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martedì 27 ottobre 2009

VENDOLA: “UNA GRANDE ALLEANZA CONTRO TUTTI I POPULISMI”

Intervista pubblicata oggi su La Stampa

Grazie alle primarie Nichi Vendola riuscì a battere il suo concorrente del centrosinistra per poi farsi eleggere governatore della Puglia. Oggi dice: «Le primarie del Pd rappresentano una gigantesca domanda di buona politica. E dimostrano ll paradosso di una sinistra fatta di un largo popolo senza un partito e di tanti partiti senza un popolo». Scusi, Vendola, ma semmai dimostrano che quel partito un popolo ce I’ha…

«Diciamo che c’è l’evocazione del popoio ma non il popolo come soggetto che costruisce la politica. Tuttavia almeno dimostrano che la democrazia ha ancora un senso».

E’ contento della vittoria di Bersani, un uomo che guarda a sinistra?

«Io nutro stima e amicizia per tutti e tre i candidati, tuttavia il discorso di Bersani è quello che più si allontana dalla sciagurata autosufficienza di Veltroni, mi pare il più consapevole della necessità di alleanze politiche e sociali che formino un blocco per costruire l’alternativa al centrodestra».

Alleanze locali e nazionali che mettano insieme tutti quelli che stanno oggi all’opposizione, da Casini a Rifondazione?

«Non è questo il tempo in cui si possano segnare limiti simbolici e pregiudiziali. E’ sbagliato dire mai con l’Udc o mai con Rifondazione. Invece io propongo una Grande Alleanza di tutti quelli che sono contro il p0pulismo e intendono difendere la democrazia e la Costituzione».


Ma questa è una base sufficiente per protestare, non per governare.

«Intanto propongo a Bersani e a tutte le altre forze di opposizione una manifestazione nazionale che metta al centro il tema del lavoro e della democrazia. Più c’è precarietà, meno c’è democrazia. Più c’è disoccupazione e più cresce il populismo».


Ma manifestare è una cosa e governare un’altra…

«Il governo si prepara anche con le manifestazioni, mobilitando il nostro popolo. Dopo di che io sono per un dibattito a tutto campo sui programmi. Usciamo dalla fiction, usciamo dal salotto di Porta a Porta e misuriamoci sul serio con la realà drammatica del paese. Una discussione vera con tutti coloro che sentono scivolare l’Italia verso una deriva malata e populista. Propongo di mettere insieme chi condivide l’idea che li primo e più pericoloso nemico della democrazia è proprio il populismo incarnato da Berlusconi».


La sua Sinistra e libertà alle europee ha messo insieme voi, ex di Rifondazione, gli ex diessini di Mussi e Fava, i Verdi e i socialisti ottenendo il 3 per cento dei voti. Oggi però perdete pezzi, i Verdi vi abbandonano, i socialisti non hanno intenzione di fare un nuovo partito… Perché non entrate nel Pd di Bersani?

«Il progetto di Sinistra e libertà non è fallito, a dicembre avremo li nostro atto fondativo: e lì vedremo se noi larve che stiamo nei bozzoli fatti di microidentità, partitini, piccole rendite di ceto politico, saremo capaci di diventare farfalle».


E non potreste essere farfalle nel Pd?

«No, perché sarebbe il frutto di una rassegnazione e di una sconfitta. Mentre io penso che ci sono mille ragioni per l’esistenza di una forza a sinistra del Pd che oggi è sfrangiata e che se non ci fossimo noi verrebbe risucchiata nelle sue nicchie identitarie. Io non mi sento uno del Pd. Però voglio essere un suo interlocutore, e penso che con Bersani questo processo si possa avviare seriamente».


E con Rifondazione, da li arrivano segnali di riunificazione.

«Ai quali rispondo con un invito: alle prossime regionali facciamo un cartello unitario di tutto ciò che vive a sinistra del Pd. Competitivo col Pd, non nemico del Pd, alleato col Pd».
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“NON UN PARTITO, MA UN PARTIRE”


Il titolo riportato tra virgolette, non è altro che lo slogan con il quale sono stato illuso e con il quale Vendola ha intrapreso un altro cammino politico.
Ero veramente attratto da questo nuovo partire a tal punto da aderirvi.
Nei partiti non ho mai creduto, perché li ho sempre visti come chiese nelle quali rispettare dogmi e precetti.
L’idea del Movimento invece mi dà la sensazione di auto-rappresentanza, di aria fresca da far respirare agli altri, di un’autonomia che altrimenti sarebbe difficilmente raggiungibile attraverso appunto un partito; molti mi diranno, “ma con un movimento non puoi fare riforme che serviranno per una futura rinascita”. Inesorabilmente vero, però rispondo che non si faranno mai riforme radicali e progressiste finché serviranno voti e alleanze con partiti più forti, quindi soggetti ad interessi molto più grossi.
Volevo un cammino lento, che durasse anche 10 anni, con il quale sensibilizzare le coscienze delle persone che ormai sono marce e senza identità.
Perché il problema della sinistra è stato proprio questo. Si riempivano le piazze e nel frattempo si lasciavano svuotare le coscienze.
A mio parere non c’è mai stata una vera rivoluzione (soprattutto culturale). Il ’68, per esempio, è stato caratterizzato da movimenti, per la maggior parte costituiti da giovani borghesi, che occupavano le loro giornate organizzando manifestazioni. Erano i figli del boom economico. Boom economico che ha investito solo famiglie della medio-alta borghesia.
Qualcuno mi dirà, “ma qualcosa si è fatto, qualcosa cambiò”, d’accordissimo, ma c’è un’incongruenza, molti di loro hanno indossato in seguito quelle giacche e quelle cravatte che un tempo contestavano.
Le vere rivoluzioni (forse) si sono avute solo da parte dei movimenti femministi. Certo in questo momento storico la figura femminile è interpretata più come un oggetto che come un qualcosa di veramente rivoluzionario. Infatti, ancora nel 2009, pochissime donne presiedono posti di potere e si è arrivati a pensare alle quote rosa (ancora più deprimente, sullo stesso piano delle mucche).
Forse mi sono dilungato banalizzando un po’ tutto; quello che mi spinge a scrivere in questo modo è (proprio) l’esigenza di vedere qualcosa di nuovo, che al momento non vedo. Rimarrò sempre sostenitore del nostro compagno Nichi Vendola, ma mi fa proprio “rabbia” vedere gente come Bertinotti, Giordano, Mussi, Occhetto simpatizzare per questa nuova realtà. Non voglio giudicare nessuno, o emanare sentenze, voglio semplicemente dire che il nuovo deve partire dal basso. Avete già fatto un pezzo di storia italiana, è arrivato il momento di uscire di scena se vogliamo veramente cambiare e coinvolgere i cittadini.
Iniziamo a dare voce ai vari militanti che non vogliono essere assoggettati a nessuno, iniziamo a coinvolgere tutte quelle persone che dalla politica sono sfiduciate.
Concentriamoci su alcuni obiettivi e cerchiamo di ristabilire una nuova era, quella dei diritti e non dei privilegi.

di Nico Musardo

"Perché vogliono farci diventare un partito politico se noi non vogliamo il potere? Non riescono a capire che un movimento politico possa non essere interessato al potere politico? Ci sono già abbastanza partiti politici. Perché dovremmo aggiungerne un altro? Non vogliamo. Noi non stiamo promuovendo niente. Noi non chiediamo il governo. Noi vogliamo abbattere il governo. Noi vogliamo vivere in pace, in democrazia, libertà e giustizia".

SUBCOMANDANTE MARCOS

Blasi si autoproclama segretario ma è guerra sugli ultimi dati


di Lello Parise

Pd, scrutinio al fotofinish. I rivali: "Un colpo di mano"

Sergio Blasi è il segretario del Pd pugliese. Il sindaco di Melpignano vince, ma non sfonda. E dà fuoco alle polveri della polemica. Perché Michele Emiliano e Guglielmo Minervini, i due avversari delle primarie, credono che «qualcuno» abbia truccato l´esito delle elezioni. L´assessore della giunta Vendola non ha peli sulla lingua: «Questa non è una maniera limpida di procedere. Grazie a un artificio contabile il concorrente della mozione Bersani ha avuto la meglio e guadagnato due delegati, quelli indispensabili per annunciare il trionfo di se stesso. Noi contestiamo la performance, senza se e senza ma». Il Gladiatore è impietoso: «Siamo di fronte a un golpe patetico e infantile. I miei voti erano a disposizione di Blasi, ma all´interno dell´assemblea, che è sovrana. Invece proprio Blasi è stato spinto da gente come Michele Mazzarano, numero due uscente, a dichiararsi vincitore. Ho l´impressione che entrambi non possano costituire la classe dirigente del nuovo Pd».

Blasi ottiene, sul filo di lana, la maggioranza assoluta dei delegati all´assemblea regionale: 65 su 126. Anche se Corrado Tarantino, il presidente della commissione per il congresso, ufficializzerà i dati soltanto oggi. Ma tre componenti la stessa commissione - Ubaldo Pagano, Enzo De Candia, Vito Novielli - accusano Tarantino di non essere imparziale: «Era capolista in una delle liste a sostegno di Blasi».

Per tutta la giornata si rincorrevano numeri e previsioni a proposito di come sarebbe finita una battaglia che era stata combattuta a viso aperto soprattutto tra gli sponsor del leccese, a cominciare da quello più prestigioso, Massimo D´Alema, ed Emiliano. Fino all´ultimo sembrava che l´"uomo della Taranta" non fosse in grado di sfondare quota 50 per cento: era bloccato al 49. Mentre Emiliano conquistava il 31 per cento e Minervini non andava oltre il 20 per cento. Tanto bastava tuttavia perché il secondo e il terzo potessero in una maniera o nell´altra condizionare il capolista o, addirittura, spodestarlo. Nonostante Blasi, che già era uscito a testa alta dalla gara tra gli iscritti col 58 per cento dei consensi, e che al referendum popolare dell´altro giorno aveva comunque racimolato altre 63mila preferenze, fosse apparso imbattibile. Tant´è che aveva fatto il pieno in quattro delle sei province: il 56 per cento a Taranto, il 52 a Brindisi, il 57 a Foggia, il 66 per cento a Lecce.

