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domenica 18 ottobre 2009

TUTTI A DESTRA……………..VA DI MODA


Lo sdoganamento di simbologie, vessilli, inni, gadget del ventennio è ormai un fattore assodato.
Troppe sigle, troppi movimenti stanno nascendo facendo riferimento al fascismo e a colui che, secondo le truppe di fascisti del terzo millennio, fu il più grande statista della storia italiana (il folle, avido, infame, meschino, viscido, senza onore né rispetto per alcuno, Benito Mussolini).
Nella nostra Nardò mi è accaduto, soprattutto negli ultimi tempi, di assistere a episodi scomodi e raccapriccianti per tutte quelle persone che ogni giorno si impegnano affinché la storia abbia un senso e affinché non si aspetti a scriverne un’altra prima di capire il periodo nero che si sta attraversando.
Voglio ricordare alcuni episodi accaduti nel mio paese:
scuole e strade ricoperte da un manto di vernice nera con scritte inneggianti al nazifascismo;
sede della Rifondazione Comunista oggetto, durante le ultime elezioni provinciali (2009), di una provocazione (venne bruciata la bandiera);
ragazzino che incontri e indossa una maglietta sulla quale si inneggia al duce;
saluti fascisti provenienti da un bar (in lontananza sentiamo un “hei hitler” sicuramente accompagnato da un saluto romano);
ragazzi che per festeggiare la vittoria di Antonio Gabellone come presidente della provincia di Lecce, organizzano un carosello di macchine, da una delle quali, spunta un “bel” bandierone con una “bella” gigantografia della croce celtica.
Sono episodi molto preoccupanti e sui quali bisogna riflettere. Simboleggiano un fallimento totale di tutte quelle istituzione che avrebbero dovuto aiutare le nuove generazioni a crescere nei valori della democrazia.
Scuole, chiese, comuni, forze dell’ordine, organi di stampa, associazioni, movimenti ecc ecc ecc hanno completamente fallito nella loro politica.
Sono due soprattutto le cause: una è quella che spinge molti a svolgere un lavoro a prescindere dalla vocazione o dall’interesse che si ha per quel determinato mestiere, l’altra causa, conseguenza diretta della prima, è la mancanza di professionalità venutasi a creare dal dopoguerra ad oggi, dovuta alla politica degli interessi e degli orticelli privati da coltivare assiduamente.
Le raccomandazioni, i favori, le promesse, con gli anni sono state sempre più numerose venendosi a creare una situazione di incapacità generalizzata. Quanti professori, preti, politici, poliziotti (intesi come forze dell’ordine e quindi carabinieri e finanzieri) ecc., non hanno le competenze per fare quel determinato mestiere e nonostante tutto sono li ad indirizzare le nostre vite.
Sono professioni troppo importanti per la società, grazie alle quali, se disinfestate, possiamo veramente risollevarci e risalire la china.
In tutto questo il popolo non è stato mai menzionato perché, la storia c’e’ l’ho insegna (tra Gesù Cristo e Barabba scelse quest’ultimo) è un bambino, quindi non ci si può aspettare molto. I Barabba si sono susseguiti nella storia e continueranno a farlo. Per questo in questo mio ragionamento, le istituzioni, hanno un ruolo fondamentale.
Dobbiamo ristabilire un nuovo modo di intendere il capitalismo (se il denaro non dovesse scomparire), “dobbiamo lavorare meno, non lavorare in nero e lavorare tutti”, un mondo in cui ognuno è libero di seguire le proprie passioni, la propria strada e non quella del parente di turno intrallazzato.
Ritornando al soggetto principale, il problema che si sta facendo sempre più evidente è quello del riorganizzarsi di formazioni neofasciste che però si presentano e vengono presentate come gli sbarbati della porta accanto con i quali si possono dormire sogni tranquilli.
Invece no, sono semplicemente una delle mode perverse del momento, mi piange il cuore dirlo, sono gli alternativi che però guardano al passato. I ragazzini, presi dal bombardamento mediatico che li ha ridotti a robot, non riescono a fare nessuna distinzione perché la loro coscienza si è sviluppata di pari passo con quella del Grande Fratello.
A Nardò, a quanto pare, si è costituito un nuovo partito, La Destra di Storace, come se non bastasse, un altro partito che guarda indietro.
Ricostruiamo qualcosa di diverso, la terra (se dovesse continuare a vivere) è nostra.
Incontriamoci, parliamone, discutiamone, confrontiamoci perché solo in questo modo si possono capire le ragioni di tanto sbandamento.
Non trinceriamoci dietro le bandiere messeci in mano dagli altri, proviamo invece a disegnarne una veramente alternativa.

