' è bisogno di sinistra e libertà.

C'è uno spazio ampio per una politica che parli delle condizioni di vita e di lavoro delle persone, che rappresenti i diritti negati e le crescenti diseguaglianze, che combatta le nuove povertà, che si opponga alla regressione culturale e alla barbarie civile che dilaga in una parte grande del Paese. Che si opponga con forza e con capacità di proposte al governo attuale.
Sinistra e libertà si rimette dunque in cammino. In questo ultimo anno abbiamo lavorato in tanti nella costruzione delle liste per le elezioni europee e, provinciali e comunali. E il risultato elettorale ci ha premiato. Certo, abbiamo incontrato difficoltà nel nostro percorso, ma l'urgenza e la drammaticità della situazione politica e sociale ci chiede di andare avanti con decisione, trasparenza, spirito unitario e solidale.

Si tratta di arrivare al più presto anche nella città di Bari a un'assemblea costituente, con la consapevolezza politica di tutti i soggetti che hanno dato vita a livello nazionale al progetto politico di Sinistra e Libertà, nella quale eleggere il gruppo dirigente, avviare una campagna di adesione e definire i temi e le priorità della nostra iniziativa politica. L'assemblea di Sinistra per Bari ha deciso di fare precedere l' assemblea costituente dalla nomina di un portavoce provvisorio e dalla definizione condivisa di un canovaccio di regole all'interno delle quali dovrà svilupparsi la fase costituente.

Gruppo regionale pugliese del Movimento Per la Sinistra

Afghanistan: un mistero risolto.

di Basir Ahang - Kabul Press

Fin dal principio l’Afghanistan non fu mai del popolo afghano.

Per la sua particolare posizione strategica, infatti, l’Afghanistan è sempre stato al centro di un forte interesse da parte di Europa, America e Unione Sovietica. La prima nazione ad "occuparsene", nel 1938, fu la Gran Bretagna, e ciò a causa della minaccia che l’Unione Sovietica rappresentava. Entrando in Afghanistan, infatti, essa avrebbe potuto impossessarsi delle colonie inglesi situate in India, Pakistan, Bangladesh e altri paesi confinanti.
Le paure della Gran Bretagna erano tuttavia infondate: l’U.R.S.S., infatti, era interessata unicamente all’Oceano Indiano per la sua posizione strategica e per questo tentava talvolta di penetrare nel territorio afghano.

Il popolo afghano non tollerò l’invasione straniera e l’Unione Sovietica di nascosto rifornì di armi l’Afghanistan. La guerra terminò nel 1942 a seguito delle ingenti perdite dell’esercito inglese.

In seguito a tale guerra l’Afghanistan godette di un governo semi-autonomo controllato da Unione Sovietica e America. La popolazione poté finalmente vivere un periodo di pace, nonostante l’intrusione dei paesi stranieri nella politica interna del Paese. Sfortunatamente nel 1980 i sovietici entrarono in Afghanistan e la pace cessò.

Le potenze occidentali si sentirono minacciate dall’invasione sovietica. Jimmy Carter, allora presidente degli Stati Uniti, affermò che l’Unione doveva pagare per quest’aggressione. Gli Stati Uniti, attraverso Zbigniew Brzezinski consigliere della sicurezza nazionale americana, iniziarono a rifornire i fondamentalisti afghani (mujahidin) presenti in Pakistan di armi e denaro, affinché essi combattessero contro i sovietici. Più di 175 milioni di dollari vennero spesi a favore di tale causa. I mujahidin divennero così i figli adottivi di Jimmy Carter, che in quanto a libertà, diritti umani e democrazia evidentemente la pensavano allo stesso modo. Brzezinski con il supporto dell’intelligence pakistano si recò a Khaibar, al confine tra Pakistan e Afghanistan, e lì creò un vero e proprio campo di addestramento per mujahedin (chiamati anche signori della guerra o letteralmente “coloro che combattono la jihad”). Questo luogo divenne da allora la “capitale dei terroristi”, lo stesso Osama Bin Laden abitò in quel luogo per 14 anni assieme a diversi esponenti della Cia.

Davvero non sfiorò neppure le loro menti il pensiero che magari questi fondamentalisti una volta sconfitti i sovietici avrebbero potuto impossessarsi a loro volta del territorio, divenendo un grave pericolo per l’intera umanità?

La storia certo ne ha dato conferma. I fautori di questo gioco sapevano, ma vi erano delle priorità e degli interessi troppo grandi per rinunciare a una simile occasione.

Se per l’opinione pubblica gli americani armati di mitra e buone intenzioni esportavano pace e democrazia, per le vittime di questo gioco al massacro era lampante che essi in realtà mentre con le mani costruivano con i piedi distruggevano.

Per più di 20 anni i signori della guerra vennero aiutati dagli americani per distruggere il loro stesso paese.

In seguito alla caduta del Governo comunista presieduto dal Dott. Najibulla avvenuta nel 1992, i mujahedin iniziarono una lotta spietata per il controllo del potere suddividendosi in fazioni a seconda delle diverse etnie a cui essi appartenevano. Combattendo tra loro trasformarono Kabul in un bagno di sangue nel quale trovarono la morte più di 60 000 civili. In questo momento davanti alla morte di migliaia di innocenti, tra cui naturalmente migliaia di donne e bambini, il mondo tacque fingendo di non sapere, fingendo di non vedere.

Dov’era in quel momento il loro desiderio di esportare pace e democrazia? Evidentemente ancora non c’erano i presupposti utilitaristici per farlo nascere.

Ancora una volta, la situazione era a favore delle super potenze occidentali, che vedevano in un governo composto da mujahidin un’occasione per controllare facilmente l’Afganistan.

Ma i signori della guerra certo non volevano farsi comandare dagli americani, così quando essi si accorsero di non poter controllare la situazione cercarono qualcuno che potesse sconfiggere il nuovo nemico al posto loro. Questo qualcuno lo trovarono ben presto tra i talebani.

I mujahidin per contrastare i talebani cercarono e trovarono il sostegno dei russi. Cambiarono così i giocatori, ma non il gioco.

Durante il regime talebano, gli americani approfittarono della debolezza in cui verteva l’Afganistan per trasformare uno dei paesi più martoriati al mondo in una fonte di guadagno. Data la sua posizione strategica infatti, esso rappresenta una zona di transito tra Turkmenistan, Kazakistan, e gli altri paesi dell’Asia Centrale offrendo la possibilità di sfruttare giacimenti petroliferi e di gas.

I Paesi Occidentali e le Compagnie petrolifere cominciarono così a competere tra di loro per il possesso dei giacimenti. Due compagnie tra tutte: la UNOCAL (americana) e la BRIDAS (argentina), il cui presidente spesse volte si recò in Afganistan per dialogare con i talebani ed offrire loro soldi in cambio di un lasciapassare per il Pakistan (il petrolio, infatti, veniva prelevato dal Turkmenistan e l’Afghanistan era zona di passaggio obbligatoria per trasportarlo poi in Pakistan).

I protagonisti di questa triste vicenda, assunti dalla stessa UNOCAL per trasportare il petrolio furono:

Tom Simons ambasciatore americano in Pakistan, Charles Larson capo della marina militare nell’Oceano Pacifico, Donald Rise capo dell’aviazione militare americana durante il Governo di George Bush I, Henry Kissinger e Robert Oakley responsabile della succursale del reparto Asia nel ministro degli esteri americano. Preposte al dialogo con i talebani invece vi furono due donne: Robin Raphael e Laily Helms principessa afghana moglie di Roger Helms, nipote di Richard Helms ex capo della CIA.

