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lunedì 26 ottobre 2009

PUGLIA - Pd, Blasi è il nuovo segretario regionale


"Ora chiamerò Minervini ed Emiliano per costruire un progetto di innovazione del partito"

di Antonio Scotti

La soglia del 50 percento più uno non è stata superata. Ma il numero dei delegati all’assemblea regionale è di 64. “Quasi certamente 65, su 126”, dicono: quanto basta per decretare Sergio Blasi nuovo segretario regionale del Pd. Nella sede del partito, in via Re David, a festeggiare ci sono l’ex assessore regionale alle Politiche della Salute Alberto Tedesco e l’ex vicesegretario regionale del Pd Michele Mazzarano. Il volto del sindaco di Melpignano è disteso.
Fra una decina di giorni il congresso regionale lo investirà ufficialmente della carica di segretario. Anche se la corsa delle primarie è stata tutt’altro che facile.
“Si è vero, ma questo risultato mi rende molto soddisfatto, perché di straordinario valore per uno come me che prima non era conosciuto alla stragrande maggioranza del popolo del Pd”.
Secondo i dati consegnati dal partito, il nuovo segretario regionale ha collezionato 82599 voti (49,12%) contro i 51636 (30,7%) di Michele Emiliano e i 33914 (20,2%) di Guglielmo Minervini. La prima cosa che il neosegretario Blasi ha deciso di fare sarà incontrare gli ex sfidanti: “Li incontrerò prestissimo, perché da subito dobbiamo mettere in campo, sia con Michele che con Guglielmo, un progetto di innovazione del Partito democratico che guardi ad un obiettivo importante come le prossime elezioni regionali”.

Vendola candidato non discute. “Dobbiamo partire da chi è l’emblema del cambiamento in questa terra e quindi dallo straordinario lavoro di innovazione che la Regione Puglia ha attivato in questi cinque anni di governo”.
Non esclusa la possibilità che si possa addivenire ad un accordo con l’Udc: “Dobbiamo mettere in piedi un’alleanza forte che sappia contrastare l’azione del governo di centrodestra e che abbia a cuore il futuro della Puglia e del mezzogiorno d’Italia”. “E’ un compito difficile - ribadisce - ma alla politica spettano questi impegni e ora non dobbiamo avere paura di affrontare insieme queste sfide”.

“Dobbiamo tagliare tutti quei legami che hanno gettato qualche ombra su un governo che ha lavorato bene in tutti i settori - ha proseguito Blasi, riferendosi alla inchiesta sulla sanità regionale - Ci armeremo di machete e recideremo con violenza ogni collegamento perverso. Occorre mettersi a lavorare e lo faremo subito”.

da BariLive

Il 16 novembre riparte il processo a Berlusconi


Dopo l'annullamento del Lodo Alfano da parte della Corte costituzionale ripartono i processi a carico di Berlusconi

Riparte il prossimo 16 novembre il processo a Silvio Berlusconi imputato di appropriazione indebita nell’ambito della vicenda relativa ai presunti fondi neri dei diritti tv di Mediaset.

Il processo a Berlusconi e agli altri imputati era stato sospeso il 28 settembre del 2008 a causa del lodo Alfano, invalidato dalla Corte costituzionale.

da Indymedia


Ricomincia il processo Mediaset“Il processo contro Silvio Berlusconi per frode fiscale e falso in bilancio in relazione ai diritti tv di Mediaset ricomincerà il 16 novembre. Il magnate dei media italiano sarà quindi coinvolto in una battaglia legale mentre è impegnato nel tirare fuori l’Italia dalla recessione economica”, scrive The Wall Street Journal. È il primo processo contro Berlusconi a ricominciare dopo la sentenza della corte costituzionale che ha bocciato il lodo Alfano.

Il quotidiano svizzero Le Temps commenta l’elezione di Pierluigi Bersani come leader della sinistra italiana. “Finora è sempre stato un ottimo luogotenente. A 58 anni, Pierluigi Bersani è stato finalmente chiamato a rivestire il ruolo principale e a mettere i panni poco confortevoli dell’avversario di Silvio Berlusconi. Originario dell’Emilia-Romagna, una regione “rossa” e benestante, appartiene all’ultima generazione di quadri dell’ex Partito comunista italiano”, scrive Le Temps.

da Internazionale

In Italia i 200 naufraghi abbandonati da Malta. Salvati da una petroliera


MALTA - Sono giunti a Pozzallo (Rg) i 207 eritrei e somali a bordo del peschereccio bloccato da quattro giorni nel mare in burrasca, a cui Malta aveva rifiutato il soccorso. Tra loro c'è anche un morto. Il vecchio peschereccio su cui viaggiavano è stato raggiunto a una decina di miglia da Portopalo di Capo Passero da una motovedetta veloce della Guardia costiera e da un rimorchiatore d'altura di una vicina piattaforma off-shore. Si chiude così l'odissea dei 207 passeggeri, tra cui molte donne e bambini, che da venerdì erano in balia del brutto tempo, che tra sabato e domenica ha raggiunto mare forza 7 e vento 31 nodi. Ma il finale avrebbe potuto essere drasticamente diverso.Duecento persone su una barca instabile con il mare in burrasca sono state abbandonate alla sorte per quattro giorni dalle autorità libiche e maltesi, prima del loro ingresso nelle acque italiane. A salvare loro la vita è stato il pronto intervento della petroliera italiana Antignano, dirottata sul posto già venerdì sera, dopo che la Guardia costiera italiana aveva ricevuto l'allarme dai parenti di alcuni dei passeggeri a bordo, che avevano dato l'sos con il telefono satellitare a bordo. La petroliera, lunga 176 metri per una stazza di 40.000 tonnellate, ha scortato la barca navigando sopra vento per rompere l'onda e rendere la traversata verso nord meno pericolosa. All'equipaggio dell'Antignano va la nostra massima ammirazione.

