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venerdì 23 ottobre 2009

Ma potrebbe anche andare meglio con Ignazio Marino ed Emiliano


Se è vero che i problemi riguardano non un progetto astratto di partito ma il suo concretizzarsi attraverso l’agire politico di chi ne fa parte, una componente decisa ed impegnata potrebbe determinare significative trasformazioni. Le resistenze di chi detiene il potere possono essere vinte se una base attiva all’interno del partito riesce a controllare gli apparati.
Nonostante le delusioni, le aspettative positive ci sono ancora.
Noi di Costruire insieme ci proponiamo di costituire una forza di rinnovamento nel partito a livello locale. Il nostro fine è quello di contribuire alla realizzazione di un’autentica democrazia partecipativa che consideriamo anche il metodo migliore per affrontare le questioni che incombono sulla nostra città e sul nostro territorio. Per riuscire abbiamo bisogno del consenso e dell’appoggio di chi apprezza i nostri sforzi. Per questo invito chi vuole sostenerci a partecipare alle primarie del Pd e a votare per la lista collegata alla candidatura di Ignazio Marino (Rina Calignano occupa il primo posto di tale lista) e a quella denominata Semplicemente Pugliesi con Emiliano con le candidature per l’assemblea regionale di Rocco Luci, di Grazia D’Adamo e di me stessa.

Genoveffa Giuri

PD -Lettera a Frisullo- Quando si parte male...

-Il Partito Democratico è nato il 14 ottobre 2007, attraverso le elezioni primarie per la scelta del segretario nazionale e dell'Assemblea Costituente.-

di Genoveffa Giuri

La lettera risale a settembre 2007 e rispecchia i fermenti per la costruzione del Partito Democratico relativi al mese di luglio . Con l’approssimarsi del 14 ottobre, i toni del dibattito sono diventati più accesi. Le lotte di potere tra diverse cordate a livello locale e nazionale vanno delineando un futuro non roseo in cui i vecchi politici indossano abiti nemmeno poi tanto nuovi . Per questo è importante impegnarsi per contrastare logiche che rischiano di deludere le aspettative di partecipazione democratica che il nuovo partito ha comunque fatto nascere.




Al Vice Presidente della Regione Puglia Sandro Frisullo


Egregio Vice Presidente,

intendo con questa mia farle pervenire alcune considerazioni rispetto all’incontro su “Idee e prospettive” del partito democratico che si è tenuto il 16 luglio a Nardò presso l’Hotel Riviera.
In primo luogo è stato messo in scena un dibattito fittizio. Il dialogo era, infatti, tra lei, il suo consigliere economico, nonché fisico, Valerio Elia, l’avvocato Federico Massa della direzione regionale DS e il neoeletto consigliere DS al Comune di Nardò Salvatore De Vitis. Una bella varietà di opinioni, non c’è che dire!
Inoltre, ci si aspettava una discussione sui valori, sulle idee del nuovo partito. Invece abbiamo ascoltato discorsi senza fine e piuttosto salottieri sullo sviluppo economico del territorio pugliese, argomento sicuramente importante, che ha però occupato uno spazio sproporzionato e poco aderente al tema.
Ad un certo punto una donna, stanca di fiumi di parole, ha deciso di prendere in mano il microfono per esprimere la sua delusione, ma soprattutto per contribuire a creare un dibattito vero tra i presenti, compreso il pubblico. Sono seguiti altri interventi, alcuni critici, altri di plauso nei vostri confronti. Quindi sono arrivate le risposte con la rivendicazione del professionismo e l’accusa di dilettantismo rivolta a chi aveva azzardato qualche critica.
Devo rilevare che in Italia non esistono i professionisti della politica; il professionismo non appartiene alla nostra tradizione. La distinzione da farsi è tra chi a tempo pieno svolge funzioni politiche e chi opera nella società civile ed ha, comunque, diritto a far sentire la sua voce e a ricevere il massimo ascolto. Chi ha assunto cariche politiche, dunque, dovrebbe possedere la capacità di rilevare le istanze che provengono dai cittadini con i quali dovrebbe avere scambi costanti. Né, d’altro canto, un politico è destinato a rimanere tale per tutta la vita. Altrimenti la classe dei politici è una casta che tende ad autoperpetuarsi anche grazie alla gestione del potere che consente di stabilire con i cittadini stessi un rapporto di tipo gerarchico. E’ una realtà che pesa negativamente sulla vita politica italiana e che ha come conseguenze il disinteresse o la trasformazione dei cittadini in clienti (uso il termine “clienti” in senso benevolo) .
La sua analisi sulla crisi della politica non ha tenuto conto di tali questioni e ha riproposto, invece, il lamento sul berlusconismo, sul personalismo e sull’inevitabile adeguamento della sinistra. Occorre invece un’autocritica che non indulga a ricercare facili giustificazioni.
Trovo una certa dissonanza tra i fermenti che a livello nazionale stanno accompagnando la nascita del partito democratico e le posizioni da lei espresse. Rosy Bindi, che nel suo manifesto ha posto al centro la partecipazione politica di donne e giovani, ha affermato che il suo sarà un partito delle persone normali "e non degli apparati" tanto che il primo firmatario della sua lista è stato uno studente, seguito da una casalinga. Per la Bindi è necessario coinvolgere, mescolarsi, rompere con la vecchia politica. Né di tono diverso è stato il discorso del Lingotto di Veltroni e al suo appello alla società civile
per "fare un'Italia nuova, riunire gli italiani e restituire loro fiducia e speranza, allontanare dai giovani precarietà e incertezza, cambiare il Paese in modo radicale e realistico" hanno risposto personaggi del mondo della cultura, dell'imprenditoria, delle istituzioni locali. Appare chiaro, infatti, che il successo del nuovo partito sarà possibile solo se esso costituirà una realtà del tutto nuova e non una semplice unione di partiti esistenti; esso dovrà avere come linfa i cittadini che intendono riappropriarsi della politica.
Il contrasto è evidente: nell’incontro del 16 luglio a cui ella ha partecipato i cittadini animati da senso critico, che nei loro interventi non hanno mostrato altro se non la condivisione della necessità della partecipazione e anche l’entusiasmo e la voglia di contribuire, sono stati invitati ad abbandonare il campo e a lasciare il compito della politica ai politici di “professione”.
Concludo rilevando la sua scarsa disponibilità all’ascolto e anche la tendenza ad occupare insieme agli altri ospiti del talk show tutto lo spazio che avrebbe potuto essere impegnato in modo più proficuo nella discussione. In questo modo, evitando i lunghi discorsi a ruota libera, non ci sarebbero state certe digressioni o le battute, come quella con cui Valerio Elia ha espresso le sue perplessità sulle quote riservate alle donne, definite “pensiero debole”(forse in analogia con la forza lavoro debole?), nelle liste del partito democratico. Siamo d’accordo sul fatto che una donna non può essere votata solo perché donna. A dire il vero, e non si tratta di un luogo comune, la donna per trovare spazio, in politica come nel lavoro, deve essere decisamente più capace dell’uomo. Ma non si può affrontare una questione cosi seria e complessa in modo generico e, oserei dire, arrogante.
Infine un invito: gli interventi critici dei cittadini non sono necessariamente volti a distruggere e, pertanto, non dovrebbero essere accolti come minacce ma come occasione per discutere. La discussione, quella vera, non condizionata dalla preoccupazione di piacere o compiacere, è una palestra necessaria per i cittadini democratici.


Distinti saluti
Genoveffa Giuri


….si rischia di finire peggio!

Il congresso del Pd a Nardò
UN RESOCONTO CRITICO




di Genoveffa Giuri

Sebbene il circolo del Pd di Nardò annoveri 730 iscritti, i lavori congressuali, che si sono svolti il 28 settembre nella Sala Roma, hanno visto una scarsa partecipazione, cresciuta solo al momento del voto(i votanti sono stati 414), quando ormai le mozioni erano state presentate e il dibattito si era concluso. Secondo Carlo Salvemini, che ha presentato la mozione Marino, Nardò si è distinta in positivo dal momento che in altri circoli della provincia si sono registrate presenze anche più ridotte.
Un dato quello sulla partecipazione che avrebbe dovuto indurre a una riflessione. Le ragioni che lo giustificano non mancano, a partire dagli scandali che hanno coinvolto esponenti di spicco del partito nella regione, senza tacere lo sconcerto suscitato dalle scelte fatte, a livello locale, rispetto alla crisi che ha interessato l’Amministrazione comunale.
Il Congresso aveva il fine di dibattere sul modello di partito da costruire a partire dalla discussione delle tre mozioni dei candidati alla segreteria nazionale, e cioè di Bersani, Franceschini e Marino a cui rispettivamente sono state collegate per la regione quelle di Blasi, Minervini e Fusco. Per la segreteria regionale Michele Emiliano ha presentato la sua candidatura autonoma. Già prima dell’avvio dei lavori congressuali si potevano rilevare idee diverse di partito da mettere in cantiere. La stessa complessità dello statuto è stata letta come espressionedella confusione che a tale proposito è presente tra chi vuole ricreare un partito di tipo socialdemocratico e chi invece tende verso nuove sperimentazioni.L’idea forte che sin dall’inizio è stata lanciata è quella dell’apertura alla società civile, alla partecipazione de-gli iscritti e dei simpatizzanti. Oggi si discute se il Pd debba essere il partito degli iscritti o degli elettori. Finora possiamo dire che è stato il partito degli apparati.
La partecipazione tanto auspicata è diventata una parola vuota o un fatto emotivo ed occasionale. Per questo non è ammissibile che venga ripropo-sta senza prima aver avanzato una seria autocritica sui passi che fino a questo momento sono stati compiuti. L’autocritica è mancata o comunque è apparsa molto velata nella presentazione della mozione Bersani da parte dell’onorevole Teresa Bellanova. Riproporre parole d’ordine già sentite e già svuotate di significato ci è sembra-ta un’operazione di rimozione dei pro-blemi che, proprio perché rimossi, non possono che giacere insoluti. Come ottenere il coinvolgimento attivo e il radicamento nel territorio?Se non si indicano le strategie è inutile riparlar-ne anche perché tale coinvolgimento, predicato ed invocato, abbiamo avuto il sentore che sia stato osteggiato. Un discorso, dunque, che riduce il Con-gresso a un rito esteriore simile ad altri discorsi che abbiamo ascoltato a Lec-ce in occasione del Congresso provin-ciale. Non è certo con la retorica che possiamo cambiare la realtà dei fatti.Di tutt’altro tono il discorso di Flavio Fasano, che, presentando la mozione Franceschini, ha denunciato pratiche diffuse che stravolgono la partecipa-zione democratica e ha sottolineato l’urgenza di un ricambio della classe dirigente e la necessità di piegare le resistenze di chi non vuole cedere, di chi vuole perpetuare se stesso.
Anche Carlo Salvemini ha messo in luce i limiti che hanno impedito una vita democratica al partito e ha pre-sentato Ignazio Marino come la vera novità che può portare ad una svolta positiva in quanto è l’unico candidato che proviene dalla società civile e non ha, dunque, posizioni di potere da difendere.
Dobbiamo aggiungere che le stesse liste che si richiamano alla mozione Marino sono costituite da candidate e candidati che hanno le stesse caratte-ristiche.
La mozione Emiliano alla segreteria regionale, presentata da Daniele Parisi, esponente dei giovani democratici di Nardò, costituisce un’alternativa a logiche che, come ha spiegato lo stesso Emiliano in un successivo incontro al Chiostro di Sant’Antonio, fanno delle candidature locali o regionali pedine nei giochi tra i maggiorenti del partito a livello nazionale. Gli interventi che sono venuti dalle file di Costruire insieme hanno suscitato le reazioni dell’onorevole Bellanova. Lo spirito comune che ha animato tali interventi è stato quello della denuncia delle contraddizioni tra i proclami verbali e le pratiche politiche perseguite. In particolare Rina Calignano, dopo aver rilevato gli aspetti che accomunano le mozioni, si è interrogata su quali persone possono poi sostenerle coerentemente. La differenza principale è, allora, costituita dalla composizione delle liste di sostegno alle mozioni stesse. Da questo punto di vista solo la mozione Marino può rivendicare, come rilevato da Carlo Salvemini, un’effettiva novità rispetto ai vecchi apparati. La differenza è sostanziale e non si giustifica come semplice smania del nuovo. Non è chi è stato già responsabile dei guasti attuali che può rimediare e dare inizio a un nuovo corso, soprattutto quando con i fatti dimostra di voler mantenere lo status quo.
Non era nostra intenzione spostare sulle questioni locali i lavori del Congresso, come invece ha sostenuto l’onorevole Bellanova, ma, intervenendo sull’esperienza del circolo di Nardò e mettendola in relazione con le esperienze di carattere nazionale, abbiamo inteso fornire uno strumento di autoanalisi utile per correggere la rotta. Denunciando ancora una volta l’autoreferenzialità di chi decide(come nel caso della crisi amministrativa) senza tener conto non della totalità degli iscritti, ma addirittura del coordinamento cittadino, che ormai non viene più convocato, abbiamo voluto dimostrare che il partito non è una realtà metafisica e astratta, non si de-finisce a tavolino e sono, invece, le realtà concrete che lo caratterizzano.
Riteniamo che l’autoreferenzialità, la mancanza di un controllo democrati-co e la questione morale nascondano dei nessi inestricabili che non possono essere ignorati. Adesso ci aspettiamo che l’assemblea, che tante volte abbiamo richiesto, possa finalmente essere convocata grazie all’impegno esplicito assunto da Dario De Filippi della segreteria provinciale.Il nostro contributo al congresso, in vista delle primarie del 25 ottobre, proseguirà con la candidatura di Rina Calignano per l’Assemblea nazionale nella lista legata alla mozione Marino.
Per la regione appoggiamo, insieme ai Giovani democratici, Michele Emi-liano, a cui ci sentiamo di accordare fiducia tanto che alcuni di noi sono candidati nella lista che lo sostiene.
(Rocco Luci, Genoveffa Giuri e Grazia D’Adamo).

