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mercoledì 23 settembre 2009

Carne viva immagazzinata in un cella

Abbiamo ricevuto una mail da Mita che ci esortava a rendere pubblica una lettera scritta nel giorno di Ferragosto 2009 da un ergostolano.
Inoltre in allegato ci ha inviato la petizione da firmare per richiedere l'abolizione dell'ergastolo.

Carne viva immagazzinata in un cella
La società italiana non vuole conoscere la verità sulle sue prigioni.
Ai politici italiani non interessa sapere che le prigioni scoppiano in tutta Italia, che i detenuti muoiono, che alcuni si tolgono la vita e che altri crepano psicologicamente.
I mass media hanno dimenticato che anche i detenuti sono uomini.
Tutti gli anni ad agosto i giornali e la televisione ci ricordano di non abbandonare i cani in autostrada, ma non una parola e non una riga dei 64.000 detenuti abbandonati a se stessi e che vivono accatastati uno sopra l’altro.Vivere in questo modo toglie ogni rimorso per quello che s’è fatto fuori.
I “muri” sono abbastanza alti da permettere di poter far finta di non vedere e udire la disperazione e le grida d’aiuto che vengono da dentro.
La Corte Europea dei Diritti Umani ha da poco condannato il nostro paese, stabilendo che il sovraffollamento in Italia è tortura, ma l’Italia è un paese fuorilegge e a nessuno importa delle condanne della Corte Europea.
A nessuno importa sapere che nelle carceri italiane non c’è più spazio per vivere; che vivere uno sopra l’altro è una condanna aggiuntiva, una condanna moltiplicata dal punto di vista fisico, psichico, morale e sanitario; che il carcere in Italia non è solo il luogo dove ci vanno i delinquenti, (quelli veri stanno fuori), ma è soprattutto il rifugio dei ribelli sociali, degli emarginati, dei diseredati, degli emigrati, dei tossicodipendenti, dei figli di un Dio minore.
Nessuno vuole capire che il sovraffollamento nelle carceri smetterà quando questo governo finirà di considerare dei delinquenti tutte le persone disagiate.
Buone vacanze!

Carmelo Musumeci
http://urladalsilenzio.wordpress.com/
Carcere di Spoleto - Ferragosto 2009





Erode mandò a decapitare Giovanni nel carcere. Quelli che mangiavano con lui a tavola non alzarono un dito contro quell’iniquità, ma continuarono a sganasciare. Col silenzio sono diventati complici. (Fonte: Don Oreste Benzi “Scatechismo” )

“Nessuno uccida la speranza, neppure del più feroce assassino, perché ogni uomo è una infinita possibilità!” (D. M. Turoldo)

La Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, propone l’abolizione dell’ergastolo ostativo, pena che non permette alcun beneficio né reinserimento sociale al detenuto, escludendolo così – si legge in un comunicato diffuso oggi dall’associazione – “da qualsiasi speranza di cambiamento”. La Comunità – si legge nel comunicato – sostiene questa proposta “affinché ogni detenuto possa avere la possibilità di dimostrare il proprio cambiamento e possa svolgere un progetto personalizzato che gli dia la possibilità di essere reinserito nella società”. Secondo la comunità, l’ergastolo senza benefici è “incostituzionale perché l’art. 27 della nostra Costituzione recita: ‘le pene devono tendere alla rieducazione del condannato’”. “Noi crediamo – scrive Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità – che rieducazione contiene in sé il principio di reinserimento sociale delle persona. Senza reinserimento non c’è rieducazione”.

http://www.apg23.org/news/l2019associazione-comunita-papa-giovanni-xxiii-si-2

FABRIZIO DE ANDRE'





FARIZIO DE ANDRE' - MORIRE PER DELLE IDEE

Morire per delle idee, l'idea è affascinante
per poco io morivo senza averla mai avuta,
perchè chi ce l'aveva, una folla di gente,
gridando "viva la morte" proprio addosso mi è caduta.

Mi avevano convinto e la mia musa insolente
abiurando i suoi errori, aderì alla loro fede
dicendomi peraltro in separata sede
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè
ma di morte lenta.

Approfittando di non essere fragilissimi di cuore
andiamo all'altro mondo bighellonando un poco
perchè forzando il passo succede che si muore
per delle idee che non han più corso il giorno dopo.

Ora se c'è una cosa amara, desolante
è quella di capire all'ultimo momento
che l'idea giusta era un'altra, un altro movimento
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta
ma di morte lenta.

Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio
lo predicano spesso per novant'anni almeno.

Morire per delle idee sarà il caso di dirlo
è il loro scopo di vivere, non sanno farne a meno.

E sotto ogni bandiera li vediamo superare
il buon matusalemme nella longevità
per conto mio si dicono in tutta intimità
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta.

A chi va poi cercando verità meno fittizie
ogni tipo di setta offre moventi originali
e la scelta è imbarazzante per le vittime novizie
morire per delle idee è molto bello ma per quali.

E il vecchio che si porta già i fiori sulla tomba
vedendole venire dietro il grande stendardo
pensa "speriamo bene che arrivino in ritardo"
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta

E voi gli sputafuoco, e voi i nuovi santi
crepate pure per primi noi vi cediamo il passo
però per gentilezza lasciate vivere gli altri
la vita è grosso modo il loro unico lusso
tanto più che la carogna è già abbastanza attenta
non c'è nessun bisogno di reggerle la falce
basta con le garrote in nome della pace
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta,
ma di morte lenta.

PIERPAOLO PASOLINI - ALLA MIA NAZIONE



La voce è di Vittorio Gasman

Ecco un commento trovato a ridosso del video:

Pasolini, ti amo di un amore viscerale, eppure allo stesso tempo ti odio per avermi aperto gli occhi.

