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martedì 22 dicembre 2009

*Audio* - discorso di Nichi Vendola all' assemblea costituente del 19-20 dicembre 2009


Di seguito il discorso in tre parti dell'inervento conclusivo di Vendola all'assemblea costituente di Sinistra Ecologia e Libertà di Roma











Puglia, il Pd verso il sì a Vendola: si decide domani - Nel Lazio cresce Marazziti

Sotto l’albero il Pd pugliese potrebbe trovarsi Nichi Vendola. Dopo mesi di tensioni, domani, antivigilia di Natale, l’assemblea regionale dei democratici prenderà finalmenteuna decisione: sostenere il governatore di sinistra o dare vita a una nuova coalizione con Udc, Idv, verdi e socialisti e un altro candidato. Definitivamente tramontate le primarie, anche perché nessuno del Pd se la sente di sfidare Vendola. «Uno strumento non utile in questo momento», ha detto ieri il segretario regionale Sergio Blasi. «L’Udc ha già detto che non parteciperebbe, e neppure l’Idv. Che senso avrebbe farle noi contro Vendola? ». Così anche D’Alema, che ieri a Bari ha partecipato a un vertice del Pd pugliese. «Sarebbero disastrose, solo un conflitto a sinistra».

Molti segnali fanno pensare che il Pd alla fine sceglierà Nichi, cercando di recuperare almeno l’Idv e tentando di mettere in campo delle liste civiche per acchiappare consensi al centro, sperando che l’Udc corra da sola. Difficile, visto che gli uomini di Casini ripetono «mai da soli in Puglia». E allora Vendola potrebbe spuntarla. Nonostante le bordate che anche ieri D’Alema gli ha rifilato alla riunione, accusandolo di «irresponsabilità politica». «Per mesi ha trattato con l’Udc, poi quando ha visto che mon lo volevano si è autocandidato. Eppure allargare all’Udc resta la strada più opportuna, bisogna pescare voti anche dall’altra parte, non rinchiudersi a sinistra: pure Ferrero è arrivato a dire che sosterrebbe Casini premier...». «Siete adulti e responsabili, decidete voi», ha concluso D’Alema rivolto ai “compagni” della Puglia, sottolineando i problemi che emergerebbero candidando il sindaco di Bari Emiliano (che ieri ha ribadito di non volersi candidare). Non mancano i supporter della nuova coalizione contro Vendola: da Nicola Latorre, al capogruppo in Regione Antonio Maniglio al deputato Ludovico Vico. Ma sono di più i supporter di Vendola. Dice Blasi: «Non siamo ostili a Vendola, con lui abbiamo governato e ottenuto risultati importanti ».

NEL LAZIO CRESCE LA CARTA MARAZZITI
Nel Lazio la situazione è ancora più intricata. Ieri il tavolo del centrosinistra è saltato (Idv e Prc non volevano partecipare). Zingaretti ha ribadito il suo no: «Le condizioni che avevo posto non esistono. Ora il Pd deve partire con un nome che non può essere il mio». Stamane si riunisce il Pd, l’unica buona notizia è che, se in Puglia saltasse l’alleanza con l’Udc, nel Lazio l’accordo sarebbe praticamente cosa fatta. «Per riequilibrare », spiegano gli uomini di Casini. Sul tavolo del Pd c’è la proposta fatta a Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, che per ora sta a guardare ma non esclude l’ipotesi. «Per me sarebbe più naturale restare nella società civile», dice a l’Unità. «Credo che altre candidature di qualità si possano trovare... ». Ma non è un no.

http://www.unita.it/news/italia/92946/puglia_il_pd_verso_il_s_a_vendola_si_decide_domani_nel_lazio_cresce_marazziti

Negrindia


Cosi' sono qua, io, Guaicaipuro Cuautemoc, sono venuto a incontrare i partecipanti a questo incontro.
Cosi' sono qua, io, discendente di coloro che popolarono l'America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.
Cosi' ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed e' gia' abbastanza. Non abbiamo bisogno di altro.
Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono.
Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori che non ho mai autorizzato a vendermi.
Il fratello leguleio europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il loro consenso.
Questo è quello che sto scoprendo.