TRICASE - Adelchi. Trattative separate?


È polemica fra i sindacati federali che chiedono un incontro presso Confindustria e i sindacati autonomi

Di Annalisa Nesca

A seguito del comunicato lanciato da Cgil,Csil e Uil alcuni giorni fa, per difendersi dalle accuse dei sindacati autonomi i quali dichiaravano la totale indifferenza dei confederali nei confronti dei lavoratori e della vertenza Adelchi, Filtac e Cisal controbattono sostenendo le loro ragioni.
I confederali avevano sottolineato la loro mission, "ci battiamo da sempre per la difesa del posto di lavoro e per il rispetto dei diritti e della dignità dei lavoratori, impegnandoci per una ripresa economica del nostro territorio, insieme alle istituzioni. Così continueremo a fare: per affrontare concretamente la crisi in questo territorio, nell'interesse dei lavoratori e delle loro famiglie. Per questo – continua il comunicato – ci sentiamo di riconfermare il valore dell'accordo del 7 ottobre siglato a Bari per la vertenza con Adelchi spa: un accordo certamente difficile, ma con cui siamo riusciti a sbloccare una situazione diversamente immobile, che avrebbe isolato i lavoratori e la vertenza nel rapporto con le istituzioni, che fino ad ora hanno dimostrato impegno e interesse alla questione".
E sui sindacati autonomi tuonano "chi continua a incitare i lavoratori a forme di protesta estreme e cieche, senza nessun piano di proposta, altro non fa che cercare di guadagnarsi una vetrina mediatica sulla pelle dei lavoratori, giocando con la loro disperazione". E chiedono che l'incontro di lunedì con l'azienda si svolga su tavoli separati.

La replica dei segretari generali di Cisal e Filtac è giunta dopo poche ore rivendicando il loro ruolo nella vicenda. Salvatore Vincenti segretario generale di Cisal «L'ipocrisia di Cgil, Cisl e Uil non ha limiti in merito alla vertenza del gruppo Adelchi. Dopo un loro disimpegno e una non condivisione della lotta dei lavoratori – ha dichiarato Vincenti – hanno patrocinato l'occupazione della Sergio's per poi abbandonarli alla mercé di se stessi. Solo grazie alla presenza di Cisal e Filtac si è arrivati alla conclusione di non pregiudicare ulteriormente la posizione degli operai con la liberazione della fabbrica. La volontà di fare trattative in tavoli separati è un metodo sbagliato perché non pone a confronto le idee e le strategie dei soggetti impegnati nella vertenza, ma se questo avviene è perché si è in presenza di pressappochismo e mancanza di idee valide e propositive. Le lobby economiche con la complicità di soggetti facinorosi del nord barese intendono pregiudicare la posizione dei lavoratori e soprattutto delle imprese che intendono fare piani industriali nel nostro territorio. Questo è un aspetto per il quale la Cisal intende fare chiarezza nel prossimo futuro». Conclude condannando gli equilibrismi sindacali e politici che pregiudicano il lavoro e il futuro dei lavoratori del gruppo Adelchi.

Asostegno della tesi di Vincenti Tommaso Nuccio segretario generale di Filtac Conf Lavoratori, il quale ha dichiarato che si cerca di «gettare fango su quanto ottenuto grazie al movimento di lotta dei lavoratori. Noi condividiamo tutte le iniziative che abbiano come obiettivo la svolta occupazionale per il territorio e per i lavoratori del gruppo Adelchi e al contrario di altre organizzazioni sindacali sosteniamo questi ultimi senza soffrire di manie da protagonismo e senza arroccarci su accordi che così come sono non danno utilità ai lavoratori. Le nostre richieste, – continua Nuccio – e ribadisco che le abbiamo, erano e restano le stesse: definire criteri di rotazione per evitare eventuali parzialità, stabilire chi è quando dovrà riprendere l'attività lavorativa senza escludere nessuno e chiedere con forza all'azienda di presentare un piano serio che garantisca i livelli occupazionali attuali, perché già troppi posti di lavoro, ben 1700, sono andati persi».

da IlTaccoD'Italia

INIURIAM IPSE FACIAS NON VINDICES

di Gioacchino Basile

Il Colonnello Mori ha riferito un fatto vero... Ha esposto pittoricamente il movente - Mafia e Appalti - di quella infame strage, accellerata ed eseguita prima che Paolo Borsellino potesse rientrare in Procura e chiedere notizie sul verbale della mia convocazione in qualità di persona informata dei fatti, delle ore 10 di giovedì 16 luglio 1992.Casualmente, ma io non ci credo, la stessa sera di quel giovedi 16 luglio Paolo Borsellino per amicizia e stima fù invitato a cena con altri due suoi colleghi guarda caso "quel noto" Guido Lo Forte, e Gioacchino Natoli che qualcosa dovrebbe chiarire in questa vicenda - dall'antimafioso (sic.) Carlo Vizzini, che da quel mio interrogatorio e dalle indagini, che dovevano necessariamente scaturire aveva moltissimo da preoccuparsi. (sic.) Lui, a mio avviso sapeva che Paolo Borsellino sapeva e se li filava; posso supportare adeguatamente questa mia fondatissiima e semplice ipotesi !!!
La minima attenzione logica espone, che quella sera a Roma fù fatto l'ultimo tentativo per convincere Paolo Borsellino a mollare l'ndagine su Mafia e Appalti di cui, il mio esposto - provava al di là d'ogni ragionevole dubbio, che Fincantieri pagava "cosa nostra" - era la chiave che apriva l'infame connubbio consociativo, che dal 25 settembre 1979 al 23 maggio 1992 aveva posto a garanzia degli infami patti politici, il ruolo militare di "cosa nostra".
Il giorno dopo, 17 luglio fù preparata l'auto da imbottire con il tritolo per uccidere ad ogni costo Paolo Borsellino è fare posto all'archivizione del dossier Mafia e Appalti ed affondare immediatamente nella melma delle mafiosità omissive, quel mio esposto-dossier che apriva senza alcun sforzo gli scenari criminali esposti dai Carabinieri del Ros; è agghiacciante la notizia riferita in aula di Tribunale dal Colonnello Mori: << il 20 luglio mentre Paolo Borselliono era ancora nella bara, quella Procura chiedeva l'archiviazione del dossier Mafia e Appalti!!!>>
Arrivare alla verità è semplicissimo, basta soltanto cominciare da Vittorio Teresi e da quella Procura di Palermo di cui Paolo Borsellino non si fidava: questa è la verità!..
Ora basta, assassini poi "pentiti" (sic.) ed innalzati ad oracoli di verità; basta Ciancimino di turno che hanno interessi di natura economica e giudiziaria pesantissimi!!!
Adesso, se si volessero mafiosamente ancora negare queste mie grida di Verità e Giustizia; allora auspico che almeno si abbia il coraggio e la dignità di mettermi a tacere, onorandomi della galera dei patrioti.
In via D'Amelio non sono morti soli Paolo Borsellino e 5 valorosi poliziotti; il 19 luglio 1992 in via D'Amelio hanno anche rubato i miei sogni di libertà, la mia vita ed ucciso la speranza di migliaia di lavoratori e dei concittadini della mia borgata, che inseme a me vissero la storia infame del tradimento politico e istituzionale!!!....
Gioacchino Basile
PS; alla moltitudine dei giornalsti che ben conosce la mia storia, ricordo ancora una volta che la loro dignità professionale deve avere sfogo; non potete stare più zitti!!!