In zona Cesarini, il colpo di coda. Sorprendente quanto avvelenato. Blasi porta a casa il risultato, che non lo costringe ad attraversare col fiato sospeso le forche caudine del "parlamentino" dei riformisti convocato per il 4 novembre. Non per questo può dormire sonni tranquilli. Solo la metà dei democratici è dalla sua parte e stringere un´alleanza con almeno uno dei due contendenti, è la via obbligata da percorrere. Ieri sera sia Minervini, sia Emiliano gli avevano fatto gli auguri. Ma la quiete dopo la tempesta di queste settimane, era un´illusione. La guerra continua.

da LaRepubblicaBari

REGIONE PUGLIA - Losappio. Presto in Giunta 5 milioni di euro per i disoccupati ultracinquantenni

Gli uffici dell’Assessorato al Lavoro hanno predisposto ed inviato alla Giunta Regionale il bando teso a formare i disoccupati-inoccupati della Puglia che non beneficiano di altre misure di sostegno al reddito o di pensione e che abbiano un età fra i 50 e i 65 anni. Il provvedimento è finanziato con 5 mln di euro del FSE e prevede corsi professionalizzanti della durata di 300 ore e per 3 mesi con un numero di destinatari fra i 9 e i 18 per aula, al costo di 20 euro ora di cui 5 a favore del disoccupato come indennità di frequenza.Complessivamente i disoccupati ultracinquantenni percepiranno 1500 euro nel mentre verranno formati per essere immessi sul mercato del lavoro da enti ed organismi di formazione professionale che potranno così dimostrare le proprie competenze.
“Si attua in questo modo una parte delle politiche attive del lavoro indicate nel programma Welfare to work e nel protocollo sottoscritto fra il Presidente Vendola e CGIL-CISL-UIL –ha commentato l’Assessore al Lavoro “come reazione della Regione alla crisi economica e sostegno ai più deboli, in questo particolare caso ad una categoria di lavoratori che quando vengono espulsi per crisi aziendali dal mondo del lavoro trovano immense difficoltà ad essere reimmessi finendone ai margini in condizioni economiche disperate”.

Il bando, che si accompagna ad altri varati dalle Province a seguito della delega di funzioni e competenze trasmessa dalla Regione, servirà non solo a sostenere e riqualificare questa parte del mondo del lavoro che è fra le più marginali ed emarginate ma anche a consentire agli Enti di formazione accreditati di sperimentare processi di “formazione continua” di qualità e a riprendere la propria tradizionale attività.

da GrandeSalento

29 OTTOBRE 2009 PIAZZA NAVONA I MOVIMENTI CONTRO LA SVOLTA AUTORITARIA, CONTRO VECCHI E NUOVI FASCISMI


Un momento di mobilitazione e di confronto tra le lotte sociali della
città.

Un anno fa, il 29 ottobre 2008, i fascisti del Blocco Studentesco furono
cacciati da Piazza Navona, sventando così il loro tentativo di
infiltrazione nel movimento studentesco dell'Onda. Da quel momento in poi
l'antifascismo divenne un contenuto condiviso nelle scuole e università in
mobilitazione. Quell'episodio fece luce sulla vera natura dei “burattini
del potere”, squadristi al servizio di un potere costituito interessato a
criminalizzare e reprimere i conflitti sociali che, specialmente in tempi
di crisi, nascono e si sviluppano nel corpo vivo della società.
UN ANNO DOPO ANCORA IN PIAZZA

Ad un anno esatto da quei fatti vogliamo riprendere il filo del discorso,
senza inutili intenti commemorativi. In questi dodici mesi i fascisti non
hanno cessato di fare il loro sporco lavoro contro i movimenti e contro
quei soggetti sociali che non rientrano nella loro visione distorta
incentrata sullo slogan “Dio, patria e famiglia”. Si sono anzi
moltiplicate le aggressioni xenofobe e omofobe, le provocazioni nelle
scuole e nelle università, i loro tentativi di dare vita ad una guerra tra
poveri che distolga il “popolo” dall'individuare i veri responsabili
della crisi, della precarietà, della devastazione ambientale, le loro
strumentali iniziative sul corpo delle donne. E' chiara ormai la loro
perfetta internità ad una logica di governo che vede speculatori, mafiosi
e piduisti farla da padrone: in questo senso risulta falsa e mistificatoria
la loro pretesa di avvalorarsi come soggetti antisistema essendo invece tra
gli agenti principali di quella ”strategia della paura” divenuta ormai
strumento di governance delle contraddizioni sociali. In questo senso è
emblematica la recente vicenda in cui Casa Pound ha preteso di esprimere
solidarietà ai glbtq “italiani” indicando il nemico nello straniero
violento tentando un'operazione culturale di deviazione della controparte.
Purtroppo dobbiamo prendere atto anche di una pericolosa volontà di
“dialogo” da parte di alcuni sedicenti rappresentanti dei movimenti che
rischiano di legittimare i picchiatori, pretendendo di mettere sullo stesso
piano oppressi e oppressori. Esprimiamo invece piena solidarietà agli
antifascisti e alle antifasciste che a Napoli, Pistoia, Torino, Reggio
Emilia si sono mobilitati con forza per togliere spazio agli squadristi
mettendo in chiaro che per loro non ci sarà futuro in questo paese.

CONTRO IL NUOVO AUTORITARISMO

Tira una brutta aria in questo paese. Oltre al protagonismo di una destra
fascista che ha aperto più di un cuneo nella società grazie all'appoggio
governativo e all'ambiguità e inconsistenza di un'opposizione sempre
troppo attenta agli interessi dei poteri forti, dobbiamo constatare
l'avanzata di una pericolosa deriva autoritaria che investe da una parte i
movimenti di opposizione sociale e dall'altra tutti quei comportamenti e
quelle pratiche ritenuti devianti rispetto alla norma. La conflittualità
sociale viene ricondotta esclusivamente a problema di ordine pubblico, il
libero arbitrio in campo sessuale e culturale stigmatizzato come dannoso
per la coesione di una “comunità di popolo” funzionale al
ricompattamento dietro ai voleri del “capo”. Dietro tutto ciò agisce
la volontà di gestire a suon di manganellate gli effetti sociali della
crisi economica, gli inevitabili conflitti che provoca, l'esigenza di
organizzarsi di settori sempre più ampi delle classi subalterne, la
volontà di uscire dal ghetto dei nostri corpi liberi e desideranti.
La repressione colpisce, e colpisce duro. La recente sentenza del processo
d'appello per i fatti di Genova del 2001 è paradigmatica: una decina di
manifestanti risultano gli unici colpevoli, condannati con pene da 8 a 15
anni per avere sfasciato delle vetrine, mentre i responsabili dell'ordine
pubblico ne escono immacolati. Colpisce l'uso aberrante di fattispecie
penali come “devastazione e saccheggio”, così come deve far riflettere
l'uso di reati come “rapina aggravata” per chi occupa un supermercato
contro precarietà e carovita, “estorsione” e “associazione a
delinquere” per chi occupa le case sfitte, le multe amministrative da
10.000 euro per gli operai che fanno un blocco stradale, ecc.
In questa città, dominata dai palazzinari e dalle mafie, è partita la
politica dello sgombero contro case occupate e centri sociali (vedi
“Regina Elena”,“8 marzo”, “Horus”, “Giap”). Si limita la
libertà di manifestare con i protocolli anti-cortei, si perseguitano
lavavetri e barboni fomentando le pulsioni più reazionarie della
popolazione, si rastrellano gli uomini in base al colore della pelle (la
vicenda del Pigneto). E si potrebbe continuare a lungo.
Il varo del pacchetto sicurezza ha invece riportato il nostro paese agli
anni bui delle leggi razziali, riducendo le persone migranti a pura
merce-forza lavoro, da utilizzare fino a quando serve e da cacciare (o
rinchiudere nei lager/Cie) quando il mercato del lavoro non ha più bisogno
di loro.

APRIAMO PERCORSI DI LIBERAZIONE PER TUTTI E TUTTE

Sono sotto attacco le lotte sociali e i soggetti che agiscono in prima
persona nei movimenti. Si restringono gli spazi di libertà per i soggetti
organizzati e per le singole persone che criticano l'esistente. Da più
parti nasce l'esigenza di uscire dall'isolamento in cui troppo spesso le
realtà in lotta si trovano ad operare. Gli studenti, gli occupanti di
casa, i precari, i movimenti glbtq, i movimenti dei migranti, i lavoratori
e le lavoratrici alle prese con la crisi, hanno bisogno che si
ricostituisca una comunità solidale che agisca la pratica del mutuo
appoggio e della mutua attenzione, che sappia riconoscere quel “noi”
fondativo di una nuova stagione di lotta e di liberazione. Per iniziare
questo percorso, coscienti che l'opposizione al nuovo autoritarismo non
sarà una passeggiata, convochiamo una giornata di mobilitazione e di
confronto, di racconto e di proposta, finalizzata all'apertura di una
campagna condivisa contro l'autoritarismo e i fascismi vecchie nuovi che
sappia parlare a tutta la città. Una giornata arricchita da performance
teatrali e proiezioni video, aperta ad ogni altro contributo creativo che
si vorrà proporre.