ROMA 17 OTTOBRE NO AL RAZZISMO











ROMA - Un giorno eccezionale


di Enrico Pugliese

È veramente eccezionale di questi tempi ma a volte le cose riescono ad andare meglio del previsto. Parlo della manifestazione di ieri degli immigrati e per gli immigrati: un grande successo per la sua dimensione e la sua qualità ma anche per il clima di allegria e la compostezza (senza bisogno di servizio d’ordine) che l’ha caratterizzata. Una manifestazione piena di giovani non solo perché - si sa - l’immigrazione ringiovanisce la popolazione italiana, ma anche perché c’erano molti giovani italiani e stranieri.
E poi una manifestazione particolare - come dire - non burocratica e senza passerelle di vip. Andavo cercando la testa del corteo e non riuscivo a trovarla. Dopo l’imponente quanto inutile dispiegamento dei camion della polizia, si vedeva un modesto striscione con un po’ di gente dietro, neri e bianchi, e con la scritta «Comitato 17 ottobre». Quella era la testa del corteo: gli organizzatori stavano dietro la prima linea, appunto a organizzare e non a mettersi in mostra.
Tutto bene dunque? Allora perché tanto pessimismo iniziale? Di motivi di preoccupazione ce ne erano tanti. Il primo e più ovvio è stato un assordante silenzio stampa: con l’eccezione del Manifesto e di pochi altri giornali gli organi di informazione hanno mostrato il più totale disinteresse per l’iniziativa. Perciò, nessuno, fuori dalle ristrette cerchie di lettori del Manifesto o dell’Unità e dei compagni che lavorano con gli immigrati, nessuno ne sapeva niente. Se davo appuntamento a qualcuno alla manifestazione di sabato mi sentivo chiedere di quale manifestazione parlavo.
La Cgil che insieme all’Arci aveva sempre con forza voluto la manifestazione era stata lasciata sola dalla Uil e dalla Cisl di Bonanni.
Quest’ultima aveva preferito farsi la sua modesta adunata una settimana prima all’insegna di slogan del genere «la sicurezza come risorsa». Non bisogna mai dire «meglio soli che male accompagnati» ma io confesso in questo caso di averlo pensato.
Faccio subito ammenda e mi auguro che la Cgil, con la sua forza e il suo radicamento tra gli immigrati, apra con rinnovata energia a più intensi rapporti unitari con le altre confederazioni su questo terreno. Anche perché sulle parole d’ordine della manifestazione - in particolare l’opposizione al razzismo e l’estensione del permesso di soggiorno a tutti i lavoratori e non solo a colf e badanti - esse hanno mostrato di essere d’accordo. D’altronde è ragionevole supporre che qualche amico cislino, anzi più di uno, fosse presente tra i manifestanti. E anche il Padreterno ha dato una mano alla riuscita della manifestazione: per tutto il pomeriggio c’è stato un cielo plumbeo ma non ha mai piovuto. Nel corteo di organizzazioni cattoliche che fanno lavoro di base tra gli immigrati ce ne erano tante. Chi sa - forse il Padreterno non sta solo dalla parte della Cisl e delle grandi organizzazioni che pretendono di aver l’esclusiva della solidarietà.
Ma non si tratta solo di miracoli. A una analisi più approfondita si può capire che le premesse per la riuscita c’erano. Alla Conferenza nazionale sull’immigrazione della Cgil della settimana scorsa (dove fu lanciata l’adesione alla manifestazione) un nutrito gruppo di giovani immigrati, dirigenti e operatori sindacali provenienti da tutte le regioni italiane, hanno dato grande prova di competenza e radicamento affrontando le questioni che riguardano gli immigrati, come lavoratori. Era davvero impressionante sentire questi giovani immigrati parlare dei problemi della fabbrica (e degli immigrati in fabbrica) dell’edilizia (e degli immigrati nell’edilizia) e così via senza alcuna retorica o genericità. E le tantissime organizzazioni che operano nel campo dell’immigrazione sono maturate anch’esse in questi anni, acquistando sapere e legittimità. L’ormai lunga esperienza di lavoro ha portato chi ci lavora a conoscere i problemi reali degli immigrati e a recepirne le esigenze.
Se venti anni addietro, ai tempi di Villa Literno, c’era un orientamento più aperto e disponibile del governo e dell’opinione pubblica, ora c’è una maggior forza e capacità autonoma degli immigrati nel sindacato e nelle altre associazioni. Sono stati loro e quelli che lavorano con loro a rendere possibile il successo della manifestazione.