Attenzione alla parola ''Papello''

di Salvatore Borsellino e Marco Bertelli

Riteniamo che nel rilasciare queste dichiarazioni (qui di seguito) Rita Borsellino sia incorsa in un grosso equivoco interpretando delle parole di Paolo relative ad un documento che circolò sui giornali siciliani a partire dai primi giorni di luglio del 1992 con quello che oggi viene chiamato appunto il "papello" perchè così lo chiamò Giovanni Brusca nel 1998 quando per primo, dopo l'inizio della sua collaborazione con la Giustizia, ne rivelò l'esitenza.
Sempre che Paolo abbia effettivamente usato questa dizione, che in dialetto siciliano viene usata appunto per indicare un "elenco", potrebbe essersi riferito appunto a questo documento, indicato comunemente come "lettera dei corvi" o "lettera del corvo bis", della quale parliamo nel seguito e che tra le altre cose conteneva appunto anche un "elenco" di richieste. E' possibile che Paolo, che sicuramente non avrebbe mai riferito ad alcun familiare l'esistenza nè di un documento non ancora noto ad alcuno o quasi come il papello di Riina nè della trattativa ad esso relativa che tra pochi giorni sarà una delle cause della sua morte, e tanto meno lo avrebbe fatto in un momento di rilassamento nell'ambito familiare, abbia potuto fare qualche riferimento a questo altro documento dato che, essendo stato pubblicato sulla stampa, era già noto all'opinione pubblica.
Riteniamo che comunque, in ogni caso, notizie di questo genere che, se vere, potrebbero avere una enorme valenza processuale, dovrebbero essere portate da chiunque, prima di essere confidate ad un giornalista, davanti ai magistrati inquirenti. Si rischia altrimenti di confondersi, e di essere confusi dall'opinione pubblica, con tutta una serie di personaggi che, dopo 17 anni di silenzio, stanno negli ultimi tempi ritrovando la memoria perduta.


Nell'intervista rilasciata da Rita Borsellino alla giornalista Paola Pentimella Testa del quotidiano DNews (21 ottobre 2009) leggiamo le seguenti dichiarazioni:

Rita Borsellino: «Nei giorni che precedettero la sua morte Paolo mi disse che aveva sentito parlare del papello». Di trattativa? «No. Paolo mi parlò proprio di papello. Sono sicura».


Ricordiamo che a partire dai primi giorni di luglio 1992 circolò in alcuni ambienti investigativi e giornalistici siciliani uno scritto anonimo di otto cartelle che fu subito soprannominato "la lettera dei Corvi 2" e che fu inizialmente attribuito dagli esperti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) ad ambienti di Cosa Nostra.

Lo scritto anonimo fu indirizzato a trentanove destinatari, giornalisti e figure istituzionali, tra le quali il Procuratore Aggiunto di Palermo Paolo Borsellino.

Gli autori del testo mettevano in relazione il delitto dell'europarlamentare democristiano Salvo Lima (12 marzo 1992) con la strage di Capaci in cui furono assassinati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo ed i tre agenti di scorta Vito Schifani, Antonino Montinaro e Rocco Di Cillo (23 maggio 1992). Secondo gli estensori del documento anonimo, gli omicidi Lima e Falcone sarebbero stati conseguenza di un accordo sciagurato stabilito tra alcuni politici siciliani della corrente DC di sinistra ed i corleonesi di Totò Riina con lo scopo di ridimensionare la corrente andreottiana sull'isola. In particolare l'on. Calogero Mannino avrebbe contattato il capo di Cosa Nostra Salvatore Riina e chiesto il sostegno elettorale dei corleonesi per alcuni candidati democristiani, garantendo in cambio una lista o "papello" di provvedimenti favorevoli all'organizzazione mafiosa tra cui la possibilità, per i latitanti, di regolarizzare la propria posizione, la garanzia di riprendere il controllo dei beni, la possibilità di gestire i futuri grandi appalti in Sicilia.

Lo scritto anonimo si rivelò essere un incrocio fra notizie palesemente false e mezze verità ed ebbe lo scopo, secondo gli investigatori della DIA, di creare discredito e fratture negli organi dello Stato intensamente impegnati nell'opera di contrasto della mafia. Il 3 luglio 1992 la paternità dello scritto fu rivendicata dalla sedicente organizzazione "Falange armata" con una telefonata alla sede palermitana dell'agenzia giornalistica ANSA.

Paolo Borsellino fu uno dei destinatari dello scritto anonimo del quale prese visione.

È non solo possibile ma anche molto probabile che il Magistrato abbia fatto riferimento nel suo colloquio con la sorella Rita pochi giorni prima della strage di via D'Amelio al "papello" o lista di benefici che, secondo gli estensori dello scritto anonimo, sarebbero stati promessi ai corleonesi di Totò Riina dai loro interlocutori politici in cambio dell'appoggio elettorale da parte di Cosa Nostra.

Non si tratterebbe dunque del "papello" che, secondo le recenti dichiarazioni di Massimo Ciancimino, sarebbe stato trasmesso nella stessa estate del 1992 da Totò Riina a Vito Ciancimino e da questi al colonnello dei carabinieri Mario Mori nel quadro del "dialogo" o "trattativa" che fu avviata alla fine di maggio 1992 dal capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno con lo stesso Vito Ciancimino attraverso il figlio di quest'ultimo, Massimo.

È infatti noto da un lato che il contenuto dello scritto anonimo di otto cartelle ebbe ampia diffusione in ambienti istituzionali e politici di Palermo.
Dall'altro lato sappiamo dalla testimonianza diretta dei familiari di Paolo Borsellino ed in particolare della moglie Agnese che il Magistrato non accennava mai in casa ai contenuti delle sue indagini e del suo lavoro.

Riteniamo pertanto altamente probabile che se Borsellino fece un riferimento in un dialogo con la sorella Rita ad un "papello" di Cosa Nostra nei giorni immediatamente precedenti il 19 luglio 1992, egli parlasse del "papello" citato nello scritto anonimo ("lettera dei Corvi 2") al quale diversi articoli di stampa avevano pubblicamente fatto riferimento.


LEGGI L'INTERVISTA A RITA BORSELLINO: "Mio fratello sapeva che esisteva il papello"


APPROFONDIMENTI
Ai primi di luglio del 1992 un documento anonimo in otto cartelle fu inviato a trentanove destinatari, figure istituzionali e giornalisti. Il documento anonimo trattava principalmente dei delitti Lima e Falcone e la sua provenienza fu attribuita dagli inquirenti della Direzione Investigativa Antimafia (D.I.A.) ad ambienti appartenenti a Cosa Nostra.

Alcune informazioni su questo documento posso essere reperite nel libro "L'agenda rossa di Paolo Borsellino" (Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007) e attraverso altre fonti sulla rete:

1) FALCONE: INDAGINE SU LETTERA ANONIMA (ANSA, 1 luglio 1992)

(ANSA) - PALERMO, 1 LUG - La procura della repubblica di Palermo ha aperto una inchiesta su una lettera anonima di otto pagine, alcuni brani della quale sono stati pubblicati oggi dal quotidiano catanese ''La Sicilia'', in cui si propone un nesso tra tra i delitti Lima e Falcone. E' un documento - puntualizza il giornale - che ''non si puo' pubblicare integralmente perche' diffamatorio e ampiamente querelabile''. Secondo l' anonimo citato da ''La Sicilia'', Salvo Lima sarebbe stato ucciso nell'ambito di ''una strategia per affondare Andreotti'' e la morte di Falcone ''va inquadrata in questo disegno globale''. La procura di Palermo ha inviato per competenza a quella di Caltanissetta la parte dell' anonimo in cui vengono coinvolti magistrati del capoluogo sicilino, alcuni dei quali hanno gia' presentato querela contro ignoti. (ANSA).

2) "L'agenda rossa di Paolo Borsellino", pag. 151

Palermo - giovedì 2 luglio 1992 - Arriva il Corvo due

Otto cartelle, con rivelazioni sui delitti Lima e falcone, vengono indirizzate da un anonimo estensore, subito ribattezzato il "Corvo due", a trentanove destinatari, figure istituzionali e giornalisti. Sull'origine del testo, che parla anche di incontri segretissimi tra noti esponenti politici siliani e boss latitanti di Cosa Nostra, la Procura di Palermo apre un'inchiesta. Il misterioso documento, a giudizio degli inquirenti, ha un mittente certo: la mafia.
Questa la convinzione dei responsabili della Dia, così come degli esperti dell'Alto Commissariato, degli organi operativi dell'Arma dei Carabinieri e del Servizio centrale di Polizia che sui delitti Lima e Falcone stanno indagando.
L'intento di chi ha scritto il documento anonimo è "creare discredito e fratture negli organi dello stato intensamente impegnati, sia a livello locale sia centrale, nell'opera di contrasto della mafia" afferma il colonnello Carlo Gualdi, capo di gabinetto della DIA. "È un tentativo di intossicazione che proviene da ambienti mafiosi - affermano all'alto commissariato - o da gruppi che fanno l'interesse della mafia."
Del resto, ricordano alla DIA, Cosa Nostra non è nuova a questo genere di operazioni: "La calunnia è, assieme al tritolo, tra le sue armi usuali".
Lo otto cartelle sono analizzate minuziosamente dagli esperti antimafia della DIA, dell'Alto Commissariato, dei Ros e dello Sco. Sul loro contenuto, fonti dell'Alto Commissariato commentano che: "Ci sono notizie parzialmente vere, mescolate a menzogne palesi e altre più abilmente costruite". I carabinieri affermano che si tratta di "illazioni ed insinuazioni che possono solo favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti".

Palermo - venerdì 3 luglio 1992 - Falange armata rivendica l'anonimo

Con una telefonata alla sede di Palermo dell'Ansa, la falange armata rivendica la paternità dello scritto anonimo fatto circolare a Palermo nel quale si parla delle future attività della mafia anche in relazione a uomini e vicende della politica.
L'autore della telefonata dice: "Annunciamo senza più indugi e riserve che il promemoria in otto cartelle di impropria attribuzione fatto recapitare qualche settimana fa è opera integrale del comitato politico della Falange armata. Dirameremo oggi stesso al riguardo un comunicato appropriato".
Più tardi, in serata, la Falange armata fa pervenire con una telefonata anonima, sempre alla redazione dell'Ansa di Palermo, il comunicato preannunciato. Nel messaggio, inciso su nastro registrato, si ascolta: "Se questo deludente risultato hanno sortito quelle otto cartelle, impropriamente attribuite, elaborate dal comitato politico della Falange armata a conclusione di un ciclo aspro e difficile di lotta politica e militare, allora vuol dire che ulteriori segnali forti, chiari, devastanti necessariamnete si impongono."