Dal NY Daily News dell’Ottobre 2001: “talvolta la realtà è più sorprendente di qualsiasi sogno o favola: il rappresentante dei talebani in America è una donna: il suo nome è Laily Helms, afghana americana preposta all’organizzazione degli incontri tra i capi dei talebani ed i congressi,i responsabili delle Nazioni Unite e i rappresentanti dei media. E’ sorprendente inoltre il fatto che ella durante tali incontri si vesta come un uomo e non indossi alcun chador. Suo marito, Roger Helms lavora per la Chase Manhattan, una della banche più importanti al mondo”)

Mentre ogni giorno i talebani uccidevano centinaia di uomini, di bambini, sparavano sulle donne per strada, e tagliavano gole in pubblico le forze internazionali tacquero e nessuno ebbe niente da ridire.

Quando dopo l’11 Settembre 2001 Bush ordinò ai talebani di consegnare alla giustizia Osama Bin Laden essi rifiutarono, definendo Bin Laden loro fratello musulmano con diritto d’asilo in Afghanistan. Terminò così l’amicizia che legava i talebani agli Stati Uniti ed improvvisamente gli americani si interessarono alle sorti dell’Afghanistan.

Quando le forze internazionali si interessarono alle sorti dell’Afghanistan diffondendo nel mondo lo slogan della pace, della giustizia e la libertà per la popolazione fu un mistero, dato il disinteresse iniziale. Tuttavia il popolo accolse gli americani come degli ospiti graditi, come dei fratelli, credendo davvero che forse le loro sorti sarebbero finalmente potute cambiare. Tutti anelavano la pace, stanchi di una guerra decennale e si fidavano ciecamente delle belle parole che venivano costantemente propinate al mondo intero.

Memore della sconfitta dell’Unione Sovietica Il governo Bush chiese l’appoggio delle forze internazionali per attaccare l’Afghanistan e con la scusa di voler sconfiggere il terrorismo riuscì a riceverlo. Ebbe così inizio la Sua guerra, una guerra ipocrita per la quale si mandarono e ancora oggi si mandano a morire migliaia di militari ignari.

Il 99% del territorio era nelle mani dei talebani, ma in soli 27 giorni l’esercito americano riuscì a far crollare il regime. La domanda sorge spontanea: come mai ora in otto anni di guerra nessuno è riuscito ancora a sbrogliare questo nodo gordiano?

Tuttavia ciò che gli Stati Uniti malauguratamente si scordarono di fare fu far terminare la guerra tra etnie, i talebani infatti erano e sono pashtun, i governati e l’attuale presidente afghano è pashtun, tutti coloro che detengono il potere in Afganistan sono pashtun, senza considerare le restanti etnie che rappresentano il 65% della popolazione. A quanto pare le forze internazionali si sono scordate di una numerosa fetta di popolazione.

Gli Usa in seguito alla sconfitta dei talebani misero al Governo l’attuale presidente Hamed Karzai, seguito da una schiera poco fedele di ex signori della guerra, criminali di guerra, nonché di talebani stessi che ricoprono ora importanti ruoli governativi (infatti il presidente Karzai in una conferenza stampa del 2006 si lasciò andare a dichiarazioni semplicemente sconvolgenti, suddividendo i talebani in buoni e cattivi, chiamandoli pubblicamente figli e fratelli suoi e affermando di voler contattare Mullah Omar per renderlo partecipe della “ricostruzione del paese”).

In seguito al messaggio molto chiaro di Karzai, Mawlavi Wakil Ahmad Motawakil, ministro degli esteri del regime talebano , Mawlavi Abdussalam Raketi comandate dell’esercito talebano nel nord est Afghanistan e Padshah khan Zadran rappresentante dei talebani sul confine del Pakistan e molti altri estremisti sono arrivati armati di kalashnikov a Kabul per partecipare attivamente alla “ricostruzione del paese”. A loro arrivo karzai ha riservato un’accoglienza degna degli ospiti più illustri, assegnato a ciascuno una villa, dei bodyguard e svariate automobili rigorosamente con vetri antiproiettile. Attualmente essi risiedono a Kabul, liberi di organizzare attentati kamikaze, ed ogni sorta di rappresaglia.

Karzai costituì la “Commissione di Pace”, al cui capo pose Mujadadi, mullah estremista arabo-afghano, che risiede attualmente a capo del senato. Mujadadi si occupa contemporaneamente di consegnare mensilmente ai talebani 1000 dollari, una tessera della commissione che permette loro di viaggiare ovunque e di non avere problemi con le forze dell’ordine.

E l’America tace, nonostante Karzai sia sorvegliato costantemente da agenti della CIA e dal Governo americano stesso. E i 54 miliardi di dollari spesi per la “ricostruzione del paese” , dove sono andati a finire? E chi ridarà loro tutti questi soldi? Con che coraggio richiederanno indietro i soldi? Il debito dell’Afghanistan sale, ma di scuole, ospedali, strade e quant’altro non ve n’è traccia. Debito ed ipocrisia a parte, chi ripagherà invece le migliaia di morti innocenti? A chi è imputabile tutto ciò? E’ possibile massacrare in una missione di pace? E se la scusa dell’errore potesse realmente esser contemplata, si potrebbe credere ad una serie di errori tanto frequenti?

In Afghanistan sono attualmente presenti e coinvolti in questa “missione di pace”, gli eserciti di: Stati Uniti, Inghilterra , Italia, Canada, Australia, Germania, Francia, Spagna, Olanda, Danimarca, Belgio, Svezia, Austria, Finlandia, Norvegia, Romania, Turchia, Sud Corea, Slovacchia, Lituania, Estonia, Azerbaijan, Emirati Arabi, Lussemburgo, Georgia, Islanda, Croazia, Slovenia, Grecia, Singapore, Nuova Zelanda, Repubblica Ceca, Irlanda, Ucraina, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Ungheria, Macedonia, Albania, Polonia, Portogallo, Lettonia 42 Paesi coinvolti, 64 500 soldati in tutto, 15 mila talebani (secondo le fonti ufficiali, quindi il numero potrebbe essere inferiore) inspiegabilmente imbattibili. Siamo davvero sicuri che questa guerra non faccia comodo a qualcuno?

Ciò che molti cominciano purtroppo solo ora a chiedersi è: per quale motivo le forze internazionali sono presenti in Afghanistan?

1)Combattere il terrorismo internazionale?

La maggior parte di questi terroristi, nonostante non se ne senta mai parlare, provengono da paesi quali: Arabia Saudita, Cecenia, Marocco, Pakistan, Egitto, Emirati Arabi e molti altri paesi arabi. Per sconfiggere questi estremisti non occorre bombardare l’Afghanistan. I kamikaze non sono tutti afghani come vogliono farci credere. Il Pakistan in particolare è pregno di luoghi in cui i terroristi imparano l’arte del fanatismo e della guerra, ma stranamente le frontiere tra Pakistan e Afghanistan rimangono aperte, consentendo agli stessi di penentrare facilmente nel paese. Questo perché molte persone di etnia pashtun vivono sul confine e nessuno si sogna di scomodarli. E’ lì che esiste persino la sede di radio shariat (letteralmente: “voce della legge religiosa”) preposta ad impartire ordini e nozioni a talebani e kamikaze. Perché la sede di questa radio è ancora aperta? Persino il ricercatissimo Osama Bin Laden si suppone viva tranquillamente in una villa al confine tra Pakistan e Afghanistan. I campi di addestramento dei mujahidin sono ancora aperti ed attivi, occupati da talebani che rifiutano sia il governo afghano sia quello pakistano, chiamando la terra da loro occupata pashtunistan, terra dei pashtun.