(La foto è di Simona Granati)
da IlManifesto

Al-Qaeda al verde


Per il Tesoro americano al-Qaeda è a corto di denaro. Ma la situazione può ribaltarsi molto rapidamente

Al-Qaeda starebbe attraversando la sua personale crisi finanziaria. E i suoi forzieri si starebbero svuotando con conseguenti rallentamenti nell'arruolamento e addestramento di soldati del Jihad desiderosi di fermare i giudeo-crociati arrivati dall'Occidente. Questo è quanto sostiene l'esperto del Tesoro statunitense, David Cohen, che si occupa di studiare e intercettare i flussi di denaro che finiscono nella rete di Osama bin Laden. Le sue deduzioni si fondano sull'osservazione e la raccolta dei messaggi lanciati in rete dei vertici di al-Qaeda che chiedono soldi per finanziare la causa.

I flussi di denaro. "L'influenza della rete di al-Qaeda - ha detto Cohen nel corso di una conferenza sponsorizzata dai banchieri d'America - è in declino. Gli sforzi degli Stati Uniti per fermare i flussi di denaro sono serviti a qualcosa". Ma, come ha avvertito lo stesso Cohen, si tratta di una situazione ribaltabile da un momento all'altro: Washington non può infatti convertire la schiera di donatori che sono "pronti, desiderosi e in grado di finanziare al-Qaeda". Si tratta, infatti, per l'organizzazione che ha il suo cuore nella penisola araba (ma infinite diramazioni e "cellule" in ogni parte del mondo) di trovare nuove strategie per la raccolta dei fondi. Nel corso degli anni i tentacoli dell'organizzazione sono stati recisi uno a uno. Secondo il rapporto presentato dal giornalista ed esperto di gruppi islamici Steven Emerson nel febbraio del 2002, al-Qaeda ha potuto avvalersi di vere e proprie corazzate finanziarie operanti in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. La Darkazanli import/export con base ad Amburgo, in Germania, e diverse affiliazioni in Usa, fu la prima società a vedersi congelati i fondi. Mamoun Darkazanli, amministratore della società era considerato, all'epoca, il braccio finanziario di bin Laden. Il provvedimento arrivò il 25 settembre del 2001, un giorno dopo l'editto di Geroge W. Bush secondo cui la prima operazione da compiere era quella di bloccare i fondi che alimentavano al-Qaeda. L'ordine di Bush, arrivato all'improvviso, mise le agenzie governative in una posizione scomoda: dovevano intercettare e interrompere l'enorme flusso di denaro e tutti i suoi rivoli senza aver predisposto un'intelligence ad hoc, fondamentale per lavorare in maniera più mirata e veloce. In questo modo, molte altre attività di raccolta fondi hanno avuto il tempo di riorganizzarsi e dare vita a fiumi carsici che alimentassero al-Qaeda. Nel tempo sono state bloccate decine e decine di attività, dalla Al-Taqwa Bank, fondata nelle Bahamas nel 1988 dai Fratelli Musulmani, alla finanziaria Barakaat che operava direttamente negli Usa.