3) Il sito www.rifondazione-cinecitta.org ed il libro "L'alleanza ed il compromesso" (Umberto Santino, 1997, Rubbettino editore)

Un paragrafo del libro, a pag. 142, è intitolato “Un anonimo palermitano sul delitto Lima e la strage di Capaci”. In esso si fa riferimento a un testo anonimo che circolava a Palermo dopo le stragi del ’92 , secondo il quale Mattarella e Mannino avrebbero deciso di ridimensionare la corrente siciliana di Andreotti, accordandosi con Cosa Nostra. In particolare Mannino avrebbe contattato Totò Riina e chiesto il sostegno elettorale dei corleonesi per alcuni candidati democristiani, offrendo in cambio la possibilità, per i latitanti, di regolarizzare la propria posizione, la garanzia di riprendere il controllo dei beni, la possibilità di gestire i futuri grandi appalti in Sicilia. Gli omicidi, prima di Salvo Lima, che non aveva fatto fede agli impegni promessi, e poi di Giovanni Falcone, che aveva individuato alcuni passaggi di queste oscure trame, sarebbero stati il corollario dello sciagurato accordo, che avrebbe visto coinvolti anche i servizi segreti : “secondo l’anonimo, scrive Santino, i servizi segreti sarebbero intervenuti a difesa del capitale mafioso, la strage di Capaci non avrebbe avuto altro movente che l’azione di Falcone contro il riciclaggio del denaro sporco. Le autorità giudiziarie potrebbero scoprire ogni cosa se solo avessero la volontà e la capacità di cercare”. La citazione di alcuni passaggi di questa lettera, che non è pubblicata nel testo integrale, porta Santino a concludere: “Come in ogni scritto anonimo menzogne e verità si mescolano, e come in ogni scritto anonimo proveniente più o meno direttamente da ambienti mafiosi o in qualche modo collegabili con essi, il testo contiene messaggi che i destinatari del documento, specificamente indicati in un lungo elenco, dovrebbero decodificare. Può essere un’indicazione di piste valide oppure un’accorta operazione di depistaggio o tutte e due insieme”. Il libro si occupa ancora di Mannino a pag. 159, nel paragrafo “Una stella caduta: l’ex ministro Mannino”, che, dopo la caduta di Lima diventa “l’uomo più potente della D.C. siciliana”, sino a quando, il 13 febbraio del 1995 viene incriminato per concorso in associazione mafiosa e arrestato. Il suo processo ha subito l’ultimo rinvio al prossimo aprile, qualche giorno fa, in attesa che entrino in vigore i benefici della legge “Pecorella” sull’inappellabilità: “Alla fine di questa storia, leggiamo sul “La Repubblica” del 3 marzo 2006, il processo per mafia a Calogero Mannino verrà chiuso presto e l’unico ad essere condannato sarà il sociologo Umberto Santino”.

Ma torniamo ai fatti: nel 1998, circa un anno dopo la pubblicazione del libro, Mannino cita in giudizio, per diffamazione, Santino, sostenendo che egli faceva sue, nel libro, le denunce dell’anonimo: il giudice unico del Tribunale di Palermo, il 15 maggio 2001 condanna Santino al pagamento di un risarcimento di 10 milioni più 5 milioni di riparazione pecuniaria per avere “diffamato” Calogero Mannino. Santino presenta appello e, quattro anni dopo, il 7 novembre 2005, con sentenza notificata il 1° febbraio 2006, la Sezione prima civile della Corte d’appello di Palermo rigetta il ricorso condannando Santino al pagamento di 7.500 euro. La sentenza non ha lasciato contento nessuno dei due contendenti, che si riservano di presentare appello: Mannino, che forse intende appellarsi, perché ha visto deprezzato il suo onore e ritenuta inammissibile la sua richiesta di risarcimento di 100.000 euro più 25.000 come riparazione pecuniaria, Santino perché ritiene che “questioni del genere in cui sono in gioco la libertà di ricerca e d’informazione e l’onorabilità delle persone, dovrebbero essere decise da appositi giurì d’onore e avere sanzioni diverse dal risarcimento monetario.

E’ davvero singolare che l’onore venga considerato come un genere da supermercato. C’è da chiedersi inoltre quale danno sia stato arrecato a personaggi che hanno continuato la loro carriera politica o si apprestano a riprenderla, nonostante il loro coinvolgimento in vicende giudiziarie concluse o in corso”. E’ chiaro il riferimento al “ritorno in campo” di Mannino, che è candidato, alle prossime elezioni nazionali nell’UDC, al numero due, dopo Cuffaro.

La sentenza riporta alcune motivazioni facilmente contestabili e non ci si può esimere dal sospetto che dietro di essa ci sia stata l’intenzione di punire “politicamente” Santino per la sua lunga attività di studioso “non di regime”: vi si legge infatti: “non vi è agli atti nessuna prova della notorietà del testo anonimo”; Santino è scambiato più volte per “giornalista”, gli si addebita di non avere rispettato “il principio di verità in assenza di una definitiva valutazione in sede penale delle circostanze riportate” e si parla solo di “diritto di cronaca”. In pratica la ricerca storica è scambiata per cronaca e il giudizio dello storico, secondo il quale la lettera anonima comprendeva “verità e menzogne” viene scambiato per una distorta opinione giornalistica. Va detto che il testo venne a suo tempo mandato a 35 personaggi pubblici, era già stato pubblicato integralmente su riviste come “Umanità nova (12 luglio 92), “Antimafia,” n°2 del 1992 e sul libro di Galasso “La mafia politica” (1993): di questi Mannino ha citato in giudizio solo Alfredo Galasso, al quale ha chiesto due miliardi, e Umberto Santino.

(Fonte: Il caso dell’ex ministro Calogero Mannino, rifondazione-cinecitta.org, 22 ottobre 2008)

Tratto da: 19luglio1992.com
da AntimafiaDuemila

Home Informazione Rassegna Stampa Mafia: Dell'Utri; a Pg nuovo verbale pentito Spatuzza


Palermo. Un verbale con le rivelazioni del neopentito Gaspare Spatuzza potrebbe riaprire il processo d'appello al senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, accusato di concorso in associazione mafiosa e condannato in I grado a nove anni.
I pm di Palermo hanno trasmesso, questo pomeriggio, alla Procura generale, prossima a concludere la requisitoria e a fare la richiesta di pena per l'imputato, le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia il 6 ottobre scorso. Nell'interrogatorio Spatuzza riferisce, tra l'altro, che il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, di cui era il braccio destro, gli disse che Dell'Utri era il referente politico di Cosa nostra. Il pg, Nino Gatto, valuterà domattina se mettere il verbale a disposizione della difesa e chiedere alla corte d'appello l'esame di Spatuzza. Se i giudici dovessero ritenere assolutamente rilevante la nuova prova e decidessero di accogliere l'istanza, verrebbe sospesa la discussione e riaperta l'istruttoria di un processo ormai giunto alle battute finali. Spatuzza è stato interrogato dai pm di Palermo che indagano sulla trattativa tra mafia e Stato e proprio in questo contesto ha fornito le indicazioni sul senatore del Pdl che potrebbero confluire nel processo d'appello. Il pentito è stato sentito anche dai magistrati di Caltanissetta che hanno riaperto le inchieste sulle stragi del '92. A loro ha dato una versione completamente nuova della fase esecutiva dell'eccidio di via D'Amelio. Il collaboratore ha, inoltre, reso dichiarazioni alla dda di Firenze che indaga sui mandanti occulti delle stragi del '93. Di Dell'Utri il pentito avrebbe parlato anche ai pm toscani che, però, hanno secretato i verbali mai trasmessi ai colleghi di Palermo.

ANSA

da AntimafiaDuemila

COSENZA - Sit in dei rom a Cosenza , l'assessore Bozzo contestata


A Cosenza i Rom prendono la parola e ottengono di palrare , dopo sit-in di tre ore, con l'assessore Bozzo. Ancora una volta il Comune non ha le competenze per creare un campo attrezzato.

La comunità rom che vive nei campi di vaglio lise (Cosenza) ha deciso di prendere la parola direttamente, stanchi di essere inascoltati dal Comune di Cosenza hanno deciso di recarsi , insieme ad alcune associazioni di volontari e alla seconda circoscrizione, sotto palazzo dei Bruzi per chiedere di poter parlare col Sindaco Salvatore Perugini e con l'Assessore Francesca Bozzo.

Ricordiamo che la comunità Rom ha vissuto a Cosenza numerose emergenze in questi anni ma attualmente la situazione è diventata piuttosto critica.
Lo scorso primo ottobre sono state notificati a circa settanta rom cittadini rumeni, dei decreti di espulsione da parte della Prefettura di Cosenza. I Rom, lo ricordiamo, sono cittadini europei al pari di tutti ma in questo caso, vengono allontanati dal territorio nazionale in base a una norma del vecchio governo Prodi secondo la quale il cittadino europeo che non ha fissa dimora non ha casa e lavoro costituirebbe una minaccia all'ordine pubblico e, pertanto, viene invitato ad allontanarsi dal territorio nazionale, pena la reclusione per tre anni.

Inaudito!!!! Questi cittadini non sono colpevoli di nessun reato e vengono allontanati e minacciati in questo modo!!! un'azione del genere non si era mai vista! Eppure tutto tace, i potenti del palazzo comunale non hanno saputo commentare l'accaduto.

Per quali motivi questi cittadini vengono allontanati? Perchè sono poveri? Perchè vivono in un campo che non ha nessun servizio igienico, non ha acqua non ha elettricità? Eppure la questione dei Rom è da tempo nota al comune di Cosenza. Piu' volte le associazioni dei volontari che operano nei campi , hanno segnalato all'amministrazione le vari problematiche dei cittadini rom. Le associazioni, nel passato, hanno avanzato all'Assessore Francesca Bozzo (che fra le sue numerose deleghe detiene anche quella al settore migranti) delle semplici richieste: acqua, elettricità, bagni chimici ma non è stato fornito nulla di tutto questo, ogni volta l'assessore ha risposto che non è competenza del comune. Cosa competerà al comune allora? Non si comprende cosa abbia fatto il comune fino ad ora per questi cittadini. Eppure in molte città italiane i campi nomadi, anche non autorizzati come nel caso di Cosenza , ricevono però il sostegno da parte dei comuni: viene effettuata la raccolta dei rifiuti, sono forniti acqua ed elettricità, insomma è garantito un minimo aiuto per far si che la vita degli abitanti del campo possa dirsi tale. A Cosenza pare proprio che queste buone pratiche siano del tutto sconosciute.

La rabbia è davvero tanta e non è solo quella delle associazioni ma è soprattutto la voce dei cittadini rom quella che oggi risuonava nella piazza del comune di Cosenza . In tanti hanno preso la parola, hanno raccontato quella che è la loro vita nel campo , quelle che sono state le promesse disattese da parte dell'amministrazione comunale e hanno chiesto, a gran voce ma con estrema dignità, di parlare con sindaco e assessore competente al settore. Sono passate le ore e finalmente è apparsa Francesca Bozzo che ha ricevuto i cittadini rom al di fuori del palazzo comunale.

Sono state poste specifiche domande da parte dei rom soprattutto: è stato chiesto che cosa ha fatto fino ad ora il comune per il campo rom, è stato chiesto all'assessore di commentare i decreti di espulsione, è stato chiesto cosa si può fare adesso per i cittadini rom, tante domande ma le risposte quali sono state? L'assessore ha fornito solo vaghe argomentazioni, nella sostanza il Comune potrebbe fare poco o nulla. Pare addirittura che l'Assessore non avesse saputo dell'operazione del primo ottobre, strano che un assessore non venga avvisato in anticipo di operazioni simili. In quella data è mancata infatti la presenza del comune, non erano presenti assistenti sociali e nessuna altra forma di conforto , tuttavia i pullman dell'amaco erano li a deportare i rom verso la questura. Di conseguenza o l'assessore mente sapendo di mentire oppure qualcuno ha deciso di non avvisare in tempo una figura ritenuta di mero contorno.