2)Esportare pace, libertà e democrazia?

Fare la pace con la guerra è da sempre un paradosso inspiegabile se tale motivazione viene spacciata per veritiera. Di pace non ve n’è traccia, le persone ancora escono di casa senza sapere se vi ritorneranno. E se nella capitale Kabul, dove due giorni fa sei militari italiani hanno trovato la morte, è così figuratevi negli altri posti. Ogni settimana più di venti persone muoiono a Kabul in questo modo. Libertà poi in Afghanistan è ancora una parola che provoca un amaro sorriso considerando che: il ministro della cultura afghano in una conferenza stampa dichiarò democrazia e diritti umani affari dei paesi occidentali privi di valore per un paese che segue unicamente la legge islamica, un giornalista che aveva tentato di tradurre il corano in persiano venne condannato a 25 anni, un altro che in un articolo descrisse come la religione islamica violasse i diritti delle donne venne condannato prima a morte in seguito la pena fu commutata a 20 anni di prigione, così migliaia di altri esempi.

3)Cambiare la situazione delle donne?

Se ciò fosse vero risulta incomprensibile come sia ancora possibile che più di dieci donne vengano violentate ogni giorno (nel 2009 più di 35 bambine vennero violentate da esponenti del governo, una di loro aveva solo sei anni, stuprata dal figlio di un parlamentare nella regione di Sarepul nel nord Afghanistan. L’atto rimase totalmente impunito), e che Karzai il “presidente democratico” abbia promulgato una legge per la quale alle donne è proibito lavorare ed uscire di casa senza il coniuge o un parente maschio, per la quale è consentito lo stupro da parte del marito e la possibilità da parte di questo di privare la moglie del cibo se “disubbidiente”, che le bambine vengano vendute ad uomini anziani (nel 2006 una bambina di 11 anni venne persino venduta in cambio di un cane). Grazie a tutti voi per aver cambiato la situazione delle donne in Afghanistan, perché peggio di così non può certo diventare, nemmeno il regime talebano arrivò a tanto.

4)Fare giustizia?

Quest’anno un talebano si è candidato come presidente della repubblica, due vice di Karzai sono criminali di guerra che secondo Human Rights Watch dovrebbero ora essere in carcere e non al governo, altri invece sono ministri e parlamentari. Se l’opinione pubblica in Europa e in America venisse informata del fatto saremo ancora disposti a mandare i loro figli a morire in Afghanistan?

5)Per ricostruire l’Afghanistan?

Dopo otto anni di guerra il centro di Kabul è ancora privo di illuminazione e strade asfaltate. Nella regione di Bamyan nel 2008 più di 200 persone sono morte a causa della mancanza di ospedali. Alcune statistiche: l’80% della popolazione è perennemente in pericolo a causa della mancanza di ospedali, secondo world food program (WFP) il 10% della popolazione quest’inverno rischierà di morire di fame, il 60% degli studenti studia all’aperto, non essendoci di fatto scuole ma solo insegnanti, il 30% delle donne inoltre muore in gravidanza o durante il parto, il 15% dei bambini in assenza di vaccini vengono colpiti dalla poliomelite ed in seguito dalla paralisi. Se davvero queste forze armate fossero in Afghanistan per ricostruire il paese nessuno farebbe loro del male, ma ovunque verrebbero accolti con gioia, basti considerare le parole di Gino Strada in un intervista riportata il 17/09/2009 sull’Unità: “(...)Quanto ai soldi della cooperazione internazionale noi non abbiamo ricevuto una lira(..)Emergency lavora in afghanistan da dieci anni, abbiamo curato 2 milioni e 200 mila afghani, praticamente il 10% della popolazione(…) Per questo a Laskhargah (nota: una delle regioni più pericolose dell’Afghanistan) non è mai stato torto un capello al nostro personale internazionale(…)”

Ora traete le conclusioni..Davvero l’unico problema in questa guerra è cambiare strategia? Prima di cambiare strategia contate i talebani al governo, contate gli 80 000 morti del 2008 di cui solo il 5% talebani e considerate le mosse del presidente Karzai. Prima che una storia di estremismo religioso, prima che una storia di guerra perpetua la storia dell’Afghanistan è una storia di petrolio e traffici internazionali di droga. Adesso che come me conoscete la reale situazione in cui verte il paese avrete ancora il coraggio di mandare i vostri figli a morire per gli interessi economici dei soliti noti?

di Basir Ahang - Kabul Press

Smantellare il campo rom Casilino 900


Il più grande campo rom d'Italia sarà chiuso entro il 2010

Alla fine la notizia è arrivata. La decisione che da trent'anni pendeva sulla testa del Casilino 900, il più grande campo rom d'Italia e forse d'Europa, è stata comunicata dall'Assessore Belviso e dal Prefetto Pecoraro. Il campo verrà chiuso, un mese per fare le valigie. Il capo della comunità bosniaca del Casilino, Najo Adzovic, spiega che la minaccia di chiudere il campo è sempre stata avanzata da tutte le amministrazioni, ma la certezza che sarebbe successo è arrivata con l'amministrazione Alemanno. Negli ultimi mesi le visite al campo da parte di enti comunali si erano moltiplicate: a fine giugno era stata rinforzata la rete idrica, poi la Croce Rossa e lo stesso Alemanno, accolto col sorriso dagli abitanti in un clima di festa.Sembra strano da capire, ma chi mi ha raccontato l'episodio dice che a loro importava solo che addirittura il sindaco di stava interessando di loro!"Non vogliamo creare problemi", spiega Najo, "ci preoccupa solo sapere come verranno ricollocati i nostri figli nelle scuole. Non bisogna dimenticare che duecentoventi bambini sono inseriti negli istituti del XII municipio. Il rapporto con maestre e compagni è consolidato. Un bambino abituato a un ambiente a un certo punto diventa nomade e deve ricominciare da capo. Bisogna capire se ci sarà la volontà e la possibilità di accettare i nostri figli in altre scuole”.

Najo vive nel campo da sempre, la maggior parte dei
Ciononostante, dissolvere questa comunità non ha creato alcun problema: il fatto che molte case siano soltanto roulottes con qualche lamiera intorno ha autorizzato a pensare che chi vi abita sia un nomade, qualcuno per cui spostarsi è la normalità.
In ogni caso, i moduli per il censimento sono stati consegnati: bisogna riempirli con i dati relativi a ogni gruppo familiare. Numero, situazione giuridica, nazionalità e permesso di soggiorno: naturalmente tanti non ce l'hanno e bisogna capire che cosa comporta dichiararlo: l'espulsione? Ma i tempi sono stretti e la seconda fase crea problemi anche maggiori: entro il 21 ottobre la metà degli abitanti del campo dovrà sgomberare. Chi resterà, chi partirà e dove dovranno andare però non è stato detto: “La decisione è stata lasciata agli abitanti. Saranno sempre gli abitanti a indicare il campo dove intendono trasferirsi” e, continua Najo, “trovare posto non è facile perché non bisogna dimenticare che gli altri campi autorizzati, che non sono nuovi, contengono gia 7-800 persone. Metterne altre 400 in questa prima fase e i restanti entro il 2010 li fa diventare dei mega - accampamenti come questo. Ma almeno qui lo spazio c'é”. A quanto ne sa lui c'è “un piano di riqualificazione ma non conosciamo il suo contenuto. So solo che qui intorno ci sono più di cento depositi di sfasciacarrozze che veramente da un punto di vista ecologico fanno schifo. Invece di eliminare questa situazione smantellano il Casilino 900 e la sua comunità”.