Grazie Pier Paolo Pasolini


Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo - 1959


Così Pasolini ai lettori di "Vie Nuove":
"I fascisti rimproverano per esempio a una mia poesia (epigramma intitolato Alla mia nazione) di essere offensiva alla patria, fino a sfiorare il reato di vilipendio. Salvo poi a perdonarmi - nei casi migliori - perché sono un poeta, cioè un matto. Come Pound: che é stato fascista, traditore della patria, ma lo si perdona in nome della poesia-pazzia... Ecco cosa succede a fare discriminazione tra ideologia e poesia: leggendo quel mio epigramma solo ideologicamente i fascisti ne desumono il solo significato letterale, logico, che si configura come un insulto alla patria. Ma poi, rileggendolo esteticamente, ne desumono un significato puramente irrazionale, cioè insignificante. In realtà il momento logico e il momento poetico, in quel mio epigramma coesistono, intimamente e indissolubilmente fusi. La lettera dice, sì: la mia patria è indegna di stima e merita di sprofondare nel suo mare: ma il vero significato è che, a essere indegna di stima, a meritare di sprofondare nel mare, è la borghesia reazionaria della mia patria, cioè la mia patria intesa come sede di una classe dominante benpensante, ipocrita e disumana. [...] Per esempio, un epigramma intitolato Alla bandiera rossa. In esso delineo una tragica situazione di regresso nel sud (come si sa, coincidente con il progresso economico, almeno apparente, del nord) e concludo augurandomi che la bandiera rossa ridiventi un povero straccio sventolato dal più povero dei contadini meridionali. Forse per questo Salinari mi chiama, senza mezzi termini, senza appello, 'populista'".

Disabili in piazza, botte della polizia.



La folla di manifestanti (che chiede risposte alle Asl e alla Regione Campania per i mancati pagamenti che hanno indotto alla chiusura di tutti i centri di riabilitazione) dopo due ore di blocco di via Partenope in attesa di un cenno di disponibilità dalle Istituzioni, viene prima sospinta da un cordone di Polizia, poi caricata. Una donna viene presa a manganellate da un agente.
La disperazione dei genitori dei disabili rimasti senza terapie e la rabbia di cetinaia di professionisti da mesi senza stipendio...

da Indymedia

Il Nord in crisi, in barba a tutte le informazioni tranquillizzanti impartite dal regime

Rispetto al pensiero dominante sulle tv del belpaese (3 del capo del Governo, 3 sotto il controllo del capo del Governo) la crisi economica, così come anticipato dagli analisti più attenti, sta dando a Settembre la sferzata decisiva alla traballante economia italiana. Mentre si parla sempre di un sud che arranca (che pure è vero) e che è in una perenne crisi economica (innegabile tra l'altro) non si sente mai parlare dai mass-media della profonda crisi produttiva che sta in queste ultime settimane attanagliando il Nord Italia che è di fatto partita dalla crisi finanziaria delle grandi banche mondiali...

Per la verità non ci voleva un laureato in economia con master a Oxford per capire che settembre sarebbe stato il mese peggiore benchè Berlusconi ci assicurava il contrario. Come chiunque abbia mai preso in mano una fattura sa che, da Febbraio-Marzo (culmine della crisi finanziaria e quindi culmine della mancanza di liquidità) i pagamenti delle aziende verso i loro creditori sono stati rimandanti a 30-60-90 giorni. Arriva l'estate, l'economia galleggia grazie alle blande attività stagionali per poi ripiombare nel caos a Settembre. I 90 giorni sono scaduti, i pagamenti non arrivano, le attività stagionali chiudono.

Il grande bluff berlusconiano è arrivato. Operai salgono sui tetti per rivendicare i propri diritti, alcuni gladiatori addirittura vanno sul colosseo per non essere licenziati. Da Febbraio ad ora nel totale silenzio dei mass media almeno 5 o 6 imprenditori si suicidano pur di non affrontare la chiusura della propria ditta e il licenziamento dei dipendenti. Per non parlare dei lavoratori. Ma ora la crisi tocca il ghota dell'impero mass - mediatico: Milano.

Proprio ieri la Lavagnini dell'hinterland milanese spiegava che non riusciva a far fronte ai propri debiti visto l'impossibilità di ottenere finanziamenti dalle banche, oggi una concessionaria della pubblicità milanese afferma che ha un milione di crediti che non riesce a riscuotere motivo per il quale o le banche si muovono o rischia la chiusura. Inutile dire che le banche hanno anche a quest'ultima negato ogni fido. Con una curiosità in più, a quanto ha spiegato l'imprenditore a Repubblica, lui con il Comune di Milano aveva vinto la gara per la concessione della pubblicità che gli avrebbe dato un po di respiro, solo che quest'ultima è stata annullata con una nuova gara la quale è finita niente di meno che, con la vittoria di Marco dell'Utri figlio del famoso dell'Ultri condannato in via definitiva e co-fondatore assieme al Berlusconi di Forza Italia.

Ora spunta la notizia di Prato, in Toscana dove la destra ha vinto le elezioni comunali cavalcando la crisi, bestemmiando politicamente contro i cinesi e il Comune allora governato dal centro sinistra reo di favorire la crisi economica nel Comune. Il nuovo sindaco di destra, proprietario della fabbrica di abbigliamento Sash che produceva, ironia della sorte già il 99% della produzione in Cina annuncia (e questo lascia tutto intendere sul personaggio e sulla destra in generale) che chiuderà la linea produttiva di Prato che manteneva quell'1% di produzione italiana.