Ma quanto sono costate all'armatore della petroliera queste quattro giornate perse di lavoro? Perché un mezzo civile è obbligato a effettuare un salvataggio, mentre i mezzi militari di Malta possono soprassedere? Perché la politica prevale sull'urgenza di salvaguardare la vita umana? E se fosse occorso qualche problema alla navigazione? E se il peschereccio avesse imbarcato acqua e fosse affondato? Perché Malta non è intervenuta? E ancora, perché fino all'anno scorso la nostra Guardia costiera era libera di intervenire anche in acque internazionali di competenza maltese, quando si trattava di emergenze come questa, e da dopo il caso Pinar invece, a decidere se e quando intervenire è il Ministero degli Interni?

Dal canto suo Malta rispedisce le accuse al mittente. Il portavoce delle forze armate maltesi Ivan Consiglio dice: "Quando il barcone ha lanciato l'sos ha contattato l'Italia; secondo le convenzioni Sar il Paese a ricevere la richiesta di aiuto è obbligato a coordinare le operazioni di soccorso". Come se si parlasse di un servizio di recapito pacchi, e non di 207 persone che hanno rischiato la vita, abbandonate senza soccorsi nel mare in tempesta per quattro giorni. Mentre la politica decideva della loro sorte.

Il fatto che l'Italia abbia accolto i 207 naufraghi e che abbia rinunciato all'idea del respingimento, di cui si era parlato fino a ieri sera, non può che rallegrarci. Perché oltre ad avere avuto salva la vita, i 207 potranno anche far valere il proprio diritto d'asilo, essendo in maggior parte eritrei e somali. Paradossalmente a salvare i naufraghi è stato proprio il mare in burrasca. Lo sostiene il prefetto Rodolfo Ronconi, responsabile della Direzione centrale immigrazione e polizia della frontiera del Viminale, che ha dichiarato all'Ansa: "Il barcone si trovava in acque libiche [70 miglia a nord di Bengasi, ndr.] e se la petroliera italiana avesse preso a bordo i migranti, li avrebbe poi condotti, in accordo con Tripoli, verso le coste libiche da cui erano partiti. La Antignano non è però riuscita ad avvicinarsi al barcone: ha comunque lanciato viveri. Le cattive condizioni del mare hanno vanificato in seguito anche i tentativi (ben quattro) di una motovedetta libica di raggiungere l'imbarcazione, che nel frattempo aveva raggiunto le acque maltesi".

I due organizzatori del viaggio dei 207 (un eritreo e il libico proprietario della nave) sono stati arrestati oggi in Libia in un'operazione di polizia italo-libica. Ma gli altri intermediari che continuano a organizzare le traversate potrebbero fare tesoro della lezione: più il mare è brutto, minori sono i rischi di essere respinti. Se così fosse, la prossima stagione degli sbarchi - e conseguentemente delle stragi - non sarà più l'estate del mare piatto, ma questo inverno di burrasche.

da FortressEurope

Bersani segretario Pd ma non stravince


di Daniela Preziosi

Ha vinto, ma non con il risultato netto che si augurava. E che avrebbe messo la sua vittoria al sicuro da un futuro di quelli che per settimane Ignazio Marino ha chiamato “inciuci” e “accordicchi”. Pierluigi Bersani è segretario del partito democratico. Nella notte, mentre lo scrutinio procede, i suoi consensi si stabilizzano intorno al 52 per cento, quelli di Franceschini al 34,1 e al 13,8 quelli di Marino. Ha aspettato parecchio prima di brindare al suo comitato, con Rosy Bindi, Massimo D'Alema ed Enrico Letta. . Nelle sue prime parole, l'orgoglio di quasi tre milioni di elettori mobilitati per i gazebo (“un fatto eccezionale”), la festa per una vittoria collegiale (“nella vittoria di tutti c'è anche la mia”), e qualche dichiarazione programmatica: il Pd sarà un partito “dell'alternativa”, aprirà subito “il confronto con le altre forze di opposizione”. Nella serata il primo a dichiararsi sconfitto è Dario Franceschini, che intorno alle 23, quando ancora i dati ufficiali sono pochissimi, si presenta davanti alle telecamere per un appassionato passaggio del testimone. Un gesto di stile, ma anche una mano tesa verso una 'gestione collegiale' del partito. Ai suoi avversari interni Bersani infatti propone subito: “lavoreremo insieme”. La sua intenzione è di “fare il leader, ma a modo mio. Non il partito di un uomo solo ma un collettivo di protagonisti”.
E' stato uno dei suoi cavalli di battaglia, durante la campagna per le primarie, ma il risultato di misura che ha ottenuto lo consiglia alla gestione il più possibile condivisa. Almeno sulla carta, il 52% lo costringe a fare i conti con le variegate anime democratiche che lo hanno sostenuto. E anche con quelle che lo hanno avversato. Molto presto Bersani dovrà affrontare l'addio annunciato di Francesco Rutelli e lo scetticismo dei teodem. “I miei temi portati, come i diritti civili per tutti, la difesa dell' ambiente, la lotta contro il precariato, entrano di diritto nel dna del Pd”, dice soddisfatto Ignazio Marino, pronto a far pesare i suoi voti sulla linea del partito. Primo banco di prova, intanto, le presidenze dei gruppi parlamentari. Stamattina, come gesto di cortesia istituzionale, i capogruppo alla camera e al senato (il franceschiniano Antonello Soro e la dalemiana Anna Finocchiaro) rimetteranno il loro mandato. Alla Camera potrebbe andare proprio Franceschini, che quell'incarico ha già ricoperto ai tempi dell'Unione.
Altro banco di prova per il nuovo segretario, il rapporto con i suoi ingombranti grandi elettori, principalmente al sud, dove si combattono le battaglie per le candidature alle regionali. In Calabria la mozione 1 si avvia verso l'80 per cento dei consensi. Stesso trend, anche se con un dato meno marcato, in Campania e in Puglia. Intanto, come primo atto della sua segreteria, oggi Bersani incontrerà i lavoratori di Prato. La proclamazione ufficiale arriverà però solo il 7 novembre all'assemblea nazionale.
In tutto, secondo i responsabili dell'organizzazione,hanno votato tre milioni di elettori, una cifra non lontana da quella delle primarie del 2007 che incoronarono Walter Veltroni con oltre il 70 per cento dei consensi.

