HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

venerdì 6 novembre 2009

Anche a Nardò il libro "L’ALTRA AMERICA"

E' disponibile anche a Nardò il nuovo libro del neritino Antonio Pagliula e Piero Armenti "L’altra America, tra Messico e Venezuela storie dell’estremo Occidente", presso la libreria I Volatori. Si tratta di una raccolta di articoli del blog Verosudamerica.com di Antonio Pagliula e del famoso NotizieDaCaracas.it di Piero Armenti, con in più un saggio inedito sul Venezuela di Chávez. Un esperimento di portare i blog su carta stampata realizzato anche grazie all’aiuto di una giovane casa editrice, Arcoiris Multimedia s.r.l..

"Abbiamo voluto farlo, sapendo che ci saremmo esposti alle critiche di chi considera un blog un prodotto troppo approssimativo per esser reso libro. A noi andava di provarci, e in fondo ci sembra un prodotto unico nel panorama editoriale italiano. A voi il giudizio". Queste le parole degli autori.


Il prezzo è di 12 euro. Lo potete comprare su internet attraverso il sito della casa editrice Arcoiris Multimedia s.r.l., e riceverlo in soli 5 giorni con la spesa di 1,50€ per la spedizione, oppure anche attraverso le solite biblioteche on line (Ibs, libreria universitaria, etc). Altrimenti chiedete di ordinarlo alla vostra libreria di fiducia, il codice ISBN è: 978-88-96583-06-7.

Nardò. Rapina all'Unicredit


Con in pugno un taglierino e una pistola giocattolo hanno fatto irruzione nella Banca Unicredit in pieno centro a Nardò e, sotto minaccia, si sono fatti consegnare il denaro per poi fuggire a bordo di un enduro

di Mauro Longo

Si sono introdotti eludendo il sistema del metal detector, con in pugno un semplice taglierino e forse anche una pistola di plastica, i due giovani che ieri mattina, intorno alle ore 10, hanno rapinato la filiale dell'Unicredit Banca di piazza Diaz a Nardò. I malviventi infatti hanno scelto proprio una banca in pieno centro di Nardò a pochi metri dal palazzo Personè, sede del Comune, per effettuare la loro rapina e in pochi istanti a volto coperto hanno fatto irruzione nell'istituto bancario. Uno di essi minacciando con un taglierino e, a quanto pare, anche con una pistola giocattolo, si è fatto consegnare dal cassiere il denaro la cui somma è ancora in fase di definizione. Una volta arraffato il denaro si sono dileguati a bordo di una moto enduro facendo perdere le proprie tracce. Sul caso stanno indagando gli agenti del Commissariato di Nardò, giunti immediatamente presso l'istituto bancario con due volanti subito dopo l'allarme. Gli agenti hanno avviato immediatamente le indagini procedendo ad acquisire tutte le informazioni necessarie per risalire agli autori della rapina, avvalendosi anche del prezioso contributo del personale specializzato della scientifica che da mesi ormai opera all'interno del Commissariato. Gli agenti, inoltre, stanno effettuando delle perquisizioni e dei controlli pressanti su alcuni probabili sospettati in concorso con gli altri commissariati e con la Sezione Rapine della Squadra Mobile di Lecce.

da IlTaccoD'Italia

Luca Campanale morto di carcere: indagate psicologa e psichiatra per abbandono di incapace

AVEVA 28 anni e "problemi psichici", Luca Campanale.
Nel carcere di San Vittore, probabilmente, non sarebbe neppure dovuto entrare.
Invece tre mesi fa, in pieno agosto, si impiccò in una cella del 5° raggio, e ora la psichiatra e una psicologa del penitenziario sono sotto inchiesta per «abbandono di persona incapace aggravato dalla morte».
Campanale non era un pericoloso killer ma uno scippatore bloccato dai poliziotti dopo una borsetta strappata.
Due anni di condanna e addosso l''accusa di un altro scippo ancora da provare.Arrestato nel settembre del 2008, aveva dato anche in precedenza ripetuti segni di fragilità psichica. Oltre a due tentativi di suicidio, c''erano anche due trattamenti sanitari obbligatori e numerosi ricoveri in comunità di recupero per tossicodipendenti. Il padre Michele e il suo avvocato Maria Pina Blanco non avevano risparmiato gli sforzi per sottrarlo ad un destino che non doveva essere il suo, quello del carcere.
Anche perché, stando dietro le sbarre, il suo stato di salute mentale peggiorava visibilmente.
Da mesi chi lo assisteva aveva sollevato la questione con la direzione sanitaria della struttura.
Ma nemmeno l''istanza urgente depositata dal legale alla Corte d''appello il 22 giugno scorso, con la quale si chiedeva «l''immediato ricovero presso idonea struttura sanitaria», aveva avuto ascolto.
Respinta un mese dopo. Altri 19 giorni e Luca veniva trovato impiccato nel bagno della sua cella, attaccato con le lenzuola alle sbarre della finestrella.

Non era solo nella stanza, il ragazzo. Con lui 3 compagni, tutti però con problemi psichici di vario tipo, comuni tra gli ospiti del reparto che accoglie detenuti in procinto di ricovero o ritenuti «a rischio suicidio».
Luca Campanale, arrivato nel carcere milanese a fine luglio proveniente da Pavia dove era sorvegliato a vista, era destinato al Centro di osservazione neuro-psichiatrico interno, che però non aveva letti liberi in quel momento.
Il PM Silvia Perrucci ha iscritto nell''elenco degli indagati i nomi del medico psichiatra e di una psicologa del carcere di San Vittore.
Nonostante la storia che Luca aveva alle spalle e tutta la documentazione prodotta dall''avvocato Blanco, secondo l''accusa non presero sul serio il rischio che il giovane si togliesse la vita. «Riferisce di non avere intenti autolesionisti», scrissero suppergiù nella loro relazione i sanitari.
Dieci giorni dopo, Campanale era morto.

da Indymedia

La Guantánamo australiana


Poco prima del Natale scorso il governo di Canberra ha aperto un centro di detenzione per rifugiati a Christmas Island, un’isola di 135 chilometri quadrati nell’oceano Pacifico, a 1.600 chilometri dalle coste australiane. Gli immigrati, per lo più richiedenti asilo politico, arrivano con precarie imbarcazioni, vengono recuperati in mare e portati direttamente sull’isola.