Dall'azienda spiegano che si tratta di una "razionalizzazione del ciclo produttivo". Ma il loro cervello invece quando si razionalizzerà una volta per tutte?

di Antonio F. da GrandeSalento

Otranto: un successo la Mostra di Mirò. Proroga fino al 4 ottobre

Superata la soglia dei 40mila visitatori per la mostra di Miró – Opera grafica a Otranto, che ha riscosso un grande successo di pubblico. Sono stati davvero tanti gli italiani e gli stranieri che hanno apprezzato le opere esposte e visitato il Castello Aragonese da giugno a settembre. È stata decisa una proroga fino al 4 ottobre dell’esposizione di Mirò, per consentire un più facile accesso alle scolaresche che hanno appena iniziato l’anno scolastico e avranno così più tempo per visitare la mostra.

Joan Miró, uno dei grandi maestri spagnoli del ‘900 e uno dei maggiori esponenti del surrealismo, sta per concludere la prima fase della nuova stagione artistica del Castello Aragonese di Otranto, divenuto importante contenitore culturale. Grazie alla nuova gestione dell’A.T.I., costituita dalla Società cooperativa Sistema Museo di Perugia e dall’Agenzia di Comunicazione Orione di Maglie, la fortezza è ormai un punto di riferimento per l’arte e la cultura a livello nazionale e internazionale.

È stata avviata una forte politica di rilancio del Castello che prevede un programma triennale di mostre incentrato sulla produzione grafica di alcuni dei maggiori artisti del Novecento: dopo Mirò si proseguirà nei prossimi anni con Dalì e Chagall. Il Castello sarà un polo di attrazione aperto tutto l’anno; uno spazio che propone incontri, conferenze, spettacoli, ecc.

FRANCIA - Calais - Sgomberata la "giungla"


Come preannunciato. A poco più di tre mesi dallo smantellamento del campo di Patrasso un’altra zona di concentramento che si trova sulla stessa rotta battuta dai profughi afghani in cerca di asilo in Europa viene sgomberata e rasa al suolo. Con tutto il corollario di violenza e brutalità che queste operazioni tutte le volte comportano. Violenza e brutalità è poco. Sono azioni di guerra condotte contro chi dalla guerra è fuggito. Vanno lette insieme ai bombardamenti e alla distruzione che gli stessi governi europei hanno contribuito a portare in Afghanistan. Si abbattono sugli stessi civili inermi, come sempre “effetti collaterali”, persone che si trovano “nel posto sbagliato”, per le quali non esiste un posto che non sia sbagliato, che in nessun luogo trovano diritto di cittadinanza, di più, diritto di sopravvivenza.

La Jungle di Calais nasce da una storia complicata e ormai più che decennale. Dopo la chiusura del centro di accoglienza di Sangatte, strano esperimento di accoglienza/contenimento di migranti provenienti dalle più diverse parti del mondo, a questi ultimi non era rimasto altro luogo dove rifugiarsi.

Ad oggi, i profughi che vi “abitavano” fino a stamattina erano in maggior parte afghani.

Dopo aver attraversato l’Iran, paese in cui queste persone vengono pereseguitate e spesso rimpatriate in Afganistan, dopo avere attraversato la pericolosissima frontiera con la Turchia (dove non esiste alcuna possibilità di chiedere asilo e ai profughi è riservata la stessa sorte di imprigionamento e deportazione), i più “fortunati” di loro riescono a raggiungere Smirne e da lì, rischiando la vita in mare, le isole greche, i loro centri di detenzione, poi Atene, e Patrasso, dove fino al 14 maggio scorso esisteva l’altra zona di concentramento sgomberata nel sangue. Da Patrasso, Corinto o Igoumenitsa, comincia la fase delle traversate clandestine sulle navi dirette verso l’Italia, e qui la storia dei respingimenti di questi profughi, dai porti dell’Adriatico ancora verso la Grecia, altro paese che del diritto d’asilo fa solo carta straccia. E poi, solo per alcuni, i pochi che ce la fanno, inizia il viaggio verso la Francia, e anche lì la scoperta dell’impossibilità di rivendicare alcun diritto, la vita in altre zone di concentramento, come quelle dei giardinetti siti nel X arrondissement di Parigi, e l’inevitabile, condizionata ricerca di una fuga altrove, verso l’Inghilterra.

In Inghilterra si arriva da Calais, ancora nascondendosi e rischiando la vita dentro o sotto i tir che si imbarcano sui traghetti di linea.

L’andare avanti non è una scelta. È il risultato del fatto che in nessun luogo è possibile fermarsi.

Tutto questo sarebbe già di per sé terribile, ma a questo livello di crudeltà si aggiunge il fatto oggettivo e agghiacciante che moltissimi di questi profughi continuamente respinti, deportati, sgomberati, incarcerati, picchiati, a volte uccisi, sono bambini. Dall’Afghanistan si parte anche a dieci, dodici anni. Per sfuggire alle bombe e al reclutamento forzato dei talebani. Per sfuggire a tutto ciò che i paesi europei hanno addotto come scusa per le guerre ingiustificabili che stanno portando avanti.

Vite umane quelle perdute dai militari italiani riportati in patria con tutti gli onori, vite sub-umane quelle delle migliaia di civili afghani ovunque straziati da una geurra che per loro e solo per loro non ha confini geografici.

Lo sgombero della Jungle di Calais è solo l’ultimo di questi atti. E si inserisce anche, certamente, nel sistematico piano europeo di distruzione del diritto d’asilo. Si tratta di persone, esattamente come quelle mandate incontro alla morte o alla tortura in Libia dal governo italiano, che avrebbero ogni possibilità di chiedere e ricevere forme di protezione internazionale, di rivendicare e ottenere diritti. Persone, quindi che non potrebbero essere clandestinizzate e sfruttate, persone che “costano” invece che diventare oggetti di lucro.

