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venerdì 20 novembre 2009

PALMI (Reggio Calabria). Un difetto di comunicazione è costata la vita a un detenuto nel carcere di Palmi,.

PALMI (Reggio Calabria). Un detenuto di 41 anni si è tolto la vita nel carcere di Palmi, in provincia di Reggio Calabria.
Ancora una tragedia nelle carceri italiane. Stavolta un difetto di comunicazione è costata la vita a un detenuto, suicidatosi nel penitenziario di Palmi.
Ecco quello che è successo: il protagonista del gesto estremo era già stato formalmente scarcerato, ma nessuno glielo aveva comunicato, così in quelle che sarebbero state le sue ultime ore di prigionia si è ucciso dietro le sbarre del carcere della provincia di Reggio Calabria. Il fatto risale a martedì scorso ed è riportato oggi dal «Corriere di Rimini». L'uomo, 41, anni, di Bari, era stato condannato nel capoluogo romagnolo nell'agosto 2008 per un reato di lieve entità: il furto di uno zaino in spiaggia. Per questo gli erano stati comminati 4 anni e 5 mesi di pena, anche a causa di una serie di aggravanti fra cui la recidiva specifica, la dichiarazione di delinquente abituale e il fatto che si trovasse in Romagna in violazione delle misure di sorveglianza a cui era già sottoposto. Andati a vuoto i tentativi di ottenere gli arresti domiciliari in una comunità di recupero, il detenuto barese era depresso, «disperato», alla fine si è tolto la vita in cella con il fornellino del gas.
Ora però il caso investe l'amministrazione penitenziaria perché il suo provvedimento di scarcerazione era già arrivato da oltre 24 ore negli uffici del carcere di Palmi, in seguito alla richiesta avanzata dall'avvocato Martina Montanari, domanda in effetti accolta dalla Corte d'Appello di Bologna. Ora i familiari della vittima chiedono chiarezza e giustizia. Cosa ha impedito e perché - si chiedono - che la notizia dell'imminente ritorno in libertà arrivasse all'orecchio del diretto interessato?

da Indymedeia

L’Assassino dei Sogni

Nel giornale del Manifesto di sabato 14 novembre 2009 sul caso Cucchi ho letto un bell’articolo di Patrizio Gonnella, uno che scrive e sa di carcere.
-Finalmente i media si sono accorti che esiste la violenza istituzionale, che si può morire di botte in prigione, che la tortura non riguarda il terzo mondo.
E una dichiarazione della Fondazione Farefutura:
-In Italia troppi casi Cucchi.
Sulla rubrica lettere di Liberazione di domenica 15 novembre 2009:
-I detenuti picchiati (da sempre)… Ho prestato servizio per oltre 28 anni per compiti di polizia giudiziaria ed ho potuto costatare che il fenomeno, purtroppo, esiste da sempre, almeno fino a quando sono stato in servizio, ed è comune a più corpi di polizia. (Vincenzo Cerceo, colonnello in congedo della Guardia di Finanza, Trieste).
Anch’io voglio dare il mio contributo diffondendo questo racconto che assomiglia molto alla storia che è capitata a Stefano, che è capitata nel passato a molti e che capiterà in futuro ad altri.
Ciao Stefano, a differenza di Maurizio del racconto tu non sei solo, hai una famiglia meravigliosa che sta lottando per te.
Carmelo Musumeci
Carcere di Spoleto