Tante parole inutili, tanti silenzi significativi, ma i cittadini rom non possono aspettare, fra pochi giorni i decreti di espulsione entreranno in vigore a quel punto che cosa accadrà? Cosa si può dire a questa gente, è giusto o no che vengano espulsi dall'Italia perchè poveri? Tutte queste domane sono però rimaste senza risposta, l'assessore aveva un altro impegno, è dovuta andare via. I rom sono rimasti delusi da questo incontro, che ne sarà di loro? Il comune di Cosenza è incompetente in materia eppure si legge sul sito del Comune che:

“L’integrazione socio-culturale di immigrati e rom, è un problema particolarmente sentito dall’Amministrazione Comunale di Cosenza.
Anche nella nostra città il fenomeno dell’immigrazione ha raggiunto livelli molto alti, è per questo motivo che si cerca di offrire ad italiani e stranieri gli strumenti necessari per favorire l’incontro fra culture e tradizioni diverse. E’ importante fornire ai cittadini immigrati la conoscenza dei loro diritti, dei loro doveri e dei servizi cui possono accedere nel territorio di residenza.
I servizi di cui possono usufruire gli stranieri (residenti) sono tutti quelli che l’Amministrazione Comunale mette a disposizione per le persone o i nuclei familiari in difficoltà economiche, logistiche e quant’altro.”





da Indymedia

Il Comune di Bari ha finalmente deciso di intitolare una via alla memoria di Benedetto Petrone.

Benny vive, la strada in suo ricordo c'è
Manca l'ufficialità, ma per l'anniversario della sua morte via Corridoni prenderà il suo nome

di Riceviamo e pubblichiamo

Dopo un iter relativamente breve - seguito alla raccolta di oltre mille firme promossa dal Comitato 28 Novembre -, il Comune di Bari ha finalmente deciso di intitolare una via del centro storico barese alla memoria di Benedetto Petrone.
Come si ricorderà, il Comune di Bari, con giusta delibera n.1242 del 27.11.2008 decise di sostituire la denominazione stradale Via Filippo Corridoni con la denominazione “Via Benedetto Petrone – Vittima della violenza fascista 1959-1977” e spostare la denominazione stradale “Via Filippo Corridoni” al tratto di strada che collega Largo Chiurlia a Strada Sagges, attualmente privo di una propria denominazione.

La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Bari, con una propria nota n. 1087 del 25.2.2009 ha espresso parere favorevole.

La Società Storia Patria, in relazione alla denominazione in questione, si è espressa favorevolmente con la nota n. 112/09 del 14.5.2009.

Il Prefetto della Provincia di Bari, con nota del 19.6.2009 – prot. n. 26/1.25.18, ha autorizzato.

In data Martedì 29 Settembre 2009, in base al Codice Civile viene formalmente costituito il “Comitato Civico 28 Novembre” di Bari.
I valori e gli scopi per perseguire i quali si è resa necessaria la costituzione del suddetto organismo associativo sono i seguenti:
a. Preservare la giusta memoria della tragica vicenda dell’uccisione di Benedetto Petrone, avvenuta a Bari in Piazza Libertà il 28 Novembre 1977, per mano neofascista;
b. Diffondere i valori storici e contemporanei dell’antifascismo, a favore in particolare delle nuove generazioni, attraverso qualificate iniziative pubbliche e sociali, avendo come obbiettivo centrale quello di vivificare tutti gli anni a venire la ricorrenza del 28 Novembre, nei modi più consoni e opportuni e creativi;

c. Costituire la Fondazione “Benedetto Petrone”/Per la promozione culturale del Borgo Antico di Bari e l’ampliamento della coscienza civile tra le giovani generazioni baresi, in seguito alla quale costituzione il Comitato Civico 28 Novembre verrà sciolto per aver conseguito il suo scopo fondamentale.

Viene eletta Presidente la signora Porzia Petrone, sorella di Benedetto, donna fiera e combattiva, portatrice di elevati e popolari valori etici e morali, custode vivente dei ricordi più cari di suo fratello e dei sentimenti profondi che animano i fondatori del Comitato Civico 28 Novembre. L’incarico di Segretario è affidato all’’arch. Arturo Cucciola.

In via ancora ufficiosa ma su pressante richiesta del Comitato Civico 28 Novembre, segnalo che l’amministrazione comunale intende procedere all’inaugurazione della nuova Via Benedetto Petrone proprio in occasione del prossimo anniversario.

Il Comitato civico ha fatto circolare la seguente nota, articolata in tre punti. Il Comitato Civico 28 Novembre chiede di:

1) essere uno dei soggetti di riferimento per le iniziative di commemorazione cerimoniale del tragico assassinio di Benedetto Petrone, allo scadere del suo trentaduesimo anniversario. E ciò per ragioni di ordine civile e umano: il nostro Presidente, Porzia Petrone, sorella del compianto e figura di donna di indubbia moralità e sensibilità, lo richiede espressamente;

2) essere partner operativo del Comune di Bari nell’organizzazione della giornata di inaugurazione della nuova Via Benedetto Petrone, ex Via Filippo Corridoni, sita nella Città Vecchia (delibera n. 1242 del 27/11/2008). Si riserva, in tal senso, di sottoporre in tempi brevi al Sindaco Michele Emiliano o ad un suo incaricato un articolato programma di iniziative culturali e di omaggi artistici;

3) ottenere dal Comune di Bari tutti i sostegni tecnici, organizzativi ed economici necessari alla migliore riuscita della suddetta manifestazione il cui programma in via di elaborazione verrà concordato in dettaglio con L’Ente comunale.
Benedetto Petrone era un mio caro amico e compagno di partito, un “figlio del popolo”, un proletario (erano nove figli, tra femmine e maschi) di Bari vecchia. Da bambino aveva subito l’ingiusta sorte di ammalarsi di poliomielite, in forma per fortuna non gravissima che gli permetteva di camminare danzando: era riuscito a compensare il suo deficit in maniera del tuo originale, per cui non ti rendevi conto della sua difficoltà a deambulare perché lui, appunto, “danzava”. E poi, era forte e bello (non è retorica ma un dato di realtà), sempre curioso e interessato a tutto e tutti, sorridente ed umile….

Quella notte di 32 anni fa, però, inseguito da un nugolo di giovani fascisti, non potette fare a meno di prendere atto della sua “differenza”: nella fuga del piccolo gruppo di compagni che batteva in ritirata di fronte all’orda, lui rimase indietro e due coltellate, di cui una mortale all’addome, lo lasciarono per terra esangue, in Piazza Libertà (ma quale “libertà”? quella di morire ammazzato a 18 anni?!). La sua morte ha segnato la carne e l’anima di molte persone; oso dire di tutta la mia generazione, almeno di quella barese. La mia sicuramente se solo pensi che mentre le scrivo mi colano sul viso copiose ed incontenibili lacrime di uomo, quale sono, dopo tanti anni…

Cordialmente

Nicola Dentamaro

http://www.barilive.it/News/news.aspx?idnews=15062

da Antifa

CONTRO FORZA NUOVA PM A BARI CHIEDE 14 CONDANNE; POLIZZIOTTO "FIANCHEGGIATORE"

Contro Forza Nuova Pm a Bari chiede 14 condanne
BARI – Quattordici richieste di condanna a pene comprese tra cinque anni e i due anni e sei mesi di reclusione sono state chieste dalla pubblica accusa al termine del processo di primo grado a tredici imputati, aderenti al movimento politico Forza Nuova, e per il viceispettore di polizia Francesco Tiani, accusato di favoreggiamento e violazione del segreto d’ufficio.
Nell’ambito delle indagini, il 14 aprile del 2004, 15 persone, tra gli iscritti al movimento, furono arrestate dai carabinieri del Ros con l’accusa di aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata a commettere lesioni personali, violenze private, porto ingiustificato di oggetti atti ad offendere, minacce e ingiurie ai danni di esponenti di organismi politici e sociali propugnanti ideologie di sinistra o, comunque, contrarie a quelle di estrema destra.

Ai 13 iscritti a Forza Nuova vengono contestati undici pestaggi compiuti con mazze, bastoni, bottiglie, catene e con un crick anche ai danni di frequentatori del centro sociale 'Coppola Rossà di Adelfia (Bari), che si sono costituiti parte civile, danneggiamenti vari, e minacce al docente di filologia greca e latina dell’università di Bari Luciano Canfora. Viene anche contestata l’irruzione compiuta il 4 febbraio 2004 nella clinica di ginecologia Santa Maria di Bari per una violenta manifestazione antiabortista, con offese alle degenti e volantinaggio con immagini raffiguranti feti morti. Alcuni degli imputati presenti in aula hanno sorriso mentre il pm, Lorenzo Nicastro, ricordava al tribunale «l'aggressione» compiuta ai danni delle degenti.

La pena più alta è stata chiesta per Gaetano Campidoglio, Sergio Pizzi, Nicola De Tullio e Massimo Lananna, ritenuti i promotori del sodalizio criminale; quattro anni per Paolo Alba, Vito Nicola Cantacessi, Francesco De Rosalia, Cosimo Dambra, Tommaso Signorile, Giovanni Ventrella, Nicola Vittorio, Giacomo Vitucci e Fabrizio Fiorito; due anni e sei mesi per il poliziotto Tiani, all’epoca dei fatti segretario provinciale del sindacato italiano appartenenti polizia (Siap). Secondo il pm, Tiani ha prestato attività di fiancheggiamento 'rilevantissima' all’associazione.

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=277412&IDCategoria=11


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Forza Nuova: 13 richieste di condanna per il pestaggio a 'Coppola Rossa'
L'accusa: associazione per delinquere finalizzata a commettere lesioni personali ad esponenti di sinistra

di Antonio Scotti

Quattordici richieste di condanna a pene comprese tra cinque anni e i due anni e sei mesi di reclusione. Per tredici aderenti a Forza Nuova, movimento politico di estrema destra, e per il vice ispettore di polizia Francesco Tiani, accusato di favoreggiamento e violazione del segreto d’ufficio, la pubblica accusa ha oggi formulato le richieste di pena, al termine del processo di primo grado sui pestaggi subiti dagli aderenti del centro sociale `Coppola Rossa´ di Adelfia nel 2004.

Il 14 aprile di cinque anni fa, quindici persone, tutti iscritti a Forza Nuova, furono arrestate dai carabinieri del Ros con l’accusa di aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata a commettere lesioni personali, violenze private, ai danni di esponenti di organismi politici e sociali "propugnanti ideologie di sinistra o, comunque, contrarie a quelle di estrema destra".
A tredici componenti di Forza Nuova ora vengono contestati undici pestaggi compiuti con mazze e bastoni ai danni dei frequentatori del centro sociale `Coppola Rossa´ di Adelfia, che si sono costituiti parte civile. A ciò si aggiungono le minacce al docente di filologia romanza dell’università di Bari Luciano Canfora e l’irruzione nella clinica di ginecologia Santa Maria di Bari per una manifestazione antiabortista che degenerò con offese alle degenti.
Per Gaetano Campidoglio, Sergio Pizzi, Nicola De Tullio e Massimo Lananna, è stata formulata la richiesta di pena più severa: cinque anni. Uno in meno, invece, per Paolo Alba, Vito Nicola Cantacessi, Francesco De Rosalia, Cosimo Dambra, Tommaso Signorile, Giovanni Ventrella, Nicola Vittorio, Giacomo Vitucci e Fabrizio Fiorito.
Due anni e sei mesi, infine, per il poliziotto Francesco Tiani. Quest’ultimo, come detto, avrebbe svolto per l’accusa un’attività di fiancheggiamento rilevante ai sostenitori di Forza Nuova.

http://www.barilive.it/news/news.aspx?idnews=15057


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Bari, poliziotto “fiancheggiatore” di Forza Nuova: chiesta condanna per Francesco Tiani

C’è anche l’ombra della Polizia di Stato sulle aggressioni effettuate a Bari da alcuni esponenti di Forza Nuova: infatti nelle richieste di condanna formulate in tribunale dall’accusa ce n’è anche una a carico del viceispettore Francesco Tiani: l’agente è accusato di favoreggiamento e violazione del segreto d’ufficio.