Poche, pochissime, in rapporto al numero di migranti che producono ricchezza in Europa. Contro di loro, quindi, la guerra è simbolica, oltre che atrocemente reale, su più livelli incrociati.

Guardate le foto di questi uomini e di questi bambini che piangono durante lo sgombero di questa mattina mentre le uniche cose che hanno al mondo (una baracca, quattro stracci, dei quaderni) vengono distrutte. Vi troverete dentro tutta l’ipocrisia delle politiche e dei testi di legge europei e nazionali, dei proclami sui diritti umani, delle retoriche securitarie e allarmistiche sull’immigrazione, dei discorsi che inneggiano alla “nostra civiltà” e ai valori di un occidente che proprio nulla ha da insegnare.

di Alessandra Sciurba da GlobalProject

PANDEMIA DI LUCRO


L´IRONIA NEL SUO MIGLIOR STILE
2000 persone contraggono l´influenza suina e ci si mette la mascherina...
25 milioni di persone con AIDS e non ci si mette il preservativo...

PANDEMIA DI LUCRO
Che interessi economici si muovono dietro l´influenza suina?
Nel mondo, ogni anno, muoiono milioni di persone, vittime della malaria, i notiziari di questo non parlano...
Nel mondo, ogni anno muoiono due milioni di bambini per diarrea che si potrebbe evitare con un semplice rimedio che costa 25 centesimi..
I notiziari di questo non parlano...
L´IRONIA NEL SUO MIGLIOR STILE
2000 persone contraggono l´influenza suina e ci si mette la mascherina...
25 milioni di persone con AIDS e non ci si mette il preservativo...

PANDEMIA DI LUCRO
Che interessi economici si muovono dietro l´influenza suina?
Nel mondo, ogni anno, muoiono milioni di persone, vittime della malaria, i notiziari di questo non parlano...
Nel mondo, ogni anno muoiono due milioni di bambini per diarrea che si potrebbe evitare con un semplice rimedio che costa 25 centesimi..
I notiziari di questo non parlano...
Polmonite e molte altre malattie curabili con vaccini economici, provocano la morte di 10 milioni di persone ogni anno.
I notiziari di questo non parlano...
Ma quando comparve la famosa influenza dei polli... i notiziari mondiali si
inondarono di notizie... un´epidemia e più pericolosa di tutte, una pandemia!
Non si parlava d´altro, nonostante questa influenza causò la morte di 250 persone in 10 anni...
25 morti l´anno!!
L´influenza comune, uccide ogni anno mezzo milione di persone nel mondo....Mezzo milione contro 25.
E quindi perché un così grande scandalo con l´influenza dei polli?
Perché dietro questi polli c´era un "grande gallo".
La casa farmaceutica internazionale Roche con il suo famoso Tamiflu, vendette milioni di dosi ai paesi asiatici.
Nonostante il vaccino fosse di dubbia efficacia, il governo britannico comprò 14 milioni di dosi a scopo preventivo per la sua popolazione.
Con questa influenza, Roche e Relenza, ottennero milioni di dollari di lucro.
Prima con i polli, adesso con i suini:
e così adesso è iniziata la psicosi dell´inflluenza suina.
E tutti i notiziari del mondo parlano di questo.
E allora viene da chiedersi: se dietro l´influenza dei polli c´era un grande gallo, non sarà che dietro l´influenza suina ci sia un "grande porco?".
L´impresa nord americana Gilead Sciences ha il brevetto del Tamiflu.
Il principale azionista di questa impresa è niente meno che un personaggio sinistro, Donald Rumsfeld, segretario della difesa di Gorge Bush, artefice
della guerra contro l´Iraq...
Gli azionisti di Roche e Relenza si stanno fregando le mani... felici per la nuova vendita milionaria.
La vera pandemia è il guadagno, gli enormi guadagni di questi mercenari della salute...
Se l´influenza suina è così terribile come dicono i mezzi di informazione, se la Organizzazione Mondiale della Salute (diretta dalla cinese Margaret Chan)
è tanto preoccupata, perché non dichiara un problema di salute pubblica mondiale e autorizza la produzione farmaci generici per combatterla?

DIFFONDI QUESTO MESSAGGIO COME SE SI TRATTASSE DI UN VACCINO, PERCHE´ TUTTI CONOSCANO LA REALTA´ DI QUESTA "PANDEMIA".

Dr. Carlos Alberto Morales Paità
Nuova influenza: impunità garantita alle case farmaceutiche per i danni del vaccino

Rispetta l'ambiente: Se non ti è necessario, non stampare questa mail.

MILANO - Presidio in difesa dell'Ambulatorio medico popolare



Milano - Nuovo tentativo di sgombero dell'ambulatorio medico popolare previsto per stamattina. Oltre all'ambulatorio, che da anni assiste gratuitamente quanti ne hanno bisogno (tra cui molt* migrant*) è previsto lo sgombero anche di una casa occupata in via dei Transiti.
Dalle ore 6 è stato organizzata una colazione antisfratto per supportare il presidio in attesa dell'ufficiale giudiziario.

da Infoaut

AMP: cos'è?

L’Ambulatorio Medico Popolare (AMP) è un’associazione legalmente riconosciuta, autogestita e autofinanziata che ha iniziato la sua attività in difesa del diritto alla salute nel giugno 1994. Trova sede in alcuni spazi della casa occupata in via dei Transiti 28 a Milano, ristrutturati ed attrezzati grazie ad una vasta campagna di sottoscrizione popolare.