“Settantamila euro per portare in salvo la propria famiglia, da Teheran attraverso Malesia e Indonesia e poi undici giorni in mare per arrivare in Australia e chiedere asilo politico”: il New York Times racconta la storia di un iraniano, che chiede di rimanere anonimo. Adesso si trova nella piccolissima Christmas Island, insieme a molti altri richiedenti asilo. Anche se è attivo da meno di un anno, il centro ha già quasi esaurito i suoi 1.200 posti.

I barconi pieni di rifugiati sembrano essere una delle più grandi paure degli australiani e il centro di detenzione in un’isola sperduta del Pacifico in effetti simboleggia bene questa paura e il tentativo di tenerla il più lontano possibile. Anche a costo di spendere 370 milioni di dollari per costruirlo.

I difensori dei rifugiati e anche la stessa Commissione per i diritti umani del governo paragonano Christmas Island a Guantánamo o alle storiche isole-prigioni australiane. La Commissione ritiene la struttura “eccessiva e inappropriata per la sistemazione dei richiedenti asilo” e Charlene Thompson, un’assistente sociale che si occupa di queste persone, afferma con sicurezza che “è una prigione di massima sicurezza in cui i richiedenti asilo sono trattati come criminali”.

L’immigrazione in Australia è gestita, da entrambe le parti politiche, in maniera abbastanza univoca: i rifugiati vengono isolati per dare ai cittadini australiani l’idea di un estremo rigore su una questione così delicata per l’opinione pubblica. Questa scelta, data la distanza di Christmas Island dal continente, implica dei costi altissimi per la gestione del centro ma pone soprattutto delle importanti questioni a livello etico.

da Internazionale

Interrogazione su sgombero centro popolare Experia

Catania. “Il Governo regionale accerti i fatti accaduti nei giorni scorsi nelle operazioni di sgombero del centro popolare Experia e le responsabilità connesse degli agenti di Polizia e accerti anche se esistano progetti presentati dall’Ufficio della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania per lo stabile di via Plebiscito 782″.
Lo dice il deputato regionale del Pd, Concetta Raia, che ha presentato un’interrogazione al Presidente della Regione, all’Assessore regionale per i Beni culturali e ambientali e per la pubblica istruzione.
“Intendiamo conoscere quali misure il governo regionale intende assumere alla luce delle sue responsabilità nel mantenimento dell’ordine pubblico ai sensi dell’art. 31 dello Statuto della Regione siciliana - aggiunge la parlamentare del partito democratico - come è stato riportato dagli organi di Stampa, da numerose testimonianze nonché dai numerosi filmati rinvenibili su Internet, le modalità utilizzate dalle forze dell’ordine al momento dello sgombero sono state caratterizzate da episodi di violenza non motivati da ragioni di sicurezza ai danni dei cittadini che manifestavano pacificamente il loro dissenso. Uno dei legali del Centro Popolare Experia, presente sul posto, è stato colpito con immotivata violenza da un agente allorché, esibendo il proprio tesserino di avvocato, richiedeva ai dirigenti di Polizia la notifica dell’ordinanza di sgombero”.

Il Centro Popolare Experia ha svolto per diciassette anni nel quartiere Antico Corso attività di alta rilevanza sociale e più volte in passato esponenti del Centro sono stati invitati a partecipare a eventi, manifestazioni e incontri di profilo anche istituzionale quali credibili interlocutori dell’amministrazione comunale. La presenza, inoltre, di più di un migliaio di cittadini alla manifestazione di protesta avvenuta il 31 ottobre costituisce una dimostrazione tangibile del perfetto inserimento nel tessuto cittadino e del valore dell’azione nel territorio del Centro Popolare Experia. Il quartiere Antico Corso non può contare su alcuno dei tipi di servizi sociali garantiti fino alla data dello sgombero dal Centro Popolare Experia e, in particolare, svolgendo diverse attività destinate ai minori del quartiere quali doposcuola, ludoteca, attività ginniche, ciclofficina.

Concetta Raia
Deputato Regionale del Pd

da AntimafiaDuemila

BLOB - SODOMA & GOMORRA



Luigi Tenco, gli inediti


di Angiola Codacci Pisanelli
Credevamo di sapere tutto del leggendario cantante genovese. Ma ora stanno per uscire una serie di suoi testi e di canzoni mai ascoltate. Alcuni brani sono eseguiti da lui, altri da interpreti di oggi

Luigi Tenco a Sanremo con DalidaLa voce è nota, ma la canzone no. E il tono, poi, arrabbiato, contestatario, coglie di sorpresa anche il fan più competente. Pensavamo di aver sentito tutto dalla voce di Luigi Tenco, spenta tragicamente più di quarant'anni fa. E invece ecco che torna, e sorprende. Con un inno pacifista battagliero, un atto d'accusa contro i "Padroni della terra", un invito esplicito alla diserzione. «Non lo voglio più fare, non posso più ammazzare la gente come me», canta il giovane richiamato alle armi. Perché «la guerra è un'idiozia», perché «c'è un nemico solo: la fame che nel mondo ha gente come noi. E quindi «se c'è da versar sangue versate solo il vostro»: il mio, conclude Tenco con voce decisa, lo verso solo in nome della pace: «Con me non porto armi: coraggio, su, gendarmi, sparate su di me». "Padroni della Terra" è la perla che apre gli "Inediti" di Luigi Tenco che il gruppo Ala Bianca lancerà nei prossimi giorni, dopo la presentazione il 12 al Premio Tenco, al Teatro Ariston di Sanremo.