Le richieste di condanna sono in tutto quattordici, per pene comprese tra cinque anni e i due anni e sei mesi di reclusione: gli altri 13 imputati sono tutti vicini al movimento di estrema destra.

Il 14 aprile del 2004 furono arrestate 15 persone tra gli iscritti al movimento: i carabinieri del Ros li fermarono con l’accusa di aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata a commettere lesioni personali, violenze private, porto ingiustificato di oggetti atti ad offendere, minacce e ingiurie ai danni di esponenti di organismi politici e sociali propugnanti ideologie di sinistra o, comunque, contrarie a quelle di estrema destra.

Ai 13 iscritti a Forza Nuova vengono contestati undici pestaggi compiuti con mazze, bastoni, bottiglie, catene e con un cric anche ai danni di frequentatori del centro sociale “Coppola Rossa” di Adelfia, che si sono costituiti parte civile. Inoltre, sempre secondo l’accusa, gli imputati sarebbero responsabili di danneggiamenti vari, e anche di minacce al docente di filologia greca e latina dell’università di Bari Luciano Canfora.

Tra le azioni contestate agli imputati, c’è anche l’irruzione compiuta il 4 febbraio 2004 nella clinica di ginecologia Santa Maria di Bari per una violenta manifestazione antiabortista, con offese alle degenti e volantinaggio con immagini raffiguranti feti morti. Alcuni degli imputati presenti in aula hanno sorriso mentre il pm, Lorenzo Nicastro, ricordava al tribunale «l’aggressione» compiuta ai danni delle degenti.

La pena più alta è stata chiesta per Gaetano Campidoglio, Sergio Pizzi, Nicola De Tullio e Massimo Lananna, ritenuti i promotori del sodalizio criminale; quattro anni per Paolo Alba, Vito Nicola Cantacessi, Francesco De Rosalia, Cosimo Dambra, Tommaso Signorile, Giovanni Ventrella, Nicola Vittorio, Giacomo Vitucci e Fabrizio Fiorito; due anni e sei mesi per il poliziotto Tiani, all’epoca dei fatti segretario provinciale del sindacato italiano appartenenti polizia (Siap). Secondo il pm, Tiani ha prestato attività di fiancheggiamento “rilevantissima” all’associazione.

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/forza-nuova-processo-tribunale-bari-lorenzo-nicastro-francesco-tiani-gaetano-campidoglio-sergio-pizzi-nicola-de-tullio-massimo-lananna-paolo-alba-vito-nicola-cantacessi-francesco-de-rosalia-cosimo-dam-129015/

da Antifa

STATI UNITI - Più tolleranza sull’uso medico della marijuana


Il ministero della giustizia statunitense ha pubblicato un memorandum che approva l’uso della cannabis nei 14 stati che ne permettono la prescrizione a scopi curativi. Nel rispetto delle legislazione vigente è possibile consumare e distribuire marijuana con finalità mediche senza essere perseguiti dalla giustizia. “È un’inversione di tendenza molto gradita rispetto alla politica dell’amministrazione Bush, che aveva condotto una pesante campagna persecutoria contro quegli stati che hanno legalizzato l’uso di marijuana a scopi medici”, scrive in un editoriale il New York Times.

Il ministro della giustizia Eric Holder jr. ha chiarito che il governo userà il pugno duro contro il traffico illegale di droga e la commercializzazione illegale della marijuana, che rimane una delle maggiori entrate dei cartelli della droga messicani. “Non dovrebbe costare troppo dispendio di energie e di tempo per gli amministratori locali distinguere le rivendite di cannabis legali da quelle legate al narcotraffico”, conclude il giornale.

“Le nuove linee guida sottolineano che la polizia federale ha cose più importanti da fare che arrestare persone che usano o distribuiscono marijuana a scopi medici”, aggiunge il Los Angeles Times.

La California è stata la prima nel 1996 a legalizzare la Cannabis a scopo curativo, seguita da altri stati che hanno adottato la stessa condotta. La marijuana è usata per alleviare il dolore e il senso di nausea nei malati di tumore trattati con chemioterapia.

Mai come in questo momento, secondo il Washington Post, gli statunitensi sono favorevoli alla legalizzazione della marijuana. Un recente sondaggio di Gallupp ha mostrato che il 44 per cento degli americani sarebbe favorevole alla proposta, contro il 31 per cento nel 2000. “La vera novità è che la battaglia per la legalizzazione non è più una battaglia di sinistra. La leader della campagna antiproibizionista è una donna repubblicana del Colorado. Una mamma, Jessica Corry, che è intervenuta a un congresso antiproibizionista a San Francisco con tre fili di perle e una spilletta d’oro a forma di foglia di marijuana”.

da Internazionale

Genitori contro figli

Randa Ghazi è una scrittrice nata a Saronno da genitori egiziani. Vive a Milano.

Noi figli non siamo mai come i nostri genitori ci vorrebbero. Raramente le loro aspettative combaciano con le scelte che facciamo, per una specie di fisiologica differenza di fondo tra le esigenze degli uni e degli altri. Quando si tratta di famiglie immigrate, la questione assume tratti più complessi o, in certi casi, drammatici.

Quando discuto in famiglia, me lo ripeto spesso: “Ricordati che parli con due persone nate e cresciute ad Alessandria d’Egitto negli anni sessanta. Non puoi pretendere che la pensino come te, ragazza ‘milanese’ di seconda generazione”.

Detto questo, trovo raccapricciante l’omicidio di Sanaa, la ragazza d’origine marocchina uccisa dal padre perché conviveva con un italiano: è l’ennesima dimostrazione di come le donne siano ancora usate come strumento di ostentazione per uomini desiderosi di difendere il loro onore e la loro virilità. Fatti come questo sono raccapriccianti perché dimostrano un tragico divario culturale tra genitori e figli nei casi di integrazione mancata.

Ci sono, però, anche altre cose che mi fanno arrabbiare. L’11 ottobre un uomo di Osimo, in provincia di Ancona, ha accoltellato la figlia perché si era messa con un albanese. Due anni fa a Monza un direttore di banca in pensione ha sparato al figlio gay perché, a suo dire, era una “persona problematica”. Quindi, perché non analizziamo questi episodi di violenza familiare da un punto di vista sociologico? Perché diventano solo un’occasione per attaccare i musulmani?

Possono esserci diversi fattori sociali e culturali all’origine di queste violenze, in particolare quando avvengono tra consanguinei. Il linciaggio mediatico della comunità islamica (che continua ancora nei talk-show in cui si parla del tentato attacco suicida contro una caserma di Milano) toglie spessore alla nostra umanità e mette la violenza al centro del linguaggio dei nostri tempi. Randa Ghazy

da Internazionale

Da Kyoto a Copenhagen

di Anna Pacilli

I ministri dell’ambiente dell’Europa a 27 hanno approvato ieri un documento, da portare alla conferenza mondiale sul clima, a dicembre a Copenhagen, che punta alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica tra l’80 e il 95 per cento entro il 2050. Certamente un passo significativo in questa fase di stallo dei negoziati per un nuovo accordo sul clima, ma probabilmente non in grado di salvare un vertice che pare destinato al fallimento [le «quattro cattive ragioni» per cui in Danimarca non si approverà un prolungamento del protocollo di Kyoto le motiva Riccardo Petrella, sul numero di Carta in edicola domani]. In effetti, le stesse buone intenzioni dimostrate dai ministri dell’ambiente europei, compresa la ministra Stefania Prestigiacomo, sono state di fatto depotenziate «preventivamente» dai loro colleghi dell’economia. Anche loro riuniti a Bruxelles, ma il giorno prima, non sono riusciti ad accordarsi sulle risorse da destinare ai paesi in via di sviluppo per «aiutarli» a sottoscrivere un nuovo patto sul clima. Proprio nel mancato compromesso fra nord e sud del mondo sta una delle cause del disastro annunciato di Copenhagen, che ha negli Stati uniti un altro corno del problema. Anche qui, nonostante le buone intenzioni, il presidente Barak Obama ha margini di manovra ben ridotti, come dimostra la resistenza non solo dei repubblicani a far passare, al senato, la sua legge per la riduzione delle emissioni di gas serra [meno 83 per cento entro il 2050 rispetto ai livelli del 2005]. E per non farla approvare, meno che mai in tempo per Copenhagen, è partita da Austin, Texas, l’offensiva pesante della potente lobby petrolifera, che con quella legge perderebbe miliardi di dollari.

da Carta

L’Antimafia nell’informazione e nella comunicazione. Da oggi a Roma


di Santo Della Volpe

E’ un’appuntamento per il mondo dell’impegno civile e della legalità, quello che dal 23 al 25 ottobre richiama a Roma gli Stati Generali dell’Antimafia. Ed insieme alle associazioni impegnate nell’Antimafia, ai magistrati ed alle forze di polizia, alle amministrazioni locali e regionali,alle istituzioni governative e parlamentari, con i familiari delle vittime delle mafie ed i gruppi del volontariato, le cooperative nate sui terreni confiscati alle mafie, quest’anno ci sarà agli Stati Generali anche una forte rappresentanza del mondo della cultura,dello spettacolo e dell’informazione.
Perché nel mondo della comunicazione globale, anche la lotta alle mafie e l’educazione alla legalità, al rispetto delle regole nella convivenza civile, passa attraverso la televisione ed i giornali, l’informazione e la fiction televisiva. Perché può anche capitare che uno sceneggiato di grande impatto televisivo,come la fiction su Totò Riina, invece di suscitare sdegno e valori positivi, abbia invece l’effetto di suscitare emulazione ed esaltazione proprio a Corleone,in Sicilia, dove invece si poteva pensare che dovesse aiutare la lotta al radicamento mafioso.
Al contrario, l’informazione sulle stragi di Capaci e Via D’Amelio, le attuali vicende del “papello”, gli arresti dei boss , da Riina a Provenzano, da Brusca ad Aglieri, hanno rafforzato l’impegno contro la criminalità organizzata, hanno segnato dei punti a favore dell’impegno antimafia così come i servizi televisivi e gli articoli dei giornali sulle cooperative nate per coltivare i terreni confiscati ai corleonesi o ai camorristi. Ma come si rafforza l’impegno di migliaia di persone in Campania o in Calabria, con il teatro e la letteratura? Quanto è stato importante il successo di Gomorra , come libro e nel cinema, per aiutare i ragazzi di Casal di Principe o di Napoli nella ribellione contro le famiglie camorriste? Ma come si confronta questo successo con l’antimafia dei diritti, della lotta , giorno per giorno, per dire di no ai soprusi, alla violenza della criminalità organizzata diventata sistema economico e politico? Queste sono alcune delle domande cui si cercherà di dare risposte nei tre giorni degli Stati Generali dell’Antimafia , a Roma, grazie alla partecipazione di giornalisti, artisti, attori,sceneggiatori e registi, a confronto con le associazioni impegnate nei territori e con i magistrati che lottano contro la criminalità, tra le 6 aree tematiche,i 17 gruppi di lavoro ed i 100 relatori, a confronto con le 2500 persone già iscritte a seguire i lavori.
Articolo21 ovviamente ci sarà: non solo per antica collaborazione ed intreccio di intenti ed obiettivi. Articolo21 c’è perché la sua ragione d’essere e di crescita sta proprio nella lotta per la legalità e la libertà di parola, di espressione e di futuro. E perché Articolo21 è un luogo, fisico e telematico, per aiutare il confronto e la crescita,lo scambio di informazione ed il lancio di iniziative giornalistiche,teatrali, cinematografiche e culturali.
E l’invito di Articolo21 , rivolto a chi ci legge ogni giorno e saltuariamente, è di partecipare con idee e proposte ai dibattiti ed agli incontri degli Stati Generali dell’Antimafia. Per ascoltare e per partecipare. Queste pagine, poi, sono sempre aperte a proposte serie ed all’intelligenza creativa di chi vuole portare contributi, seri, per la libertà e la legalità.

da Articolo21

Il prezzo del gioco


Vuoi giocare con i tuoi amici, pagaci il disturbo.