In questi anni le attività dell’AMP hanno affrontato diversi ambiti delle politiche sanitarie: dalla assistenza sanitaria di base gratuita per tutti, con un ambulatorio aperto due pomeriggi alla settimana, all’informazione e alla organizzazione di campagne di lotta sul diritto alla salute.

Le trasformazioni subite negli ultimi anni dal sistema sanitario hanno generato un servizio pubblico che, per far quadrare i conti, risponde alle logiche gestionali prima che alla domanda di salute. Si tratta di un sistema sanitario basato sul rapporto tra il numero di prestazioni effettuate e il profitto di chi le produce. In questo panorama non trovano spazio le politiche di prevenzione e di diritto alla salute e si assiste a un progressivo smantellamento delle strutture ospedaliere pubbliche e poliambulatoriali territoriali, alla riduzione significativa di servizi socio-assistenziali e all’affidamento di queste mansioni a strutture private. Vittima di tale politica sono anche i consultori, caratterizzati un tempo da una presenza territoriale capillare e, fino a pochi anni fa, dall’accesso completamente gratuito.

In questo contesto di impoverimento neoliberista l’Amp rimane un luogo dove praticare un’idea differente di diritto alla salute, coniugando un’attività concreta di intervento sanitario con una battaglia politica più generale di trasformazione sociale. Un luogo in cui la visita medica ha un ruolo di comunicazione e non di pura osservazione, un tentativo di unire un concetto di cura e di prevenzione con la denuncia degli abusi di una sanità permeata di profitti, sempre più inaccessibili per i poveri, sempre più a misura di ricchi e assicurazioni private.

L’Amp si propone come punto di riferimento per la costruzione di un’informazione diversa mirata al reale coinvolgimento dei soggetti, per diventare luogo di auto-organizzazione dei bisogni reali. In quest’ottica, l’ambulatorio ha sempre sostenuto l’acquisizione da parte delle donne di una capacità critica rispetto alle risposte che la medicina propone ai problemi della salute femminile, a partire dalla considerazione che sessualità, maternità e contraccezione non sono patologie e che la cultura che le vuole medicalizzare impone privazione di libertà e di auto-determinazione. Le carenze e le inadempienze istituzionali nei confronti degli immigrati hanno portato col tempo a legare l’attività dell’Amp prevalentemente alle richieste della popolazione migrante. Nonostante ciò non intendiamo caratterizzarci con una attività di generico volontariato, ma intendiamo piuttosto praticare una solidarietà militante affinché il fenomeno migratorio non venga affrontato solo come un problema di pubblica sicurezza. Per questo motivo portiamo avanti battaglie per l’estensione dei diritti e delle garanzie di cittadinanza per tutti, esplicitando fin dal principio l’intenzione di chiudere le attività dell’Amp non appena il diritto alla salute sia realmente garantito a tutti.

da www.ambulatoriopopolare.org

Tricase: manifestano gli operai Adelchi


Salento(23 settembre) – Circa 600 lavoratori in cassa integrazione straordinaria dell’azienda calzaturiera di Adelchi Sergio hanno occupato questa mattina il Municipio di Tricase in Piazza Pisanelli, per poi dare vita ad un corteo (un altro c’è già stato lunedì sera) per protestare contro il mancato rispetto degli accordi: “Siamo stanchi delle prese in giro, vogliamo l’intervento dei Sindacati e delle Istituzioni e la solidarietà della città, perché la nostra situazione non ci riguarda soltanto personalmente, ma coinvolge la stessa economia di Tricase e di tutto il Capo di Leuca”.


Tommaso Nuccio, segretario provinciale della Conflavoratori, e Luca Simone, iscritto alla Filtea Cgil, ritengono “valido il verbale sottoscritto dai Sindacati e dall’Azienda lo scorso 6 luglio, in cui, insieme alle Organizzazioni Sindacali ed alla Provincia, si determinava che l’Azienda comunicherà entro e non oltre la prima metà di questo mese di settembre la data di riavvio del ciclo produttivo. Ma siccome l’Azienda non vuole cedere, in attesa che riceva un sostegno economico di 15 milioni di euro, allora siamo qui a chiedere ai Sindacati provinciali come intendano agire”.




Mar Jonio, 21 settembre 1987: ultimo giorno di luce per la Rigel

Una delle navi dei veleni potrebbe avere lo stesso nome di una stella. Rigel

La stella più luminosa della costellazione invernale del guerriero Orione che era uomo prestante e, ironia della sorte, figlio di Poseidone, dio del Mare, con il dono di camminare sulle acque. Invece la nave oggi è ancora un relitto ben nascosto sotto le acque joniche. La stella, e la costellazione che domina, sorgono ancora molto tardi e non saranno visibili nella volta celeste notturna prima dell'inverno, quando non rimarranno più avvolte nella luce del sole che avanza. Avvolta nell'oscurità è invece l'imbarcazione che porta questo nome giacente dal 21 settembre 1987, con ogni probabilità, negli abissi del mar Ionio a poco più di mille metri di profondità, venti miglia a largo di Capo Spartivento, in acque internazionali.