Sono due cd che cambiano l'immagine vulgata di questo cantante leggendario. In fondo pensiamo di sapere tutto, di Tenco, e la sua vita sembra una parabola dal corso regolare: i grandi successi intimisti ("Lontano lontano", "Vedrai vedrai", "Mi sono innamorato di te"), le delusioni (il film "La cuccagna" di Luciano Salce che non basta a lanciarlo come divo, le tensioni con le case discografiche), gli amori infelici (Dalida, la cantante italofrancese che si ucciderà vent'anni dopo di lui), fino al suicidio il 27 gennaio del 1967, dopo la bocciatura al Festival di Sanremo. E invece Tenco era un artista più complesso, più interessante di così: lo testimonia il primo dei due cd, che raccoglie una ventina di inediti - incisioni per la radio o la tv, provini mai pubblicati, versioni "unplugged" di suoi successi. Ci sono canzoni con testi o accompagnamenti diversi da quelli noti - "Guarda se io", versioni straniere pensate per un lancio internazionale del cantante ("Un giorno dopo l'altro" in versione francese e inglese, "Ognuno è libero" in spagnolo). Alcuni brani per voce e pianoforte sono in linea con il Tenco noto, ma altre canzoni, arricchite da accompagnamenti rockeggianti o jazzati, ricordano la vena più sperimentale del cantante, spesso tarpata dalle strategie dei discografici.

«Sono anni che lavoriamo a questo disco con l'aiuto degli eredi di Tenco», racconta Toni Verona, presidente della Ala Bianca: «Il progetto è arrivare l'anno prossimo a pubblicare un cofanetto con l'opera omnia». La caccia al tesoro è stata lunga e complicata: «I brani sono stati ritrovati tra il materiale della famiglia o negli archivi della Bmg, che ha da poco riunito Ricordi e Rca», racconta Enrico de Angelis, il massimo esperto del cantante, che ha curato i due dischi.

Il primo cd propone tre inediti mai incisi dal cantante genovese: un brano solo musicale, "No no no", affidato a Stefano Bollani in onore delle radici jazzistiche di Tenco (nel disco c'è una sorpresa: due brani jazz eseguiti dal musicista diciottenne al sax contralto del Settetto Moderno Genovese); poi la bellissima "Se tieni una stella", affidata alla voce di Massimo Ranieri, e una versione inglese di "Vola Colomba" di Nilla Pizzi, trasfigurata dalla traduzione di Tenco e dall'esecuzione virtuosistica di Morgan. Ma la vitalità del cantante, la sua importanza per la musica di oggi, si coglie anche nel secondo dei due cd. Qui sono raccolti i risultati di anni di lavoro da parte del Club Tenco, il gruppo fondato da Amilcare Reverberi e diretto da Enrico de Angelis che anima il Premio Tenco e la Rassegna della canzone d'autore a cui vengono invitati i migliori cantanti e cantautori italiani.

Nel disco di cover tenchiane sfilano molti nomi noti: da Roberto Vecchioni ai Têtes de Bois, da Alice agli Skiantos. Il tutto incorniciato da due versioni completamente diverse di "Lontano lontano": marcia zingaresca per Vinicio Capossela, testamento esistenziale per Eugenio Finardi.
C'è anche "Cara Maestra", cantata, con quell'accento inglese mai cancellato da quarant'anni di successi italiani, da Shel Shapiro: «Cara maestra, un giorno m'insegnavi che a questo mondo noi, noi siamo tutti uguali; ma quando entrava in classe il direttore tu ci facevi alzare tutti in piedi, e quando entrava in classe il bidello ci permettevi di restar seduti».

"Cara maestra" introduce al Tenco più impegnato, pre-sessantottino. «Una sezione consistente nel disco è quella delle canzoni satiriche», racconta de Angelis. «Sono brani misconosciuti che Tenco aveva eseguito in tv ma che sono usciti solo nei dischi postumi». Ecco quindi la "Ballata della moda" di Giovanni Block, la "Vita sociale" di Simone Cristicchi, e la "Ballata del marinaio" cantata in sardo da Elena Ledda. Sono canzoni impegnate che fanno capire meglio l'invettiva ai "Padroni della Terra", la canzone che apre questo cofanetto e che ha una lunga storia. Il testo originale, scritto ai tempi della guerra in Indocina da Boris Vian, grande irregolare della letteratura francese, chiama in causa il presidente De Gaulle: e costò agli autori e ai cantanti anni di pubblico disprezzo da parte della destra francese, ma anche una fama solida tra i pacifisti. In Italia la canzone resta praticamente sconosciuta, racconta de Angelis, «fino a quando rimbalza dagli Stati Uniti, dove Peter Paul e Mary la traducono in inglese e ne fanno un inno contro la guerra del Vietnam».

Poi sono venute le versioni di Ornella Vanoni negli anni Settanta, e da Ivano Fossati. L'incisione di Tenco è del '66, e la canta in una bella traduzione tutta sua. La registrazione conserva i rumori "di studio". Si chiude con Tenco che chiede al tecnico del suono: «Senti non si può fare in due volte?». «Ma guarda che va bene», lo rassicura il tecnico. Va bene, sì: eppure resta per quarant'anni nei cassetti della casa discografica. Forse perché era una canzone un po' rischiosa, soprattutto per un cantante che già con "Cara Maestra" - quell'attacco all'ipocrisia di maestri e funzionari riciclati dopo il fascismo, aveva fatto scandalo, guadagnandosi due anni di esilio dalla Rai.
Meglio puntare sui cuori spezzati. E le canzoni impegnate, se proprio si dovevano pubblicare, relegarle sul "lato B".

da L'Espresso

Berlusconi 'risponde' alle famose dieci domande

di: Nico Falco

ROMA - Alla fine, Silvio Berlusconi ha risposto alle dieci domande che gli sono state rivolte per settimane La Repubblica. Non lo fa, però, sulle pagine del quotidiano. Né in Parlamento. Affida le sue verità al libro di Bruno Vespa, “Donne di cuori”; lo fa senza citarle direttamente, ma nei fatti rispondendo alle domande proposte dal quotidiano diretto da Ezio Mauro. Berlusconi resta irremovibile sulle proprie posizioni e, riguardo alla salute, all'uso improprio dei voli di stato ed ai rapporti con le escort, commenta seccamente dicendo che le notizie diffuse sono “tutte calunnie”.

La scelta di rispondere tramite il libro di Vespa non è piaciuta ed ha già scatenato le prime polemiche da parte del Partito Democratico per i modi ed i contenuti.“A quanto pare c'è modo e modo di esercitare i doveri di trasparenza e correttezza istituzionale, - ha commentato Rosy Bindi, vicepresidente della Camera, - un presidente degli Stati Uniti risponde in pubblico e nelle sedi istituzionali all'accusa di aver mentito sulla propria vita privata”. “Un presidente del Consiglio italiano lo fa nel libro di un giornalista televisivo, - incalza la Bindi, - la differenza tra i due basta a dimostrare chi ha senso della dignità dello Stato e chi no. Berlusconi si illude se immagina che basti questo a sgombrare il campo dagli interrogativi politici che lui stesso ha alimentato nell'ambigua commistione tra le sue responsabilità pubbliche e la sua vita privata”.