L’Assassino dei Sogni

Questo racconto è frutto esclusivo della fantasia dell’autore. Ma nell’ambiente carcerario si racconta che sia una storia vera perché negli anni ottanta, Maurizio fu veramente trovato impiccato nella sua cella d’isolamento, con il copro pieno di ematomi, che non poteva esserseli fatti da solo.
Più che una prigione gli sembrava una mostruosa creatura di cemento armato.
E in sostanza quel carcere questo era: una creatura che assassinava e mangiava i sogni di chi era dentro.
L’assassino dei sogni odiava la felicità e la speranza e usava le sbarre, i blindati e i cancelli, per non farle entrare.
Maurizio osservava, fra le sbarre, calare la sera ed insieme al buio calava anche la malinconia.
Vide un grosso merlo spiccare il volo con un gran sbatter di ali.
Vide un gatto nero che miagolava sotto la sua finestra, ma lui non aveva nulla da mangiare da gettargli.
Probabilmente aveva più fame lui che il gatto.
Si sentiva profondamente solo e infelice.
Non riusciva a pensare ad altro che al momento in cui sarebbe uscito.
Quel giorno aveva compiuto diciannove anni.
Era dentro per una rapina alle poste.
Il complice che doveva fare da palo se l’era data a gambe alla vista di una pattuglia dei carabinieri senza nemmeno avvisarlo.
Lui non aveva potuto fare altro che alzare le mani perché aveva solo una pistola giocattolo mentre i carabinieri avevano le pistole vere.
Maurizio era un ragazzo difficile.
Aveva i capelli lunghi, neri e mossi, denti bianchi e un sorriso da bravo ragazzo e gli occhi straordinariamente profondi e luminosi.
A tratti i suoi occhi brillavano di una luce triste e opaca.
Non aveva genitori e non ne sentiva la mancanza.
Per sentire la mancanza dell’amore bisogna conoscere l’amore.
Maurizio non aveva conosciuto l’amore di un padre, di una madre, di un fratello e di una sorella.
Non aveva mai conosciuto l’amore di una famiglia.
Aveva conosciuto solo l’odio della gente.
Prima l’odio innocente dei bambini, poi quello dispettoso dei ragazzi e ora quello malvagio e cattivo degli adulti.
Maurizio aveva conosciuto solo l’orfanotrofio, il collegio e ora il carcere.
Maurizio aveva solo sfiorato l’amore.
Aveva conosciuto Anna.
La ricordava con nostalgia.
Ricordava le sua labbra morbide.
Il calore dei suoi baci.
Il seno premuto nel suo petto.
Sentiva ancora il suo odore di ragazza semplice e pulita.
I suoi ricordi gli scalfivano il cuore.
Era stata la sua prima fidanzata.
Forse sarebbe stata l’ultima.
Lo aveva lasciato dopo nove mesi che era entrato in carcere.
Alla sua prima lettera gli aveva scritto che non lo avrebbe mai lasciato.
Alla seconda lettera gli aveva scritto che l’avrebbe aspettato per sempre.
Ma non era colpa sua.
Era colpa dell’Assassino dei Sogni.
Il carcere divora l’amore di chi sta fuori e uccide l’amore di chi sta dentro.
Conservava ancora le sue lettere e le sue fotografie.
Non gliel’aveva mandate indietro.
L’amore in carcere quando finisce non fa rumore, ti spezza solo il cuore.
L’amava, o forse pensava di amarla.
Pensando a lei nel muro della sua cella aveva scritto:
- L’amore in carcere sa di ghiaccio.
Sentì il rumore di numerosi passi nel corridoio.
Si sentiva solo e indifeso, ma d’altronde lo era sempre stato.
Stavano venendo.
Lo sapeva.
Fu colpito da brividi di paura.
In questi casi i bastardi venivano sempre.
Forse l’avrebbero ammazzato di botte.
Ma che gli importava?
Non aveva nessun motivo per vivere.
Forse aveva più motivi per morire.
Aveva tirato un piatto di patate in faccia al brigadiere.
Non lo doveva fare.
Ma era stato più forte di lui.
Non riusciva a stare zitto se gli offendevano la madre che non aveva mai conosciuto.
Il brigadiere Mussolini, così chiamato da tutti per la sua crudeltà, lo aveva chiamato “figlio di puttana” perché lui si era lamentato che le patate erano poche e crude.
Lui si era lamentato perché aveva fame.
Non aveva soldi per comprarsi qualcosa da mangiare.
Nessuno lo andava a trovare.
Nessuno si occupava di lui.
Nessuno là fuori gli voleva bene.
Non c’era mai stato nessuno.
Invece lui voleva bene a tutti.
La porta del blindato si spalancò.
Le guardie entrarono con il passamontagna sulla faccia per non farsi riconoscere.
Solo Mussolini aveva il viso scoperto.
Maurizio, senza nessun segno di debolezza, guardò dritto negli occhi Mussolini.
Il bastardo comandava più del direttore del carcere!
Aveva carta bianca.
Aveva le spalle coperte.
Si diceva che aveva come parente un pezzo grosso al Ministero di Giustizia.
Mussolini aveva lo sguardo gelido e pieno di rabbia.
Invece gli occhi di Maurizio erano gli occhi di un animale in trappola.
Gli saltarono addosso tutti insieme.
Lo riempirono di calci e pugni.
Maurizio soffriva più per le parolacce che gli dicevano che per le botte.
Lui non disse nulla.
Non gridò e non si lamentò, come facevano gli altri ragazzi quando venivano picchiati.
A Mussolini non diede questa soddisfazione.
E le guardie s’incazzarono ancora di più.
Lo picchiarono ancora più forte.
Sentì una botta più forte delle altre in testa poi più nulla.
Si riprese dopo qualche secondo con più rabbia nel cuore.
Respirava a fatica.
Gli arrivò un calcio sul fianco che non lo fece respirare per qualche secondo.
Uno di loro si tolse la cintura e incominciò a picchiare con la fibbia.
Maurizio si rannicchiò in un angolo e si coprì il viso e la testa con le gambe e le braccia.
Il pestaggio durò pochi minuti ma a lui parve un’eternità.
Era nelle celle di punizione e anche se avesse gridato nessuno la avrebbe sentito.
Era solo come lo era sempre stato nella vita.