Oltre venti anni fa, infatti, sulla costa jonica della nostra provincia una nave colava a picco mentre il mare era piatto, come spesso accade in settembre da queste parti. Nel mar Jonio un nave che affonda, affonda bene perchè la profondità delle acque è peculiarità tale da essere appetibile per chi deve nascondere qualcosa che non deve essere trovata. Appetibile per faccendieri senza scrupoli e un affare da non perdere per Natale Iamonte che deve solo acconsentire, consigliare il punto giusto e rendere tutto inconoscibile. Nessun Sos venne mai lanciato. Non c'è n'era alcun bisogno perchè era tutto organizzato. Tutto andava secondo i programmi e, dopo l'affondamento, ad attendere l'equipaggio c'era una nave jugoslava diretta in Tunisia. Da allora di ogni suo componente si sarebbero perse le tracce. Le coordinate fornite alla compagnia assicurativa Lloyd's erano errate dunque nessun relitto venne mai individuato in fondo al mare e dunque nessun carico passò mai al vaglio di addetti ai lavori. Solo una condanna per truffa emessa dal tribunale di La Spezia nei confronti di caricatori e armatore, perchè provato fu il naufragio doloso dell'imbarcazione. L'incognita, in tutti questi anni, ha continuato ad avvolgere l'equipaggio, il relitto, il carico. Inoltre fu insolita anche la durata del viaggio del cargo che, partito dal porto di Massa Carrara il 9 settembre 1987, avrebbe impiegato 12 giorni per percorrere 800 miglia e raggiungere il mar Ionio, con presunte soste in mare aperto, non risultando un loro approdo successivo in altri porti italiani. Nessun porto di destinazione. Nessuna sosta intermedia. Noto solo quello di partenza, in Toscana, a Massa Carrara. E il carico? Secondo le risultanze investigative rigorosamente diverso da quello dichiarato al personale portuale, evidentemente non importante per nessuna rotta commerciale lecita, visto che nessuno lo ha reclamato, e invece destinato ad essere dimenticato e a giacere per decenni in fondo al mare, nascosto, sconosciuto. Ma con ogni probabilità pericoloso.

Un carico ancora oggi ignoto ma su cui il sospetto di nocività si è radicato nell'ambito dell'inchiesta seguita all'esposto di Legambiente e che il procuratore reggino Francesco Neri ha condotto, con la preziosa collaborazione del capitano Natale De Grazia, negli anni Novanta. Un'inchiesta archiviata per impossibilità di proseguire le indagini in assenza del relitto ma che ha evidenziato alcuni elementi di indubbia gravità. Alla data dell'affondamento corrispondeva una nota inequivocabile - lost in ship - riportata sull'agendina di Giorgio Comerio, industriale lombardo ideatore di un sistema di interramento sottomarino di siluri contenenti rifiuti tossici. Una nota che già allora orientava le indagini alla conclusione più drammatica. La nave trasportava rifiuti pericolosi e rientrava tra le cinquanta affondate nel Mediterraneo in cambio di profumate ricompense alle cosche dei luoghi. Una conclusione prossima alla verità. Troppo vicina ad una verità scomoda e quindi altamente pericolosa. Lo sa Anna Vespia, moglie di Natale De Grazia, colpito mortalmente da un malore improvviso e inspiegabile mentre si dirige a La Spezia, porto di importanza strategica per questi traffici, per acquisire informazioni sulla Jolly Rosso, partita da lì prima di arenarsi in Calabria nel dicembre del 1990, e per acquisire i piani di carico di 180 navi sospette. L'inchiesta giudiziaria reggina, infatti, aveva nel proprio specchio di indagine lo spiaggiamento a Formiciche di Amantea della Jolly Rosso su cui ha indagato per anni anche il procuratore paolano Francesco Greco.

Oggi Legambiente chiede con forza che si torni ad indagare sull'affondamento della motonave maltese Rigel, affondata 22 anni fa. Oggi, in ragione del tasso del Cesio 137 registrato nel torrente Oliva, in corrispondenza del quale si sospetta siano stati interrati i fusti contenuti nella Jolly rosso arenatasi a largo di Amantea nel 1990, per non essere riuscita ad affondare come previsto o forse diretta con i fusti pericolosi in Libano, il sospetto di presenze tossiche radioattive in Calabria permane. Oggi quello stesso sospetto si ingigantisce in ragione dell'alto tasso di mortalità per patologie oncologiche accertato nell'area radioattiva lungo la strada provinciale 53 tra i comuni cosentini di Aiello Calabro e Serra d'Aiello, in ragione del ritrovamento a 483 metri di profondità del relitto Cunsky a largo di Cetraro, in provincia di Cosenza, nell'ambito del nuovo corposo filone di indagine del procuratore capo di Paola Bruno Giordano. Si spera non sia troppo tardi per arginare il danno che quei fusti in fondo al mare dal 1992 potrebbero aver causato alla salute del mare, dell'ambiente e delle persone. Se fosse radioattivo il contenuto dei fusti, come parrebbe dal tipo di blindatura, solo il tasso di nocività e la capacità di contaminazione delle sostanze conservate in fondo la mare per decenni potrebbero fornire la risposta sulle conseguenze. Si cercano ancora gli altri due relitti: Yvonne A e Voriais Sporadais indicati dallo stesso pentito Fonti già nel 2006 e affondati rispettivamente a largo di Maratea e di Genzano. Oltre trecento bidoni contenenti scorie radioattive viaggiavano, secondo le dichiarazioni del pentito, su quelle tre imbarcazioni.

I racconti e le testimonianze si incrociano e si sovrappongono. Parla Francesco Fonti, ex narcotrafficante di Locri e collaboratore chiave delle diverse indagini; ne parla nel 2002 al cospetto degli inquirenti di Catanzaro e Potenza e nel 2006 al pm antimafia di Catanzaro Vincenzo Luberto. Parla Gianpietro Sebri, portaborse del socialista Luciano Spada, davanti alla Commissione parlamentare sull'omicidio Alpi-Hrovatin nel 2004. Ma ancora prima, nel 1995 al pubblico ministero reggino Francesco Neri, di navi dei veleni parlano già Renato Pent, industriale lombardo, Aldo Anghessa, spesso coinvolto in operazioni di intelligence internazionale, e Marino Ganzerla, imprenditore mantovano, raccontando di discariche marine come fulcro di interesse di una attiva lobby affaristico criminale italiana e di truffe alle compagnie assicurative. Le indicazioni rese erano e sono sovrapponibili, dunque attendibili. In particolare sarebbe stato lo stesso Fonti a riferire circa le trattative tra Giorgio Comerio e Natale Iamonte per l'affondamento della Rigel.