Di seguito, le dieci domande con le relative risposte:

1- Quando ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? Quante volte ha avuto modo di incontrarla e dove? Ha frequentato o frequenta altre minorenni?
"Non ho avuto alcuna relazione con la signorina Noemi”

2- Qual è la ragione che l'ha costretta a non dire la verità per due mesi, fornendo quattro versioni diverse per la conoscenza di Noemi?
(a questa domanda non c'è stata risposta)

3- Non trova grave che lei abbia ricompensato con candidature e promesse di responsabilità le ragazze che la chiamano "papi"?
“Ho proposto incarichi di responsabilità soltanto a donne con profilo, morale, intellettuale, culturale e professionale di alto livello”.

4- Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008. Sono decine le "squillo" secondo le indagini, condotte nelle sue residenze. Sapeva fossero prostitute?
“C'era una cena con molte persone organizzata dalle militanti del club Forza Silvio e Meno male che Silvio c'è, alla quale all'ultimo momento si infilò anche Tarantini con due sue ospiti”

5- E' capitato che "voli di Stato" senza la sua presenza a bordo, abbiano condotto nelle sue residenze le ospiti delle sue festicciole?
“La magistratura ha già archiviato la pratica al riguardo. Io non ho mai utilizzato voli di stato in modo non lecito. Inoltre ho cinque aerei privati che posso utilizzare in qualunque momento”

6- Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiano compromesso gli affari di Stato? Può rassicurare il Paese che nessuna donna, sua ospite, abbia oggi in mano armi di ricatto?
“Io non mi sono mai lasciato ricattare da nessuno, né mi sono mai comportato in modo per cui un simile evento si potesse verifcare. Quando nei miei confronti sono state avanzate richieste che secondo il giudizio mio e dei miei legali si configuravano come ricattatorie, mi sono immediatamente rivolto all'autorità giudiziaria”

7- Le sue condotte sono in contraddizione con le due politiche: lei oggi potrebbe ancora partecipare al Family Day o firmare una legge che punisce il cliente di una prostituta?
(Nel libro Berlusconi non risponde; riguardo alla famiglia, però, un libro del capitolo di Vespa dovrebbe essere dedicato a Veronica Lario)

8- Lei ritiene di potersi ancora candidare alla presidenza della Repubblica? E, se lo esclude, ritiene di poter adempiere alla funzione di presidente del Consiglio?
“Non ho mai pensato di candidarmi alla presidenza della Repubblica. Come molti ricorderanno ho ripetutamente indicato a titolo di suggerimento, affinché dal Parlamento possa essere compiuta la scelta migliore, un candidato che ritengo sia il migliore in assoluto”. Il candidato, aggiunge Vespa in una nota, è Gianni Letta.

9- Lei ha parlato di un "progetto eversivo" che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?
“I violenti attacchi contro di me, sempre avulsi da ogni attinenza alla realtà e frutto solo di preconcetta ostilità, sono sotto gli occhi di tutti. Ma non ho certo mai pensato di impiegare queste risorse contro alcuno”

10- Alla luce di quanto emerso in questi mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute?
“A questa domanda rispondono i fatti. Da quella data a oggi le mie condizioni di salute, a parte un fastidioso torcicollo ormai debellato e la scarlattina che ho avuto a fine ottobre, sono infatti quelle che mi hanno permesso di proseguire e completare sedici mesi di fittissimi impegni che per brevità così riassumo: 170 incontri internazionali, 25 vertici multilaterali, 9 vertici bilaterali, 80 conferenze stampa, 66 consigli dei ministri, 91 interventi e discorsi pubblici a braccio. Cosa avrei fatto se non fossi stato ammalato?”

da Julienews

Agli abitanti di Gaza non è permesso ricostruire la priopria vita.


Di Rami Almeghari, dalla Striscia di Gaza

Live dalla Palestina, 4 novembre 2009

Azzam Salim era uno dei principali imprenditori edili al centro della Striscia di Gaza. Oggi, comunque, passa la maggior parte del suo tempo parlando oziosamente con altri amici disoccupati vicino ad un mucchio di rovine che ha contribuito a costruire molti anni fa.
“Come essere umano per prima cosa ho bisogno di vivere normalmente come prima. Questa situazione non ha precedenti - prima che fossimo stretti d’assedio non avevo un minuto per sedermi. Ora le cose sono cambiate, siamo 'chiacchieratori' professionisti”.

Quello che impedisce a Salim di ritornare a lavorare è la mancanza di materie prime nella Striscia di Gaza, dovuto al paralizzante blocco del territorio da giugno 2007. A marzo 2009, donatori internazionali tra cui gli Usa, l’Europa e l’Arabia Saudita si sono incontrati nel resort egiziano di Sharm al-Sheikh raccogliendo almeno 4 miliardi per la ricostruzione di Gaza dopo l’invasione di Israele del territorio durata 22 giorni. Ma i fondi promessi devono ancora raggiungere Gaza, dato che la comunità internazionale continua a boicottare il partito di Hamas che governa.

“Allo scopo di ricostruire per case, infrastrutture, scuole, moschee e altri [palazzi], abbiamo bisogno di materie prime come cemento, ferro, alluminio, legno, plastica ecc. Almeno cemento e ferro, per iniziare la ricostruzione immediatamente”, dice Salim.

Secondo stime locali e internazionali, l’assalto di Israele a Gaza ha distrutto del tutto o parzialmente decine di migliaia di case, suole, edifici governativi, moschee e altre risorse. Quindi, oltre 51.000 residenti sono senza tetto.

“Vivevo felicemente con i miei bambini in una casa regolare nel campo profughi di Jabaliya, ma ora vivo come un miserabile in questa tenda, dove neanche gli animali si avvicinano. Chiediamo aiuto per liberarci di questa vita miserabile”, dice Mahmoud Abu Alanzain, padre di tre bambini, deportato, nella sua tenda nel campo rifugiati di al-Rayan nel nord della Striscia. Le tende sono state montate come rifugio temporaneo dopo la fine del combattimento.