Il campo sorge per buona parte sul suolo pubblico del Parco del Casilino e tutto fa pensare che vi verrà inglobato: anche i nuovi collegamenti idrici, tanto plauditi dai rom a giugno come regalo di Alemanno, sono in realtà progettate per diventare il futuro sistema di irrigazione del parco. Nel campo sono presenti quattro etnie: Kosovari, Macedoni. Bosniaci e Montenegrini. Saranno le prime due a lasciare il campo per prime per trasferirsi al campo di Via di Salone. L'amministrazione ha promesso di raddoppiare quel campo ma per ora sono state solo aumentate le misure di sicurezza. Najo sperava che fosse concesso alla sua comunità l'accesso alle case popolari: una nota del Comune ha però specificato che la possibilità non esiste. Najo però non dispera e mi racconta di quanta gente si interessi alla sua comunità: “Siamo in contatto con le università romane, con diversi architetti, professori, studenti, liberi cittadini che ci danno continuamente il loro appoggio. Soprattutto poi c'è Don Paolo, del pontificio seminario romano maggiore, che ormai è diventato un nostro punto di riferimento”.

da PeaceReporter

Messico, killer contro tossicodipendenti

Una violenza inaudita si scatena contro i giovani tossicodipendenti ricoverati in centri per il recupero dall'abuso di droghe.

Nord del Messico, non si placa la violenza che soprattutto nell'ultimo mese ha colpito i più deboli e indifesi: i tossicodipendenti.
E' la seconda volta in 30 giorni che un commando composto da uomini armati fa irruzione in un istituto sanitario per il recupero di tossicomani e commette una strage.
L'ultima è avvenuta a Ciudad Juarez, Stato di Chihuahua. Dieci persone, tutti giovani che volevano uscire dalla schiavitù della droga, stavano riposando all'interno delle sale del centro Anexo de Vida, quando un gruppo di uomini armati è entrato nell'edifico lanciando una granata che ha causato il ferimento degli ospiti. Poi il commando avrebbe aperto il fuoco sui giovani scaricando diversi caricatori di fucili da guerra. Bilancio finale dell'incursione dieci morti.
"Il nostro quotidiano ne scrive da diverso tempo", racconta da Ciudad Juarez uno dei giornalisti della redazione cronaca del più diffuso quotidiano della città, El Diario, che non vuole essere citato. C'è paura in tutta la città e i giornalisti che si occupano del caso spesso utilizzano pseudonimi per paura di ritorsioni. "Io un'idea di chi siano i killer che spargono terrore me la sono fatta -continua la giornalista - ma non posso esprimerla. Tutto quello che posso dire è che il mio quotidiano se ne occupa da tempo. Stop". E' la paura di ritorsioni a rendere ancora più misteriosi questi fatti. "Ripeto -conclude la giornalista - troverà poche persone disposte a dire apertamente ciò che pensano. Anche se hanno un'idea ben precisa su quello che accade".
"Mio nipote aveva problemi con l'assunzione di sostanze stupefacenti. Non faceva parte di nessuna banda organizzata e nemmeno di qualche cartello legato ai narcos. La polizia dice che i ragazzi uccisi facevano tutti parte delle pandillas ma non è vero. E' solo una dichiarazione che permette loro di lavarsi le mani e archiviare il fatto come guerra fra bande", racconta fra le lacrime la zia di un giovane 16enne rimasto vittima dell'attacco.
Come mai di tanta violenza? Nessuno se lo spiega e nel frattempo altri centri per il recupero di giovani tossicodipendenti chiudono i battenti. Le serrande si abbassano perchè in questo momento è troppo pericoloso tenere aperto. La sicurezza non è garantita mai e per nessuno. Troppo spesso questa città non lontana dal confine con gli Usa è teatro di violenze inaudite.
Ciudad Juarez è soprattutto conosciuta per gli oltre 400 misteriosi omicidi di giovani donne. I questi orrendi omicidi nessuno parla e si è molto lontani da trovare un colpevole.
Il sindaco della città, Josè Reyes è in difficoltà. Secondo il suo parere gli attacchi contro i centri di recupero fanno parte della guerra fra cartelli della droga. Ma che interesse avrebbero i narcos nell'uccidere giovani drogati indifesi? Forse temono la loro parola? Anche gli inquirenti brancolano nel buio. Ipotizzano, ma faticano a mettere un freno alla violenta situazione della città.
E l'unica cosa che il governatore di Chihuahua è riuscito a fare è stata quella di chiudere 14 degli oltre 60 centri di recupero per tossicodipendenti presenti in città (oltre 95 in tutto lo stato). Motivo? Presentavano irregolarità.

di Alessandro Grandi da PeaceReporter

Honduras, rientro di Zelaya: il governo golpista impone il corpifuoco, ma la gente invade le strade

In attesa dell'arrivo dell'Osa, la gente si è riversata nelle strade per appoggiare il presidente legittimo. Ma il governo dispiega l'esercito e impone il coprifuoco

Alla notizia che il presidente legittimo Manuel Zelaya è riuscito a entrare a Tegicigalpa e che si trova nell'ambasciata brasiliana, il governo de facto ha reagito imponendo il coprifuoco. Questo per cercare di fermare il continuo afflusso di gente che risponde alla chiamata di Mel, il quale ha chiesto loro di scendere in strada e aiutarlo a riprendere pacificamente il filo costituzionale. Un coprifuoco che andrà dalle 16 ora locale (le 24 in Italia) alle 7 del mattino (le 15 italiane).Ma la gente ha continuato imperterrita a uscire per le vie della capitale, radunandosi intorno all'ambasciata del Brasile e alla sede dell'Onu, il tutto sotto il severo controllo dell'esercito, in assetto antisommossa, e vigilati dall'alto dai voli bassi degli elicotteri militari. Di qui l'ennesimo appello del presidente democraticamente eletto Zelaya agli uomini delle forze armate, un invito alla pace e a unirsi a lui. Secondo l'inviata di TeleSur la gente sta accorrendo da varie città del paese.
Ma il governo golpista non ci sta. Senza dichirazioni ufficiali sta manovrando nell'ombra per scongiurare la fine. Una ventina di uomini, per esempio, hanno raggiunto a casa un giornalista della nota radio Globo, intimandogli con la forza di smettere di diffondere quanto sta realmente accadendo intorno a Zelaya. Un atteggiamento, l'ennesimo, che rivela la natura del governo di Roberto Micheletti. Le aziende che controllano le telecomunicazioni e che reggono da sempre i golpisti, per dirne un'altra, hanno deciso di boicottare la rete telefonica e complicare il passa parola sul rientro di Mel. Ma la gioia e la speranza degli honduregni non ha mai avuto fine e difficilmente sarà arginata da trucchi meschini. I manifestanti hanno infatti dichiarato che resteranno per le strade il tempo necessario per proteggere la dignità del presidente, ma non nascondono di essere preoccupati per quello che potrebbe succedere tra poco, avendo a che fare con governanti golpisti senza scrupoli e pronti a tutto.

da PeaceReporter

RIFLETTENDO INSIEME (Con la Comunità dell’Africa occidentale sui cambiamenti climatici)

“Sarà solo attraverso una comune volontà politica, un’azione risoluta dei nostri paesi, un impegno determinato a livello regionale che si potrà arrivare al successo… per questo motivo l’Africa deve continuare a cercare di sfruttare tutte le opportunità per fare sentire la sua voce… stabilendo un fondo destinato alle popolazioni colpite dagli effetti dei cambiamenti climatici… lavorando su nuovi strumenti legali a protezione delle persone costrette ad abbandonare i loro luoghi di origine”.