Il peso della carità. Un ruolo fondamentale nella raccolta di denaro per al-Qaeda è stato svolto, ed è tuttora svolto, dalle Charity and Relief organizations che, approfittando anche del regime fiscale agevolato che il governo statunitense riserva alle associazioni di beneficenza e dello Zakat (l'elemosina rituale, secondo pilastro della religione islamica), hanno gonfiato all'inverosimile la rete di al-Qaeda. Rabita Trust, Wafa H.O., Qatar Charitable Society, Afghan Support Committee, Al Rushid Trust sono oggi inattive. Ma la più grande organizzazione, la International Islamic Relief Organizitazion (Iiro) è ancora in piedi. Considerata il braccio operativo della Lega Musulmana Mondiale, la Iiro, con sede a Jedda, è stata guidata fino al 2007 (anno in cui è stato ammazzato da un commando armato) da Mohammed Jamal Khalifa, cognato di Osama bin Laden. Le sue agenzie corrispondenti in Indonesia e Filippine sono considerate organizzazioni terroristiche per il comprovato sostegno fornito ad Abu Sayyaf, il gruppo separatista islamico che opera tra Jolo, Basilan e Mindanao.

Crisi o extra funding? Il dibattito sulle presunte difficoltà finanziarie di al-Qaeda tiene banco anche sul web, dove i sostenitori del Jihad bollano le dichiarazioni di Cohen come "facile propaganda di guerra". È più verosimile, si ritiene in diversi blog, che al-Qaeda stia ricercando fondi extra per "preparare una bella sorpresa agli infedeli". Si tratta, comunque, di un dato di fatto che i vertici dell'organizzazione stiano adottando nuove strategie. Intrecciando le ultime notizie che arrivano dai quotidiani arabi, sembra che la nuova raccolta fondi si stia trasferendo su un rapporto più diretto, quasi porta a porta. Il sistema è più o meno il seguente. Ayman Al-Zawairi, il braccio destro di Osama bin Laden, invia un messaggio videoregistrato sui telefonini degli "esattori" in cui parla direttamente al donatore: "Il portatore di questo messaggio è un nostro fratello di fiducia, ti prego perciò di consegnare a lui la tua donazione per le famiglie dei martiri in Afghanistan e Pakistan". È sulla base di queste richieste che Cohen ha tratto le sue conclusioni; così come sulla richiesta di Saeed al-Shihri, che da Marib nello Yemen, comanda la Base nella Penisola Araba: "Servono soldi. Bisogna sostenere il Jihad". O ancora l'ultimo messaggio trasmesso dalla Cbs di Mostafa Abdul Yazid, comandante in Afghanistan, che chiede aiuto a un "benefattore turco" per un urgente aiuto: "Abbiamo qui molti martiri pronti al sacrificio per amore di Allah, ma non abbiamo mezzi a sufficienza per armarli".

'Adotta un martire'. Il sito satirico inglese "NewsArse" ha lanciato la campagna: "Adotta un martire". Il pungente umorismo inglese, facendo leva sulla presunta difficoltà di al-Qaeda, presenta un dettagliato schema per adottare e aiutare l'ipotetico teenager Abdul a diventare un perfetto kamikaze con soli 10 dollari al mese. Ovviamente è uno scherzo, ma dati alla mano, oltre il 20 per cento della popolazione araba è ancora favorevole al finanziamento di al-Qaeda, solo in maniera più discreta.


di Nicola Sessa da PeaceReporter

HONDURAS - Uova per pallottole


La voce della resistenza anti golpe, dove uomini e donne sfidano le armi pacificamente per traformare il paese da pollaio degli Usa a democrazia. Alla faccia della violenza

"In Honduras c'è stato un colpo di stato il 28 giugno e da allora c'è un popolo che sta resistendo contro una situazione che noi non abbiamo voluto, ma nella quale ci hanno obbligato a vivere. La nostra è una resistenza pacifica. È un popolo che conta arrestati, feriti, morti, scomparsi. Le cifre ufficiali parlano di 18 morti, ma gli organismi internazionali in difesa dei diritti umani ne indicano 4 e sono coloro che hanno perso la vita durante le manifestazioni. Le altre sono morti extragiudiziali, che necessitano di indagini accurate. I feriti sono invece 300, da catene di metallo e pallottole. Abbiamo 3000 detenuti illegalmente e 39 persone in sciopero della fame per protesatare contro la detenzione scattata per aver difeso nell'Istituto agrario nazionale il proprio diritto alla titolazione delle terre. Dodici indigene lenca, alcuni minori, hanno ottenuto asilo politico nell'amabsciata guatemalteca. E c'è un popolo intero perseguitato in maniera costante. Le accuse principali sbandierate agli arrestati sono di non rispettare il coprifuoco o, per quelli del Frente, sedizione".