da IlManifesto

Torino: "Lega Nord Casa Pound, tutti a terra al primo round!"



Giornata importante quella vissuta oggi per le strade di Torino. La determinazione di 300 compagn* antirazzist* e antifascist* ha alterato un sabato pomeriggio di shopping e consumo. Non poteva essere però tollerata la prima uscita pubblica e annunciata di Casa Pound, organizzazione dell'estrema destra composta di autonominatisi "fascisti del terzo millenio".Oggi niente banchetto per gli affiliati di Iannone & c. solo l'assaggio della determinazione di centinaia di antifascisti e antirazzisti. E lo stesso dicasi per la Lega Nord cittadina. Il partito della xenofobia e del delirio securitario aveva allestito un gazebo per chiedere la chiusura della micro-clinica Fathi da poco allestita al centro sociale Gabrio. Un ambulatorio medico popolare reo per i padani di fornire assistenza medica gratuita a migranti clandestinizzati dalle loro leggi infami.

Niente volantino per Casa Pound, niente gazebo per la Lega Nord, che va miracolosamente in frantumi grazie all'iniziativa di divers* compagn*. Da segnalare in tutto questa la presenza di attrezzature pesanti (bastoni e catene) sia tra i leghisti che tra i neofascisti tranquillamente circondati da Polizia e Digos che (a loro) permette di armarsi.

A fine pomeriggio un corteo festante di quasi 500 persone attraversava via Po tra cori, interventi e un canto gloliardico che ben riassumeva la giornata: "Lega Nord, Casa Pound, tutti a terra al primo round!"

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Cronaca della giornata

Ore 16:00. Una mobilitazione antifascista volante, messa in piede in nemmeno 24 ore in seguito alla provocazione annunciata dai fascisti di CasaPound di tenere un banchetto nel centro torinese. Circa 200 antifascist* si sono quindi dati appuntamento in piazza Castello intorno alle 14, da dove si sono mossi in direzione di piazza San Carlo, dove avrebbe dovuto tenersi l'iniziativa fascista.

Camionette e poliziotti a difesa di una decina di fascisti di CasaPound, nascosti dietro lo schieramento poliziesco ma individuati dai compagni e dalle compagne. Il presidio antifascista ha quindi deciso di muoversi repentinamente, facendo il giro dell'isolato e sorprendendo alle spalle i fascisti. C'è stato un momento di scontro degli antifascisti contro il fascisti di CasaPound, intermezzato dalle cariche della polizia. Per una ventina di minuti gli antifascisti sono stati divisi in 2 tronconi, tensione palpabile e qualche manganellata, si sono poi riusciti a ricomporre nuovamente in piazza San Carlo.

La volante mobilitazione antifascista è riuscita nel suo intento, di impedire il banchetto di CasaPound, di sottrarre fisicamente e culturalmente ogni spazio di agibilità politica. Presenza inaccettabile che si è cacciata via, nonostante la compromettente ed evidente congiunzione tra fascisti e polizia, con i primi a fedele loro protezione ed i secondi "legittimati" a stare in piazza con mazze catene e cinghie.

In queste stesse ore, un corteo antifascista sta attraversando le strade di Pistoia per pretendere la liberazione di 3 compagn*, ingiustamente accusati di aver devastato una sede di CasaPound. L'appuntamento antifascista di Torino ha voluto quindi essere anche un ponte con quel che si sta dando a Pistoia.

Aggiornamento ore 16:30. Prosegue la mobilitazione antifascista e antirazzista nella piazza torinese. Il presidio di compagni e compagne, incassato il risultato della fuga dei fascisti di CasaPound, ha infatti deciso di muoversi e ritornare in direzione di piazza Castello. Strada sulla quale si è incontrata la presenza di un banchetto della Lega Nord, prontamente ribaltato in segno di assoluto disgusto del carattere razzista e xenofobo del partito di governo. Inoltre, la presenza delle camice verdi della Lega era anche suggellata dalla richiesta di sgombero della micro-clinica Fatih al csoa Gabrio...