Dalle conclusioni di un vertice dei paesi della Comunità economica dell’Africa Occidentale (Ecowas/Cedeao) tenutosi la scorsa settimana a Lomé, capitale del Togo, per l’adozione di posizioni comuni sui cambiamenti climatici e le relative conferenze internazionali, a partire da quella di oggi a New York e da quella di Copenhagen a Dicembre]

da Misna

Testamento biologico, la Germania ce l’ha fatta. E noi?

Una legge laica e un modulo per il paziente cristiano

"Nessuno può essere costretto a sottoporsi, contro la sua volontà, a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano". Lo ribadiscono anche i presidenti della Conferenza episcopale tedesca e del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, che hanno partecipato fino all'ultimo, con dettagliati quanto pacati statement congiunti, ai lavori preparatori della legge, votata il 18 giugno 2009 ed entrata in vigore il 1° settembre.

di Marlis Ingenmey

La preistoria
La legge per il Testamento biologico che la Germania si è data il 18 giugno di quest'anno viene da lontano. Il cammino delle Patientenverfügungen, "Disposizioni del paziente" - già redatte da 9 milioni di cittadini e da tempo, di norma, rispettate nella prassi quotidiana -, verso l'ingresso a pieno titolo nell'ordinamento giuridico inizia sulla fine degli anni Settanta quando cominciano a circolarne i primi moduli. Nell'80 si costituisce in Baviera, rivelandosi poi la più importante nel suo genere, l'"Associazione tedesca per una morte umana" (DGHS), che si batte per il "diritto" della persona - insito nel "diritto alla vita" - "a morire con dignità" nel momento e nei modi da lei stessa prescelti, e presenta, tra l'86 e il '97, una serie di petizioni per invitare il Governo a legiferare in merito, e, nel '99, una proposta più circostanziata.

Parallelamente si susseguono, a partire dall'84, le prime pronunce esemplari della Corte di Cassazione che confermano, affrontando sempre nuovi aspetti della questione, il diritto, costituzionalmente riconosciuto e garantito, del cittadino all'autodeterminazione in materia di salute e in particolare al rifiuto, attualmente o anticipatamente espresso, di trattamenti anche salvavita (comprese la nutrizione e l'idratazione artificiali), pronunce che sono via via recepite da altre Corti di ogni grado (per risolvere casi simili sottoposti alla loro decisione), dalla Federazione degli Ordini dei medici (per aggiornare il Codice deontologico ed elaborare Direttive e Raccomandazioni su come comportarsi con malati terminali o con prognosi comunque infausta, e, specificamente, di fronte a "disposizioni anticipate"), dal potere esecutivo (che col primo Gabinetto Schröder si dice, fin dal '99, intenzionato a studiare una disciplina normativa) e da quello legislativo (come dimostrano tutti e tre i disegni di legge discussi negli ultimi anni al Bundestag: altro che levate di scudi per presunti "conflitti di attribuzione").

Sempre nel '99 entrano in azione - "per togliere alla gente la paura di diventare alla fine vittima della tecnologia medica", ma anche, giocando d'anticipo, per arginare ogni eventuale deriva eutanasica nel gregge dei fedeli - i presidenti della Conferenza episcopale tedesca e del Consiglio della Chiesa evangelica di Germania, che, pur rispettosi, nella loro qualità di cittadini di uno Stato laico, dei principi enunciati nella Legge fondamentale (anche loro ribadiscono a chiare lettere: "Nessuno può essere costretto a sottoporsi, contro la sua volontà, a trattamenti diagnostici o terapeutici per quanto promettenti essi siano"), varano insieme le Disposizioni del paziente cristiano (rivedute nel 2003 e sottoscritte ormai da circa 2,9 milioni di tedeschi), con le quali limitano, per il paziente, appunto, "cristiano", ricordandogli che la vita è un "dono di Dio" e pertanto "indisponibile", l'eventuale rifiuto di trattamenti salvavita ("onde poter vivere, fino all'ultimo, con dignità") alla "fase terminale di malattie incurabili" - a meno che la coscienza del singolo non gli permetta di formulare "integrazioni personali" (che possono riguardare, come specificano i vescovi nelle Note esplicative che accompagnano il loro modulo, fra l'altro, anche richieste per il caso che l'interessato dovesse venire a trovarsi in stato vegetativo permanente, se discusse con un medico di fiducia).

La spinta decisiva a legiferare giunge quando, nel marzo del 2003, la Cassazione sancisce definitivamente la legittimità e il carattere vincolante di "disposizioni anticipate del paziente": "La dignità della persona esige, infatti, che il diritto all'autodeterminazione da lei esercitato quando era capace di intendere e di volere, venga rispettato anche quando non fosse più in grado di decidere responsabilmente". La stessa sentenza precisa inoltre che, in mancanza di una tale dichiarata volontà, il consenso a trattamenti anche salvavita o la sua negazione vanno appurati "ricostruendo la presunta volontà del paziente alla luce del suo modo di concepire la vita, delle sue intime convinzioni e di altri valori cui faceva riferimento".

All'epoca è già, col secondo Gabinetto Schröder, come attualmente nella Grande coalizione, ministro della Giustizia Brigitte Zypries, socialdemocratica, giurista, che, istituita in autunno una Commissione ad hoc, mette intanto, alla conclusione dei lavori nel giugno del 2004, sul sito del Ministero un opuscolo di Consigli per la redazione di "Disposizioni del paziente" (che lasciano all'interessato, con la sola esclusione dell'eutanasia "attiva", illegale in Germania, totale libertà di accettare o rifiutare qualsiasi trattamento medico in presenza di qualsiasi malattia grave, anche al di fuori della fase terminale), e presenta poi a novembre, in una conferenza stampa, la bozza di un suo disegno di legge in merito, ispirato agli stessi criteri, che solleva tra gli addetti ai lavori, ma anche nel grosso dell'opinione pubblica, colta impreparata, un'ondata di perplessità e proteste tali da consigliarne, tre mesi dopo, il ritiro. Da quell'inverno, tuttavia, ha inizio nel Paese una discussione sempre più ampia e approfondita soprattutto sul quesito se, in nome di una tutela a oltranza della vita, debbano o possano - o non debbano assolutamente - essere posti dei limiti alle penultime volontà da dettare in tali testamenti, discussione a cui partecipano anche le due grandi Chiese cristiane (raccomandando, con dettagliati quanto pacati statement congiunti, "un giusto bilanciamento tra autodeterminazione e assistenza dovuta") e che sfocia in un primo "dibattito orientativo" al Bundestag il 29 marzo del 2007, quando è ancora fresco di stampa un sondaggio Forsa da cui risulta che solo il 18% della popolazione ritiene che le "disposizioni anticipate" debbano limitarsi alla "fase terminale" di qualsiasi malattia, mentre il 73% (il 9% non sa rispondere) rivendica piena libertà nel formularle e auspica che le volontà così espresse vengano rispettate dal momento stesso in cui il paziente non possa più pronunciarsi personalmente.