Anch'io posso pretendere pagamenti.
Anch'io posso reclamare interessi.
Fa fede l'Archivio delle Indie.
Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar de Barrameda 185mila chili di oro e 16 milioni di chili d'argento provenienti dall'America.
Saccheggio? Non ci penso nemmeno!! Perché pensare che i fratelli cristiani disobbediscano al loro settimo comandamento?
Spoliazione? Tanatzin mi guardi dall'immaginare che gli europei, come Caino, uccidano e poi neghino il sangue del fratello!
Genocidio? Sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomeo della Casa che considerarono quella scoperta come la distruzione delle Indie, o ad oltraggiosi come il dottor Arturo Pietri che sostiene che lo sviluppo del capitalismo e dell'attuale civiltà europea sia dovuto all'inondazione di metalli preziosi!

No! Questi 185mila chili di oro e 16 milioni di chili d'argento devono essere considerati come il primo di vari prestiti amichevoli dell'America per lo sviluppo dell'Europa.
Pensare il contrario vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l'indennizzo per danni e truffa.

Io, Guaicaipuro Cuautemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi.
Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che l'inizio del piano Marshalltezuma teso a garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorabili guerre contro i culti musulmani, difensori dell'algebra, della poligamia, dell'igiene quotidiana e di altre superiori conquiste della civiltà.

Per questo, avvicinandosi il Quinto Centenario del Prestito, possiamo chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile, o perlomeno produttivo delle risorse così generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale?
Ci rincresce dover dire di no.
Dal punto di vista strategico le dilapidarono nelle battaglie di Lepanto, nelle armate invincibili, nei terzi Reich ed in altre forme di reciproco sterminio, per finire poi occupati dalle truppe yankee della Nato, come Panama (ma senza canale).
Dal punto di vista finanziario sono stati incapaci - dopo una moratoria di 500 anni - sia di restituire capitale ed interessi che di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie prime e dall'energia a basso costo che gli esporta il Terzo Mondo.

Questo deplorevole quadro conferma l'affermazione di Milton Friedman secondo il quale un'economia assistita non potrà mai funzionare e ci obbliga a chiedere - per il loro stesso bene - la restituzione del capitale e degli interessi che abbiamo così generosamente aspettato a richiedere per tutti questi secoli.

Detto questo, vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei quei vili e sanguinari tassi d'interesse variabile del 20 fino al 30% che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo. Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi prestati, piu' il modico interesse fisso del 10% annuale accumulato negli ultimi trecento anni, condonando quindi gli altri 200.
Su questa base, applicando la formula europea dell'interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto 185mila chili di oro e 16 milioni di chili d'argento ambedue elevati alla potenza di trecento.
Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie piu' di trecento cifre, e il cui peso supera ampiamente quello della terra.
Com'è pesante questa mole d'oro e d'argento! Quanto peserebbe calcolata in sangue? Addurre che l'Europa in mezzo millennio non ha saputo generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la demenziale irrazionalità delle basi del capitalismo.

Tuttavia queste questioni metafisiche non affliggono noi indioamericani. Però chiediamo la firma immediata di una carta d'intenti che disciplini i popoli debitori del vecchio continente e li obblighi a far fede al loro impegno tramite un'immediata privatizzazione o riconversione dell'Europa perché ci venga consegnata per intero come primo pagamento di questo debito storico.

Dicono i pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una bancarotta tale che gli impedisce di tener fede ai loro impegni finanziari o morali.
In tal caso ci accontenteremo che ci paghino dandoci la pallottola con cui uccisero il poeta.
Ma non potranno.
Perché quella pallottola è il cuore dell'Europa.

di Guaicaipuro Cuautemoc da Indymedia

Morto il nigeriano che 'assistette' al pestaggio nel carcere di Castrogno


Si era sentito male al mattino, portato in infermeria solo il pomeriggio, secondo l'avvocato. 'Il negro ha visto tutto', erano le parole del capo della polizia penitenziaria.