Nessuno lo poteva aiutare.
Il cuore batteva furioso.
I calci e i pugni più che il corpo gli colpirono l’anima.
Per fortuna aveva un fisico tozzo, robusto e resistente.
Sentiva calore dentro di sé.
Le botte di solito producono calore al corpo.
Si impose con tutte le sue energie di controllare la paura e il dolore che lo dominavano.
L’ultimo calcio, in bocca, come il primo, fu di Mussolini.
Poi se ne andarono come erano venuti.
Solo dopo avere sentito i passi allontanarsi Maurizio pianse.
Pianse amaramente come un ragazzo, perché in fondo era solo un ragazzo.
Cosa aveva fatto di male per essere trattato così?
Aveva solo da farsi perdonare di essere venuto al mondo.
Le lacrime gli scendevano dagli occhi come gocce d’acqua e gli rigarono le guance.
Gli usciva il sangue dalla bocca e dal naso.
Sapeva che sarebbero tornati.
In questi casi, quando toccavi uno di loro, i pestaggi duravano diverse notti.
Aveva dolore dappertutto ma quello che gli faceva più male era l’umiliazione e l’impotenza.
Maurizio cercò di calmarsi e di recuperare la lucidità.
Non era la prima volta che prendeva botte dalle guardie ma questa sarebbe stata l’ultima volta.
Se fossero tornati decise che a uno di loro gliel’avrebbe fatta pagare.
E sapeva già a chi.
Si alzò con fatica.
Si appoggiò al muro.
Fece un respiro profondo.
Si trascinò nel letto e si sforzò di riflettere.
Riordinò i propri pensieri.
Quella notte non sarebbero più tornati.
Sarebbero ritornati la notte successiva.
Se tornavano a picchiarlo non si sarebbe più fatto massacrare senza fare nulla.
Avrebbe tagliato la faccia a Mussolini.
Sì! Avrebbe fatto così.
Quella decisione gli fece bene.
Gli diede forza e determinazione.
Aveva caldo!
Era estate.
Sudava e sentiva l’odore del suo sangue.
Si fece forza.
Si alzò dal lettino per recuperare un po’ di lucidità.
Mosse qualche passo.
Sembrava che le gambe gli potessero cedere da un momento all’altro.
Si sentiva strano!
Fuori tempo.
Fuori luogo.
La testa gli girava.
Aveva la nausea.
Andò al lavandino.
Bevve piano piano un po’ d’acqua perché gli faceva male la gola e non riusciva a deglutire.
Si guardò allo specchio.
Incontrò il suo sguardo.
Rimase a guardarsi fisso per un minuto.
Non si riconobbe.
Vide due profonde ferite in fronte.
Una goccia di sangue gli correva ancora sul filo del naso.
Abbassò le palpebre esausto.
Fu invaso da una tristezza mortale.
Si fece forza.
Poco per volta cercò di reagire.
Poi si disse:
- Io a quel cornuto gli taglio la gola!
Maurizio era pallido e madido di sudore.
Aprì il rubinetto dell’acqua.
Si lavò accuratamente le ferite.
In testa aveva bisogno di punti.
Ma se avesse chiesto l’intervento del dottore avrebbe rischiato di prendere altre botte.
Decise di lasciar perdere.
Tornò a sdraiarsi sul lettino.
Dalla fatica, dai dolori e dall’umiliazione, gli occhi si velarono di nuovo di lacrime.
Ma poi la rabbia del suo cuore asciugò tutte le sue lacrime.
Se la prese con Dio e lo maledì.
Maledì tutto il mondo, ma non maledì Anna.
Con le ultime forze che gli rimanevano scrisse sul muro:
- L’amore vuole dire accettare tutto, anche di essere abbandonato dalla donna che ami.
Poi Maurizio si addormentò.
Non si rese conto di quanto tempo fosse passato che sentì dei rumori.
Pensò che lo stessero picchiando di nuovo.
Ma questa volta i colpi non venivano dalla sua testa ma dal blindato della sua cella.
Una voce lo riscosse all’improvviso:
- Caffè… latte!
Era quell’infame dello scopino.
Alle celle di punizione come lavorante mettevano sempre i confidenti del comandante così riportavano tutto.
- Un attimo! Sto venendo!
Maurizio si alzò con fatica.
- Sbrigati che sto andando via!
Prese un po’ di latte annacquato, il latte vero se lo rubava lo scopino, e un po’ di caffè che sembrava acqua sporca.
Chiese una pagnotta ma l’infame gli rispose che il pane sarebbe arrivato più tardi.
Bevve il latte e il caffè e si sdraiò di nuovo sul letto.
Pensò a cosa fare.
Quella notte le guardie sarebbero venute di nuovo a picchiarlo.
Mussolini sarebbe stato alla testa del branco.
Pensò per diversi minuti poi si alzò e si mise a lavorare sulla branda.
Lavorò per molto tempo finchè una lama del letto non si staccò.
Si mise per ore a sfregarla nel cemento del pavimento per farla tagliente e appuntita.
Poi strappò un pezzo di lenzuolo ed insieme a della carta di giornale ci fece il manico.
Era pronto.
Ora aveva un’arma per difendersi.
Era poco, ma era meglio di niente.
Si mise ad aspettare.
La paura fece passare in fretta la mattinata e fu presto pomeriggio.
Il giorno aveva fretta di lasciare il posto alla sera.
L’ultimo raggio di sole scomparve.
Il buio si mangiò presto il giorno e fu di nuovo notte.
Con il buio la cella diventò il regno delle ombre.
Presto i bastardi sarebbero nuovamente ritornati.
Mussolini non era ancora montato in servizio.
Sarebbe stato di servizio dopo mezzanotte.
Il bastardo con i suoi sgherri sarebbe venuto a l’ora delle streghe.
La notte era quieta e stellata.
La fame lo torturava.
L’appetito gli attanagliava lo stomaco.
Si mise a mangiare la mezza scodella di minestra che aveva messo da parte.
Ritrovò un po’ di energia.
Si sforzò di essere in pace con se stesso.
Si convinse di essere forte come non lo era mai stato.
Invece, Maurizio sudava per l’attesa.
Sudava di paura.
Era acquattato nell’angolo della cella.
Aveva le orecchie dritte.
Attento a ogni rumore.
Avvertiva la rabbia che saliva dentro di sé.
Dalla finestra vide uno spicchio di luna che lo guardava.
Lo osservava.
Forse anche lei voleva vedere come andava a finire.
Anche lei odiava l’Assassino dei Sogni, ma non poteva fare nulla.