Nota bene
La Legge fondamentale, deliberata nel 1949 dal "popolo tedesco" conscio delle barbarie perpetrate dal nazismo, dà particolare risalto alla "dignità" dell'uomo come individuo, dichiarandola in apertura della Parte I, dedicata ai "diritti fondamentali" della persona, "intangibile. E' dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla" (art. 1, comma 1). In questa ottica il "popolo" "riconosce gli inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo" (1,2) che "vincolano il potere legislativo, quello esecutivo e il giudiziario come diritto immediatamente valido" (1,3). Di conseguenza basta ai tedeschi, insieme a questo primo, il solo secondo articolo della loro Costituzione (che non ha un articolo corrispondente al nostro 32) per giustificare il diritto all'autodeterminazione del cittadino anche in materia di salute e pertanto quello di disporre del proprio corpo e della propria vita fino alle conseguenze estreme: "Ognuno ha diritto al libero sviluppo della propria personalità, in quanto non violi i diritti degli altri e non trasgredisca l'ordinamento costituzionale e la legge morale" (2,1), "Ognuno ha diritto alla vita e all'integrità fisica. La libertà della persona è inviolabile. Questi diritti possono essere limitati soltanto in base a una legge" (2,2).

In dirittura d'arrivo
Al dibattito del 29 marzo 2007 in un'Aula gremita, trasmesso per intero da radio e televisione, prendono attivamente parte una trentina di deputati tra cui i tre futuri relatori di altrettante proposte - questa volta di iniziativa parlamentare -, già abbozzate e sostenute da gruppi trasversali (ai cinque partiti rappresentati in questa legislatura è lasciata, come accade di solito in Germania quando sono all'ordine del giorno temi eticamente sensibili, libertà di schierarsi). Tutti e tre, per restare ai punti cruciali del problema, danno per scontato nei loro interventi, sia pure con qualche distinguo, che le "disposizioni anticipate", atte a salvaguardare fino alla fine la "dignità" e la "libertà" della persona - facoltative, da mettersi preferibilmente per iscritto, in qualsiasi momento revocabili senza alcuna formalità -, potranno riguardare, eccetto richieste di eutanasia attiva, in presenza di qualsiasi patologia (compresi gli stati vegetativi e le varie forme di demenza), qualsiasi trattamento medico, e che saranno "vincolanti" se "calzanti", cioè aderenti al quadro clinico specifico. Per tutti e tre, nutrizione e idratazione artificiali sono - come insegnano le principali Società di Nutrizione Artificiale europee (tra cui le più rappresentative italiane) e americane - "a tutti gli effetti trattamenti medici" che richiedono il consenso del malato. Lo riconoscono, in Germania, anche il Consiglio della Chiesa evangelica (per il quale la nutrizione artificiale "non è da annoverarsi tra le misure ordinarie di assistenza") e la stessa Conferenza episcopale (che la menziona pari pari fra i "trattamenti medici salvavita" di cui perfino il paziente "cristiano" prossimo alla morte può chiedere il non inizio o l'interruzione); per entrambe le Chiese rientra tra le "misure ordinarie di assistenza" soltanto "l'appagamento di fame e sete, ove manifestate come sensazioni soggettive".

In dettaglio, Joachim Stünker, socialdemocratico (SPD), già magistrato - depositerà per primo, nel marzo del 2008, il suo ddl, che ricalca in buona parte la proposta Zypries e vanta fin dall'inizio, quando metà dei deputati è ancora indecisa, il maggior numero (210) di firmatari -, rifiuta fermamente, perché in contrasto con lo spirito e le norme della Legge fondamentale, qualsiasi restrizione della validità delle "disposizioni" a seconda del grado o dello stadio di una malattia, e ritiene che lo Stato non debba mai tutelare la vita contro la volontà del paziente, essendo quello "alla vita" un "diritto" che non può essere commutato in un "dovere".

Le sue affermazioni sono condivise da Wolfgang Zöller, del ramo bavarese (CSU) dei democristiani (CDU) - depositerà il suo testo, il più snello, lo scorso dicembre -, che si dice contrario a ogni iperregolamentazione, mette però in guardia contro un mero automatismo nell'attuazione delle "disposizioni", per cui si augura che possa instaurarsi, caso per caso, un proficuo dialogo tra il medico, con la sua competenza ed esperienza, e chi fa le veci del paziente e ne deve, comunque, rispettare e far rispettare le volontà (idea che sarà, all'ultimo, sviluppata anche in un apposito paragrafo del ddl di Stünker); in compenso vorrebbe limitare l'intervento del Giudice tutelare ai soli casi in cui i dialoganti non arrivassero alle stesse conclusioni.

Wolfgang Bosbach, infine, della CDU, avvocato - depositerà, anche lui, solo a dicembre il suo ddl, alquanto macchinoso, favorito, con poche riserve, dalle Chiese, ben più critiche, invece, nei confronti dell'"unilateralismo" degli altri due -, pur affermando che la volontà "attuale" del paziente "capace" "va sempre e in ogni circostanza rispettata", si mostra restio a rispettare volontà "anticipatamente" espresse (perché "non è detto che il paziente, se ne avesse la facoltà, non rivaluterebbe, in tempo reale, la situazione e deciderebbe magari diversamente"), e si domanda nella fattispecie se si debbano davvero ritenere in uguale misura "vincolanti" richieste in presenza di patologie dal decorso irreversibilmente letale e altre che riguardino malattie potenzialmente curabili (per le quali proporrà poi di rendere obbligatoria la consulenza, all'atto della loro formulazione, di un medico, da certificarsi dal medesimo).

A conclusione di quel dibattito, dai toni insolitamente compassati, durato più di tre ore, la presidente di turno prevede che l'Aula dovrà occuparsi del tema, a più riprese, ancora per mesi - che diventeranno ben ventisette; nel corso dei quali i tre ddl, che rispecchiano nella sostanza le anticipazioni fatte quel giorno dai relatori, vanno, passo passo, perfezionandosi in un lavoro collegiale - con l'apporto di audizioni di medici, giuristi, esperti di bioetica, con documenti mai sopra le righe da parte delle Chiese e sotto l'occhio vigile di tutte le Commissioni permanenti coinvolte (Sanità, Famiglia, Finanze e, per ogni tappa dell'iter, Giustizia) -, per arrivare in momenti diversi alla Prima lettura in Seduta plenaria (il disegno di Stünker il 26 giugno dell'anno passato, quelli di Zöller e Bosbach, insieme, il 21 gennaio di quest'anno) ed essere poi trasmessi, ai primi di marzo, per l'ultimo controllo (riguardo alla costituzionalità, compatibilità con leggi vigenti e attuabilità pratica) e per la definitiva messa a punto, comprese rifiniture lessicali, ancora una volta alla Commissione Giustizia, che li rimanda in Aula a metà maggio per l'atto finale.

Al traguardo
Le votazioni, in forma palese, previste per il 28 maggio, slittarono al 18 giugno perché lì per lì non vi fu accordo (che poi si trovò) sull'ordine - crescente (che vinse) o decrescente quanto al numero dei firmatari - nel quale mettere ai voti i tre testi approntati per individuare quello da adottare come unico. Così, quel giorno - respinta preliminarmente, a stragrande maggioranza, una petizione dell'ultima ora (sostenuta da 39 deputati, 37 dei quali CDU o CSU, in ambasce per come si stavano mettendo le cose) che invitava a rinunciare tout court a ogni disciplina normativa di una "materia già regolata a sufficienza dalla prassi" -, si impose, in Seconda lettura, il ddl di Stünker che, presenti 566 dei 612 membri del Bundestag, ottenne 320 voti favorevoli (contrari 241, astenuti 5) e fu approvato subito dopo, in Terza lettura e dunque definitivamente, da 318 (non 317, come annunciato dopo il primo conteggio e subito rilanciato dagli organi di informazione) dei 555 deputati rimasti in Aula (hanno votato a favore 201 socialdemocratici, 46 liberaldemocratici della FDP, 37 deputati de La Sinistra, 32 di Alleanza 90/I Verdi, una deputata della CSU, e un indipendente). Trattandosi di un ddl che non richiedeva l'assenso anche del Bundesrat - che avrebbe, comunque, nelle due settimane successive, potuto sollevare obbiezioni, ma non lo ha fatto -, la legge ("Terza legge a modifica del Diritto che regola le tutele")1 è entrata in vigore, come previsto, il 1° settembre scorso.