Il carcere di Castrogno, alla porte di TeramoUzoma Emeka, il detenuto nigeriano di 32 anni che avrebbe assistito il 22 settembre scorso al pestaggio di un altro detenuto italiano nel carcere di Castrogno, e' morto all'ospedale civile di Teramo.
Le circostanze del decesso sono ancora ignote, ma gia' si specula sulle ombre che la morte di Emeka proietta nuovamente sulla casa circondariale abruzzese. Emeka era probabilmente stato il testimone di una delle pagine buie della storia penitenziaria italiana, rivelata dall'invio al quotidiano locale 'La Citta'' di una registrazione delle guardie carcerarie. "Non si massacrano così i detenuti in sezione, si massacrano sotto... il negro ha visto tutto". Questa era la frase che il capo delle guardie carcerarie, Giuseppe Luzi, rivolgeva a un suo sottoposto. A seguito dell'episodio si succedettero interpellanze parlamentari e inchieste interne al corpo di Polizia penitenziaria che portarono alla rimozione dall'incarico di Luzi per ordine del ministro della Giustizia Alfano.

Il carcere di Teramo accoglie oltre 400 detenuti, ma e' concepito per contenerne 250. La struttura versa in condizioni di estremo disagio, e ripetuti sono i tentati di suicidio, le aggressioni alle guardie carcerarie e gli scioperi della fame. Uzoma Emeka si e' sentito male venerdi' mattina, nel carcere dove era rinchiuso per spacio di stupefacenti. Secondo il legale del nigeriano, Giulio Lazzaro, Emeka e' giunto all'ospedale di Teramo cinque ore dopo, all'una di pomeriggio. L'uomo soffriva di depressione e faceva uso di farmaci. I giudici hanno disposto che l'autopsia venga filmata. Il perito di parte sarà il professor Giulio Sacchetti dell'Università di Roma, lo stesso medico che seguì la vicenda processuale di Marta Russo.

da PeaceReporter

BOB MARLEY - ZION TRAIN



BOB MARLEY - ZION TRAIN

Zion trein is coming our way
Zion train is coming our way
Oh people get on-board
You better get on board
Thank the Lord, praise Fari
I gotta catch this train
'Cause there is no other station
Then you going in the same direction
Zion train is coming our way
Zion train is coming our way
Which man can save his brother soul
Oh man it's just self control
Don't gain the world and lose your soul
Wisdom is better silver and gold
To the bridge
Oh where there is a will
There always is a way
Where there is a way
Where there is a will, there's always a way
Soul train is coming our way
Zion train is coming our way
Two thousand years of history
Could not be wiped away so easily
Two thousand years of history, black history
Could not be wiped so easily
Oh children Zion train is coming our way
Get on board now
Zion train is coming our way
You got a ticket so thank the Lord
Zion train Is, Zion train is, Zion train is,
Zion train
Soul train is coming our way
Soul train is coming our way


BOB MARLEY - IL TRENO DI ZION

Il treno di Zion sta arrivando da noi
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Oh gente, salite a bordo
Farete meglio a salire a bordo
Sia lodato e ringraziato il Signore
Devo prendere questo treno
Perché non vi è altra stazione
Allora andate nella medesima direzione
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Quale uomo può salvare l'anima del fratello
Oh l'uomo è soltanto autocontrollo
Non conquistare il mondo perdendo l'anima
La saggezza è meglio di argento e oro
Per arrivare al ponte
Oh, dove c'è una volontà
C'è sempre una strada
Dove c'è una strada
Dove c'è una volontà c'è sempre una strada
Il treno dell'anima sta arrivando da noi
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Duemila anni di storia
Non possono essere cancellati tanto facilmente
Duemila anni di storia, di storia nera
Non possono essere cancellati tanto facilmente
Oh il treno di Zion sta arrivando da noi
Ora salite a bordo
Il treno di Zion sta arrivando da noi
Hai un biglietto, così ringrazia il Signore
Il treno di Zion, il treno di Zion, il treno di Zio
Il treno di Zion
Il treno dell'anima sta arrivando da noi
Il treno dell'anima sta arrivando da noi

Gli errori e la lezione di Copenaghen

“Tra qualche anno i libri di storia ci mostreranno che Copenaghen è fallita perché è stato l’ultimo tentativo di risolvere le sfide del ventunesimo secolo con gli strumenti del ventesimo secolo. Il summit è naufragato perché ha riconosciuto diritti di decisione solo ai governi e ha tenuto fuori la società civile, gli imprenditori, i governi locali, i giovani che sono rimasti a guardare. Si è cercato il consenso tra 193 stati senza condurre negoziati troppo articolati”, afferma Simon Zadek su Opendemocracy.