Maurizio sentì i rumori dei passi sulle scale.
Poi li sentì nel corridoio.
I rumori degli scarponi cessarono davanti alla sua cella.
Dopo qualche secondo sentì il rumore della serratura che scattava.
Il blindato si aprì.
Le guardie irruppero nella stanza.
La cella si riempì di uomini con il cuore nero.
Davanti a tutti c’era lui.
Mussolini vide che il ragazzo lo stava aspettando.
Vide che il suo viso era cambiato.
Non gli sembrava lo stesso ragazzo della sera prima.
Maurizio era accovacciato in un angolo della cella.
Aveva un fazzoletto attaccato alla fronte.
I suoi occhi erano duri e determinati.
Erano gli occhi di un adulto.
Maurizio sorrideva.
Mussolini pensò:
- Che cazzo ha da sorridere!
Le guardie aspettavano il via per incominciare il pestaggio.
Il primo calcio in bocca e l’ultimo lo dava sempre lui.
La tensione si tagliava a fette.
Maurizio si alzò in piedi con le braccia dietro la schiena.
La paura lo avvolgeva come un’amante.
Mussolini vide i suoi occhi folli, ma era tropo tardi.
Il ragazzo all’improvviso si mosse.
Scattò di colpo.
Scattò in linea retta.
La lama che teneva in mano affondò di taglio nella faccia di Mussolini.
Lui impallidì di colpo.
Le guardie guardarono il loro capo, con una mano sul viso, che indietreggiava.
La sua guancia sanguinava.
Stupore e collera si mescolarono fra loro.
Non sapevano cosa fare.
Erano indecisi se saltare addosso a Maurizio.
Mai nessuno si era ribellato in questo modo.
Il ragazzo parlò calmo:
- Il prossimo che si avvicina gli taglio la gola.
Tutti di domandavano cosa aspettasse Mussolini a dare il via al pestaggio.
Nessuno di loro in quel momento capì che Mussolini voleva di più.
Molto di più.
Voleva di più di una vendetta.
Voleva donare all’Assassino dei Sogni una vita.
Una giovane vita.
La sua autorità tra quelle mura era in pericolo.
Mussolini uscì dalla cella seguito dai suoi sgherri.
L’Assassino dei Sogni sapeva già come sarebbe andata a finire.
Doveva solo aspettare.
Aspettò!
Maurizio pensò che questa volta l’aveva fatta grossa.
Si accorse di essere stanco.
Dalla tensione scoppiò a piangere.
Pianse lacrime di paura domandandosi:
- Adesso che succederà?
L’Assassino dei Sogni lo sapeva.
Era già successo tempo addietro.
E chissà quante volte ancora sarebbe successo.
Maurizio sentì che quella notte la sua vita era in pericolo.
Capì anche che non poteva fare nulla.
Forse le guardie non avrebbero avuto il coraggio di ammazzarlo di botte.
Non poteva fare altro che sperare questo.
In compagnia della paura Maurizio aspettò il suo destino.
Ormai era notte fonda, cosa aspettavano a venire?
Quel silenzio irreale lo preoccupava.
Non aspettò a lungo.
Questa volta non li sentì arrivare perché le guardie si avvicinarono piano.
Sentì solo il rumore ferroso del blindato che si apriva.
Le guardie fecero ressa e si accalcarono per entrare tutte insieme nella cella.
Tutti volevano partecipare all’esecuzione.
Entrarono.
Avevano tutti il passamontagna.
Alcuni avevano pure il manganello e un grande scudo di plastica antisommossa.
Sembravano una marea blu per il colore della loro divisa.
Maurizio si specchiò negli occhi delle guardie per trovare un po’ di pietà.
Ma non ne trovò.
Non parlò.
Non sarebbe servito a nulla.
Spesso le guardie si abituano a picchiare i detenuti come i macellai si abituano alla vista del sangue.
Guardò dritto negli occhi la guardia che era più indietro di tutti.
Più che dal copro e dalla stazza lo riconobbe dagli occhi d’assassino.
Era Mussolini.
Era venuto anche lui.
Era venuto a vedersi lo spettacolo.
Le guardie gli saltarono addosso.
Lo bloccarono per le spalle.
Lui spinse, scalciò, tirò pugni, ma la sua fu una resistenza senza speranza.
Maurizio dimostrò una forza inaspettata ma inutile.
Si agitò, resistette, poi accettò il suo destino.
Non riuscì a divincolarsi.
Lo presero di peso.
Una guardia strappò un lenzuolo.
Lo legò fra le sbarre.
Fece un cappio e lo mise al collo del ragazzo.
Maurizio intontito dalla paura seppe che lo stavano ammazzando e decise che non gli dispiaceva più di tanto.
La vista incominciò ad annebbiarsi.
In un angolo del suo cuore passò un pensiero di Anna.
Chissà cosa stava facendo in quel momento.
Tutta la vita aveva cercato l’amore e quando non lo aveva cercato più l’aveva trovato, ma l’Assassino dei Sogni se l’era mangiato.
Presto avrebbe tolto il disturbo da un mondo che non l’aveva mai voluto e accettato.
Quei pochi ricordi della sua giovane vita si presentarono nella sua mente come non accadeva da tempo.
Le guardie gli misero lo sgabello rovesciato lì vicino e mollarono il suo corpo.
Maurizio cercò di respirare, poi rinunciò a farlo.
Non sarebbe servito a nulla.
Era stanco.
Non aveva più motivo di stare al mondo.
Per la verità non aveva mai avuto un motivo.
Non l’aveva chiesto lui di venire al mondo.
E come il vento ora andava via.
Chissà se qualcuno l’avrebbe pianto!
Forse Anna?
No! Nessuno l’avrebbe pianto.
Le guardie uscirono.
Chiusero il blindato.
Maurizio non pregò Dio e non lo maledì.
Non gli importava più nulla di nessuno.
Neppure di se stesso.
L’ultimo suo pensiero lo donò ad Anna.
Come era vissuto ora moriva solo come un cane.
Persino la luna se n’era andata.
Maurizio aveva poco.
Aveva solo la vita da perdere.
Solo quella poteva perdere.
E la perse.
Sentì per l’ultima volta l’odore della vita.
Si lasciò andare.
Ormai era notte buia e profonda.
Una buona notte per morire.
Emise l’ultimo respiro e morì.
La morte lo avvolse a sé e se lo portò via.
Lasciò all’Assassino dei Sogni solo il corpo appeso fra le sbarre.