ASSEMBLEA PREPARATORIA FACOLTA’ DI FISICA “LA SAPIENZA” MARTEDI 27 ORE 17

***PIAZZA NAVONA - 29 OTTOBRE 2009 DALLE ORE 17***

ANTIFASCISTE E ANTIFASCISTI DI ROMA
da Indymedia

Contestata rai 3 calabrese ad Amantea: una protesta popolare , non le urla di qualche facinoroso!

Contestazione popolare della rai calabrese ad amantea manifestazione contro la nave dei veleni 24.10.09

Alcuni interessanti video sulla manifestazione di amantea del 24 ottobre scorso.

In particoalre si tratta dei momenti in cui la rai viene contestata dalla cittadinanza perchè il servizio publico voleva dare voce ai soliti politici e soprattutto ad associazioni che non erano certo fra le organizzatrici. I video sono molto eloquenti e fanno capire il clima che si respirava in piazza.
La contestazione è stata popolare quindi, non di certo riconducibile alle forze ultraradicali, come si legge in taluni comunicati.

Ecco il video in cui una signora di crotone insieme a molti altri cittadini contesta la rai. In piazza nessuno voleva che a parlare al tg della rai calabrese dovevano essere solo i prescelti politici e le associazioni fantasma.
A contestare, dunqeu, non erano sparsi facinorosi ma gente comune gente esasperata dai veleni e dai silenzi.



Musmeci, in questo video invece, manda la gente a fare in culo , i cittadini, non i facinorosi
contestano la rai calabrese. "Noi siamo tutti con la signora" , questo dice la cittadinanza!
Musmeci dice invece : "stai calmo e non romepre le palle. Ma va fa n'culu va..." E' davvero un giornalista molto fine ed elegante.



da Indymedia



Su, venite a giocare d’azzardo in Italia!


L’Italia è stupenda. Sicuramente lo sapete già. Ma, nonostante tutte quelle meraviglie naturali e culturali, in Italia il turismo non va così a gonfie vele come potrebbe. L’anno scorso il numero dei visitatori nel paese è diminuito del 2%. La crisi ne è stata in gran parte la causa. Ma, secondo il ministro del turismo, Michela Brambilla, anche l’esportazione delle storie sugli scandali del premier e sullo stato in cui versa la democrazia italiana hanno nuociuto molto al turismo.

Questa settimana, il ministro ha presentato un ambizioso piano per far nuovamente crescere il turismo verso il ‘bel paese’ (in italiano nel testo, ndt). Lo scopo si dovrebbe raggiungere dando ad ogni comune la possibilità di aprire un casinó. Attualmente è possibile giocare alla roulette, a black jack e ad altri giochi di quel genere solo in quattro casinó ufficiali: a Campione, San Remo, Saint Vincent e Venezia.
In futuro ogni albergo a cinque stelle potrà aprire il proprio casinó. Con restrizioni, certo. Massimo uno per comune, gli avventori del casinó dovranno pernottare nello stesso albergo e una grande percentuale dei profitti andrà a finire nelle casse dello Stato.
La Brambilla pensa di conquistare così molti turisti che ora vanno in Slovenia (17 casinó) o in Spagna (13).

Come spesso accade con l’attuale governo, il provvedimento sembra essere favorevole soprattutto a costruttori e immobiliaristi, che così vedranno aumentare il valore dei loro lussuosi alberghi. Le reazioni perciò sono state prevalentemente negative. I sindacati, l’organizzazione degli operatori nel settore del gioco d’azzardo: nessuno è favorevole. Persino il collega ministro della Brambilla, Giulio Tremonti , che grazie ai casinó vedrebbe aumentare le entrate nelle sue casse dello Stato, ha dei dubbi. “Dobbiamo ancora parlarne”, è stata la sua chiara risposta alla domanda su cosa ne pensasse. “È solo una proposta”.

E l’immagine dell’Italia, come la mettiamo? Con un casinó in ogni comune che abbia un albergo di lusso, l’Italia diventerà il posto ideale in cui riciclare denaro per i mafiosi di tutto il mondo. 30 siti di quel genere in Lombardia, 36 in Campania, più di 20 a Roma, nei suoi dintorni e in Sicilia. Se questo poi promuoverà l’immagine…?

da Indymedia

Alessandro Santoro, prete delle Piagge, sollevato dall'incarico


Il vescovo di Firenze ha sollevato Alessandro Santoro, prete della comunità delle Piagge di Firenze, dopo il matrimonio celebrato domenica 26 ottobre di una donna nata uomo.

Alessandro Santoro, prete della comunità di base della Piagge, di Firenze, è stato sollevato dalla «cura pastorale della comunità». Così la chiesa di Firenze, in un comunicato, prende posizione in merito alla celebrazione avvenuta domenica a Firenze dove don Santoro [da molto tempo «collaboratore» di Carta e promotore di iniziative come Democrazia chilometro zero] – ricorda il sito Altracitta.org – ha celebrato le nozze di una donna nata uomo.
«Tale simulazione – si legge nella nota – è stata posta in atto da don Alessandro Santoro in contrasto con le disposizioni più volte dategli dai superiori, primo fra tutti il ‘precetto’ che gli fu formalmente intimato dal Cardinale Ennio Antonelli il 15 gennaio 2008, successivamente rinnovato nei colloqui e negli scritti intercorsi con l’Arcivescovo Giuseppe Betori». Un «atto – prosegue – che assume particolare gravità in quanto genera inganno nei riguardi delle due persone coinvolte, che hanno potuto ritenere di aver celebrato un sacramento laddove ciò era impossibile». «Gesti come quello posto da don Alessandro Santoro – si legge ancora – contraddicono il ministero di pastore di una comunità, per la quale il sacerdote deve rappresentare la voce autentica dell’insegnamento dottrinale e della prassi sacramentale della Chiesa cattolica». Dal punto di vista formale, la comunità delle Piagge era stata affidata ad Alessandro Santoro, come cappellania il 14 settembre 2006, ma presso la quale egli ha svolto azione pastorale fin dal 1994. L’Arcivescovo chiede a don Alessandro«di vivere un periodo di riflessione e di preghiera».

Pubblichiamo il racconto diffuso da altracitta.org della giornata di domenica 26 ottobre.
«Ieri alle Piagge si respirava un’atmosfera insolita per un matrimonio. Tutto era come sempre: le sedie messe in circolo, il grande crocefisso di legno, cartelloni, disegni e documenti a testimoniare le tante attività svolte dentro questo luogo di incontro, che è chiesa, scuola, redazione, sala riunioni. C’erano come sempre tanti bambini, seduti accanto al prete, dietro l’altare, più o meno silenziosi ma certo partecipi di un momento importante, forse storico. C’era la gente delle Piagge, raccolta e pensierosa, con l’animo in subbuglio e il fiato sospeso.
Perché ieri due persone consacravano la loro unione, già benedetta da trent’anni di amore e fiducia, ma un’altra unione era lì sull’altare, pronta al sacrificio in nome dell’obbedienza. Non quella al diritto canonico: l’obbedienza al precetto di amore del Vangelo. A questa obbedienza Santoro non può non adempiere, come ha spiegato durante la messa, ed è per fedeltà verso la sua gente che non ha potuto non celebrare questo matrimonio.
L’unione di Sandra e Fortunato, ha detto ancora Santoro, è amata da Dio. A questo proposito ha citato un episodio narrato negli Atti degli Apostoli, quando lo Spirito Santo discende anche sui non circoncisi. Un segno dell’accoglienza di Dio anche per i «non conformi», la stessa accoglienza che è stata alla base di tutta le azioni della Comunità delle Piagge, un modo di agire del resto ovvio, naturale e imprescindibile in un quartiere dove la realtà vera delle persone è fatta di passi falsi, incidenti, peccati ed omissioni. Come tutta la realtà umana.
Alessandro Santoro, prete, si è immerso in questa realtà difficile e spigolosa, l’ha condivisa, ci ha fatto a pugni, l’ha abbracciata, l’ha fatta sua. Certo anche a questo pensava nel lungo momento di preghiera e riflessione che lo ha visto appoggiarsi alla parete sotto la croce, con la testa fra le mani. Intanto il canto parla di cose passate a cui non pensare più, di cose nuove che fioriranno, e la commozione sale. Tanti hanno gli occhi lucidi, qualcuno piange apertamente. Il pensiero corre al dopo. Cosa succederà adesso, come reagirà la Curia? Sospensione, allontanamento? Qualunque cosa sarà, dovremo accettarla: su questo punto Santoro è fermo. Il matrimonio si celebra, gli anelli benedetti vengono scambiati, gli sposi si promettono amore e fedeltà. Tutti ci stringiamo le mani, in un abbraccio collettivo che è un flusso di energia e una promessa per il futuro. Continueremo, ci saremo, resisteremo. Anche se questo sacramento probabilmente sarà annullato, ricorda Santoro agli sposi, non lo sarà per noi, non lo sarà per Dio, che vi ama. Potremmo dire: l’uomo non separi ciò che Dio ha unito. Certi che vale anche per la Comunità delle Piagge».

da Carta

Noi sappiamo. Sono anni che sappiamo


di Barbara Spinelli*
Sono anni che ci domandiamo come tutto ciò sia potuto accadere: il senso della legge che si sfibra, lo Stato che suscita timore o disprezzo perché s’accomoda con l’illegalità e rinuncia al controllo del territorio, che non interviene prima delle catastrofi ma solo ai funerali.
E la democrazia che si perverte, divenendo qualcosa di prevaricatore: come un diritto divino che si dà all’Unto delle urne. Il diritto a giocare con le leggi come il dittatore-Charlot gioca con il mappamondo: a considerare legittimo quello che è illegale, illegittimo quello che è legale, dunque a sovvertire categorie, istituzioni, leggi che nella Repubblica sono ferme, durevoli, non legate alla durata effimera delle maggioranze e legislature. Sono considerati illegittimi i poteri legali di controllo sul governo, perché non eletti direttamente dal popolo; è considerata illegittima la separazione tra i vari poteri dello Stato, perché controbilanciandosi a vicenda minacciano di fare quel che ogni costituzione liberale prescrive: frenare l’abuso della forza cui tende ogni potere che non trovi davanti a sé un limite.