Centinaia di famiglie a Gaza sono in situazioni simili a quella di Abu Alanzain. Molte delle persone le cui case sono state distrutte in parte o del tutto risiedono ora in campi appena realizzati, appartamenti in affitto o con parenti e amici.

Un’altra scena di distruzione nella costa è quella delle università locali. Durante i bombardamenti, Israele ha distrutto l’Università Islamica e la scuola di agricoltura dell’Università di al-Aqsa.

“Noi dell’Università islamica abbiamo perso un importante edificio che ospitava laboratori scientifici a causa del bombardamento degli aerei da guerra israeliani. Questi laboratori non servono solo agli esperimenti dell’Università ma anche ad altri settori della comunità di Gaza , come quello agricolo o idrico. Abbiamo bisogno di fare esperimenti sulle sostanze velenose, controlli che non possono essere fatti che nei nostri laboratori”, così ha spiegato il dottor Kamalin Shaath, presidente dell’Università Islamica di Gaza.

Nelle ultime settimane, il governo Hamas ha intrapreso una grande campagna per rimuovere le macerie dei palazzi abbattuti. Inoltre, ingegneri locali, basandosi sull’idea che il bisogno è la madre dell’inventiva, hanno cominciato a usare materiali disponibili come il fango, per ricostruire alcune risorse.

“Abbiamo cominciato a rimuovere le rovine di edifici crollati in tutta Gaza, nel tentativo di riparare a parte del danno, usando il fango. Sfortunatamente, i nostri tentativi sono falliti per ragioni tecniche. Una delle ragioni principali è il fatto che non abbiamo spazio a sufficienza per costruire, e per la mancanza di materie prime come materiali elettrici o sanitari”, ha spiegato il dottor Yousef al-Mansi, ministro del Lavoro e dell'Edilizia a Gaza.

Al-Mansi ha aggiunto che il suo ministero desidera cooperare con qualsiasi organismo internazionale per la ricostruzione delle città distrutte dalla guerra nella striscia di Gaza, ma senza condizioni che minino il governo Hamas.

“Per noi è necessario avere soldi in mano; è necessario che la ricostruzione cominci, così che le persone possano avere nuove case. Abbiamo dato una chance a imprenditori, compagnie, istituzioni per avviare la ricostruzione, con il nostro coordinamento. Coloro che vogliono ricostruire, hanno a disposizione mezzi 'chiari', ma noi rifiutiamo qualsiasi ricatto politico. Nella scorsa guerra abbiamo perso i nostri bambini, le nostre famiglie e le nostre case; quello che vogliamo è vivere in dignità”.

Gli Usa e l’Unione Europea hanno boicottato Hamas da quando il partito è salito al potere in elezioni riconosciute e monitorate a livello internazionale, nel 2006. Hanno chiesto di riconoscere Israele come “stato ebraico” di rinunciare alla violenza e di accettare accordi precedentemente negoziati.

Visibilmente frustrato, l’imprenditore Salim ha detto: “Sono impaziente di ritornare al mio lavoro, è come se fossi in un deserto senz’acqua”.

Da http://electronicintifada.net/v2/article10870.shtml

Rami Almeghari è un giornalista e lettore all’università nella Striscia di Gaza.

(Traduzione per Infopal di Martina Piperno)
da Infopal

Minacciato il libero accesso al Web in Europa


Il Pacchetto Telecom(unicazioni), di cui avevamo dato notizia alcune settimane fa, prosegue purtroppo il proprio cammino rischiando di limitare il libero accesso al Web in tutta Europa!

Come riportato da Il Fatto Quotidiano l’1 Novembre 2009, giovedì prossimo è prevista la riunione dei delegati parlamentari con i rappresentanti del Consiglio: se ci sarà accordo sul testo senza i diritti fondamentali, la frittata sarà fatta!

http://ammazzablog.wordpress.com/2009/11/02/il-libero-accesso-del-web-in-europa-ha-le-ore-contate/

Riportiamo il testo dell’articolo:

I grandi fratelli che minacciano la Rete
Nuove regole europee limiteranno il libero accesso del web


di Andrea Cairola - Un giorno il vostro provider Internet potrebbe impedirvi di consultare il vostro blog preferito, o di usare software di telefonia via Internet come Skype. O immaginate che vi notifichino che non potete più accedere alla Rete, come rimanere senza patente dopo una serie di violazioni del codice della strada. È quello che potrebbe capitare a breve se il “Pacchetto telecom” sarà approvato dall’Ue così come di recente modificato su pressione della potente lobby delle compagnie telefoniche. Il Pacchetto è l’insieme di regolamenti sull’industria europea delle telecomunicazioni e dell’accesso a Internet via Adsl e rete mobile, che secondo gli attivisti sarà la Caporetto della libertà della Rete, almeno così come l’abbiamo conosciuta. I principi in ballo sono due e interrelati: la neutralità della Rete e il diritto diaccesso a Internet. La “Net Neutrality” è la neutralità dell’infrastruttura rispetto ai contenuti che vi transitano. Significa accesso allo stesso Internet per tutti gli utenti: i provider e gli altri operatori della Rete non possono discriminare sui contenuti o interferire con la navigazione degli internauti, così come al telefono non c’è un filtro su quello che si può dire.

Oggi in Italia un internauta può accedere con uguale facilità al sito del grande media mainstream, così come alle pagine del blogger semisconosciuto. Nel futuro un fornitore non neutrale potrebbe invece, per ragioni commerciali (o altre convenienze, per esempio politiche), velocizzare l’accesso ai siti “amici” e rallentare l’accesso a quelli non graditi. E nell’era dell’Internet multimediale e della banda larga, rallentare equivale a filtrare e oscurare. Se non c’è neutralità della rete, un Internet a due velocità sarebbe come un’autostrada dove le macchine di un certo costruttore che ha pagato viaggino ai 130 nella corsia di sorpasso mentre tutti gli altri debbano rimanere nella prima corsia ai 50 all’ora. Altro principio in ballo è l’accesso a Internet, da considerarsi un diritto fondamentale così come il diritto all’informazione in generale. Provvedimenti (come la legge Hadopi in Francia) che vietino l’accesso a chi ha commesso violazioni, sarebbero come dire a chi ha fotocopiato illegalmente un libro protetto da copyright che non può più usare le mani per sei mesi. Decisioni ancora più discutibili se imposte senza l’intervento di un giudice. Torniamo all’elaborazione a Bruxelles del “Pacchetto telecom”, ormai alle battute finali dopo oltre due anni di accese discussioni.