Tutto ciò ha ovviamente rifatto salire la tensione, la polizia è tornata a caricare il presidio antifascista e antirazzista, un fronteggiamento che ha rifatto partire le manganellate della celere. Ma dinnanzi a ciò, nel salotto della città, si sono levate non poche voci di dispezzo nei confronti della Lega Nord e di biasimo per le forze dell'ordine da parte delle tante persone presenti per le strade del sabato pomeriggio.

da Infoaut

Treviso, «Gentilini istiga al razzismo» Comizi vietati per lo "sceriffo" della Lega

Il suo avvocato ricorre in appello: «Nelle sue parole non c'è malizia»
Treviso, «Gentilini istiga al razzismo» Comizi vietati per lo "sceriffo" della Lega
Il vicesindaco condannato dal Tribunale di Venezia al silenzio pubblico per almeno tre anni

TREVISO - Era lo «sceriffo» di Treviso, ora non potra più parlare a comizi politici. Giancarlo Gentilini, vicesindaco di Treviso, leghista della prima ora, è stato condannato dal Tribunale di Venezia per aver usato parole troppo forti contro gli immigrati e contro la possibilità di aprire moschee in ItaliaGentilini aveva detto la sua dal palco del raduno della Lega di Venezia nel 2008. Parole forti, come è nel costume dello «sceriffo», già noto alle cronache per le sue esternazioni colorite. Ne era seguita una denuncia con l'accusa di istigazione al razzismo.

LA CONDANNA - Il Tribunale di Venezia, in rito abbreviato, ha accolto la tesi dell'accusa condannando Gentilini a 4 mila euro di multa e sospensione per tre anni dai pubblici comizi. L'accusatore era il procuratore Vittorio Borraccetti che aveva chiesto 6 mila euro di multa pari a 1 anno e 5 mesi di reclusione.

LA DIFESA - Il difensore di Gentilini, avvocato Luca Ravagnan, ha già annunciato ricorso in appello sostenendo che «non c'era alcuna maliziosità contro le razze ma il sostegno ad idee ben note nel mio assistito finalizzate all'integrazione tra etnie diverse». Gentilini sostiene di essere sempre pronto ad esporsi in prima persona «mentre c'è sempre qualcuno pronto a spararmi alle spalle». Il vicesindaco di Treviso quest'anno ha partecipato, acclamatissimo, al raduno veneziano di settembre, ma non ha parlato dal palco.


26 ottobre 2009

http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_26/gentilini-condannato-istigazione-al-razzismo_852c8f60-c23e-11de-b592-00144f02aabc.shtml
da Antifa

Morte misteriosa a Roma



di Checchino Antonini

Aldo Bianzino, morto due anni fa in una prigione di Perugia per cause ancora da chiarire.

Marcello Lonzi, ammazzato in una galera livornese nel 2003 da un arresto cardiocircolatorio ma il suo corpo sfigurato, a sua madre che cerca ancora verità, dice tutt'altro.

Fino a l'altroieri, Ilaria non conosceva i loro nomi, forse nemmeno sapeva quanto fosse lungo il catalogo dei morti di galera. Poi i carabinieri di Torpignattara hanno bussato a casa loro per dire che semplicemente «Stefano era morto», in ospedale.

Più precisamente nel reparto penitenziario del Pertini.
Ora la famiglia chiede di poter vedere la salma prima che sia ricomposta. Vuole accedere al più presto alle foto dell'autopsia. Perché, finora, le due cose sono state negate. Stefano aveva 31 anni, faceva il geometra in uno studio comune con il padre e la sorella.
La notte tra il 15 e il 16 ottobre lo pescano con 20 grammi di sostanze nel vicino quartiere Appio Claudio. Le modalità dell'arresto e del sequestro non sono ancora note alla famiglia. All'una e mezza di notte di notte, il citofono di casa Cucchi segnala l'arrivo di Stefano. Non è solo. Con lui ci sono i militari che lo hanno arrestato.

Perquisiranno solo la sua cameretta, senza perlatro trovare nulla. Uscendo, uno di loro cerca di rassicurare la madre: «Signora non si preoccupi. Per così poco è capace che domani sia a casa ai domiciliari».
Dettaglio importante: Stefano «era pulito», racconta Ilaria nella sala d'aspetto dell'obitorio di Piazzale del Verano. Ossia «camminava sulle sue gambe, non aveva segni sul viso». E ricorda quanto fosse esile suo fratello. Basso e magrissimo. Il mattino appresso suo padre va a Piazzale Clodio all' udienza per direttissima.

Stefano aveva il viso livido e gli occhi gonfi. L'udienza è rinviata al 13 novembre. Si torna a Regina Coeli. Il sabato sera, l'indomani, i carabinieri arrivano a casa Cucchi per comunicare il ricovero al Pronto soccorso dell'Isola Tiberina. Si scoprirà, invece, che era stato portato al Pertini. Motivo ufficiale: dolori alla schiena dovuti a una caduta precedente all'arresto di cui in casa nessuno sa nulla. Ma una lastra dirà che aveva due vertebre rotte, una sacrale e una lombare, due vertebre basse.

Si può camminare per tre giorni con due vertebre rotte, andare a casa, poi in carcere, quindi al processo e di nuovo in galera? Bisognerebbe sapere quanto siano profonde quelle lesioni. Ma sicuramente il dolore sarebbe stato evidente.

E per capire quando si siano verificate ci sarebbe da osservare l'emorragia attorno alle vertebre. Quella sera i genitori di Stefano sono scappati in ospedale ma fu spiegato loro - era la prima volta che si trovavano in quelle
condizioni - che era un carcere a tutti gli effetti. Non era possibile vederlo, né avere notizie senza una carta del pm. La stessa cosa si sarebbero sentito dire la domenica mattina. Lunedì la carta non è ancora arrivata. «Ma perché è qui?», riescono a domandare a una poliziotta. «Non vi preoccupate, vostro figlio è tranquillo».