Usa parole semplici e ben scandite Betty Matamoros, 47 anni, responsabile del settore internazionale del Frente contra el golpe en Honduras. La incontriamo nella sede di Mani Tese, a Milano, e con pacatezza ci accompagna nelle complesse pieghe delle politica, della società e delle leggi honduregne, con l'intento di spiegarci dove andrà il suo popolo, che affronta le pallottole armato di uova e fantasie di un migliore Honduras possibile.

"Vorrei spiegare cos'è il coprifuoco. In Honduras abbiamo garanzie individuali di protezione scritte nella Costituzione e un decreto firmato dal presidente golpista, Roberto Micheletti, ce le ha tolte. Questo significa che possiamo essere presi per strada o in casa e violentati nei nostri diritti. Questa sospensione non è solo per chi resiste, ma per tutto il popolo. Un'offesa per tutti".

In Honduras, dunque, c'è una resistenza del tutto pacifica, nonostante i golpisti siano armati fino ai denti?

"In questo senso è necessario ripercorrere la storia del Centroamerica, dove sono tre i paesi che hanno subìto periodi di violenza armata che hanno lasciato sul terreno innumerevoli morti. Noi honduregni abbiamo imparato da queste esperienze dei paesi vicini che le armi non sono una soluzione, bensì organizzarci in maniera pacifica e agire in nome della non violenza. La resistenza di oggi è nata in trenta anni, sono trenta anni che stiamo forgiando questo movimento per affrontare i problemi della nostra regione. Per questo abbiamo invitato tutti a resistere pacificamente per chiedere cambiamenti reali e radicali. Abbiamo un paese pieno di diseguaglianze. L'ottanta percento vivono in povertà e di questo, il 35 vive con meno di un dollaro al giorno. Eppure il nostro paese è ricchissimo di risorse naturali, che però vengono godute da pochi. Così come la terra, la maggioranza è nelle mani di pochissimi e gli altri non hanno un pezzetto di terra da coltivare per sopravvivere. E' l'insegnamento della storia che ci ha portato a una forma di resistenza pacifica e popolare che vuol dire al mondo che noi siamo capaci di resistere. Se avessimo iniziato una guerra civile, non staremmo, ora dopo tre mesi, ancora resistendo con un immenso appoggio popolare. Avremmo già i militari Usa nel paese.

Che ruolo hanno avuto e hanno, direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti nel golpe?

Un vincolo molto forte. La oligarchia economica Usa ha le mani in pasta in quanto è accaduto. Storicamente siamo il pollaio degli Usa e se viviamo in questa misera condizione è perché loro ci tengono in questa situazione. E adesso anche l'Unione europea vuole adottare il medesimo comportamento con i paesi centroamericani, negoziando un accordo di libero scambio simile al Cafta, tanto dannoso per i nostri popoli. Anche se raccontano che i due accordi commerciali sono distinti, la base che usano resta il Cafta. Parlano di tre punti: il dialogo politico, ma in occasione del golpe non hanno partecipato al dialogo politico; la cooperazione internazionale; e l'aspetto commerciale, ma tutto in un ottica di libero scambio.