Normali comportamenti del calcio dilettantistico denunciati da una squadra che porta avanti la sua battaglia per un mondo dello sport diverso, sui campi, sugli spalti nei rapporti con gli atleti.

di Polisportiva Sanprecario

La Polisportiva San Precario, nata nell’estate del 2007, da subito si è ispirata a principi che esulano dal mero risultato sportivo. Per questo, quando ne abbiamo avuto l’occasione, abbiamo cercato di far emergere le varie contraddizioni che attraversano il mondo dello sport, tra cui l’esasperazione del calcio, che purtroppo esiste già al nostro livello: la terza categoria (il più basso della FIGC). Fino ad ora l’avevano conosciuta sulla propria pelle alcuni atleti della nostra squadra, prima di approdare da noi, ma come società non ci era ancora capitato di imbatterci. Quest’estate invece, dopo che lo scorso anno un ragazzo è venuto a giocare da noi in prestito, ci siamo sentiti dire che se lo avessimo voluto tesserare di nuovo sarebbero serviti trecento euro e che, nel caso non li avessimo voluti pagare, saremmo stati ridicoli, data la cifra relativamente bassa.

Come società abbiamo creduto che fosse il caso di rispondere con un secco no;l'idea era di non farsi triturare dallo scimmiottamento del calcio business e che, trecento euro, erano sì una cifra ridicola, ma non per la cifra in quanto tale, quanto per la richiesta in sé. Non capiamo se alcuni si sentano Moggi o Corvino, ma quando ci siamo sentiti dire che il calcio dilettantistico è questo, abbiamo pensato che noi non vogliamo sottostare a queste regole, almeno in terza categoria. Ci siamo dati una quindicina di anni per vincere la champions league, quindi sappiamo che prima di arrivarci passeremo per delle categorie nelle quali girano dei soldi, però vorremmo mantenere la capacità e la lucidità di cogliere i casi particolari di ogni ragazzo.

Non è il denaro che ci spaventa, ma l’ottusità di alcuni protagonisti del calcio dilettantistico che non si rendono conto che un ragazzo di ventiquattro anni che si sta per laureare e che, da una seconda categoria passa a una terza come la nostra, ha come unico interesse calcistico il piacere di divertirsi e stare insieme; siamo sicuri che altri la pensino come noi e che sia giusto unire le voci. A noi, per chiarire, la permanenza nella categoria costa, di spese vive, circa dieci/quindicimila euro, totalmente autofinanziati con cene, vendita di sciarpe e felpe e sponsorizzazioni di amici e sottoscrizioni volontarie . Non vogliamo che pseudo-grandi presidenti che si riempiono la bocca di bei valori che lo sport deve dare, semplicemente per poter infinocchiare la comunità e i preti delle rispettive parrocchie così da sfruttarne gli impianti sportivi, abbiano la convinzione che questo sia il modo giusto di affrontare il calcio di terza categoria.

Noi non ci siamo stati e non ci staremo mai, e ci pare assurdo e ridicolo che al nostro livello si possa pensare in altra maniera. La vicenda si è chiusa bene per noi, perché il ragazzo gioca nella nostra squadra, ma lui ha dovuto accordarsi in privato perché altrimenti lo avrebbero tenuto fermo per un anno e mezzo, data la sua età (dopo i venticinque anni, un giocatore può cambiare squadra ogni anno liberamente).

Crediamo sia importante aprire un dibattito su tutto ciò, speranzosi che altri si indignino non solo a parole e con la solita retorica.

da GlobalProject

Prove tecniche di stabilità


Tremonti e le dichiarazioni sul lavoro flessibile

Proprio quando si arriva di fronte all'ineluttabilità di una riforma del welfare per milioni di precari, il Ministro fa marcia indietro. Ma quale stabilità ha in mente?

di Augusto Illuminati

When the music's over, yeah, spengere le luci. Così a crisi dilagante (almeno lui non crede alle rassicurazioni governative!), Tremonti annuncia che la stabilità del posto di lavoro e' «un obiettivo fondamentale», mentre la mobilità «di per sé non e' un valore per una struttura come la nostra ». Lo ha spiattellato agli attoniti intervenuto a un convegno sulla partecipazione dei lavoratori all'azionariato delle imprese organizzato dalla Bpm, a cui erano presenti anche i segretari dei tre maggiori sindacati, Epifani, Bonanni e Angeletti. «C'e' stata una mutazione quantitativa e anche qualitativa del posto di lavoro, da quello fisso a quello mobile ma il posto fisso è la base su cui fare progetti e fondare famiglie. La mobilità per altri e' un valore in sé, per me no. Per me l'obiettivo fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di stabilità sociale». Wow! «Certamente, se dovessi dire se è meglio il posto di lavoro fisso o il posto di lavoro mobile dico che è meglio il posto fisso».

Il tutto con riferimenti accorati all'enciclica Caritas in veritate e confronti con altri paesi extraeuropei «che non corrispondono al nostro portato fondamentale storico». Lapalissiano. Vallo a raccontare ai precari della scuola e dell’Alitalia. Il ministro ha infine osservato come sulla base del posto di lavoro fisso sia stato possibile costruire un ordinamento del welfare che garantisce sanità, scuola e pensioni, mentre dove prevale il modello del posto mobile, come ad esempio negli Stati Uniti, così non è.

«La crisi - ha concluso - ha dimostrato che è meglio avere l'Inps e la famiglia». Berlusconi precipitosamente si dichiara d’accordo. Si sa, lui non sarà un marito perfetto (ha dichiarato il sodale Fedele Confalonieri), ma è un padre esemplare. E poi è meglio non lasciare emergere concorrenti.
Le reazioni a destra sono state furiose o perplesse, Brunetta si è scatenato, la Confindustria ha detto seccamente di essere contraria, il Foglio ha tessuto l’elogio della flessibilità creativa e risparmiosa e Annalena Benini, la loro esperta di prostate e calzini turchesi, si è avventurata in un fantastico “precario è bello, anzi fichissimo”.

L’associazione Liberiamo il lavoro (sic) del bocconiano Piercamillo Falasca sproloquia sulla mobilità come innovazione culturale che sarebbe sbagliato abbandonare e richiede a gran voce «una diminuzione delle garanzie a chi ne ha troppe» e la preparazione a «un futuro lavorativo meno lineare, che non significa meno soddisfacente», insomma un «patto intergenerazionale, un nuovo ’68 (ri-sic), questa volta della libertà» perché si creino le opportunità di cui il mercato e i giovani hanno bisogno. A cominciare dall’aumento dell’età pensionabile, il solito rimedio infallibile per creare posti ai giovani…

Editorialisti più pensosi hanno rilevato che rimettere in questione la flessibilità, cioè di fatto la legge Biagi, equivale a rileggere criticamente tutti i passi avanti che, in vario modo, sono stati compiuti sul fronte lavoristico negli ultimi quindici anni. Non tutti, come l’ineffabile Tiraboschi, erede piuttosto invasivo del Biagi-pensiero, hanno esultato candidamente proclamando che non c’è contraddizione. Dario Di Vico sul Corriere ce la vede e come, chiosando peraltro saggiamente che quelle di Tremonti al momento sono solo chiacchiere da bar. Alesina la pensa più o meno allo stesso modo.

Da sinistra gaudio, corretto solo dal timore che siano parole al vento. Scattano i vecchi riflessi lavoristi della Cgil, mentre Cisl e Uil (dimentiche di essersi battuti per la flessibilità selvaggia cercando di garantire solo i propri iscritti) cooptano il Ministro nella loro campagna di tesseramento. Proprio questo incredulo consenso ci svela, al di là delle furbizie tattiche di Tremonti che cerca di cavalcare la crisi economica e i travagli della successione a Berlusconi, quanto di reazionario ci sia in un’affermazione di apparente buon senso, che viene incontro ai desideri legittimi di tanti.

L’enfasi sul “posto fisso” serve a depotenziare il problema degli ammortizzatori sociali: problema di spesa dietro ai quali si profila lo spettro sempre rimosso di un reddito di esistenza. Inoltre la stabilità occupazionale è associata a un’idea disciplinare e familistica di stabilità sociale, per unioni etero e legittime di rito cattolico e pelle bianca. Integrazione di un’economia autarchica con l’impresa e i valori tradizionali, non integrazione etnica e culturale in un mondo dinamico.

Quale idea conservativa e dispersiva dell’economia italiana vi sia sottintesa è inutile spiegarlo. Le banche l’hanno già capito e così pure altri pezzi dei poteri forti. Speriamo che anche lavoratori e precari l’afferrino al volo. Fra i pasdaran social-nazionali del merito eugenetico alla Sacconi-Brunetta e il paternalismo tremontiano c’è poco da scegliere.

Constatiamo infine che la tendenza Tremonti si inserisce in un contesto più internazionale di neo-sviluppismo biopolitico, che sogna (in una prospettiva mitologica di pieno impiego) la riproletarizzazione delle vittime del neoliberismo in un progetto di gestione neocoloniale della forza lavoro, fissazione della popolazione (etnica) al territorio condita occasionalmente di welfare familiare e sistematicamente di segmentazione razzista e retorica comunitaria (cfr. l’analisi Inquietudes en el impasse del collettivo Situaciones). Una variante reazionaria dei processi di unbundling che contraddistinguono i tentativi di uscire dalla crisi con una ristrutturazione più efficiente.

da GlobalProject

Trovati i leghisti bergamaschi autori del pestaggio razzista a Venezia!