Mercoledì arriva l'autorizzazione ma vale per il giorno successivo. Ma Stefano muore all'alba. All'ora di pranzo - un bel po' di ore dopo - arrivano i carabinieri a portare il dispostivo per la nomina di un consulente di parte per gli "accertamenti urgenti non ripetibili", l'autopsia.
C'è qualcosa che non quadra. Ilaria ha sempre più domande in testa e nessuna risposta. La sera prima una volontaria le aveva telefonato per riferire un messaggio di Stefano. Voleva parlare con suo cognato, il marito di Ilaria, appunto. Il ragazzo cercava aiuto per affidare a qualcuno la sua cagnetta. «Ma quando esco la rivoglio», aveva precisato. Poi aveva chiesto un bibbia. «Noi siamo molto religiosi», conferma Ilaria. La volontaria non ha saputo dire granché delle condizioni fisiche di Stefano. Dice che era sempre sotto il lenzuolo.

Dopo un'inutile corsa sotto la pioggia a Piazzale Clodio - «credevamo fosse lì l'autopsia» - Ilaria e i suoi arrivano al Pertini. Una dottoressa conferma la versione della volontaria: pare che Stefano stesse per ore sotto le lenzuola. «Non si voleva nutrire - ha detto - gli portavamo la carne ma lui la lasciava». E avrebbe rifiutato le cure. Suonano beffarde le parole della dottoressa ai genitori che nemmeno hanno potuto assistere un figlio moribondo: «Perché non vi siete rivolti a noi?». Dopo un braccio di ferro col posto di polizia, finalmente il pm autorizza i familiari a vedere la salma. Dietro il vetro divisorio, Stefano rivela il viso deformato, nero, «come
bruciato». Un'occhio pesto, l'altro fuori dalle orbite, le ossa della mascella spostate. «Per forza non mangiava!», esclama la sorella. Il corpo era nascosto da un lenzuolo. L'autopsia è durata più di cinque ore e stavolta il pm ha negato ai consulenti di parte di effettuare foto. Ci saranno solo quelle del perito del pm.

All'uscita dall'obitorio il medico di parte avrà poche parole.
Conferma la natura traumatica degli ematomi sul viso ma nega emorragie interne. Insomma, quelle botte non spiegherebbero la morte. Sarebbe evidente una «sofferenza polmonare» ma per capire meglio si dovranno aspettare gli esami istologici, le cartelle cliniche, i rilievi tossicologici. Le domande di Ilaria sono troppe, e sempre più inquietanti.

da GlobalProject fonte Liberazione

Processo Ciancimino. Sull'affare del Gas ''minacce per tapparmi la bocca!''

di Silvia Cordella

Brancato e Sciacchitano coinvolti negli affari di don Vito?