Sono anni che ci interroghiamo su questo male che non viene estirpato – la mafia, la mafia che senza la politica non vivrebbe – e che prolifera nelle condizioni che ho descritto: in particolare ci interroghiamo sulla lunga storia italiana di trattative fra una parte dello Stato e la malavita, con poteri più o meno occulti che mediano fra due potenze facendone due entità paragonabili, dotate di diritti analoghi e di analoga forza d’influenza. Anche per il potere della malavita, non solo per il potere legale, dovrebbero a questo punto valere le parole di Montesquieu : "Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere".
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Forse però è venuto il momento di dire quello che sappiamo, e non solo di formulare domande su noi stessi e sul nostro paese. Di dire, come fece Pasolini il 14 novembre del 1974 a proposito delle trame eversive e dei golpe tentati in Italia, che in realtà:

Noi sappiamo. Sono anni che sappiamo, anche se spesso non abbiamo tutte le prove e tutti gli indizi. Sappiamo che le trattative sono esistite, e si sono prolungate (secondo pentiti che hanno parlato) almeno fino al 2004. Sappiano che viviamo ancor oggi – con le leggi che rendono difficoltosa la lotta alla mafia, con lo scudo fiscale e altre misure che ostacolano la rintracciabilità dell’evasione – sotto l’ombra di un patto. Sappiamo il dolore e la morte che mafia, camorra, ‘ndrangheta hanno provocato lungo i decenni. Sappiamo il sacco di Palermo, e di tante città, sobborghi: sacco che continua. Sappiamo che l’Italia si va sgretolando davanti ai nostri occhi come fosse un castello che abbiamo accettato di fare di carta, anziché di mattoni e di buon cemento non fornito dalla mafia - sì, noi l’abbiamo accettato, noi che eleggiamo chi ha il potere di favorire o frenare il potere della malavita. Sappiamo che basta leggere le sentenze, oltre che le inchieste di giornalisti coraggiosi – anche le sentenze che assolvono gli imputati per mancanza di prove o, peggio, per prescrizione – per conoscere le responsabilità di uomini politici e amministratori che, per essersi lungamente compromessi con la malavita organizzata, per aver conquistato e mantenuto il potere con il suo ausilio, non dovrebbero essere chiamati coi nomi, nobili, di rappresentanti del popolo o di statisti.
Tutte queste cose, come avviene nei paesi che son vissuti o vivono sotto il giogo di un potere totalitario, le sappiamo grazie a persone che hanno deciso di parlare, di denunciare, di testimoniare, e non solo di parlare ma di rimboccarsi le maniche e cominciare a costruire un’Italia diversa: tra i primi voi dell’associazione LIBERA, e i giudici che hanno indagato su mafia e politica sapendo che avrebbero pagato con la vita, e uomini come Roberto Saviano, e giornalisti che esplorano le terre di mafia come Anna Politkovskaja esplorava, ben sapendo di essere mortalmente minacciata, gli orrori e le torture della guerra russa contro i ceceni.
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Sono i medici dell’Italia, siete i medici dell’Italia. Ma medici che osservano un giuramento di Ippocrate speciale, di tipo nuovo: resta il dettato che comanda l’azione riparatrice, risanatrice. Nella sostanza, l’obbligo di non nuocere, di astenersi da ogni offesa e danno volontario, di “entrare nelle case per il sollievo dei malati”. Ma cade il comandamento del segreto, vincolante in Ippocrate. Il giuramento che comanda: “Tutto ciò ch'io vedrò e ascolterò nell'esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev'essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta”.
Il paragrafo del giuramento cade, perché troppo contiguo – nella nostra attività medica – alla complicità, al delitto di omertà: questa parola che offende e storpia la radice da cui viene e che rimanda all’umiltà, all’umirtà. La vera umiltà consiste nel riscrivere il giuramento, nel trasformare il silenzio in parola, nel far letteralmente parlare le pietre o meglio il cemento, le terre e i mari inquinati, poiché è denunciando il male che il male vien conosciuto e che la guarigione può iniziare. Non c’è azione senza parola che circola liberamente e non c’è guarigione senza infrazione del segreto. Per questo l’informazione indipendente è così importante, in Italia: spesso lamentiamo un’opinione pubblica indifferente, ma prima di esser aiutata a divenire civica, responsabile, nel paesino più piccolo come nella grande città, l’opinione deve essere bene informata: con parole semplici, non specialiste, con esempi concreti, con un linguaggio che non presupponga, nell’interlocutore, la conoscenza di difficili dossier. I medici di cui ho parlato – medici dell’Italia e delle sue parole e della sua natura malate – combattono proprio contro questo silenzio, che protegge i mafiosi, copre gli oscuri patteggiamenti fra Stato e mafia, e lascia senza protezione le loro vittime. I medici dicono, denunciano pubblicamente, danno alle cose un nome, e su questa base agiscono.
Senza di voi, sarebbe davvero difficile parlare senza vergogna dell’Italia, per chi vive fuori di essa. Tanto più difficile quando quasi tutti i suoi politici e tanti giornalisti esitano perfino a pronunciare la parola – Italia – e s’ostinano a usare il termine “questo paese”, con un certo sprezzo. La guarigione comincia anche con l’abbandono di vocaboli così elusivi. Smettiamo di dire a ogni passo “questo paese” invece di: Italia. Quando dico questo paese prendo distanza da esso, mi sento meno responsabile. Non servo il suo Stato ma me ne servo, facendolo coincidere con “quel paese lì”, che se ne sta lontano da me.
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C’è un modo invece di servire lo Stato che chiamerei paradossale: si serve lo Stato, pur sapendo che esso è pervertito, che nella nostra storia c’è stato più volte un doppio Stato. Uomini come Falcone, Borsellino, il giudice Chinnici, Don Giuseppe Puglisi, Don Giuseppe Diana, e i tanti uomini delle scorte avevano questa fedeltà paradossale allo Stato. Uomini così sono come esuli, come De Gaulle che lasciò la Francia quando essa fu invasa dalle truppe di Hitler e dall’esilio londinese disse: la Francia non coincide sempre con la geografia. Quel che rappresento è “una certa idea della Francia”, che ha radici nella terra ma innanzitutto nella mente di chi decide, esiliato, di entrare in resistenza attiva e sperare in un mutamento.

La riconquista del territorio e della legalità è come la speranza, anch’essa sempre paradossale. Prende il via da una perdita del territorio, dalla consapevolezza che se lo Stato non ha più presa su di esso, ciascuno di noi perde la terra ferma e pulita sotto i piedi. E quando dico territorio perduto dico le case che franano non appena s’alza la tempesta, i terremoti che uccidono più che in altre nazioni, l’abitare che diventa ingrato, aleatorio, brutto, perché la costruzione delle case avviene in fretta, con cemento finto, fatto di sabbia più che di ferro, procurato da mafia e camorra. Come nella lettera di Paolo ai Romani, è da una situazione di debolezza che si parte, altrimenti non ci sarebbe nemmeno bisogno di sperare: “Ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza”.
Ecco, per ora speriamo quel che non ancora vediamo: speriamo in una cultura della legalità, in una politica del territorio restituito a chi vuole abitarlo nella decenza. Per ora abbiamo una certa idea dell’Italia e della legalità e della lotta alla mafia. Ma se sappiamo quel che accade in Italia da tanto tempo, pur non avendo tutte le prove, già metà del cammino è percorsa e il nostro agire diventa non solo necessario ma anche possibile. Anche questo Paolo lo spiega molto bene, quando elenca le tappe che si percorrono sulla via della speranza. Prima vengono le afflizioni, la conoscenza del dolore di cui sono intessute le cose sperate. Le afflizioni producono la pazienza, e questa a sua volta genera la virtù provata, la messa alla prova attraverso l’azione. Sul suolo dell’esperienza e della virtù provata, infine, nasce la speranza e a questo punto la prospettiva cambia e il cammino si fa chiaro. Allora sappiamo una cosa in più, preziosa: non si comincia con lo sperare, per poi agire. Si comincia con la messa alla prova attraverso l’azione, e solo dalla messa alla prova nascono la speranza, la sete di trovare l’insperato, l’anticipazione attiva – già qui, ora – di un futuro possibile.
Ha detto una volta Giancarlo Caselli una cosa per me non dimenticabile: “Se essi sono morti (parlava di Falcone, di Borsellino) è perché noi tutti non siamo stati vivi: non abbiamo vigilato, non ci siamo scandalizzati dell'ingiustizia; non lo abbiamo fatto, non lo abbiamo fatto abbastanza, nelle professioni, nella vita civile, in quella politica, religiosa”. Per questo corriamo il rischio, sempre, di disimparare perfino la speranza. Di disimparare l’arte che Nando Dalla Chiesa ha spiegato così bene, in questi Stati Generali dell’antimafia: l’arte che consiste nel rispondere allo sfondamento avversario con il presidio, l’accerchiamento, e il contrattacco.

*Testo dell'intervento di Barbara Spinelli letto dall'autrice a Contromafie 2009
da AntimafiaDuemila

L’Uruguay al ballottaggio a fine novembre

José Pepe Mujica, candidato della coalizione di sinistra, Frente amplio, non ha ottenuto la maggioranza assoluta alle elezioni per la presidenza dell’Uruguay. Ci sarà il ballottaggio a fine novembre con Luis Alberto Lacalle, candidato del Partito nazionale, già presidente del paese dal 1990 al 1995. Per battere Mujica, 74 anni, ex esponente dei tupamaro ed ex ministro dell’agricoltura, Lacalle potrà contare anche sui voti del terzo candidato, Pedro Bordaberry, del Partito colorato.–El País, Spagna

Il processo a Karadzic si apre senza di lui.