Eccone la parte che riguarda specificamente le Disposizioni del paziente:

"Articolo 1 - Modifica al Codice civile

§ 1901a - Disposizioni del paziente

(1) Se un maggiorenne capace di prendere decisioni in merito ha dichiarato per iscritto, in previsione della propria eventuale futura incapacità, di dare o negare il suo consenso (Disposizioni del paziente) a determinati trattamenti diagnostici, terapeutici o chirurgici, all'epoca non ancora imminenti, il tutore verifica se tali dichiarazioni riguardano realmente la situazione venutasi a creare (stato di salute e trattamenti possibili). In caso affermativo il tutore deve rendere nota e far rispettare la volontà del suo assistito. Le Disposizioni del paziente possono, in qualsiasi momento, essere revocate senza alcuna formalità.

(2) In mancanza di Disposizioni scritte del paziente o qualora le sue Disposizioni non riguardassero realmente la situazione venutasi a creare (stato di salute e trattamenti possibili), il tutore deve appurare i desideri riguardo ai trattamenti o la volontà presunta del suo assistito e decidere di conseguenza se dare o negare il consenso a uno dei trattamenti medici di cui al comma 1. La volontà presunta va accertata in base a elementi concreti. Sono da considerare in particolare affermazioni, a voce o scritte, fatte in precedenza dall'assistito, suoi convincimenti etici o religiosi ed eventuali altri suoi valori di riferimento.

(3) I commi 1 e 2 valgono indipendentemente dal tipo e dallo stadio della malattia dell'assistito. (4) Nessuno può essere obbligato a redigere Disposizioni del paziente. La redazione o la presentazione di Disposizioni del paziente non può essere condizione per la stipula di un contratto. (5) I commi da 1 a 3 valgono anche per il titolare di una procura sanitaria.

§ 1901b - Colloquio per l'accertamento della volontà del paziente

(1) Il medico curante, considerati lo stato di salute generale del paziente e la prognosi, individua il trattamento eventualmente indicato. Lui e il tutore discutono il trattamento prescelto tenendo conto della volontà del paziente quale base della decisione da prendersi ai sensi del § 1901a.

(2) Nell'accertamento della volontà del paziente secondo il § 1901a, comma 1, o dei suoi desideri riguardo ai trattamenti o della sua volontà presunta secondo il § 1901a, comma 2, dovrebbe essere data l'occasione di pronunciarsi a parenti stretti e altre persone di fiducia dell'assistito, ove ciò fosse possibile senza causare notevoli ritardi.

(3) I commi 1 e 2 valgono anche per il titolare di una procura sanitaria.

§ 1901c - Desideri espressi riguardo a una eventuale Tutela - Procura sanitaria

Chi è in possesso di un documento in cui qualcuno, per il caso che dovesse avere bisogno di un tutore, ha formulato proposte per la sua scelta o desideri relativi al contenuto della tutela, deve consegnarlo al Giudice tutelare appena saputo dell'avvio di un procedimento in merito. Ugualmente è tenuto a informare il Giudice tutelare chi possiede documenti con cui l'interessato ha conferito una procura sanitaria ad altra persona. Il Giudice tutelare può richiedere la consegna di una copia di tali documenti.

§ 1904 - Autorizzazione del Giudice tutelare riguardo a trattamenti medici

(1) Il consenso del tutore a un trattamento diagnostico, terapeutico o chirurgico richiede l'autorizzazione del Giudice tutelare, se sussiste il fondato pericolo che, a causa del trattamento, l'assistito muoia o che la sua salute subisca un danno grave e durevole. Il trattamento può effettuarsi senza autorizzazione solo se anche il suo rinvio è rischioso.

(2) La negazione del consenso o la sua revoca da parte del tutore riguardo a un trattamento diagnostico, terapeutico o chirurgico richiede l'autorizzazione del Giudice tutelare, se il trattamento è indicato dal punto di vista medico e sussiste il fondato pericolo che, a causa della sua omissione o interruzione, l'assistito muoia o che la sua salute subisca un danno grave e durevole.

(3) L'autorizzazione di cui ai commi 1 e 2 va concessa se il consenso, la negazione del consenso o la sua revoca corrisponde alla volontà dell'assistito.

(4) Un'autorizzazione di cui ai commi 1 e 2 non occorre se il tutore e il medico curante concordano nel giudicare che il consenso, la negazione del consenso o la sua revoca corrisponde alla volontà dell'assistito, accertata ai sensi del § 1901a.

(5) I commi da 1 a 4 valgono anche per il titolare di una procura sanitaria. Egli può, tuttavia, dare, negare o revocare il consenso a uno dei trattamenti indicati al comma 1, prima frase, o al comma 2, solo se la procura comprende espressamente anche tali trattamenti ed è conferita per iscritto."

Questa legge, votata dai rappresentanti del popolo di uno Stato sovrano, conferma quanto da tempo considerato "pacifico" e largamente messo in pratica dagli addetti ai lavori: Laddove la Legge fondamentale riconosce a "ognuno" - cioè a ogni singola persona con la sua, personalissima, "intangibile" "dignità", titolare del "diritto" "inalienabile" (suo, e di nessun altro) "alla vita e all'integrità fisica" - il "diritto al libero sviluppo della propria personalità" nonché il carattere "inviolabile" della sua "libertà", e pertanto la facoltà di compiere (purché non vengano offesi "i diritti degli altri", "l'ordinamento costituzionale" e "la legge morale") le proprie scelte in ogni campo e, nella fattispecie, in quello della salute, essa tutela, senza discriminazione alcuna, tanto il paziente "cosciente" e capace di intendere e decidere "attualmente", quanto chi, in possesso degli stessi requisiti, dichiara oggi, "anticipatamente", in Disposizioni scritte, le proprie volontà per l'ipotesi di trovarsi un domani, da "incosciente", nell'impossibilità di farlo, e perfino chi non vi ha provveduto affatto o in modo troppo generico (anche questi pazienti "incoscienti" non devono diventare oggetto della volontà altrui: i soli loro "desideri" riguardo a un determinato trattamento, espressi in passato a voce o per iscritto, o la loro "volontà presunta", se appurati, impegnano il tutore a "decidere di conseguenza").

In Germania, ormai, un maggiorenne capace di prendere decisioni in merito, può (non è un obbligo), senza più il timore di essere disatteso, preventivamente dare, negare o limitare nel tempo il suo consenso a determinati trattamenti medici (nessuno escluso) che dovessero un giorno risultare indicati in ogni stadio di una sua malattia, infermità o disabilità di qualsivoglia tipo e grado (se lo desidera, può anche chiedere espressamente che venga fatto ricorso, ove sostenibile, a ogni ritrovato della scienza e della tecnica per tenerlo il più a lungo possibile in vita). Le sue Disposizioni, revocabili in qualsiasi momento senza alcuna formalità (ma anche modificabili per sopravvenuto ripensamento o attualizzabili secondo la parabola della sua salute), saranno, se alla verifica giudicate "calzanti", vincolanti per il suo tutore o altra figura assimilabile, per i medici e il personale paramedico che lo avranno in cura, per gli istituti assistenziali che dovessero ospitarlo, per i suoi cari, per chiunque. Va da sé che nella maggior parte dei casi la negazione del consenso (o la sua limitazione nel tempo) riguarderà trattamenti salvavita, e, fra questi, anzitutto la nutrizione e l'idratazione artificiali.