“Qui non si protegge più nessuno, voglio far uscire mio figlio da questo mondo!”
La moglie di Massimo Ciancimino sfogava così la sua rabbia mentre il marito concordava insieme al proprio avvocato la linea difensiva da assumere, alla notifica dell’arresto in carcere per il reato di riciclaggio.
Era il 12 giugno del 2006 e per il quarto figlio dell’ex sindaco del “sacco” di Palermo non si prospettava niente di buono. Suo padre era morto da nemmeno quattro anni e già l’eredità finanziaria gli stava provocando pesanti problemi. Secondo i magistrati di Palermo quei soldi erano il frutto del provento accumulato illecitamente dal suo vecchio genitore negli anni della speculazione edilizia e dei grandi affari con la mafia di Riina e Provenzano. Gli inquirenti avevano messo anche le mani sui guadagni fuori contabilità di Massimo Ciancimino incassati nel 2004 dalla vendita della Gas di via Libertà. L’azienda in quota al gruppo Brancato-Lapis dalla quale il vecchio sindaco di Palermo, dal 1983, era socio occulto. Per questo suo figlio quando aveva riscattato 4 milioni e 700 mila euro su un conto corrente svizzero (più altri per un totale di 7 milioni di euro) i magistrati lo avevano inchiodato. Massimo veniva così arrestato e condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi per riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Per anni il figlio scapestrato di don Vito, quello più ribelle ma a lui più vicino, era passato alle cronache per le macchine di grossa cilindrata e le barche ormeggiate nel porto di Palermo. A tutti quel protagonismo aveva dato l’idea di sfidare la sorte con lo sprezzo incosciente di uno di quei figli della Palermo bene cresciuti all’ombra della mafia. A proteggerlo era sempre stato suo padre ma con la richiesta di arresto era chiaro che certi equilibri non c’erano più. Massimo davanti al suo avvocato sapeva bene di essere rimasto solo. Non si spiegava però le ragioni di tutto “quell’accanimento”. Diceva: “non riesco a capire perché” certe cose accadono solo adesso “dopo la morte di mio padre!” . Anche prima “tutto era a nome mio” comprese “le carte di credito” e “i 14 milioni (di vecchie lire) al mese per l’appartamento a Piazza di Spagna”. “… Tutto alla luce del sole” anche gli incontri di suo padre con l’ing. Lo Verde, alias Provenzano, mentre era ai domiciliari a Roma. Forse l’ombrello di protezione di don Vito si era chiuso definitivamente. A tenerlo aperto non era bastato il contributo fornito ai carabinieri del Ros negli anni delle stragi. “Ho cercato di far arrestare Riina e ricompense non ne ho avute da nessuno”. Affermava Ciancimino “i pentiti collaborano per fare arrestare latitanti no? Io l’ho fatto prima con Falcone (…) poi l’ho fatto con i carabinieri ed è stato di domino pubblico a mio svantaggio… rischiando la vita!”. “Con quale spregiudicatezza la dott.ssa Buzzolani chiede il mio accompagnamento in un carcere … magari mi vuole mettere accanto a Bagarella? Sarebbe la sua felicità mettermi nel braccio di Bagarella e Riina… no?”. “L’ottanta per cento di sta gente ce l’ha con me o perché rubo (non pagando le percentuali pattuite dal padre alla mafia) o perché gli porto i carabinieri e lei mi ci vuole mettere … proprio in bocca al leone, mi voleva andare a mettere … mi vogliono tappare la bocca per sempre!”. Così Massimo Ciancimino si era sfogato con l’avvocato alla vigilia del suo interrogatorio di garanzia. Una conversazione che oggi non può essere utilizzata come prova nel suo processo (proprio perché si tratta di un colloquio riservato con il suo legale), ma che è stata prodotta ugualmente dalla difesa del Tributarista Gianni Lapis per poter “aiutare” la Corte (che a breve emetterà la sentenza d’appello) a inquadrare meglio una vicenda intricata emersa processualmente finora soltanto a metà. Dalla rosa di politici infatti che avrebbero beneficiato di soldi “extra” della Gas di don Vito l’unico a pagarne il prezzo alla giustizia è stato il solo Ciancimino e i suoi avvocati.
A uscire illesa da ogni accusa è finora la parte societaria del Prof. Ezio Brancato, che si è costituita parte civile al processo a carico di Lapis e Massimo Ciancimino il quale peraltro si è visto condannare al risarcimento di una penale a favore dei suoi ex soci. Una beffa inaccettabile per il figlio dell’ex sindaco di Palermo sempre più recalcitrante rispetto a una verità processuale incompleta. “Se una società è malata allora lo è tutta” aveva detto ad ANTIMAFIA Duemila lo scorso anno. “Chiedo solo un processo equo e di essere condannato per le cose che ho commesso, ma non voglio essere vittima di uno strabismo giudiziario che garantisce impunità a soggetti intoccabili”. Il riferimento è alla famiglia Brancato, legata al procuratore della Dna Giusto Sciacchitano attraverso rapporti parentali con il figlio, ex marito di Monia Brancato, erede della società dopo la morte del padre. Circostanze di cui i magistrati di Catania si stanno occupando nell’ambito di un’inchiesta nata sulla scia di questi fatti denunciati all’autorità giudiziaria da Massimo Ciancimino. Il quale, proprio nel colloquio del 2006 con il suo legale, concitatamente affermava di essere sotto ricatto. “Lo dirò – aveva detto Ciancimino - che mi hanno minacciato di tapparmi la bocca sull’affare Sciacchitano!”. Parole lapidarie confidate a un attonito avvocato e che giungevano dopo lo sfogo della moglie, stanca della prospettiva appena enunciata dal marito di proteggere i due soggetti. “Perché devi sempre proteggere tutti? No basta! Ne dobbiamo uscire… non si può vivere così … bisogna uscire da questa situazione. Non si protegge nessuno te lo dico. Basta!”. Ma perché Brancato e Sciacchitano avrebbero voluto il silenzio di Massimo Ciancimino? La risposta emerge dallo stesso dialogo tra il difensore e il suo cliente. Il vero prestanome di don Vito sarebbe stato proprio l’ex esponente democristiano, ed è per questo che Ciancimino si era preoccupato di non coinvolgerlo aspettando un aiuto che non era arrivato, in virtù di quel legame tra il suo socio e il figlio del procuratore. Così alla notizia dell’arresto Ciancimino si preparava ad affrontare il suo interrogatorio in Procura. “Se ti fanno delle domande nello specifico tu cosa rispondi?” gli chiedeva l’avv. Mangano. “Per esempio cosa potrebbero chiedermi?”. “Quando Ghiron ti dice: questa roba è tua!”. “Ah.. esatto.. mi riferisco ai quattro milioni e sette che Brancato mi doveva dare.. e che Lapis mi accredita lì.. perchè Lapis se li tiene qua.. i soldi di Brancato..”. Ma il legale ha bisogno di un chiarimento. “Alla morte del Conte Vaselli – spiegava Ciancimino - io vengo a sapere di essere proprietario di questo pacchetto di azioni in ..(inc.).. Brancato.. e di rivolgermi, se avessi avuto difficoltà, al Professore Lapis. E questo faccio. Il Professore Lapis ottiene il bonifico di Monia (Brancato).. sul conto di sua figlia.. e alcuni me li passa all'estero.. perchè a me servivano fuori.. e alcuni me li dà qua!”. Poi precisava: “interpreto le volontà di mio padre! Ora se non dobbiamo parlare di Brancato.. perchè come al solito debbo parare il culo..”. “Io te lo dico perché mio padre era socio”. Insomma prima di morire don Vito aveva stilato un testamento preciso e i patti dovevano essere rispettati soprattutto dal gruppo Brancato. Per questo il ruolo del Prof. Lapis sarebbe stato quello di garantire il pagamento delle somme spettanti a Massimo Ciancimino da parte dell’altra compagine societaria. Dopo la vendita della Gas agli acquirenti spagnoli era così partito un versamento di quasi cinque milioni di euro effettuato a mezzo bonifico bancario dalla Brancato sul conto della figlia di Lapis, che suo padre aveva accreditato sul conto svizzero Mignon, nella disponibilità di Ciancimino junior. Un’operazione che però le Brancato a processo hanno sempre giustificato come frutto di un errore contabile, convincendo i giudici e i magistrati del primo grado ad accogliere le loro tesi. Circostanza che ora appare più che mai inverosimile alla luce della stessa intercettazione ambientale ricomparsa misteriosamente dopo innumerevoli sollecitazioni da parte di Massimo Ciancimino il quale, sapendo della sua esistenza, non l’aveva trovata nei documenti acquisiti del suo processo. Una vicenda che spingeva l’imputato a raccontare i particolari di quella storia a due magistrati della procura di Palermo, Nino Di Matteo e Antonio Ingroia. Gli stessi che hanno convinto Ciancimino ad approfondire il capitolo sulla trattativa avviata nel ’92 con alcuni ufficiali del Ros e che adesso cercano la verità su quel rapporto con l’Arma dei carabinieri che autorizzò suo padre a fare da tramite per quel dialogo tra la mafia e lo Stato. Ora chissà se la Corte d’appello che sta processando Ciancimino avrà la stessa lungimiranza.