Perquisizioni all'alba in provincia di Bergamo per quattro militanti "padani" individuati come i protagonisti dell'aggressione al cameriere albanese a San Marco del 13 settembre scorso

La calata dei barbari in Laguna

La Polizia di Stato ha effettuato, nella mattina di giovedì 22, nel Bergamasco quattro perquisizioni domiciliari nei confronti dei presunti responsabili del pestaggio in danno di due camerieri extracomunitari di un ristorante veneziano: si tratta di quattro militanti orobici della Lega Nord, la cui identità non è stata ancora resa nota.L'episodio è avvenuto in concomitanza del raduno nazionale della Lega Nord dello scorso 13 settembre. Quel giorno un gruppo di persone con abiti e vessilli riconducibili alla Lega Nord, aveva fatto irruzione in un ristorante del centro storico veneziano, messo a soqquadro il locale e aggredito due camerieri di nazionalità algerina ed albanese, provocando lesioni giudicate guaribili rispettivamente in 7 e 30 giorni.

Le perquisizioni in provincia di Bergamo sono state delegate dalla Procura della Repubblica di Venezia, che ha contestato fra l'altro l'aggravante delle finalità di discriminazione o di odio etnico e razziale prevista dalla legge Mancino.

Gli indagati, accusati di lesioni e danneggiamento con l'aggravante di motivi razziali, erano arrivati a Venezia con un altro gruppo di militanti della Lega Nord. Le perquisizioni hanno interessando i comuni bergamaschi di Telgate, Cividate al Piano e Grumello del Monte.

Fra i perquisiti, uomini tra i 20 e i 50 anni le cui generalità non sono state rese note, figurano una persona già indagata per fatti di violenza e un'altra già arrestata dalla Questura di Bergamo per episodi di violenza avvenuti dopo un incontro di calcio. Si tratta dell'uomo che in occasione dell'aggressione a Venezia indossava una maglietta della squadra di calcio della Padania. Ed è stata proprio questa maglietta a portare la Digos lagunare sulla pista giusta dell'indagine, coordinata dalla pm veneziana Emma Rizzato.

Gli agenti hanno infatti visionato migliaia tra video delle televisioni presenti all'adunata veenziana del Carroccio e le immagini dei fotografi: tra le moltitudini di scatti, uno aveva 'immortalato' un uomo con una maglietta identica, particolare che assieme all'accento bergamasco degli aggressori era stato segnalato nella denuncia alla polizia da parte delle vittime e di alcuni testimoni.

Accanto all'uomo, altri militanti presi però di profilo. Così le foto sono state inviate alla Digos di Bergamo che è riuscita a risalire all'identità dei presunti aggressori. Oltre a questi quattro sarebbero coinvolte altre persone, con un ruolo però marginale e nei cui confronti sono ancora in corso accertamenti. Gli indagati saranno interrogati la prossima settimana dalla Procura lagunare con la collaborazione della Digos di Venezia.

da Global Project


PER CHI NON RICORDASSE RIECCO IL VIDEO

Afghanistan, la piaga dell'oppio


Esce il rapporto delle Nazioni Unite sul narcotraffico: la droga fa più morti della guerra ai talebani

A causa dell'oppio, in Afghanistan muore ogni anno un numero di persone cinque volte superiore a quello delle vittime di otto anni di guerra ai Talebani.

E' uno dei dati statistici contenuti nell'allarmante rapporto dell'Unodc (United Nation's Office on Drugs and Crime) pubblicato ieri. Rivelazioni che non sorprendono chi conosce il Paese, i traffici illeciti che vi si svolgono e le guerre che con l'oppio vengono finanziate. Un allarme lanciato in modo ciclico e puntualmente ignorato, quello dell'italiano Antonio Maria Costa, da sette anni alla guida dell'agenzia Onu per la lotta al narcotraffico: "La corruzione, l'illegalità e le frontiere prive di qualsiasi controllo determinano una situazione devastante, non solo per l'Afghanistan, ma per il mondo intero". Quindici milioni di tossicodipendenti, centomila morti all'anno, 65 miliardi di euro di profitto. I numeri parlano di un fenomeno globale quasi impossibile da contrastare, in un Paese che produce il 92 percento dell'oppio mondiale. Un grammo di eroina costa 3 dollari a Kabul, mentre nelle strade di Londra, Milano o Mosca il suo valore sale a trenta volte tanto. In Russia, il Paese più colpito dalla piaga del narcotraffico, muoiono 30 mila persone all'anno, più dei soldati dell'Unione Sovietica morti durante la campagna afgana del decennio '79-'89. "Per questo - spiega ancora Costa - sarebbe immensamente più efficace combattere il traffico di oppio alla fonte".

La produzione di oppio afgano è esplosa negli ultimi dieci anni, e nel 2009 ha raggiunto le 7 mila tonnellate. Nonostante l'eccesso di coltivazioni abbia fatto diminuire la produzione negli ultimi due anni, le scorte accumulate, più di 12 mila tonnellate, sono sufficienti per soddisfare la domanda dei prossimi due anni.

Ciò che preoccupa maggiormente Costa è l'impossibilità di contrastare tale traffico. "Solo il 2 percento di oppio viene confiscato ogni anno, contro il 36 percento della Colombia, ad esempio". L'appello è alla comunità internazionale, affinchè investa più risorse per arrestare un flusso di droga inarrestabile che passa per le rotte balcaniche ed euroasiatiche per raggiungere il mercato europeo, russo, indiano e cinese. "I Paesi amici dell'Afghanistan devono riconoscere certe verita' che, pur se insospette e sconvenienti, sono catastrofiche per tutti coloro che coltivano l'oppio, lo trafficano e soprattutto lo consumano. Tali scomode verità sono spesso il risultato di disattenzioni fatali".

La Russia ha accusato la Nato e le foze della coalizione in Afghanistan di non fare quasi nulla per combattere quella che l'agenzia antidroga di Mosca ha definito una 'minaccia alla sicurezza nazionale'. Un tema che è stato anche portato all'attenzione del presidente Barack Obama e del Segretario di Stato Hillary Clinton durante la loro recente visita a Mosca, senza che tuttavia l'incontro servisse a stemperare le tensioni tra i due Paesi in merito alla lotta contro il narcotraffico condotta dalle forze militari presenti in Afghanistan. Il capo dell'agenzia antidroga russa, Viktor Ivanonv, ha detto che esistono 180 cartelli della droga che controllano i traffici di eroina verso il suo Paese. "La maggior parte di questi - ha dichiarato - operano in aree sotto la responsabilità di Stati Uniti e Nato".

da PeaceReporter

La rivolta del popolo calabrese


di Tonino Perna

Per secoli i calabresi hanno visto il mare come un pericolo, il vettore su cui passava l’invasore, una distesa acqua e sale di cui non coglievano il senso (anche la letteratura calabrese fino al Novecento ignora il mare). Poi, improvvisamente, la svolta. Dalla metà del secolo scorso, i calabresi hanno abbandonato in massa colline e montagne e hanno occupato gli 800 e passa chilometri di coste. L’hanno fatto spesso in modo selvaggio, come testimoniato dalla estetica delle costruzioni, in modo illegale – la gran parte delle costruzioni hanno usufruito dei vari condoni edilizi - e senza quella cura e quel senso di appartenenza, quel genius loci che lega gli abitanti alla storia di un territorio. Ma, le nuove generazioni sono in gran parte nate sul mare ed hanno imparato ad amarlo, a viverlo come parte costitutiva della loro identità. Il film di Mimmo Calopresti «Preferisco il rumore del mare» può essere assunto come il punto di svolta, un messaggio emblematico che segna il salto culturale compiuto dalle nuove generazioni. In questi ultimi venti anni sono sorti decine e decine di circoli e centri di vela, canottaggio, wind surf, immersioni e foto subacque, pesca sportiva. Sono decine di migliaia i giovani calabresi emigrati, per ragioni di studio e lavoro, che tornano ogni anno per questo mare e queste spiagge che adorano, che non cambierebbero con nessun altro posto.
Molti di loro saranno ad Amantea sabato prossimo, parteciperanno con rabbia e convinzione a quella che sarà sicuramente una grande manifestazione che ha una valenza storica: si tratta della prima rivolta di massa contro la ‘ndrangheta.
Mai sono state scritte, dal cittadino calabrese medio, parole di disprezzo così dure e cariche di rabbia contro i signori della ‘ndrangheta e della politica che hanno prodotto il più grande disastro ambientale nella storia calabrese. In pochi giorni, sono più di trentamila le firme raccolte dal Quotidiano della Calabria per protestare contro l’inerzia del governo e chiedere la bonifica integrale dei fondali marini a Cetraro, Vibo e Capo Bruzzano, e la ricerca delle altre navi affondate. Sindaci della costa dell’Alto Tirreno calabrese, di qualunque colore politico, sono andati a Roma a protestare e saranno centinaia i sindaci che da tutta la Calabria verranno ad Amantea. Niente aveva prodotto tanto sdegno, rabbia, ribellione. Non i settecento morti ammazzati nella guerra di ‘ndrangheta dal 1985 al ’92, non i centinaia di sequestri di persona che colpirono anche molti professionisti locali , non le decine di scandali che coinvolgono una parte significativa della classe politica calabrese. Nemmeno l’efferato omicidio Fortugno, malgrado il clamore nazionale e la nascita di un movimento di giovani «ora ammazzateci tutti» che ebbe un forte lancio mediatico, riuscì a coinvolgere tutta la Calabria e, soprattutto, tanti giovani.
Chi ha trasportato e fatto affondare decine di navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi, ha prodotto un disastro ecologico che rischia di fare concorrenza a Chernobil per le conseguenze sulle catene alimentari. La ‘ndrangheta ci ha messo la faccia e ne è uscita a pezzi, ma gli ‘ndranghetisti hanno fatto solo i manovali di questa impresa criminale. I mandanti si trovano nelle sedi delle multinazionali, tra i manager delle centrali termonucleari, i dirigenti dell’Enea di Rotondella, pezzi importanti dello Stato, a partire dai servizi segreti. Un intreccio di interessi che vanno al di là dell’immaginabile e che fa emergere sulla scena della storia una nuova classe dirigente: la borghesia mafiosa. Di fatto è una classe sociale già arrivata al potere in molti paesi – Colombia, Messico, Russia... – e non c’è da stupirsi se in questo bel quadretto sia già finito il nostro paese.
D’altra parte, studiosi di lungo corso come Umberto Santino o il procuratore generale della Repubblica Piero Grasso da anni parlano di «borghesia mafiosa» e non più di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Per la prima volta si va a uno scontro aperto con questa «nuova borghesia» che farà di tutto per insabbiare le indagini, impedire che i fusti vengano ripescati, che altre navi affondate vengano individuate. E’ una lotta impari. Ma questa volta, statene certi, il popolo calabrese non si farà ricacciare sulle montagne. Qui non si tratta di saraceni selvaggi e violenti, di OttoMani che razziavano e fuggivano, qui si tratta di una SolaMano, una Mano Nera che ha messo in discussione il diritto alla vita nel mare e fuori.
Per questo sarà una battaglia epocale. Non una questione calabrese, ma una questione nazionale e internazionale perché il mare non conosce frontiere.

da IlManifesto