Radovan Karadzic non si è presentato di fronte alla corte del Tribunale penale internazionale dell’Aja che deve giudicarlo per genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità compiuti durante la guerra in Bosnia. Karadzic, ex leader politico dei serbo-bosniaci, ha scelto di difendersi da solo e ha dichiarato di non aver avuto abbastanza tempo per organizzare la sua difesa. Il giudice O-Gon Kwon ha quindi aggiornato il processo a domani sostenendo che, se l’imputato non si presenterà, sarà valutata l’opportunità di assegnarli un legale d’ufficio.–The Daily Telegraph, Gran Bretagna

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Gli Stati Uniti sono con il popolo e il governo iracheni.

Dopo il doppio attacco suicida che domenica mattina ha colpito il il ministero della giustizia a Baghdad, provocando 132 morti e più di cinquecento feriti, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha espresso il suo appoggio agli iracheni e al loro governo. Il più sanguinoso attacco dal 2007, sembra essere un avvertimento in vista delle prossime elezioni previste a gennaio del 2010. Obama ha ribadito che gli Stati Uniti saranno accanto all’Iraq nella preparazione delle elezioni, come amici e partner, continuando ad assumersi le responsabilità di assicurare un futuro di pace al paese.–The New York Times, Stati Uniti

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Tunisia: il presidente uscente vince le elezioni per la quinta volta.

Zin el Abidine Ben Ali, presidente della Tunisia dal 1987, è stato eletto con l’89,62 per cento dei consensi. Gli altri tre candidati non hanno superato il 5 per cento. Anche alla camera il partito del presidente, il Raggruppamento costituzionale democratico (Rdc), ha ottenuto 161 seggi su 214. I restanti 53 saranno proporzionalmente divisi tra altri sei partiti. La campagna elettorale ha messo in luce la grande differenza di fondi e organizzazione tra le forze politiche del paese.–Le Monde, Francia

da Internazionale

Indonesia, trecentomila famiglie senza casa


Con l'arrivo della stagione delle piogge si aggravano le condizioni degli sfollati

E' trascorso poco più di un mese dal terremoto che ha scosso l'Indonesia, facendo almeno 1.117 morti e costringendo un milione e duecentocinquanta mila persone ad abbandonare le proprie case. Ora che si avvicina la stagione delle piogge tropicali sono almeno trecentomila le famiglie sfollate che hanno bisogno di un riparo e di assistenza e che si trovano alle prese con servizi igienici scadenti, ma soprattutto con la cronica difficoltà di reperire cibo e acqua. Nonostante il governo indonesiano abbia dichiarato la fine dell'emergenza, le condizioni della maggior parte della popolazione restano gravi. Peacereporter ha intervistato Emerico Laccetti, comandante del dipartimento operativo della Croce rossa italiana, attualmente a Padang, uno dei centri maggiormente colpiti dal sisma.

Di che cosa si occupa la Croce Rossa nello specifico?

La Croce rossa ha stretto un accordo bilaterale con quella indonesiana per dare un supporto logistico ai volontari locali. La Croce rossa di Giacarta si è subito mossa per portare i primi soccorsi ma i volontari non avevano alcun punto di riferimento e non sapevano nemmeno dove alloggiare. Noi abbiamo aperto due campi, uno a Padang e l'altro a Pariaman, per ospitare i 160 volontari indonesiani e dare loro vitto e alloggio. Sono rimasti soddisfatti, anche se si è registrato qualche difficoltà con i bagni. Gli indonesiani sono molto attaccati alle loro tradizioni e, visto che i loro servizi igienici sono molto diversi dai nostri, faticano ad abituarsi. Stiamo pensando di trasformare i bagni-container in docce e realizzare delle toilette più simili alla loro concezione. Doneremo la nostra struttura alla Croce rossa indonesiana e ora stiamo cercando di insegnare loro ad averne rispetto. Noi tenteremo di apportare tutte le modifiche necessarie, ma a loro noi chiediamo di avere cura, in modo da poterla utilizzare anche in futuro.

C'è un rischio epidemia nel Paese?

Direi proprio di no. C'è una grossa carenza sanitaria, ma non c'è un problema di epidemie. C'è stato qualche caso di malaria, ma nulla di grave E' gente abituata a vivere in condizioni igieniche precarie e ha sviluppato degli anticorpi molto resistenti. Penso ci sarebbe bisogno di investire nella sanità, ma gli indonesiani hanno una mentalità abbastanza chiusa. Accettano gli aiuti materiali, non si fidano però delle persone. Nel mio staff ci sono anche alcuni medici, ma faticano ad essere accettati e ascoltati. L'Indonesia è il Paese delle contraddizioni: lusso sfrenato e povertà estrema convivono in un equilibrio che a noi può sembrare paradossale. Questi contrasti sono emersi con tutta la loro forza anche nell'emergenza generata dal terremoto. Ci sono persone e quartieri che in pochissimo tempo si sono ripresi e per i quali il sisma è solo un ricordo, altri dove regna la miseria più nera.

A che punto è la ricostruzione?

In questo momento di ricostruzione non se ne parla ancora. Si procede alla demolizione delle poche abitazioni rimaste in piedi, ma è un'operazione molto lunga. Qui tendono a costruire le case una accanto all'altra e nel crollo si sono creati come dei piccoli ripari dove le persone si rifugiano a vivere. Piuttosto che stare nelle tende, molte persone preferiscono rimanere in quel che resta della loro abitazione. Bisogna allora convincerle a trasferirsi e procedere poi alla demolizione di queste strutture pericolanti. Ultimamente vediamo in giro anche molte ruspe del governo che raccolgono il ferro. Non ho conferme ufficiali, ma secondo i locali questo materiale viene venduto per finanziare la futura ricostruzione.

Le scuole hanno ripreso la loro attività?

Sì, quasi subito: i bambini vanno a scuola quotidianamente. Tutte le strutture pubbliche, in generale, hanno ripreso a funzionare normalmente e non sono state danneggiate. Sono evidentemente state costruite con un materiale anti-sismico molto resistente. A subire dei danni è stata solo l'unica chiesa cattolica della zona, ma è già stata allestita una struttura alternativa dove celebrare la messa.

di Benedetta Guerriero da PeaceReporter

Honduras, ucciso il nipote del presidente golpista, Roberto Micheletti


Aveva 24 anni. Il suo corpo è stato trovato in un bosco, crivellato di colpi

Il cadavere di Enzo Micheletti, nipote 24enne del presidente golpista dell'Honduras, Roberto Micheletti, scomparso venerdì scorso è stato trovato in un bosco vicino Choloma, 250 chilometri a nord della capitale Tegucigalpa.L'uomo, ha reso noto la polizia, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco. Il ritrovamento è avvenuto domenica. Vicino a quel corpo senza vita, anche un altro non ancora identificato. Non risulta che il giovane Micheletti si occupasse di politica. Intanto, Roberto Micheletti, alla guida del paese dal mese di giugno, da quando cioè l'allora presidente Manuel Zelaya è stato cacciato e costretto all'esilio, ha respinto la richiesta del presidente legittimo, ancora rifugiato nell'ambasciata barsiliana a Tegucigalpa. Zelaya insiste per tornare ad occupare il suo incarico prima delle prossime elezioni del 29 novembre, ma le autorità al potere non hanno accettato la richiesta.

da PeaceReporter

Israele-Palestina. La denuncia di Amnesty: lo stato ebraico nega l'acqua ai palestinesi


Il rapporto della Ong fa infuriare il governo di Tel Aviv, che respinge le accuse

Il nuovo rapporto di Amnesty International da infuriare Israele. La Ong denuncia come lo stato ebraico conceda ai palestinesi in Cisgiordania l'accesso solo a una frazione dell'acqua proveniente dalla falda acquifera montana che le due parti condividono. Secondo la Autorità israeliana per le risorse idriche "il consumo di acqua da parte dei palestinesi è costantemente cresciuto negli ultimi anni". Il divario fra il consumo di acqua di israeliani e palestinesi esiste "ma certo non nelle dimensioni descritte dal rapporto", ribatte Israele. Secondo l'esercito israeliano, che mantiene il controllo sulla Cisgiordania, "si tratta di un rapporto unilaterale, pieno di denigrazioni infondate, redatto senza che ad Israele sia stata fornita la possibilità di misurarsi con le accuse". "Israele vede nell'acqua una risorsa essenziale e non lesina sforzi - precisa l'esercito - per prestare assistenza alla Autorità nazionale palestinese". Dura reazione anche del ministro per le Infrastrutture Uzi Landau (Israel Beitenu), che paragona il rapporto di Amnesty a quello del giudice Goldstone sulla operazione Piombo fuso a Gaza. "Le loro conclusioni erano state stabilite in partenza, prima ancora del lavoro di ricerca", ha polemizzato il ministro.