da AntimafiaDuemila

Venezuela, trovati morti i calciatori colombiani scomparsi

Rapiti e uccisi dall’Ejercito national de liberation

Li avevano sequestrati una settimana fa durante una partita. Ora sono morti in dieci, solo uno è sopravvissuto. Dietro al rapimento e al massacro di un'intera squadra colombiana di calcio amatoriale c'è l'Ejercito national de liberation (Enl).Il sequestro era avvenuto nello stato di Tachira, al confine tra Colombia e Venezuela, dove agiscono diversi gruppi armati. L'unico superstite ha raccontato che a rapire lui e i suoi compagni sono state 25 persone.
Assieme alle più note Farc, da anni l'Enl si scontra con il governo colombiano, che in passato si è rivolto al Venezuela di Hugo Chavez proprio per ottenere supporto nella cattura dei guerriglieri che agiscono lungo il confine tra i due paesi.

da PeaceReporter

Volantino anti-immigrati a Milano: 'Basta degrado o qualcuno userà i bastoni'

"Via gli abusivi, basta degrado, sì al rispetto delle regole": inizia così il volantino che annuncia la 'rivolta' dei residenti di via Masera e dei commercianti di corso Buenos Aires, a Milano, intenzionati a scendere in piazza mercoledì per chiedere più sicurezza.La rabbia per il degrado della zona, tra venditori abusivi e i bivacchi di clochard africani, ha portato gli abitanti del quartiere, dopo gli appelli al Comune dei mesi precedenti, a scrivere un volantino dai toni duri: chiedono l'intervento del sindaco e del prefetto - come riportato da alcuni quotidiani oggi - prima che qualcuno "decida di risolvere il problema con quattro bastoni", è scritto. Alla manifestazione hanno già annunciato la loro presenza numerosi esponenti locali dei partiti di maggioranza e opposizione.

di Luca Galassi da PeaceReporter

PUGLIA: Emiliano mostra i muscoli

"I pugliesi vogliono che il Pd sia nella responsabilità di un’area molto diversa da quella che ci si poteva aspettare, con un’asimmetria rispetto a quella nazionale" Michele Emiliano, ha commentato così il dato delle primarie in Puglia mettendo subito in campo il peso del successo della sua mozione indipendente che ha raggiunto il 30,7% dei voti impedendo di fatto la vittoria al candidato bersaniano, Sergio Blasi, che ha superato di poco il 49% dei voti.

Il segretario uscente ha poi aggiunto che ora occorre mettere da parte le discussioni inutili sui numeri, la politica deve prendere il centro del campo: "Non si può pensare di risolvere il problema della guida del Pd in Puglia con i numeretti in assemblea: è il momento di accantonare le tabelle numeriche, le prove muscolari e la strategie interne e di lasciare il campo alla politica; il Pd della Puglia è l'unica speranza per il governo della Regione e per il governo del paese, questi uomini e queste donne devono essere il cuore del progetto futuro".

"Il risultato del congresso dice che ci vuole una guida unitaria del partito" secondo Emiliano, e quindi dato che "nessuno può considerarsi maggioranza", chiede che chi ha preso più voti convochi un tavolo politico per discutere innanzitutto quelli che sono tra i punti chiave della sua mozione: stop alla professionalizazione della politica e separazione tra la politica e la gestione della sanità.

Gratteri: ''Scudo fiscale puo' favorire rientro capitali mafia''

Lo ha detto il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, rispondendo alle domande di Fabio Fazio durante la trasmissione di Raitre 'Che tempo che fa'. Sulle intercettazioni telefoniche, Gratteri ha detto che "il divieto sarebbe un grave danno dal punto di vista investigativo e non c'é un problema di violazione della privacy perché chi eventualmente rivela i contenuti delle intercettazioni può essere facilmente identificato.

Abolirle sarebbe un errore e non si può gettare l'acqua sporca con tutto il bambino altrimenti si fa il gioco di chi non vuole che si facciano le indagini". "Le intercettazioni - ha concluso - rappresentano un grande strumento tecnico e quindi non è concepibile che si possa rinunciare a questo strumento".

ANSA

SEGRETERIA REGIONALE PD: Blasi verso la vittoria . A NARDO' VOLA EMILIANO

Il salentino Sergio Blasi (mozione Bersani) raccoglie il maggior numero di voti alle primarie di domenica: 81mila 948 (49 per cento). Secondo il sindaco di Bari Michele Emiliano con il 30,7 per cento (51mila 317). terzo l'assessore della giunta Vendola Guglielmo Minervini (mozione Franceschini): 20,2 per cento (33mila 736 voti). Per diventare segretario del pd pugliese Blasi dovrà ottenere il 50 per cento più uno dei delegati ecco perchè adesso sarà importante la ripartizione degli stessi delegati all'assemblea regionale formata da 126 membri. per evitare il ballottaggio blasi dovrebbe conquistarne 64.