Il “Pacchetto telecom” è stato modellato sotto le pressioni della lobby delle compagnie telefoniche

La prima bozza è stata preparata dalla Commissione europea e, secondo gli attivisti pro libertà della Rete, risentiva chiaramente della pressione delle lobby delle compagnie telefoniche e non faceva riferimento ai principi fondamentali della neutralità della rete e dell’accesso a Internet. A questo punto, nel tortuoso meccanismo delle decisioni Ue, è intervenuto il Parlamento europeo che la scorsa primavera ha votato a stragrande maggioranza (88 per cento) per l’inclusione di una modifica al testo che riconoscerebbe le libertà fondamentali anche su Internet. Ma il Parlamento europeo conta poco: ai rappresentanti del Parlamento tocca poi difendere l’emendamento con il Consiglio (ovvero i governi dell’Ue). E la settimana scorsa il testo che tutelava le libertà fondamentali degli internauti è saltato durante le trattative. Nel blog Scambioetico.org Paolo Brini denuncia:“l’istituzione di una giustizia” parallela indipendente dalla magistratura” che colpirebbe i cittadini “sulla base di semplici sospetti”. Brini spiega che giovedì prossimo è prevista la riunione dei delegati parlamentari con i rappresentanti del Consiglio: se ci sarà accordo sul testo senza i diritti fondamentali la frittata sarà fatta.

Reporter senza frontiere definisce come “incomprensibile” il comportamento delle istituzioni europee. Negli Usa la questione della neutralità della Rete era esplosa nel 2006 quando i fornitori di Internet cercarono di farsi assimilare a chi offre la tv via cavo. Migliaia di cittadini-internauti del movimento “Salvare Internet” protestarono a Washington davanti al Congresso. Dopo anni di battaglie tra la lobby degli Internet provider e i rappresentanti dei fornitori dei contenuti e dei cittadini, il principio di neutralità della rete è ora una bozza di legge che si prevede sarà approvata a breve.

Francesco D’Ambrosio
per il Movimento Salva i Blog

da Stampalibera

Teramo: c’è il record di suicidi e, in un mese, cinque aggressioni


È il carcere con il maggior numero di suicidi e tentati suicidi: da anni la casa circondariale di Castrogno è al centro di polemiche e proteste per l’alto numero di detenuti e la carenza di personale. E che la situazione sia ormai quella dell’emergenza lo dimostrano i dati: nell’ultimo mese ci sono stati cinque agenti di polizia penitenziaria aggrediti e due tentati suicidi di detenuti sventati in poche settimane. Più volte i sindacati, tutte le sigle, hanno denunciato la carenza di personale e il sovraffollamento di una struttura che ospita circa 400 detenuti e che, sulla carta, ne dovrebbe ospitare poco più che duecento. 185 gli agenti, con una pianta organica risalente a più di venti anni fa. Il nucleo di traduzioni e piantonamenti effettua più movimenti di detenuti che i restanti istituti della regione messi insieme.La movimentazione detenuti in entrata e in uscita, oltre mille dall’inizio dell’anno, è pari a quella di tutti gli istituti d’Abruzzo messi insieme. Nelle ultime settimane numerose sono state le manifestazioni dei sindacati, che in più occasioni hanno lanciato appelli e chiesto l’intervento delle istituzioni. L’ultimo risale a qualche settimana fa. Uspp per l’Ugl, Sappe, Cgil, Cisl, Uil e Osapp scrivevano in una nota: "Gli ultimi eventi ci preoccupano fortemente e ci hanno indotto ad intraprendere questa iniziativa di sensibilizzazione, in quanto riteniamo che il pianeta carcere sia un problema sociale che non può non essere oggetto di un’attenzione particolare da parte di tutti gli organi politici e sociali".

Il Centro, 4 novembre 2009


I detenuti aumentano, i fondi diminuiscono del 50%

Redattore Sociale, 4 novembre 2009

Calati i finanziamenti per tutte le voci di spesa. Di Mauro (Consulta per i problemi penitenziari del comune di Roma): "I suicidi sono il sintomo di un problema più profondo che nasce dal disinteresse delle istituzioni".

"Tra il 2007 e il 2010 i trasferimenti del governo al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) hanno subito un taglio pari al 50%". A denunciare il nesso tra carenza dei fondi e stato di degrado delle carceri italiane è Lillo Di Mauro, presidente della Consulta permanente per i problemi penitenziari del Comune di Roma. "Per le spese di acquisto di beni e servizi - fa sapere Di Mauro - il fabbisogno reale si aggira intorno ai 2.500.000 euro: ma nel 2007, durante l’ultimo governo Prodi, vennero stanziati 1.927.563 euro e 1.687.000 per il 2008, mentre nel 2009, primo anno del governo Berlusconi, sono stati stanziati 1.160.439 euro e per il 2010 saranno stanziati 1.310.859.

È da evidenziare - chiarisce Di Mauro- che gli stanziamenti del governo Prodi si riferivano a una popolazione carceraria dopo indulto di circa 40 mila detenuti mentre dal 2009 i detenuti sono aumentati in maniera esponenziale fino a raggiungere quota 65 mila". "Tra le spese di acquisto di beni e servizi - prosegue il presidente della Consulta - rientrano anche i corsi per la formazione degli operatori di polizia penitenziaria e dell’area pedagogica che hanno lo scopo di adeguare le professionalità alle nuove esigenze della popolazione penitenziaria, la quale rappresenta sempre di più uno spaccato del disagio sociale estremo: basti pensare che il 30% è costituito da tossicodipendenti e un altro 30% da stranieri".

Quanto alle spese per la manutenzione, la riparazione, la ristrutturazione e il completamento e ampliamento immobili, prosegue Di Mauro, "contro un fabbisogno reale di circa 25 milioni di euro, ne sono stati stanziati 14.247.203 per il 2007, 12.311.850 per il 2008 euro e 11.154.189 per il 2009, mentre per il 2010 sono previsti 12.601.041 euro".