di Stella Spinelli da PeaceReporter

Terremoto nel Pd fiorentino


di Riccardo Chiari

In procura a Firenze l’inchiesta è stata chiamata “Le mani sulla città”. Con questa spiegazione: “C’erano pubblici ufficiali a piena e continua disposizione di imprenditori e professionisti per agevolare e gestire le pratiche edilizie. Fra di loro anche Formigli, che è stato abilissimo a interpretare il duplice ruolo di consigliere comunale e di socio occulto della società di progettazioni Quadra. Mentre l’altro consigliere Barbaro era stato messo a capo della commissione urbanistica per attuare le intenzioni di Quadra”. Dalla voce dei sostituti procuratori Giuseppina Mione e Leopoldo De Gregorio, ecco quindi gli assai concreti motivi – corredati da intercettazioni telefoniche e ambientali, riprese video e documenti assortiti - che hanno portato il giudice delle indagini preliminari Rosario Lupo a mandare agli arresti domiciliari Alberto Formigli, ex capogruppo del Pd in Palazzo Vecchio, e denunciare a piede libero l’ex presidente della commissione urbanistica Antongiulio Barbaro, anche lui del Pd. Al tempo stesso il giudice Lupo ha disposto altre sei ordinanze di custodia cautelare. In carcere è finito il viceresponsabile dell’ufficio tecnico dell’assessorato comunale all’edilizia privata Giovanni Benedetti, agli arresti domicilari il suo diretto superiore Bruno Ciolli, i soci della società di progettazioni Quadra, l’ex dipendente comunale part-time Alberto Vinattieri, e soprattutto il potentissimo ex presidente dell’Ordine fiorentino degli architetti Riccardo Bartoloni. Indagati imprenditori e professionisti, anche assai noti in città, del settore edile. Insomma un, per quanto annunciato, terremoto.
Secondo le accuse, che parlano a vario titolo di associazione a delinquere, corruzione, truffa ai danni dell’amministrazione comunale, abuso d’ufficio e falso ideologico, Quadra si era imposta come una sorta di monopolio dell’edilizia privata, grazie alle complicità dei responsabili nell’ufficio tecnico comunale. In sede politica invece sarebbero stati Formigli e il suo successore alla presidenza della commissione urbanistica Barbaro ad attivarsi su varianti al piano regolatore, o derogare a regolamenti comunali influenzando delibere consiliari e atti di commissione. Formigli era stato uno dei fondatori di Quadra. Poi ne era uscito. Ma per la procura fiorentina sarebbe rimasto come socio occulto. Soprattutto come garante, in Palazzo Vecchio, del buon esito di pratiche edilizie curate sia dalla società che da altri privati.
“Quadra costituiva un concreto monopolio – tira le somme il procuratore capo Giuseppe Quattrocchi - andare da Quadra significava ottenere i permessi che si volevano. Più che di corruzione, si può parlare di vera e propria corrosione delll’etica pubblica”. A ruota il pm Mione: “In una intercettazione telefonica Barbaro afferma che non si muove foglia che il capogruppo non voglia”. I presunti abusi edilizi messi in atto sarebbero 21, in altrettante aree della città. Fra i tanti riscontri, hanno spiegato ancora i magistrati, ci sono anche filmati video in cui si vedrebbero imprenditori che operano direttamente sui pc dei dipendenti comunali. Mentre per la corruzione sono state rilevate somme di denaro poi investite in Ucraina. L’inchiesta era partita due anni fa, come filone di un’altra indagine in materia di viabilità, e aveva preso corpo anche con alcune anticipazioni pubbliche. Tanto che già l’anno scorso la cena natalizia del Cpa Firenze sud era stata propagandata con un esiliarante manifesto in cui Formigli era stato definito “Tutto Quadra”.

da IlManifesto

Il Toro passa di misura



LE PAGELLE

NARDO’:

Bassi 6 ; Quasi mai impegnato, si limita a qualche intervento di ordinaria amministrazione.

De Donno 6,5; Buona la sua prova, ordinato e sicuro.

Contessa 7; solita fonte di gioco sulla fascia. Difende bene e riparte sempre inserendosi col tempo giusto.

Tartaglia 6,5; il nuovo modulo gli permette di svolgere il suo compito a ridosso della difesa senza strafare.

Calabuig 6,5; Preciso e sicuro in tutte le chiusure difensive.

De Padova 6;Chiude e spazza.

Turitto (Frascolla 44’ s.t.) 5,5; Lavoro sporco fra centrocampo e attacco.

Ruggiero 6,5; Motorino di centrocampo; si fa notare perché gioca la palla senza spazzare.

Di Rito 7; bellissimo il tocco morbido di mezzo esterno che sigla il definitivo 1-0. Sbagli il raddoppio sotto porta.

Irace 6,5; Si muove molto meglio rispetto alle ultime uscite. Dà sostegno alle punte e si fa trovare pronto nelle chiusure a centrocampo.

Montaldi (De Benedictis 25’ s.t.) 6; Alterna buone giocate ad errori irritanti. Recupera un gran pallone a centrocampo e propizia l’azione del goal.

In panchina: Vetrugno, Petilli, Massarelli, Parlacino. All. Longo.


CERIGNOLA: De Blasio, Pasculli (De Tullio
30’ s.t.), Papagno, Ciardi, Palombo, Conte (Fiorella 40’ s.t.), Stramaglia, Porro (Saracino 18’ s.t.), Ventura, Battaglia, Balducci. In panchina: Renna, Borrelli, Corti, Monopoli. All. Notariale.

ARBITRO: Doronzo di Barletta.

MARCATORE: Di Rito
17’ p.t.

NOTE: ammoniti De Donno, Calabuig, Irace, Ciardi, De Tullio. Angoli 3-3.

La guerra civile fredda


di Daniele Luttazzi

Dopo aver introdotto nel dibattito pubblico il concetto di golpe al rallentatore, con cui illustrava, nel 2002, le analogie fra il piano piduista di Gelli e il programma berlusconiano, Daniele Luttazzi aggiorna spregiudicatamente il quadro con l’esame satirico della tappa successiva: la guerra civile fredda.

La “guerra civile fredda” è l’esito del progetto organico, reazionario, fatto di disuguaglianze e gerarchie, che è in atto da un ventennio nel Paese. Ne sono conseguiti, fra l’altro, un aumento del 553% della cassa integrazione, una manovra economica che beffa i ceti medi e un piano federalista che porterà alla divisione fra regioni di serie A (magari da annettere alla Carinzia) e di serie B.
Se risulta paradossale, allora, l’appoggio che col loro voto i cittadini italiani stanno dando alle politiche classiste che da anni li danneggiano, una spiegazione tuttavia c’è.

Che Berlusconi e la Lega continuino a vincere le elezioni; An si fonda col PdL; Di Pietro cresca nei sondaggi; il PD resti inconcludente; Prodi abbia battuto Berlusconi per ben due volte; la Chiesa attragga fedeli da duemila anni; e Grillo riempia i palazzetti e le piazze coi suoi Meet up; lo si deve innanzitutto al potere di una straordinaria tecnica di persuasione: la narrazione emotiva.

Circa trent’anni fa, le strategie del marketing politico USA hanno raggiunto un nuovo livello di consapevolezza con la scoperta, da parte dei think-tank di destra, che l’elettorato non vota in modo razionale, ma in base a suggestioni emotive. Il programma elettorale diventa secondario, se non sai come raccontarlo. Vinci le elezioni (è questo il grande trucco) se lo sai raccontare come una storia: una storia che crei con l’elettore un legame emotivo.

Nella nuova realtà politica, tutta emotiva, la popolarità sostituisce la legittimazione; la vittoria la credibilità; e i sondaggi l’ideologia. Una volta agganciato emotivamente, l’elettore sospende la propria capacità critica e finisce per votare anche chi, a conti fatti, non gli converrebbe.

In questo libro, stimolante e divertentissimo, la satira feroce di Daniele Luttazzi esplora in lungo e in largo i 5 elementi fondamentali della narrazione emotiva con un profluvio di casi tratti dalla cronaca più recente, mostrando come l’analisi narratologica riesca non solo a spiegare certi fatti, ma anche, soprattutto, a prevederli.

p.s. per chi si è allarmato ("Cos'è, un saggio politico?") non cogliendo la parodia (troppa tv ottunde): vi sbudellerete dalle risate.

(E' un saggio politico.)
da DanieleLuttazziBlog

Le mani sull'Università - il disegno di legge della ministra Gelmini


Venerdì 23 ottobre, alle ore 12, si sarebbe dovuto riuniure il Consiglio dei ministri. Uno dei temi caldi della discussione sarebbe dovuto essere il Disegno di legge per la riforma dell'Università. Il Consiglio è stato poi rinviato, perché Berlusconi e Tremonti, con la "spinta" di Bossi, dovevano e stanno tuttora discutendo le sorti della maggioranza: da una parte Bossi a sostegno di Tremonti e della sua linea economica del rigore, dall'altra Berlusconi e la sua proposta di taglio dell'Irap. Più in generale, gli equilibri della maggioranza. Eppure il disegno è pronto e aspetta una rapida approvazione, così come a gran voce continua a chiedere Giavazzi sul Corriere della Sera. Un disegno che raccoglie il progetto di trasformazione della governance con la tematica del merito, della valutazione, del prestito d'onore. Vi presentiamo il testo, in allegato, affinché possa da subito diventare occasione di discussione, in vista della prossima approvazione in Cdm e del successivo dibattito parlamentare. Rilanciare l'Onda significa ripartire dall'avanzamento dell'offensiva neo-liberale, dal mutamento di campo determinato dal movimento, da un'analisi materiale della forza della retorica meritocratica.

IL DISEGNO DI LEGGE IN PDF

da Uniriot

La gioventù errante

di Valeria Palermi

Trentenni smarriti. Ventenni grintosi e ambiziosi. Figli di un Paese che non li ama, ma decisi a non farsi rubare il futuro. Un popolo nomade.

Confuso e felice Giovani ad un concertoQuesta è una storia che comincia male e finisce bene. È una storia sui giovani, comincia male perché parte dall'Italia. Ma basta allargare lo sguardo oltre i confini nazionali e le cose vanno meglio. E i giovani, per fortuna, sono nomadi: 'Potenza nomade', anzi. Li hanno chiamati così a Rimini, alle Giornate internazionali di studio Pio Manzù, dedicate a 'valori, illusioni e speranze della gioventù errante'.