Nessuna iperregolamentazione, nessuna restrizione quanto ai contenuti delle Disposizioni, nessuna richiesta specifica quanto alla loro forma, per cui resteranno, tra l'altro, valide tutte le volontà già anticipate da milioni di persone in atti fai-da-te o compilando moduli prestampati, a meno che il testatore non voglia estenderle, ora che la legge glielo permette, a trattamenti all'epoca non contemplati.

Soddisfatta ("Un sollievo per tutti") la ministra Zypries, come la sua omologa del governo regionale bavarese, Beate Merk, CSU ("L'autonomia del paziente ha trovato la dovuta conferma"), accontentate la Cassazione e "L'Associazione nazionale dei giuristi" (che avevano ripetutamente auspicato l'intervento del legislatore), felice la presidente dell'"Associazione tedesca per una morte umana", compiaciuta buona parte dei medici ("Le Disposizioni ci saranno di grande aiuto nel nostro lavoro quotidiano"), mentre i vertici della Federazione nazionale dei loro Ordini restano perplessi ("Una pseudoregolamentazione"), indecifrabile il giudizio della cancelliera Merkel (che non aveva appoggiato il ddl del compagno di partito Bosbach bensì quello, più permissivo, di Zöller, ma che aveva anche definito "interessante" la proposta di soprassedere a ogni disciplina normativa, senza, però, alla fine, partecipare al voto); "dispiaciute", in sordina (un solo, breve, commento per parte, il giorno stesso del varo della legge), le Chiese (l'evangelica perché "non vi è equilibrio tra autodeterminazione e assistenza dovuta", la cattolica perché "la legge enfatizza unilateralmente l'autodeterminazione del paziente"), che non avranno da ritoccare più di tanto le loro Disposizioni del paziente cristiano (di cui è annunciata, comunque, come imminente, una nuova edizione), perché esse prevedono - appunto "per il cristiano" - già i paletti che, giustamente, non sono stati piantati ora, a monte, anche per chi professa qualsiasi altra fede o non ne ha nessuna.

Post scriptum
Anche la nostra Costituzione - che riconosce e garantisce (art. 3) a "tutti i cittadini", "senza distinzione ... di condizioni personali" (e dunque, nello specifico, tanto a chi è "cosciente e capace", quanto a chi si trova in stato di "incoscienza"), (art. 2) "i diritti inviolabili dell'uomo" (fin dal lontano 1789 definiti "inalienabili"), tra cui il "diritto alla vita" (un "diritto", non un "dovere") - dichiara esplicitamente (art. 13) "inviolabile" "la libertà personale" (vietandone ogni tipo di "restrizione", "se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge"), e precisa che (art. 32) quello alla "salute" è un "fondamentale diritto dell'individuo", per cui "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario" (a meno che, nell'"interesse della collettività", non debbano essere disposti per legge trattamenti coatti che non possono, tuttavia, "in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana" (ossia la sua "dignità").

Molte pronunce, in cause riguardanti l'autodeterminazione terapeutica, non solo della Cassazione, ricordano che anche da noi le norme costituzionali a presidio di diritti primari (tra cui le quattro qui riportate), sono imperative e di immediata operatività, senza che occorra, a questi fini, intervento alcuno del legislatore ordinario. Ecco perché già all'inizio degli anni Novanta poté essere condannato per omicidio preterintenzionale da tutte le istanze fino alla Corte Suprema (e radiato dall'Albo) un chirurgo di Firenze che aveva sottoposto una paziente, senza il suo consenso, a un intervento con scarsissime probabilità di riuscita che, puntualmente, le provocò lesioni tali da anticiparne la morte. Ecco perché il rianimatore di Cremona che distaccò nel dicembre del 2006, come richiesto dall'interessato, il respiratore a Piergiorgio Welby (paziente "cosciente e capace"), fu assolto nel febbraio del 2007 dal Ordine dei medici ("Non si rilevano violazioni del Codice deontologico", "Welby è stato aiutato nel morire, no a morire") e cinque mesi dopo anche dal gup di Roma ("La condotta di colui che rifiuta una terapia salvavita costituisce esercizio di un diritto soggettivo riconosciutogli in ottemperanza al divieto di trattamenti sanitari coatti, sancito dalla Costituzione", "L'imputato ha agito in presenza di un dovere giuridico", di cui all'art. 51 del Codice penale). Ecco perché, l'anno scorso, la Corte d'appello di Milano con decreto del 9 luglio e, con sentenza definitiva del 13 novembre, la Cassazione a Sezioni civili unite hanno potuto autorizzare Beppino Englaro, tutore della figlia Eluana (paziente in stato di "incoscienza", alimentata con sondino nasogastrico), "a disporre l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale".

Anche da noi, dunque, gli addetti ai lavori, i giudici per primi e in misura sempre crescente i medici - all'ultimo Congresso nazionale degli anestesisti e rianimatori, svoltosi nel settembre del 2007, nove su dieci degli interpellati si sono dichiarati favorevoli al Testamento biologico, sette su dieci contrari al pronunciamento, reso pubblico giusto in quei giorni, del Vaticano sull'obbligatorietà di "somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali" in casi come quello di Terry Schiavo -, hanno ormai metabolizzato la portata dei "principi", "diritti" e "libertà fondamentali" della persona, garantiti dalla Costituzione (e ribaditi da accordi internazionali, ratificati anche dall'Italia, per la protezione, in particolare, della "dignità dell'essere umano" "come individuo", minacciata "da un uso improprio della biologia e della medicina"), e lo stesso sta facendo, in ritardo rispetto ad altre comunità nazionali a noi culturalmente vicine, la società civile, per non dire il Paese reale.

Secondo gli ultimi sondaggi (Renato Mannheimer, sul "Corriere della Sera" del 1° aprile), il 51% della popolazione sa oggi cos'è un Testamento biologico (e un altro 41% ne ha almeno sentito parlare), il 75% (il 55%, cioè la maggioranza assoluta, anche di chi si professa credente e frequenta regolarmente le funzioni religiose) si augura di poter liberamente rifiutare o limitare nel tempo le cure per l'ipotesi di venire a trovarsi un domani in una situazione di coma irreversibile, e il 68% chiederebbe, per quel caso, anche l'interruzione di nutrizione e idratazione artificiali (tra i cattolici il 47%, il 24% lo esclude, mentre il rimanente 29% non ha ancora un'opinione in merito). Sono poi ogni giorno di più i cittadini, figli di una democrazia minore, che, con la minaccia del "sondino di Stato" all'orizzonte, stanno correndo ai ripari, mettendo nero su bianco le proprie "volontà anticipate" - da depositare magari presso notai, associazioni create ad hoc o, genericamente, per la difesa dei consumatori, fondazioni come quella di Umberto Veronesi, sedi di Società per la Cremazione o appositi "registri" istituiti da già numerosi Comuni (oppure da tenersi semplicemente in tasca, in borsa o nel cassetto) -, "volontà" di cui, al momento opportuno, i medici vorranno comunque tenere conto, chi per onorare la Costituzione, chi per non rischiare di fare la fine del chirurgo di Firenze.

Il Palazzo invece ...

Nota:
1 La legge consta di 3 articoli: l'art. 1 ("Modifica al Codice civile") è dedicato al nuovo istituto delle Disposizioni del paziente, che comporta a sua volta, formulata nell'art. 2, una "Modifica alla legge in materia di Diritto di famiglia e di volontaria giurisdizione"; l'art. 3 stabilisce la data dell'entrata in vigore.

da MicroMega