E l'Alba, l'Alternativa bolivariana per le Americhe promossa da Hugo Chavez, invece?
Dopo l'entrata in vigore del Cafta e la presa di coscienza dei primi effetti negativi sul paese, i movimenti hanno fatto pressione sul governo affinché ricercasse un'alternativa. E quale migliore alternativa se non l'Alba? Quindi l'Honduras ha aderito. Noi crediamo fermamente nelle riforme sociali che l'Alba promuove. Certamente ha una parte commerciale, ma non è il libero commercio. E per questo continuiamo a pensare che l'Alba sia l'unica opzione per l'America latina. Ma per l'oligarchia economica questo ha voluto dire tornare indietro rispetto ai vantaggi ottenuti con il Cafta. L'Alba non permette che la gestione dei fondi sia data in mano ai privati. Non prevede intermediari. La gente ne attinge direttamente. E tutto ciò che nasce come idea di riforma del ruolo del popolo le oligarchie lo definiscono socialismo e entrano nel panico. E per questo hanno promosso una campagna che avverte che il comunismo sta avanzando in Honduras, con tanto di slogan: i comunisti mangiano i bambini! E come bloccare una tale campagna di disinformazione, se il novanta percento dei mass media è in mano loro? Questo è uno dei più grandi problemi che abbiamo nel paese, dato che gli unici due mezzi d'informazione indipendenti che avevamo sono stati chiusi dopo il golpe.

È appurato che il Movimento non si può esaurire nella definizione pro Zelaya, inquanto viene da molto più lontano e non si esaurisce nel sostenere un presidente. L'obiettivo è infatti ottenere un'assemblea costituente e una nuova magna charta che rifondi il paese ex novo.

L'idea di un'assemblea costituente in Honduras non è un'idea nata da Zelaya, ma è una richiesta che i movimenti sociali e popolari portano avanti dal 2005. Tutto è nato quando il Cafta ha messo in secondo piano la Costituzione in vigore violando i diritti del popolo. Quindi, lottiamo per un'assemblea che possa ribaltare quanto è scritto nel trattato di libero commercio. E c'è una legge secondaria, a cui ci appelliamo, e che venne promulgata da Zelaya quando divenne presidente, che codifica la partecipazione cittadina. L'art. 5 di questa legge dà la possibilità al presidente di ricevere dal basso proposte di consultazione da rimettere poi al popolo honduregno. E così che le 40mila firme per sollecitare una consultazione sull'assemblea costituente hanno raggiunto Zelaya. Che poi le ha fatte sue e ha iniziato a promuovere la questione. Questo è stato il suo passo falso: da allora l'oligarchia ha manipolato la vicenda, dicendo che Zelaya stava puntando a cambiare la Costituzione per rimanere al potere. Ma è assurdo.

Una tesi sposata dai principali media italiani, anche, come Corriere e Repubblica.

In realtà il 28 giugno si sarebbe chiesto al popolo se era d'accordo o meno a installare una quarta urna nelle elezioni del 29 novembre. La quarta urna sarebbe servita per raccogliere l'opinione popolare sul convocare o meno un'assemblea costituente. Se fosse stato sì, il tutto sarebbe passato nelle mani del Parlamento, quindi non era vincolante. Cosi, giuridicamente, non c'era nessun modo per cui Zelaya poteva restare in carica e lo aveva detto anche pubblicamente che non si sarebbe ripresentato. C'è di più, durante una riunione dell'Oea a Tegucigalpa Zelaya aveva addirittura firmato un documento in cui affermava che mai si sarebbe ricandidato, per questo l'Onu aveva inviato degli osservatori alla consultazione del 28 di giugno, che mai ebbe luogo perché quel giorno il presidente della Repubblica venne sequestrato. In alcuni seggi, in luoghi lontani dalla capitale, si votò perché la notizia del golpe tardò ad arrivare, ma dato che i golpistas dissero che tutti coloro che avrebbero continuato a parlare della consultazione sulla quarta urna erano penalmente perseguibili, non si è mai saputo il risultato di quelle poche schede.
Al di là di tutto, voglio precisare che il Frente non è zelaystas, rinunciamo volentieri a questo titolo, ma siamo convinti che almeno Mel abbia voltato almeno un po' la testa verso il popolo. Per questo l'indignazione al golpe è stata così forte. Zelaya viene da un partito tradizionale, il partito liberale, ma ha teso almeno un dito della mano verso la gente povera.

E il popolo lo rispetta...