E già qui: potenza nomade o gioventù errante? In cammino verso una meta o vagabondi in cerca di un destino? Popolo allo stato liquido, secondo la metafora di Zygmunt Bauman, ovvero incerti, precari e confusi, o addirittura gassoso, per inconsistenza di progetti e prospettive? Gli sbeffeggiati bamboccioni o i potenti Millennials, che hanno mandato un nero sulla poltrona più importante del mondo?

I giovani sono un enigma demografico: si sottraggono a ogni tentativo di semplificazione. Del resto, se nella categoria oggi si infilano anche 35enni, che si pensano ancora debuttanti, vuol dire che il pianeta giovani è diventato una galassia. Dove si incontrano supernova e buchi neri.

Mal d'Italia Rispetto ai coetanei europei, gli italiani hanno tassi di occupazione e scolarizzazione più bassi, salari di ingresso inferiori, minori ammortizzatori sociali e possibilità di ascesa: siamo l'unico Paese europeo dove il tasso di disoccupazione è più alto tra i giovani laureati che tra chi ha un livello di istruzione inferiore. Il testimone che gli adulti gli passano è uno spaventoso debito pubblico, tutto questo sarà tuo. Leggere 'Contro i giovani' di Tito Boeri e Vincenzo Salasso (Strade Blu), per capire come i genitori italiani, pur amandoli molto, stiano in effetti divorando le vite dei figli. "C'è un caso Italia. Qui i giovani sono ancora alla ricerca di cittadinanza, politica ed economica", dice Paolo Balduzzi, ricercatore di Scienza delle finanze alla Cattolica di Milano. "Se la percentuale dei connazionali che emigra all'estero è del 5-6 per cento, tra i laureati sale al 7-8: più qualificato sei, più sei a disagio. L'Italia ha un problema di 'degiovanimento', come mostra uno studio condotto col professor Rosina (
degiovanimento.com): non è solo questione di bassa natalità, ma del minor peso specifico dei giovani nella nostra società.

Entrano tardissimo nel mondo del lavoro, e sempre più tardi ci entreranno visto che si vuole innalzare l'età della pensione. Stentano a valorizzare il loro capitale umano, perché lo Stato delega alle famiglie compiti che sarebbero suoi. Il 18enne danese chiede aiuto allo Stato, l'italiano ai genitori. In Francia e Gran Bretagna la classe politica non è più giovane della nostra, però pensa al futuro. La nostra no: il peso elettorale dei sessantenni è maggiore di quello dei Millennials. Il Welfare state è tra i più squilibrati a loro sfavore: non hanno potere. Una contromisura potrebbe essere abbassare a 16 anni l'età per l'elettorato attivo, e 18 quello passivo, l'abolizione delle barriere all'entrata nelle Camere, 25 anni per quella dei deputati e 40 per il Senato". Trentenni fregati dai genitori 68ini, o meglio da quelli che incendiavano il mondo nel '77? "La classe dirigente di oggi arriva da lì, dai figli del 18 politico", risponde Balduzzi: "Si può ripartire solo dal merito, dalla competizione. I ventenni ci credono".

La speranza sono loro. I Millennials, diventati maggiorenni nel XXI secolo. Nati dopo l'82, hanno tra i 18 e i 27 anni. Sono loro che hanno fatto vincere Obama con l'attivismo. "Negli Usa sono tanti, in Italia pochi. Conterebbero di più se facessero massa con i nati in Italia da genitori stranieri". A Milano oggi quasi un giovane su cinque è straniero, saranno loro a ringiovanire il Paese, ma per ora queste due fasce di giovani si temono.

I ventenni, dunque: meno bamboccioni dei trentenni, più propensi a rischiare, a uscire dalla famiglia. "Sono nativi digitali, nati nel mondo di Internet e dei computer, condividono più facilmente dei fratelli maggiori la tecnologia, che gli serve a passare valori e idee. Il fenomeno dell'Onda, nelle università, ha segnalato un risveglio dei giovani: mancano di rispetto ad autorità e genitori più di quanto abbiano mai fatto prima, e questo è un bene. Non sono scesi in piazza per il 6 politico, ma per difendere qualità degli studi e meritocrazia".

"Saranno capaci di essere élite? Sono preparati a prendere decisioni? Da vedere. L'Onda è una forma positiva di partecipazione, ma i giovani rifiutano la politica, la trovano aberrante", interviene Marisa Ferrari Occhionero, docente di Sociologia alla Facoltà di Scienze statistiche dell'Università La Sapienza di Roma. Libertà per loro non è partecipazione, ma sperimentazione. "Sono il prodotto di una società in trasformazione, perciò sperimentano: la Rete, forme di relazione, intelligenza collettiva, il privato che non è politico ma pubblico, grazie a Facebook o YouTube. Hanno una libertà di scelta mai vista: possono sposarsi o no, avere figli o no, restare in famiglia o no". È la generazione del pluralismo valoriale: poche certezze e ancor meno ombrelli protettivi, certo non i partiti, la chiesa o le istituzioni. "Nella scala di valori mettono al top la famiglia, poi amici e tempo libero. Ultimo il lavoro: sono immersi in una cultura dell'effimero. Io vivo in università, tra studenti e dottorandi, giovani dai 18 ai 33 anni: se gli chiedo come vedono il futuro mi rispondono 'Una minaccia'", chiosa la sociologa: "Alla Sapienza lavoriamo a uno studio sugli atteggiamenti sociopolitici degli studenti, effettuato con 2.089 interviste: ne viene fuori un disagio sociale forte. La fiducia nelle istituzioni è bassissima. Però è robusta l'etica sociale: credono al volontariato, sono aperti verso gay e stranieri, sono per l'integrazione. È una generazione multiculturale".

À la recherche di Harry Potter Peccato che noi adulti la loro cultura non la capiamo. Non ci sembra cultura, in effetti. "Il chitarrista Ted Nugent diceva, 'Se il volume ti sembra troppo alto, sei vecchio'. Gli apocalittici d'oggi dovrebbero ricordarsi come venivano trattati loro da giovani". Mafalda Stasi è un'esperta di controculture e linguaggi giovanili. Autrice di 'God save the Cyberpunk', vive da vent'anni all'estero, è professore associato all'Università VI di Parigi (mafaldastasi.net): "Credono in cose che non necessariamente capiamo. 'Ci vediamo su Facebook', la socialità per loro è questa. In classe hanno il portatile e non per i videogiochi: cercano su Google le cose di cui gli parli durante la lezione, si fanno da soli le note a piè di pagina. Producono cultura, a patto di saperla riconoscere: fanno 'opere trasformative' (transformativeworks.org/). Prendono racconti, musica, video, l'infinito materiale che si trova in Rete, e lo rimontano, lo espandono, gli danno nuova vita". È fan fiction, creata cioè da appassionati: prendo Harry Potter, un manga, Goldrake o la cara vecchia Candy Candy, e lo animo, lo rimonto, gli creo una colonna sonora, immagino nuovi finali. "L'Italia è ancorata agli steccati tra cultura alta e bassa da Scuola di Francoforte, stenta a riconoscere dignità alla fan fiction. Che invece a volte ha una qualità più alta di tante cose pubblicate, perché nell'editoria si fa spesso a meno del controllo degli editor (costano troppo), mentre tra loro i giovani fanno intelligenza collettiva: collaborano nel principio della 'mente alveare', dove ogni individuo agisce per il bene della collettività, qui per migliorare l'opera finale". Gratis, naturalmente, nel filone della Gift Economy: in parte un bene, in parte un problema. "Molti network ci guadagnano: mandateci contributi, li pubblicheremo. Senza pagare", prosegue Stasi: "Ma in Giappone è nato il Comiket, da comic market, e si pagano i fan perché producano nuove storie dai materiali originali: così si crea un vivaio di giovani autori".

Potenza Nomade Fare rete. Dare opportunità al talento dei giovani. Concetto poco italiano, ma degli italiani che ci credono ci sono. Per esempio Marco Marinucci e Gianluca Dettòri: il primo però, dirigente di Google e mente di Mind The Bridge, vive a San Francisco; il secondo, fondatore di Dpixel, che fa nascere e finanzia start up tecnologiche, fa lo shuttle tra Italia e Usa. Al summit del Pio Manzù andranno a parlare di come i giovani possano fare impresa: su Internet e in Silicon Valley. "Un principio di Silicon Valley è 'Give back', dà ad altri quello che hai avuto tu. Mind the Bridge (mindthebridge.org) nasce da qui: per far incontrare giovani italiani con altri italiani che nella Valle ce l'hanno fatta, imprenditori di prima generazione", spiega Marinucci: "Vogliamo creare eccellenza in Italia. Frenare la fuga dei cervelli, lavorare come fanno indiani e israeliani: coltivano i talenti anche all'estero perché restino nel loro paese. Ogni anno selezioniamo talenti da portare a veri business plan, gli insegniamo a presentare le loro idee, gli affianchiamo mentori. Alla fine apriamo la nostra rete, creiamo contatti". Problemi? I ragazzi italiani faticano a pensare in grande. "Una ricerca mostra che alla domanda 'Pensi di essere in controllo del tuo futuro?', il 70 per cento dei giovani americani risponde 'Sì', tra gli italiani solo il 30. Questa generazione in America crede nel rischio, pensa di poter fare, in Italia no. Come dargli torto? Negli Usa ti danno la prima e anche la seconda opportunità: pensano che chi ha provato e fallito ha imparato una lezione utile. Da noi un insuccesso ti segna per sempre".