Carmelo Musumeci
Carcere di Spoleto – novembre 2008

Mario Placanica indagato


L'ex carabiniere fu accusato e poi prosciolto per la morte di Carlo Giuliani durante il G8 di Genova
Gli abusi risalgono al 2007. All'epoca la ragazzina che ne è stata vittima aveva 11 anni


ROMA - Mario Placanica, l'ex carabiniere accusato e poi prosciolto per la morte di Carlo Giuliani durante il G8 di Genova, è indagato dalla procura di Catanzaro per violenza sessuale su minore e maltrattamenti.


Secondo quanto trapelato, ieri la vittima degli abusi, che all'epoca dei fatti aveva 11 anni, è stata ascoltata dal gip della città calabrese Gabriella Reillo in sede di incidente probatorio, su richiesta del pubblico ministero. La ragazzina è stata sentita in una struttura protetta. Nell'ordinanza ammissiva di incidente probatorio depositata il 26 ottobre 2009 si legge che è stato necessario ascoltarla "per garantire il miglior ricordo dei fatti, verificatisi circa due anni fa, e verso i quali la stessa ha manifestato un atteggiamento di rifiuto e di tendenza alla rimozione, come desumibile dall'atteggiamento di non collaborazione" rilevato da una psicologa, e in generale "dal sentimento di vergogna, con conseguente reticenza".

Insomma, scrive il magistrato, "la prova richiesta deve ritenersi rilevante e non rinviabile al dibattimento", anche per l'atteggiamento di "vergogna, con conseguente reticenza" della ragazza, ma soprattutto "per porre fine o comunque alleviare la situazione di stress". E dunque il giudice, assistito da una psicologa minorile, ha ascoltato in una stanza protetta e che la mettesse a suo agio, le parole della giovane, mentre una telecamera trasmetteva le immagini a un'altra stanza della struttura dove era prevista la presenza di "tutti gli altri soggetti legittimati".

Placanica non ha partecipato alla deposizione: in sua vece l'avvocato Salvatore Sacco Saragò del foro di Catanzaro. Secondo indiscrezioni la ragazza, che in un primo momento, e non in sede di incidente probatorio, avrebbe ricordato un solo episodio, ieri davanti al gip avrebbe invece fatto cenno a più di un abuso.

Gli abusi, sempre a quanto si apprende, sarebbero durati un anno circa fino ad agosto 2007. La denuncia alla polizia, invece, sarebbe arrivata qualche mese dopo, a maggio del 2008. A presentarla la madre della ragazza. Giusto il tempo, per lei, di rompere il muro della paura, e quello del pudore da parte della giovane, aiutata nel difficile percorso da una psicologa. Davanti alla quale, faticosamente, avrebbe iniziato a raccontare quanto le sarebbe accaduto. A quanto pare, poi, la polizia di Catanzaro avrebbe ascoltato immediatamente altre quattro persone, le quali sarebbero state messe al corrente dei fatti da Placanica stesso. La ragazza invece sarebbe stata ascoltata la prima volta dagli inquirenti ad aprile 2009, con l'ausilio di uno psicologo. Ieri, infine, l'incidente probatorio.

da LaRepubblica

Vendola, mi candido e questi sono i miei partiti

Il presidente della Regione Puglia e leader di Sinistra e Libertà, Nichi Vendola, ha sciolto poco fa qualsiasi riserva e ha ufficializzato la propria candidatura alle prossime regionali. ”Mi candido – ha detto – per conto del Pdl, popolo della legalita’, del Pdp, popolo della precarietà, e del Pdb, Popolo dei bambini. E di tutti quei soggetti sociali che sono il mio partito”.