E lo rivuole al posto che gli spetta di diritto. La resistenza è grande, numerosa, oltre ogni aspettativa. E questo anche perché anche il più piccolo popolo del più piccolo paese del Centroamerica ormai ha internet e il cellulare, e sono strumenti che ci sono serviti molto per mobilitare, informare, bypassare la censura. In ogni più piccola comunità honduregna c'è una forma di resistenza al golpe, sempre pacifica. In alcuni dei più remoti villaggi l'unica maniera per resistere è tirando le uova contro i politici. Il problema è che in cambio ricevono le pallottole dalle loro guardie del corpo.
Ma non si arrendono, non ci arrendiamo fino al cambiamento. Ci sono forme di resistenza tutte nuove, fantasiose come la bullaranga, ossia la gente se ne va nei propri quartieri e sfida coprifuoco e militari facendo chiasso e fracasso, e le forze dell'ordine non hanno modo di azzittirli, perché resistiamo sotto l'egida dell'articolo 3 della Costituzione, che dice che non dobbiamo obbedienza agli usurpatori e che ci dà diritto a insorgere. E abbiamo preso alla lettera questo articolo. E siamo coscienti di aver danneggiato molto l'oligarchia economica.

Quindi il Fronte contro il colpo di stato è un entità complessa e variegata?

È un insieme di entità unitesi dopo il golpe. Comprende artisti, donne organizzate, intellettuali, il partito politico di Zelaya, i socialdemocratici, il partito di sinistra, indigeni, afrodiscendenti, e a livello nazionale abbiamo la Coordinazione nazionale di resistenza popolare, nata nel 2003 con l'obiettivo di dare un'agenda comune ai movimenti honduregni, e di cui fa parte anche la Centrale operaia. Una costruzione di lotta che viene da trent'anni di storia. Con il golpe, ci siamo visti obbligati a organizzarci. Il popolo ha superato ogni speranza di movimento popolare nella sua risposta alla resistenza. Ciò che abbiamo dovuto fare è stato riunire la forza spontanea riversatasi nelle strade non modo da coordinarla e non far sì che si disperdesse sotto i colpi dei golpisti. Il nostro primo obiettivo: ordine istituzionale e costituzionale. Secondo: l'assemblea costituente. Terzo: rafforzare le organizzazione in difesa dei diritti umani per punire chi ha violato i nostri diritti, per evitare che si dimentichi, che cadano impunite queste colpe, in modo che questa situazione non possa più ripetersi né in Honduras né in America Latina. Il nostro slogan è "Hanno paura di noi, perché non abbiamo paura". Ci siamo assunti questo ruolo che ci ha consegnato la storia, per questo non abbiamo paura. Era importante uscire dall'Honduras per rompere l'isolamento mediatico internazionale e raccontare. Per questo sono qui. Per far si che i movimenti sociali che sostengono la resistenza honduregna continui a denunciare quel che accade e far pressione sui rispettivi governi, per evitare tutti insieme che i golpisti non restino impuniti.

di Stella Spinelli da PeaceReporter

LUIGI TENCO - OGNUNO E' LIBERO






OGNUNO E' LIBERO

Cosa c’è di strano
Da guardare tanto
Forse perché noi non siamo
vestiti bene
Pettinati come voi

E se non vi piace
Così come siamo
Non vi resta che voltarvi
Dall’altra parte
E non far caso a noi

Ognuno è libero
Di fare quello che gli va
Ognuno è libero
Di fare quello che gli va

Tanto più che noi
Non cerchiamo nessuno
Non ci siamo mai sognati
Di convincere gli altri
A vivere come noi
Quel che fa la gente
Ci interessa poco
Anche se uno andasse in giro
Col cilindro in testa
A noi sta bene così

Ognuno è libero
Di fare quello che gli va
Ognuno è libero
Di fare quello che gli va

Invece tra voi
Ce n’è più di uno
Vestito bene
Che è pettinato bene
Però perbene non è
E questo qualcuno
Si è messo in testa
Che la gente con le buone
o con le cattive
deve fare quel che vuole lui

Ma Ognuno è libero
Di fare quello gli va
Ognuno è libero
Di fare quello che gli va