“John Maynard Keynes, uno degli economisti più straordinari del novecento, diceva che ‘la difficoltà non sta nel credere alle nuove idee ma nel fuggire dalle vecchie’. Se lui aveva ragione, e sospetto che avesse ragione, il contributo di Cop15 al bene comune è stato quello di distruggere una volta per tutte una maniera antica e datata di governance globale. Un risultato come questo, che è triste da riconoscere oggi, potrebbe essere un’eredità importate per il futuro”, continua Zadek, che è il fondatore e il direttore dell’associazione Accountability21, un’associazione che promuove in tutto il mondo l’innovazione per uno sviluppo più sostenibile.

“I negoziati sono stati caotici, ma alla fine ci sono stati dei risultati che possono essere dei buoni punti di partenza”, scrive Ed Miliband sul Guardian. “Non abbiamo raggiunto un accordo sulla riduzione fino al 50 per cento delle emissioni entro il 2050, o l’80 per cento di riduzione di gas serra da parte dei paesi sviluppati. Entrambe le risoluzioni hanno avuto il veto della Cina, mentre una coalizione di paesi sviluppati e di paesi emergenti ha appoggiato il progetto. Questa è una delle nuove tendenze del futuro: la vecchia divisione tra paesi sviluppati e paesi emergenti è stata rimpiazzata da alleanze molto più interessanti”, continua Miliband.

Per Laurent Joffrin, direttore di Libération, invece, il bilancio è negativo. Joffrin parla di fallimento della democrazia: “La repubblica universale cara a Immanuel Kant non è vicina. Abbiamo assistito a un festival dell’impotenza diplomatica, i governi nazionali hanno impedito che fosse raggiunto l’accordo che noi, forse troppo ingenuamente, ci aspettavamo”.

da Internazionale

Natale ad AnarcoPaperopoli


Una bomba anarchica a Milano, nell’anniversario della morte di Pinelli. Una bomba anarco-insurrezionalista, mentre al vertice di Copenaghen i black bloc attiravano (o distoglievano, a seconda del punto di vista) l’attenzione del pubblico mondiale. Una bomba in un ateneo privato, mentre gli studenti italiani manifestavano per la scuola pubblica. Una bomba gravida d’odio proprio mentre Berlusconi, percosso al volto ma non domo, si dichiarava sicuro della “Vittoria finale dell’Amore”. Tanto maldestre in fatto di detonatori, queste Sorelle, quanto raffinate nella scelta dei luoghi e dei momenti più suggestivi. Raffinatezza che molti hanno voluto trovare sospetta – non saremmo più in Italia se pochi minuti dopo il ritrovamento della bomba non fosse già fiorita una specifica dietrologia.Ma bisogna anche capirci: abbiamo stragi che aspettano un colpevole da trent’anni, poliziotti che piazzano molotov… con simili precedenti è effettivamente dura per un’organizzazione terroristica alle prime armi farsi prendere sul serio.

Il comunicato non aiuta, perché le citazioni che fino a qualche anno fa avrebbero dimostrato inoppugnabilmente il radicamento delle Sorelle nell’anarcoinsurrezionalismo ‘latino’ (la citazione dell’anarchico spagnolo Pombo da Silva, il richiamo all’anarchico cileno Mauricio Morales), nell’era di google diventano facilmente falsificabili: chiunque può farsi una cultura su da Silva o Morales in dieci minuti, e magari condirla con un verso di De Andrè che fa sempre anarchia. Questo in effetti è il punto meno credibile del comunicato: un anarchico che cita De Andrè è un po’ banale, ma un anarchico che cita De Andrè fraintendendolo così (il Bombarolo che vuole terrorizzare per non “ammalarsi di terrore” è un borghesotto figlio di papà) o è un ragazzino o un impostore. Brutta storia in entrambi i casi.

L’attenzione dei giornalisti si è concentrata sulla sillaba finale. Bastano infatti tre lettere, la sigla Fai, per trasformare la bomba di un gruppo sconosciuto nell’ultima azione del più temibile gruppo terroristico italiano. La Fai, spiegano, sta per Federazione Anarchica Informale: e se ti dicono così, significa che la Fai ha già vinto. Non la guerra, ma almeno una battaglia di immagine contro la vera FAI, la Federazione Anarchica Italiana nata nel 1945, editrice della malatestiana Umanità Nova e depositaria della storia più nobile dell’Anarchia italiana. La storica FAI non ha mai perso un’occasione per dissociarsi dal gruppo di bombaroli che ne usurpa il nome: anche in questo momento sul suo sito compare un comunicato che “denuncia la natura oggettivamente provocatoria e antianarchica delle esplosioni di Milano e Gradisca d’Isonzo”. Fatica sprecata: ormai per il grande pubblico la Fai sono gli anarchici che mettono le bombe. “La principale minaccia terroristica di matrice anarco-insurrezionalista a livello nazionale», secondo l’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna). Se non proprio l’unica.