A Nardò numeri in controtendenza:

NARDO' - PRIMARIE PARTITO DEMOCRATICO

REGIONALI
Elettori 1377 - Validi 1315

Blasi 438 (33,3%)
Blasi 227 (17,26)
Emiliano 518 (39,40%)
Emiliano 72 (5,48%)
Minervini 60 (4,56%)
Bianche 55 - Nulle 7

NAZIONALI
Elettori 1377 - Validi 1329

Bersani 774 (58,23%)
Marino 398 (29,99%)
Franceschini 135 (10,17%)
Franceschini 22 ((1,68%)

I risultati provincia per provincia

Sergio Blasi (mozione Bersani) vince la sfida delle primarie in cinque delle sei province pugliesi. solo in quella di Bari ha la meglio il sindaco del capoluogo e segretario uscente del Pd Michele Emiliano che ottiene il 43,6 per cento dei voti, mentre Blasi non va oltre il 33,4 per cento e Gugliemo Minervini (mozione Franceschini) raggiunge quota 22,9 per cento. Nella città di Bari in particolare, Emiliano sfiora quota 70 per cento: il 69,2, per la precisione. a Taranto, Blasi è al 56.5 per cento, Emiliano al 25,4 e Minervini al 18 per cento. A Brindisi, Blasi ha il 52,4 per cento, Emiliano il 32,2 e Minervini il 15,3. a Foggia, Blasi è al 56,9 per cento, Emiliano al 22,5 e Minervini al 20,4 per cento. Nella Bat, Blasi ha il 40,2 per cento, Emiliano il 31,5 e Minervini il 28,2 per cento. Infine nel Salento, Blasi conquista il suo miglior risultato con il 66,3 per cento, Emiliano ha il 18,4 per cento e Minervini il 15,2 per cento.

DOCUMENTO CONCLUSIVO ASSEMBLEA NAZIONALE MPS

Delegati eletti dagli aderenti e piena sovranità delle strutture territoriali: condizioni irrinunciabili


Gli effetti della crisi oggi si dispiegano nella loro più funesta influenza nella sfera politica, sociale ed economica.
E’ una crisi che si deposita su una struttura democratica sempre più indebolita delle alterazioni materiali e formali del tessuto civile garantito dalla Carta Costituzionale ad opera dei partiti di governo e del loro capo.
Il Paese sprofonda ogni giorno di più. Siamo in una congiuntura che vede la silenziosa cancellazione di centinaia di migliaia di precari dal mercato del lavoro, di centinaia di migliaia di posti di lavoro al termine della cassa integrazione. Che investe il terreno della democrazia e della rappresentanza. Che ci vede in coda ai paesi europei impegnati ad affrontare la sfida economica ed ambientale, dei diritti e delle libertà, come risposta al fallimento della globalizzazione liberista che ha segnato questa fase.

La nostra politica, la sua dimensione di costruzione democratica e partecipata - che va ben oltre il giusto terreno della rappresentanza -, deve avere la capacità di indicare una prospettiva d’uscita alla crisi della sinistra.
Il Paese che si mobilita nelle manifestazioni, nella crisi sociale acuta, non ha una connessione politica efficace con le forme della rappresentanza politica.

La sinistra è la grande assente nella vita del paese e la stessa opposizione è indebolita dall’assenza della sinistra, essendo oggi occupata dal populismo dipietrista o dalle incertezze del PD, stretto tra una deriva sempre più moderata e la ricerca di una nuova, quanto incerta, identità.

Il popolo della sinistra però esiste, si mobilita nei conflitti e talvolta si mobilita anche in appuntamenti come quelli delle primarie del PD.

Ecco perché sentiamo il dovere e il bisogno di proporre alle donne e agli uomini aderenti a Sinistra e Libertà di scegliere un terreno chiaro per la costruzione di SeL.

L’Assemblea nazionale per la costituzione di Sinistra Libertà Ecologia dovrà comunque tenersi il 19 e 20 dicembre p.v., sulla base di un reale percorso aperto di partecipazione democratica.

Delegati eletti dagli aderenti, piena sovranità delle strutture territoriali, un progetto politico culturale e un simbolo nella piena disponibilità degli aderenti sono per noi condizioni irrinunciabili per la costituzione di SEL del 19 e 20 dicembre.

Anche per questo riteniamo che la campagna di adesione a SeL, decisa dall’Assemblea Nazionale di Bagnoli deve vedere l’attiva partecipazione di tutti i militanti dei territori nei tempi più brevi possibili.

Senza l’organizzazione di una soggettività politica autonoma non potremmo mettere in sicurezza il nostro progetto e la nostra vocazione che rimane unitaria e ricostruttiva della sinistra.

Da qui dovrà discendere anche la piena autonomia di SEL nelle tredici competizioni regionali, dove deve essere garantita la piena disponibilità della presentazione di SEL in quanto tale.

Vogliamo rivolgerci a che ci ha votato, a chi ci ha sostenuto e a quelli che vorremmo investire nel progetto di ricostruzione di una più ampia rappresentanza della sinistra. Affinché l’impegno di ciascuno e di tutti sia rivolto a dare un senso e una speranza alla rinascita civile, morale, culturale e politica del nostro Paese, a partire da un rafforzamento dell’azione di opposizione.

E’ così che intendiamo costruire Sinistra e Libertà.

Per dare un contributo nella maniera più aperta, partecipativa e includente possibile, affinché il progetto politico in cui ci sentiamo impegnati sia corrispondente al bisogno di cambiamento profondo del Paese.

La vera sfida che abbiamo davanti.


25 ottobre 2009