Si tratta di un capitolo di spesa "niente affatto trascurabile", precisa, "in quanto riguarda la ristrutturazione delle carceri, la messa in norma per la sicurezza degli ambienti, l’adeguamento alle normative dell’Unione Europea, che ha già ha avviato una procedura di richiamo per l’inadeguatezza delle strutture penitenziarie italiane e in particolare per gli spazi minimi destinati ad ogni detenuto. Ma questo capitolo di spesa riguarda anche - precisa il presidente della Consulta - la ristrutturazione e l’adeguamento degli spazi destinati agli operatori penitenziari".

Grandi tagli anche alle spese per il mantenimento, l’assistenza, la rieducazione e il trasporto dei detenuti che - secondo i dati diffusi da Di Mauro - esprimono un fabbisogno reale pari a 220 milioni di euro. Gli stanziamenti, infatti, sono pari a 142.509.858 euro nel 2007, 151.280.859 nel 2008, 116.424.354 nel 2009 e 129.867.754 nel 2010.

"Questa carenza di fondi - spiega Di Mauro - ricade sulla qualità del vitto dei detenuti e molte società cooperative che gestiscono le mense rischiano di chiudere. Ricade inoltre - aggiunge - sull’igiene e la pulizia delle celle e dei locali destinati agli operatori penitenziari oltre che agli spazi comuni e di accoglienza dei familiari e dei cittadini liberi che si recano in carcere".

Per le spese relative all’organizzazione delle attività scolastiche, culturali, ricreative e sportive e per il funzionamento delle biblioteche, invece, il fabbisogno reale si attesta a 4.300.000 di euro. Nel 2007 però sono stati stanziati 3.121.228,18 euro, nel 2008 3.058.062, nel 2009 2.506.339 e nel 2010 2.811.541.

"Si tratta di azioni particolarmente importanti per il recupero e il reinserimento del detenuto nello spirito della legge Gozzini e dell’ordinamento penitenziario - dice ancora Di Mauro. - Di fatto non destinando i fondi necessari si svuota il senso della legge e non la si applica di fatto. Ed è ovvio - sottolinea - che un detenuto che non viene raggiunto da tali attività trascorre il tempo della detenzione nell’abbrutimento e nell’ozio: cosa che per alcuni comporta ricadute psicologiche oltre che fisiche che possono condurre al suicidio".

Su un reale fabbisogno di 85 milioni di euro per le "mercedi dei detenuti lavoranti" ne sono stati stanziati 62.424.563,58 nel 2007, 62.017.840 nel 2008, 48.198.827 nel 2009 e 54.215.128 nel 2010. "Anche questo è un capitolo molto delicato - è il commento di Di Mauro - perché è quello che sempre in ottemperanza della legge Gozzini e dell’ordinamento dà la possibilità ai detenuti di svolgere lavori interni al carcere per poter mantenere la famiglia all’esterno e per poter sostenere le spese di avvocati e di mantenimento in carcere".

Per quanto riguarda le spese per il trasporto dei detenuti e del personale di scorta, infine, il presidente della Consulta penitenziaria fa sapere che, a fronte di un fabbisogno reale pari a 22 milioni di euro, ne sono stati stanziati 16.611.578,54 nel 2007, 16.275.400 nel 2008, 12.826.019 nel 2009 e 14.426.995 nel 2010. "Questo è un altro capitolo molto importante - aggiunge Di Mauro - perché con questi fondi si consentono i trasferimenti e i piantonamenti in carcere dei detenuti malati, oltre che la partecipazione degli stessi alle udienze in tribunale. È ovvio che una riduzione di questi fondi ricade sul diritto alla salute e alla difesa dei detenuti".

"Questa situazione delle carceri mette non solo i detenuti, ma anche i direttori, in una condizione di forte disagio - conclude Di Mauro. - A questo, inoltre, si somma quella relativa alla medicina penitenziaria. Infatti - precisa - con il definitivo trasferimento della competenza sulla sanità penitenziaria alle regioni, il governo non trasferisce più i fondi necessari. Come se non bastasse, bisogna fare i conti con il disinteresse degli enti locali, con la conseguenza che il diritto alla salute dei detenuti non viene garantito.

E chi ne fa le spese sono soprattutto le persone in condizioni di disagio psichico, che non possono usufruire di attività di cura e di recupero, e che quindi possono compiere atti autolesionisti e deleteri. I suicidi sono il sintomo di un problema più profondo che nasce dal disinteresse delle istituzioni". La carenza di finanziamenti non riguarda però solo chi sta scontando una condanna. "Gli enti locali finanziano sempre meno attività rivolte a detenuti ed ex detenuti - conclude - con un grande problema anche per le cooperative sociali, che in molti casi sono state costrette a chiudere".

da Innocentievasioni

Mauro De Mauro


De Mauro ucciso per uno scoop.
scoprì il patto tra boss e golpisti


In redazione l'aveva confidato a più di un collega: "Ho uno scoop che farà tremare l'Italia". Era venuto a sapere che il principe Junio Valerio Borghese stava preparando un golpe. E che Cosa Nostra complottava con i generali. Mauro De Mauro però fece le domande giuste alle persone sbagliate. Prima lo rapirono e lo "interrogarono", poi lo strangolarono.
Il suo cadavere fu seppellito in campagna, tra la borgata di Villagrazia e la foce del fiume Oreto. Trentacinque anni dopo si chiude l'inchiesta sul primo delitto eccellente di Palermo.


È la "pista nera" che puzza di mafia. È la sola, l'unica che resiste a più di tre decenni di aggrovigliate investigazioni. I fascisti progettavano di fare il colpo di stato alleandosi in Sicilia con i boss, fu la scoperta di quel patto la condanna a morte di Mauro De Mauro, reporter del quotidiano della sera L'Ora, corrispondente dall'isola de Il Giorno e della Reuters, giornalista famoso e dal burrascoso passato repubblichino nella Decima Mas. Ucciso nel settembre 1970 per una notizia che gli avevano soffiato amici frequentati in gioventù, compagni d'armi e camerati. Mandanti dell'omicidio i capi della Cupola Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Salvatore Riina. Ordinarono il suo rapimento dopo un incontro a Roma con il principe Borghese e due alti ufficiali del Sid, il servizio segreto militare di allora. Il golpe era previsto per dicembre, nella notte tra il 7 e l'8, nome in codice del piano insurrezionale "Tora Tora". Fu un omicidio "preventivo", sostengono i magistrati nella loro ultima ricostruzione sul sequestro del giornalista.