Nonostante ciò nessun sostegno venne prestato alle indagini, come di recente dichiarato dal sostituto procuratore generale Francesco Neri, allora pubblico ministero, mentre a Reggio Calabria torna l'incubo del carico mai rinvenuto della Rigel e del relitto mai individuato. Nessuna sonda venne inviata negli abissi dello Ionio, ha continuato il procuratore Neri, per la ricerca di un relitto che non poteva non esserci. L'affondamento era avvenuto, come certificato dall'Imo, Istituto dell'Onu competente per la Sicurezza nella Navigazione. Nessuna fiducia venne riposta nelle ricerche in mare della Rigel e delle altre imbarcazioni. Forse perchè Fonti, adesso in attesa che gli sia rinnovato il programma di protezione, ha parlato delle navi a perdere solo nel 2002. E sull'utilizzo di strumentazioni oggi più moderne si è espresso anche Alberto Cisterna, sostituto procuratore nazionale antimafia, che dopo il 1996 si occupò dell'inchiesta sugli affondamento sospetti tra cui rientra a pieno titolo anche quello della Rigel. Con essa anche la Mikigan, affondata il 31 ottobre 1986 a largo di Capo Vaticano, la Four Star affondata il 9 dicembre 1988, la Yvonne A e la Voriais Sporadais affondate nel 1992 rispettivamente a largo di Maratea e Genzano, nel cosentino, la motonave Aso affondata al largo di Locri il 6 maggio 1979. Poi ancora la Monika e la Aouxum. Ma la lista è lunga in Calabria e non solo. Interessate sono anche gli abissi in corrispondenza delle coste siciliane, pugliesi e greche. Lunga come la lista delle procure che hanno indagato. Dalla Toscana alla Liguria. Dalla Basilicata di Nicola Maria Pace alla Calabria di Francesco Neri e Natale De Grazia.

Particolarmente forte sarebbe l'asse Calabria - Somalia dove, occorre ricordarlo senza sosta, esiste una strada di 350 chilometri, costruita da ottanta imprese italiane, che collega Boosaaso e Garoowe. Una strada deserta, che non serve. Anzì forse serviva e serve per nascondere i fusti che fanno ammalare la gente, quelli che per essere interrati hanno bisogno che si indossi una tuta bianca. Quelli che hanno un teschio marchiato sopra. Quelli che Ilaria Alpi e MIran Hrovatin, giornalista del Tg 3 e cineoperatore, avevano denunciato prima di quel crudele giorno - 20 marzo 1994 a Mogadiscio - in cui i loro corpi vennero crivellati da colpi di arma da fuoco. Forse occorre anche ricordare che il certificato di morte di Ilaria Alpi era in possesso di Giorgio Comerio. E non ve ne sarebbe ragione se non fossimo in presenza di un intreccio aggrovigliato che non tollera intrusi e cercatori di verità.

Forse occorre ricordare che il tempo è prezioso. Prezioso come le verità che non ne hanno più, come le vite ormai spezzate che non chiedono più nulla all'attesa se non quella stessa verità. Prezioso come le vite il cui futuro è legato a quelle stesse verità.
Anche quest'anno Rigel sorgerà in cielo. Speriamo non sia l'unica Rigel a mostrarsi e ad essere mostrata.

Ora Marcello ha paura


Palermo, Dell’Utri di nuovo alla sbarra. Intanto Ciancimino parla e sostiene che la trattativa con lo Stato sarebbe cominciata prima delle stragi. E che l’ex leader di Publitalia avrebbe saputo: una sorta di exit strategy dalla fase armata di Cosa nostra
di Pietro Orsatti su Left/Avvenimenti


Non è ancora un clima da resa dei conti ma poco ci manca. Dopo una settimana di polemiche durissime, e l’attacco dei giornali legati al premier nei confronti della Procura di Palermo e in particolare dei due pm Ingroia e Scarpinato rei di aver partecipato, senza intervenire, alla presentazione del quotidiano Il Fatto, l’attività è ricominciata come da calendario. Ma l’atmosfera non è certo quella che ci si aspetterebbe dopo le ferie estive. L’attacco di Berlusconi alle procure e in particolare a Palermo, un attacco preventivo visto che nel palazzo di giustizia del capoluogo siciliano non c’è alcun fascicolo che riguardi il presidente del Consiglio associandolo direttamente alla vicenda delle stragi del ’92 e del ’93, ha scosso ovviamente l’ambiente ma a dire il vero non ha stupito più di tanto. Perché qualcosa doveva accadere vista la complessità e l’importanza di due processi attualmente in corso. Quello di secondo grado a Marcello Dell’Utri e quello al generale Mario Mori.

Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino e del pentito Gaspare Spatuzza in relazione alle stragi sono di competenza della procura di Caltanissetta. Nel primo giorno dopo le ferie, il procuratore aggiunto di Palermo Ingroia ricorda che il pentito di mafia Gaspare Spatuzza negli ultimi tempi sta facendo nuove rivelazioni «sull’uccisione di padre Pino Puglisi e altri fatti di sangue, ma tutto quello che dice dei fatti stragisti non è di nostra competenza, come ha detto il procuratore di Palermo nei giorni scorsi». E poi, intervenendo sull’attualità della macchina della giustizia, smonta l’accusa di “archeologia giudiziaria” che gli è stata rivolta. «Benché ci siano state, da parte del governo, assunzioni di impegni, basti pensare all’inasprimento del carcere duro, non penso che si possa negare che i tagli di bilancio del comparto giustizia e sicurezza non abbiano aiutato la lotta alla mafia – ha spiegato, infatti, il procuratore aggiunto -. Polizia e carabinieri, così come i magistrati non hanno i mezzi e gli strumenti all’altezza della sfida. È vero che ci sono stati molti successi e sono stati inferti colpi durissimi a Cosa nostra, ma la mafia non è ancora in ginocchio». Tutt’altro tema, tutt’altra inchiesta, quindi. E allora perché l’attacco? È nei corridoi della procura dove si ipotizza che si stia assistendo a una sorta di ricatto di Dell’Utri nei confronti di Berlusconi. Il senatore del Pdl già condannato in primo grado a nove anni per associazione esterna è in difficoltà, ha paura che l’appello vada male, e questo sarebbe il suo modo di ricompattare gli amici più potenti.

Tutto qui? Non tanto. Perché la situazione è molto più complessa. Perché sia Ciancimino che Spatuzza parlano anche di altro, raccontano della “trattativa” fra pezzi dello Stato e Cosa nostra a cavallo delle stragi e poi anche del potente ex capo di Publitalia (ne avrebbe parlato Ciancimino a più riprese) Marcello Dell’Utri. E poi ci sarebbe anche la “ricomparsa” di una relazione della Dia del 1999 che parla di legami tra imprenditori mafiosi e un’azienda (la Co.Ge costruzioni) in cui compaiono due soci, Paolo Berlusconi, fratello di Silvio, e Giorgio Mori, fratello di quel generale Mori ex capo del Ros e poi del Sisde e oggi a capo dell’ufficio sicurezza del Comune di Roma. Questo documento della Dia ritorna oggi di attualità come il procedimento contenitore “Sistemi criminali” archiviato in passato dai pm Ingroia e Roberto Scarpinato sugli intrecci fra affari, criminalità e massoneria. E poi si parla, e tanto, di Bernardo Provenzano, e quello che starebbe emergendo dalle dichiarazioni è tutt’altro che una mera operazione “di archeologia”, perché, secondo una delle ipotesi di indagini (questa sì anche a Palermo) e delle dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco del “sacco” di Palermo, la “trattativa” avrebbe avuto inizio ben prima del ’92, almeno dall’anno precedente, e protagonista della vicenda non sarebbe stato Totò Riina, estensore del famoso “papello”, ma Binnu Provenzano. E ci sarebbe di più. Lo stesso Ciancimino avrebbe fatto capire che anche Marcello Dell’Utri sarebbe stato quanto meno a conoscenza di questa trattativa, una sorta di pax di affari, una exit strategy dalla fase stragista condotta dall’ala armata di Cosa nostra guidata da Riina e Bagarella.

Si rischia di fare scenari fantascientifici o di cadere in qualche trappola cercando di mettere insieme tutti questi frammenti. Di certo c’è che Ciancimino parla e che Spatuzza svela uno scenario, quello militare di Cosa nostra agli inizi degli anni 90, che rimette in discussione tutto l’insieme delle verità processuali acquisite finora. E si apre anche un quadro inquietante non solo sugli intrecci che erano dietro le stragi e la trattativa, sulle presunte deviazioni di alcuni apparati dello Stato, ma anche sulla fretta di ottenere subito risultati dopo che il tritolo aveva ucciso Falcone e Borsellino. Anche di questo Spatuzza parlerebbe. E anche nella polizia giudiziaria il nervosismo si fa evidente. «Qui di cose ne sono successe dopo le stragi – si lascia andare un funzionario -. Le faccio una domanda: lei quante azioni da parte del nucleo investigativo dei Carabinieri e dei Ros ha visto nei confronti di Provenzano dopo la mancata cattura ai tempi del colonnello Riccio? Io francamente non me ne ricordo una». Si parla della testimonianza, e della morte, di un collaboratore, Luigi Ilardo, vice del capo mafia di Caltanissetta “Piddu” Madonia che nel 1995 era in grado di far catturare a Mezzojuso Bernardo Provenzano nel corso di un summit di capi mafia, ma che (questa l’accusa del processo a parte dei Ros siciliani dell’epoca) per un inspiegabile non intervento degli uomini del generale Mario Mori non andò in porto. Dopo più di un decennio il malumore e le tante perplessità su come vennero condotte le indagini negli anni successivi alle stragi oggi riemergono prepotentemente. E il disagio poi si amplifica, soprattutto all’interno della polizia di Stato, a causa dei tagli economici, delle sempre minori risorse anche sul piano formativo.

«Se parliamo dei processi finiamo in politica, se parliamo di politica finiamo nei processi», si lascia sfuggire uno degli investigatori. Sono tutti “abbottonati” in questi giorni a Palermo. La chiusura dell’appello a Dell’Utri da un lato, il processo Mori dall’altro. E poi le nuove dichiarazioni di Ciancimino sui “piccioli” e sulle “collaborazioni” fra boss e pezzi dello Stato. E ancora l’ombra dei servizi e della massoneria e i tanti affari che, dopo un breve periodo di rallentamento successivo alle stragi, sarebbero ripresi come se nulla fosse successo. E poi l’attacco, che in molti si aspettavano, alle procure. Ma che ha stupito perché così specifico su Palermo. Come se qualcuno temesse che con l’arrivo di una condanna a Dell’Utri poi si andasse a una nuova e ancora più devastante stagione di rivelazioni.