Oggi ho ufficializzato la mia candidatura alle prossime elezioni regionali. Ho interrotto il giro di valzer con i partiti. Da oggi tutti sono obbligati a giocare a carte scoperte. Non c’è in gioco una carriera, la mia, c’è in gioco la qualità di una politica.

Ho scelto in questo momento di chiudere i giochi per quanto riguarda la mia persona. I giochi si possono riaprire soltanto se qualcuno intenderà accettare la sfida delle primarie, in quel caso sarò disponibile. Ma senza primarie deve essere del tutto chiaro che io correrò e correrò per vincere.

Non correrò per perdere, non correrò per testimoniare: farò l’ennesima sfida impossibile. Ancora una volta, nel mio piccolo, Davide contro Golia, contro poteri giganteschi, forse. Io penso a quei vecchietti che ho incontrato, a quelle vecchiette, nell’Appennino Dauno, poi sul Gargano che mi hanno detto ‘Presidente non ci abbandonare!’, o ai bambini che stamani hanno siglato con me un altro patto per il futuro, i bambini delle scuole a cui abbiamo regalato i diari sulla raccolta differenziata, a cui abbiamo prestato le cure. Penso alle persone diversamente abili che per la prima volta hanno avuto una interlocuzione forte con una Regione capace di considerarli non dei problemi ma delle risorse, penso al completamento della costruzione di tutti gli impianti per i rifiuti, e potrei continuare all’infinito.

Penso alla protezione civile che finalmente abbiamo, un gioiello, mentre dieci anni di distrazione criminale della destra facevano della Puglia una terra preda delle fiamme o del fango. Noi possiamo vantare un cambiamento straordinario nell’economia come nella rete dei servizi e dei diritti per i cittadini. Io non posso farmi indietro perché significherebbe dire a tutte queste conquiste che forse potrebbero essere messe in discussione. L’operato di questo governo è stata un’esperienza entusiasmante con la quale abbiamo cominciato a dare speranza alle città soffocate dall’inquinamento, alle persone prigioniere della precarietà o delle cosiddette esternalizzazione, ai bambini, alle donne e ai vecchi senza servizi sociali. Voglio continuare. Se penso che la rimozione di Vendola può significare bloccare il processo di stabilizzazione dei lavoratori precari, se penso che togliere Vendola può facilitare la costruzione di centrali nucleari in Puglia, o che togliere Vendola significa poter vendere l’Acquedotto Pugliese, allora devo rispondere che Vendola non ha un problema personale, non ha un problema di carriera. Vendola è ospite dei suoi doveri pubblici, è legato ai suoi doveri pubblici, Vendola risponderà alle domande, alle speranze, alle ansie di questa grande Puglia.

Ho il dovere di rivolgermi alla ‘Pdl’, che è il mio partito, il Popolo della legalità; alla ‘Pdp’, che è il mio partito, il ‘Popolo della precarietà’, e a tutti i soggetti in carne ed ossa, piccoli, grandi, ammalati: noi dobbiamo continuare a coltivare il sogno di una Puglia migliore, la Puglia migliore l’abbiamo vista sbocciare, ha bisogno di tanto lavoro ancora e io sono disponibile a farlo.

Dalla Regione Puglia 6 milioni e mezzo di euro per riconvertire i beni sottratti alla mafia in opportunità di sviluppo

Fu Pio La Torre, una delle vittime della mafia, a sostenere che la lotta alla crimininalità organizzata sarebbe stata più incisiva se i criminali fossero stati colpiti nei loro beni economici. La Regione Puglia ha varato un bando che ha lo scopo proprio di limitare le risorse economiche delle associazioni mafiose per rendere più concreta la lotta alla criminalità organizzata. Si chiama “Libera il bene”,ed è un’iniziativa che la Regione Puglia ha promosso insieme all’associazione “Libera – nomi e numeri contro le mafie” nell’ambito del programma “Bollenti Spiriti”.

Lo scopo è proprio quello di contrastare i fenomeni del mancato utilizzo e del deperimento dei beni confiscati alle mafie, sostenendo materialmente la trasformazione dell’utile criminale in utile legale,per fare in modo che la riconversione dei beni sottratti alla mafia diventino strumento efficace per lo sviluppo del territorio in termini di avvio di nuove attività e di nuove opportunità occupazionali. Al bando possono partecipare i comuni e le province di tutta la regione che selezioneranno i progetti per il riutilizzo del bene ed il soggetto gestore presentando tale candidatura alla Regione che scegliera i progetti meritevoli di finanziamento.