Cacciatore di eccellenze è anche Dettòri. E ne trova: ventenni, trentenni che vogliono inventare il futuro. "Ogni anno a Dpixel riceviamo circa 500 business plan, da gruppi sulle tre persone: vuol dire che ci sono 1.500 ragazzi italiani ogni anno che puntano a creare la nuova Google. C'è un 22enne di Catania che forse riscriverà l'Internet di domani, studia frattali per sviluppare il software Netsukuku, cerca di risolvere enormi problemi matematici: un genio, mi fa pensare a John Nash. Dal suo lavoro potrebbe nascere l'Internet libera e gratuita per tutti. Telecom gli ha offerto una borsa di studio per Cambridge". I nativi digitali, che la tecnologia la respirano, Dettòri li incontra tutti i giorni: "Hanno meno di 30 anni e una marcia in più, ma sono frustrati: in Italia c'è un conflitto generazionale evidentissimo, non si va avanti per merito, ma per inclusione, cioè raccomandazione, famiglia, appartenenza. Il Paese è gerontocratico, chi governa non sa nulla di Internet, anzi vuol chiudere Facebook. Pazzesco, tanto più per me che sono iscritto al Partito Pirata, quello nato in Svezia a favore delle libertà digitali, pro copyleft. In altre nazioni i giovani sono risorse, qui inesperti cui si nega un futuro". Risultato: le ambizioni si fanno piccole. "Metà dei progetti li bocciamo perché timorosi. Questi ragazzi domani si dovranno confrontare per capacità e visione con quei draghi di cinesi e indiani.

Comunque resto fiducioso, il Dna del genio è ripartito equamente sul pianeta. Intorno a me respiro freschezza: un diciottenne mi è arrivato col business plan sotto il braccio, 'Java cowboy' si è presentato, voglio andare in Silicon Valley e far nascere la nuova Google, dov'è il problema?".

da L'Espresso

Conclusa l'odissea dei migranti. Un morto.

Si e' conclusa con un morto, un somalo di 25 anni, e con una scia di polemiche l'odissea nel Canale di Sicilia dei 300 migranti dalla settimana scorsa in balia del mare in burrasca.
I profughi, tra i quali vi sono 46 donne, molte delle quali in avanzato stato di gravidanza, e 29 bambini, sono approdati questa sera nel porto di Pozzallo con i volti segnati dalla terribile traversata.
Alcuni di loro, febbricitanti e in stato confusionale, sono stati subito trasferiti in ospedale; gli altri hanno raccontato a fatica i dettagli di questo terribile viaggio.

Gli immigrati, in gran parte eritrei, sono stati assistiti al loro arrivo dai medici della task force inviata dal Viminale, che ha allestito sulla banchina un Centro di primo soccorso e accoglienza.
Proprio il ministero dell'Interno ha sottolineato in una nota che "e' stato fatto tutto il possibile - in collaborazione con Libia e Malta - per soccorrere l'imbarcazione".
E a sostegno di questa tesi ha comunicato che due degli scafisti che hanno organizzato il viaggio, sono stati gia' arrestati in Libia da uomini delle polizie italiana e libica.
Ma il ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha affrontato oggi la questione a Lussemburgo in sede europea, e' meno diplomatico: "Come sempre l'Italia ha fatto il suo dovere: non ha voltato le spalle dall'altra parte".
Un'affermazione che nasconde una polemica, neanche troppo velata, nei confronti del governo maltese, come testimoniano anche le dichiarazioni di numerosi esponenti politici e associazioni umanitarie.
Per tre giorni, infatti, Malta e' rimasta sostanzialmente a guardare nonostante le sollecitazioni delle autorita' italiane.
Cosi' gli unici a fornire assistenza agli immigrati sono stati i 22 uomini d'equipaggio della petroliera livornese Antignano, al comando del capitano Mariano Adragna. L'operazione di soccorso e' scattata venerdi' pomeriggio, dopo l'Sos lanciato con un satellitare da alcuni eritrei che hanno telefonato ai loro parenti residenti in Italia: "Ci sono onde altissime, rischiamo di affondare. Aiutateci...". L'imbarcazione è stata localizzata nel Golfo della Sirte, al confine tra le acque libiche e quelle maltesi.
Dalla centrale operativa delle Capitanerie di Porto di Roma l'allarme e' stato subito smistato alle navi in transito nella zona, dove imperversava una bufera con mare forza 7 e raffiche di maestrale superiori ai 30 nodi.
La richiesta e' stata raccolta dal mercantile italiano che, nonostante la burrasca, ha subito prestato soccorso agli immigrati, lanciando in mare viveri e generi di prima necessita' senza avvicinarsi troppo allo scafo.
La petroliera, lunga 176 metri , 40 mila tonnellate di stazza lorda, avrebbe rischiato infatti di travolgere come un fuscello la piccola barca di legno.
Per tre notti e tre giorni la Antignano ha scortato come un angelo custode quei 300 disperati, navigando a ridosso del barcone per proteggerlo dal mare in tempesta. Una nave militare libica, che aveva tentato di raggiungere il convoglio per riportare indietro gli immigrati, e' stata invece costretta a invertire la rotta per le proibitive condizioni del mare.
Ma l'atteggiamento piu' sconcertante, come viene definito da piu' parti, sarebbe stato ancora una volta quello della Marina maltese, subito informata dell'emergenza dal Comando generale delle capitanerie di porto.
Nonostante la segnalazione della presenza dell'imbarcazione in difficolta' nelle acque di loro competenza, le autorita' della Valletta si sono limitate a "monitorare" la situazione, inviando un pattugliatore che ha seguito da lontano la lunga e faticosa navigazione del barcone.
"Il soccorso spettava all'Italia" ha spiegato il portavoce delle Forze armate, Ivan Consiglio, che ha negato qualsivoglia problema di sicurezza visto che gli immigrati "erano scortati da una nave italiana".
Un'affermazione che pero' cozza in maniera stridente con l'immagine di quel morto e con i volti segnati dalla salsedine e dalla paura di 300 disperati che dopo avere rischiato la vita sperano adesso di non essere rispediti indietro.

http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=133364

"Mi gridavano frocio e comunista". Picchiato a sangue a Ostia


'Frocio comunista'. E poi il pestaggio. Violento. Vigliacco. In tre lo hanno assalito alle spalle e lo hanno scaraventato per terra. Calci in faccia, sulla schiena fino a spaccargli il setto nasale e una costola. A salvargli la vita la vicinanza al commissariato di Ostia, la sua corsa disperata verso il posto di polizia. Là Fausto (il nome è di fantasia per proteggerne l'identità), con il volto trasformato in una maschera di sangue, ha denunciato tutto prima di essere portato all'ospedale per essere sottoposto alle radiografie e alle cure dei medici. E' quanto scrive Il Messaggero.

"E' la storia dell'ennesima aggressione a sfondo omofobo a Roma - continua il quotidiano - Anche se la vittima questa volta non è omosessuale". A tradirlo, forse, il suo look non omologato alle mode del momento. Fausto, trent'anni, vive sul litorale romano a Ostia e scrive come freelance per la rivista musicale 'Rumore'. E spesso con le critiche ci va giù forte. Venerdì aveva trascorso una bella serata. Era stato a Roma, al Circolo degli Artisti in via Casilina Vecchia per seguire il concerto del gruppo pop londinese 'Micachu and the shapes'.

Alla fine del concerto, con la sua borsa con appunti, penne e riviste, il ritorno verso Lido con i mezzi pubblici. Ed è là che inizia il suo incubo. Sono circa le 4 quando Fausto, jeans attillati, giacchetta british doppiopetto e ai piedi le 'frankenstein' scende dall'autobus notturno in via dei Romagnoli. Attraversa il cavalcavia pedonale e si ritrova davanti alla stazione Lido Nord.

Là, appoggiati ad un muretto tre ragazzi capelli corti, jeans e felpe". "Quando mi hanno visto - racconta Fausto con la voce bassa e impastata e il volto tumefatto per le percosse - mi hanno fatto il saluto romano. Io ho fatto finta di niente e ho proseguito a camminare per la mia strada. Ma li ho sentiti che dicevano qualcosa ma non ho capito cosa". "Per tornare a casa - si legge ancora - Fausto deve percorrere via dei Promontori uno stradone lunghissimo. E lui lo fa a passo veloce. Poi però si volta indietro e vede che quei tre lo stanno seguendo dall'altra parte del marciapiede. Prosegue. Passa un incrocio, ne passa un altro. Si volta ancora indietro e vede che uno dei tre è passato dal suo lato della strada. Si preoccupa.

Si volta ancora senza mai fermarsi e vede che anche un altro è dietro di lui. A quel punto ha paura, e anche se si trova all'altezza di una chiesa e non è lontano da casa, prende dalla tasca della giacca il telefonino per chiamare qualcuno. Ma non fa in tempo a utilizzarlo. I tre gli sono già addosso". "Sono arrivati alle spalle - racconta ancora sotto choc - mi hanno urlato 'frocio comunista' e poi mi hanno massacrato di botte". Una carica di calci in testa e alla schiena.

"Pensavo che mi avrebbero ammazzato" dice ancora Fausto. "Poi però - prosegue l'articolo - la vittima riesce a divincolarsi, si alza e corre. Il commissariato di Ostia è là, a poche decine di metri, in via Genovese Zerbi. Fausto arriva con il fiatone che gli toglie la voce, i jeans strappati, il volto coperto di sangue. E racconta tutto alla polizia. Con gli agenti torna sul luogo dell'aggressione e là recupera le chiavi di casa, il telefonino cellulare e gli occhiali. Poi viene subito trasportato in ospedale Giovan Battista Grassi dove i medici gli diagnosticano la frattura del setto nasale, una costola rotta, traumi allo zigomo. Sulla violenta aggressione - conclude - stanno indagando gli agenti del commissariato di Ostia".

Fonte: Affaritaliani.it
da InformareE'unDovere