A soffocarlo furono Mimmo Teresi, Emanuele D'Agostino e Stefano Giaconia, picciotti di Santa Maria di Gesù, tutti e tre assassinati nella guerra di mafia degli anni 80. Con loro ci sarebbe stato anche Bernardo Provenzano. Nei prossimi giorni, l'inchiesta giudiziaria sarà ufficialmente definita dai sostituti procuratori Gioacchino Natoli e Antonio Ingroia. Già decisa una richiesta di rinvio a giudizio per Totò Riina, gli altri due mandanti sono ormai morti. Incerta ancora la posizione di Provenzano. Ad accusarlo c'è solo il pentito Francesco Di Carlo, non ci sono altre "chiamate" o riscontri alle sue dichiarazioni.


Sta finendo in archivio così il caso De Mauro, il più misterioso dei gialli palermitani, una trama che si è intrecciata con tanti altri affaire italiani, primo tra tutti l'attentato di Bascapè del 27 ottobre del 1962, l'aereo del presidente dell'Eni Enrico Mattei che decollò da Catania e precipitò a pochi chilometri da Linate.


L'inchiesta sulla morte del giornalista è stata ripescata l'ultima volta 10 anni fa, dopo che un magistrato di Pavia - Vincenzo Calia, quello che aveva riaperto le indagini su Mattei - chiese e inviò carte a Palermo. Uno scambio di documenti che ha dato spinta all'istruttoria siciliana. Praticamente è ricominciata daccapo. Tanti i testimoni mai ascoltati, gli indizi mai approfonditi, gli interrogatori mai verbalizzati. Un depistaggio dopo l'altro. Trovata traccia anche di un colloquio riservato dell'allora capo della omicidi della squadra mobile Boris Giuliano con Ugo Saito, il giudice titolare della prima inchiesta: il commissario lo avvertiva che "c'era qualcuno al ministero a Roma che non voleva andare a fondo alla morte di De Mauro".


Scartate tutte le altre ipotesi sul sequestro - quella che portava al traffico di stupefacenti seguita precipitosamente dal colonnello dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, e quella che conduceva alle esattorie dei cugini Salvo inutilmente battuta dai poliziotti - la procura di Palermo 35 anni dopo ha ricostruito il movente del delitto.


Il giornalista era già tempo sorvegliato dai mafiosi. Avevano paura che scoprisse qualcosa sull'"incidente" al presidente dell'Eni, lui lavorava alla sceneggiatura del film che Francesco Rosi stava girando proprio sull'attentato di Bascapè. Ma De Mauro non custodiva segreti su Mattei. Si era invece imbattuto in quell'altra storia, il colpo di stato, il golpe che il "principe nero" voleva far scattare da lì a tre mesi coinvolgendo anche Cosa Nostra. I mafiosi avrebbero dovuto occupare la sede Rai di Palermo, le prefetture e le questure delle città siciliane.


Erano quasi le 9 di sera del 16 settembre quando sparì proprio sotto casa sua, in via delle Magnolie, la Palermo del sacco edilizio. Mauro uscì dalla redazione de L'Ora e fermò la sua Bmw davanti a un bar, comprò due etti di caffè macinato, due pacchetti di Nazionali senza filtro e una bottiglia di bourbon. Stava posteggiando l'auto quando sua figlia Franca - la ragazza si sarebbe dovuta sposare la mattina dopo - dalla finestra vide il padre "che parlava con due o tre uomini". Poi la Bmw all'improvviso ripartì. Fu ritrovata la mattina dopo dall'altra parte della città. Aveva ancora le chiavi inserite nel cruscotto. A Palermo è il rituale della lupara bianca. Così Mauro scomparve per sempre.


Per più di vent'anni solo silenzio. Dopo le stragi del 1992 cominciarono a parlare i pentiti. Il primo fu Gaspare Mutolo. Svelò due nomi: "Lo strangolarono Stefano Giaconia ed Emanuele D'Agostino". Poi arrivò Buscetta. E poi ancora Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia, Gaetano Grado. Tranne don Masino che è morto, gli altri sono stati tutti riascoltati dai magistrati. E tutti hanno indicato la "pista nera". Per ultimo Francesco Di Carlo ha ricordato di summit a Roma tra capimafia e generali. E ha spiegato: "De Mauro non fu nemmeno trascinato via a forza quella sera..". Conosceva bene una di quelle "due o tre persone" che sua figlia Franca intravide dalla finestra di casa. Era Emanuele D'Agostino, l'autista di Bontate. De Mauro si fidava in qualche modo di D'Agostino. E forse proprio da lui stava cercando di avere quel pezzo mancante per il suo scoop. Lo portarono in un casolare e fu Mimmo Teresi a interrogarlo, a tirargli fuori quello che sapeva sul colpo di stato. Poi lo uccisero. Nessuno dei pentiti sa dove sia esattamente la sua tomba, tutti dicono che è "sicuramente sotterrato" a Villagrazia, sul letto di quello che una volta era il fiume Oreto.


Il resto di questa storia italiana è confinato tra le pieghe di un'inchiesta che è stata dimenticata per anni, insabbiata. I magistrati di Palermo dopo tanto tempo hanno voluto interrogare ancora Vittorio Nisticò, il direttore de L'Ora, il giornale dell'altra Palermo. E per la prima volta da quel lontano 1970 hanno ascoltato Bruno Carbone, un collega che lavorava nella stessa stanza con De Mauro. Carbone ci aveva confessato nel 2001: "Mauro mi disse che aveva per le mani un colpo straordinario, io sono stato testimone della sua vita eppure non c'è mai stato un poliziotto o un magistrato che abbia sentito il dovere di chiedermi qualcosa". E aveva aggiunto: "Pochi giorni prima di sparire avevo suggerito a Mauro di parlare con il procuratore Pietro Scaglione. Lui ci andò. Dopo pochi mesi uccisero anche Scaglione".

da Reti-Invisibili