Un finanziamento che ammonta a ben sei milioni e mezzo di euro provenienti dal programma operativo FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) disponibile per comuni e regioni fino ad esaurimento delle risorse per un massimo di 750 mila euro per ciascuna proposta progettuale.

Spiega Guglielmo Minervini,Assessore Regionale alla Trasparenza,: “La riappropriazione dei beni confiscati alla mafia nella maggior parte dei casi è una riappropriazione a metà perchè gli enti locali, dopo averli sottratti alle associazioni mafiose, faticano a renderli disponibili per la comunità per via della mancanza di fondi utili per la trasformazione e la ristrutturazione di tali beni. Per tale motivo la Regione ha pensato a tale bando col fine di aiutare finanziariamente gli enti che, pur disponendo di beni immobili, non possono solo con le loro forze recuperarli del tutto. Io penso – prosegue poi Minervini – che questo sia un bando importante perchè credo che con questo noi affermiamo una regola fondamentale: le mafie si combattono non solo con la repressione delle illegalità ma anche con queste riconversioni che mostrano l’azione svolta dall’ente regionale”.

I media coltivano dentro di noi il panico

Prima di leggere l'articolo vero e proprio voglio parlarvi di una teoria mass-mediologica (quindi sociologica): la teoria della coltivazione.E' una teoria degli effetti cumulativi dei mass media che studia le conseguenze della televisione sulla popolazione. Venne sviluppata negli anni 70 da George Gerbner, decano della Scuola di comunicazione Annenberg presso l'Università della Pennsylvania. Gerbner svolse tra gli anni '60 e '70 vari studi sugli effetti della televisione sulla popolazione negli Stati Uniti e giunse alla conclusione che la televisione produce un effetto di cumulazione che porta lo spettatore a vivere in un mondo che somiglia a quello mostrato dal teleschermo. La tesi fondamentale della teoria attribuisce al mezzo televisivo la capacità di fornire allo spettatore (per questo si parla di coltivazione) una visione del mondo comune e condivisa, operando in tal senso nella direzione di una unificazione della realtà. Con la massiccia presenza in tutto il mondo di un palinsesto televisivo globalizzato, la teoria della coltivazione indica nella televisione uno strumento di omogeneizzazione culturale a livello mondiale, in cui i messaggi televisivi formano un sistema coerente che crea la corrente del nostro modo di pensare.



Vi starete sicuramente chiedendo il perchè di questa interessante digressione. Il perchè è molto semplice. E' stato chiaramente dimostrato che i messaggi televisivi influenzano le nostre scelte. I mass media ultimamente lo stanno facendo benissimo. Più volte al giorno ci bombardano con messaggi più o meno simili e ripetitivi. E spesso non solo fastidiosi, ma soprattutto allarmistici.

Il caso è quello dell'influenza A. Si è detto di tutto su questa influenza che non capiamo ancora bene cos'è. Vaccinatevi è la parolina magica che riecheggia in tv. Ma penso che gli italiani sono intelligenti da capire se farlo o meno. Anche se, a mio modestissimo parere,non serve il vaccino. Infatti, se vi andate a cercare le notizie in rete, scoprirete tante cosette interessanti. Come ad esempio il fatto chenel 1976 negli USA fu prodotto un vaccino simile a quello dell'attuale influenza suina, anche allora con una gran fretta per un pericolo di pandemia, ed il risultato fu un’epidemia di reazioni avverse gravi (sindrome di Guillan-Barrè, una malattia neurologica), per cui la campagna di vaccinazione fu subito sospesa.

Se vi andate a cercare le notizie scoprirete anche che l’influenza A provoca pochi decessi tra i giovani e la mortalità riguarda prevalentemente persone con già patologie più o meno gravi o soggetti deabilitati.

Eppure i mezzi di informazione hanno creato il panico. Di certo se i media non continuassero a disseminare panico parlando di persone morte a causa dell'influenza A, forse si respirerebbe una maggiore tranquillità.
Coltivano in noi (riprendendo la tesi di Gerbner) il messaggio di vaccinarci, quando poi non è così urgentemente necessario...

http://andreainforma.blogspot.com/2009/11/i-media-coltivano-dentro-di-noi-il.html

Grande Fratello e Casa Pound: chi c'è dietro?


Casapound al Grande Fratello
Dom alle 17.18
La storia è a tratti paradossale, ma inqiuetante oltre misura.
Conosciamo tutti l'interesse perverso di CASAPOUND ( i fascisti del terzo millennio capitanati da Gianluca Iannone) per ogni vetrina mediatica.
Ma la trasmissione Grande Fratello è il loro feticcio accarezzato più e più volte. Eclatante fu il loro assalto (quando ancora erano all'interno della Fiamma Tricolore) alla "Bolla" della precedente edizione di questa idiota trasmissione targata Mediaset. Il risalto mediatico fu enorme e la visibilità per il loro inutile progetto del Mutuo Sociale raggiunse i massimi livelli.
Non si parlo d'altro per alcuni giorni. Servizi su ogni TG
nazionale furono il funzionale megafono alle gesta di questi quattro squadristi targati Mediaset. Non avevamo dubbi che anche quest'anno avrebbero provato il colpo di teatro, anche perchè è chiaro che i loro agganci istituzionali legati al mondo del loro padrone Silvio Berlusconi si sono saldati oltremodo nel corso di questo anno politico.Ma la svolta, come si nota dalla direttiva del loro capo Gianluca Iannone sullo spazio riservato alle comunicazioni interne che devono rimanere segrete ( inutile sforzo cari fasci ) , si è avuta dopo l'incontro con Marcello Dell'Utri avvenuta nello scorso settembre.

Difatti dopo questo incontro il leader di CASAPOUND lascia trapelare ai suoi la notizia sconvolgente: c'è finalmente la possibilità di realizzare un sogno accarezzato da tempo.
L'ingresso di un militante fidato all'interno della stessa casa del Grande Fratello.
Come concorrente. I responsabili territoriali di CP sono chiamati al gran segreto. L'esposizione mediatica deve essere massima.
Il fascista deputato alla missione si sta preparando da tempo ed è stato fatto sparire dalla scena politica da oltre un anno. Il tempo necessario a camuffarsi quel poco che basta per passare inosservato.
La direttiva per lui è : essere al centro dell'attenzione, creare scompiglio il più possibile prima dell'annuncio shock.
E c'è un concorrente, guardacaso fatto entrare a trasmissione già iniziata, che sta creando lo scenario necessario alla massima esposizione mediatica.
Mauro Morin, l'diota "salumaio" Veronese.
Attaccabrighe, violento, ignorante. Sessista, machista, arrogante.
Uno stereotipo fin troppo recitato.
Ora, l'informazione che stiamo diramando è sulla bocca di pochi addetti ai
lavori in Mediaset, ed è in qualche maniera trapelata a tal punto che STRISCIA LA NOTIZIA cercando lo scoop ha individuato in un militante di Forza Nuova che si rese responsabile dell'assalto razzista contro Adel Smiht negli studi di una tv privata veneta il collegamento fra Mauro Morin e l'estrema destra.
Un grosso errore da parte di STRISCIA LA NOTIZIA ( o la voglia di depistare una verità scomodissima ) dato che Mauro Morin altri non è che ATOM TAKEMURA, il batterista degli ZETAZEROALFA, il gruppo musicale di riferimento di CASAPOUND.
Il soprannominato ATOM TAKEMURA ( solo il nome del cantante Gianluca Iannone è noto mentre i nomi degli altri componenti sono sempre stati coperti dal più assoluto segreto) è infatti sparito dalla scena politica da tempo ed è VERONESE ma romano d'adozione.
Mauro Morin per quanto si sia fatto crescere i capelli, sia leggermente ingrassato ed abbia fatto qualche sessione di lampada abbronzante non può essersi di certo cambiato i connotati da noi ben conosciuti. Compare in ogni video ZETAZEROALFA dietro la batteria.
Ora tutta questa pagliacciata NON PUO' ESSERE MESSA IN PIEDI senza che qualcuno molto in alto in MEDIASET non sia CONSAPEVOLMENTE e COLPEVOLMENTE al corrente.
Quali favori possano aver offerto a Marcello dell'Utri e alla sua cerchia di amici i fascisti di CASAPOUND possiamo benissimo immaginarlo.
Ma è nostro dovere denunciare fortemente ed in ogni direzione possibile questo ennesimo tentativo di leggittimare i picchiatori fascisti da parte di ambienti governativi! Prima che siano loro a portare a loro favore la presenza del loro militante all'interno della casa del Grande Fratello!

da Indymedia

In difesa di Antonio Tabucchi

“Le democrazie vive hanno bisogno di uomini liberi”, si legge in un commento sottoscritto da una lunga lista di intellettuali pubblicato su Le Monde. “Hanno bisogno di persone coraggiose, indisciplinate, creative. Che osano, provocano e danno fastidio. Come gli scrittori, la cui libertà d’espressione è imprescindibile dall’idea di democrazia. In Italia questa libertà è messa in pericolo da un attacco smisurato contro lo scrittore Antonio Tabucchi. Il presidente del senato, Renato Schifani, gli ha chiesto un risarcimento di 1,3 milioni di euro – una somma esorbitante – per un articolo pubblicato dall’Unità, in cui Tabucchi s’interrogava sul passato, i rapporti d’affari e le frequentazioni ambigue di Schifani. L’obiettivo della causa legale è chiaramente quello di intimidire una coscienza critica”.

La rivista settimanale Veja parla del caso giudiziario di Cesare Battisti che ora dipende dal presidente Lula. “Il tribunale federale supremo del Brasile ha approvato, con cinque voti favorevoli e quattro contrari, l’estradizione di Cesare Battisti, condannato all’ergastolo in Italia per aver assassinato quattro persone tra il 1977 e il 1979. È stata così accolta la richiesta del governo italiano, secondo cui Battisti deve essere estradato perché è stato condannato per crimini comuni e non politici. Ma la vicenda non è ancora chiusa. Il tribunale ha anche lasciato l’ultima parola al presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Questo perché la questione Battisti chiama in causa le relazioni diplomatiche tra i governi di Italia e Brasile. Secondo molti Lula non si opporrà alla sentenza, ma potrebbe comunque ritardare l’estradizione”.

da Internazionale