Una “galassia”, scrive Paolo Colonnello sulla Stampa, addirittura un “universo che nel 2003 provò a colpire Prodi”. Visti gli effettivi attentati portati a termine sarebbe il caso di parlare, più che di galassia, di una costellazione. Una manciata di gruppetti, disseminati in tutt’Italia, senza nessuna velleità di costituire un movimento armato unitario (anzi, la frammentarietà è quasi rivendicata), che tra il 2003 e il 2006 hanno piazzato e spedito ordigni che anche quando sono scoppiati non sempre sono riusciti a guadagnarsi le prime pagine. Unico risultato concreto: oggi la sigla Fai è cosa loro. Fino al 2006 le periodiche consegne esplosive della Fai informale ribadivano l’esistenza di una corrente sotterranea violenta annidata tra le pieghe del “Movimento dei Movimenti”. Per i Movimenti invece la Fai informale non è mai esistita: si trattava di infiltrati, servi del potere. I loro comunicati, come s’è visto, non appaiono molto convincenti.

Forse la sola testimonianza a favore della ‘genuinità’ della Fai è l’unico bizzarro comunicato divulgato su internet, dal sito Anarchaos.it (ma “a semplice scopo informativo”). Risale al Natale del 2006 e porta il nome di “Documento-Incontro della Federazione Anarchica Informale a 4 anni dalla nascita”. Dopo una cronistoria accurata delle azioni compiute dai gruppi prima e dopo la nascita della Fai informale, il Documento riporta i verbali di una riunione natalizia in… “casa di Paperino”. Sì, perché per ragioni di segretezza i nomi degli esponenti dei vari gruppi (“COOPERATIVA ARTIGIANA FUOCO E AFFINI, BRIGATA 20 LUGLIO, CELLULE CONTRO IL CAPITALE, IL CARCERE, I SUOI CARCERIERI E LE SUE CELLE, SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE”) sono sostituiti da quelli della banda Disney.

E così, insieme a Paperino abbiamo Paperina (che milita nello stesso gruppo, ma con qualche dubbio in più), Pippo che insiste per vedere il bicchiere sempre mezzo pieno (“la crescita anche se minima c’è stata”), Archimede Pitagorico, che opera da solo e sembra il più pratico di esplosivi, Qui Quo e Qua che vorrebbero passare alle pistole, (“noi invece andiamo avanti a dinamite, diserbante e qualche manciata di polvere nera”), eccetera. Si capisce che siamo a mille miglia dallo stile serioso e contorto dei comunicati brigatisti. I quali, proprio perché seriosi e contorti, non erano poi così difficili da falsificare. Mentre la lunga conversazione dei Paperi con Pippo ha tutta la freschezza di una bicchierata in un casolare di campagna, il camino in un angolo, i cani sotto il tavolo a rosicchiare costolette. I Paperi che festeggiano il Natale del 2006 e i quattro anni di Fai Informale non hanno per niente l’aria di infiltrati dei servizi: sono i primi a riconoscere che qualcosa non ha funzionato, ad esempio le bombe (“Magari fossimo degli specialisti, con tutte ste bombe e bombette in questi anni siamo riusciti a fare solo un paio di sbirri feriti! Fanno di più allo stadio la domenica!”), ma anche la comunicazione (“Internet per noi, che con l’informatica siamo a zero, è un problema”). Da bravi anarchici informali, non si troppo il problema di stabilire obiettivi comuni. L’unica idea accettata universalmente è la propaganda armata, poi ognuno per sé. E Archimede, che termina la riunione ansioso di “socializzare” con gli altri gruppi i suoi “fuochi d’artificio”, è il ritratto perfetto del bombarolo isolato, un po’ criminale e un po’ bambino, affamato di botti la notte di Natale.

Troppo realista per essere finto? Diciamo che se è un falso, nel suo genere è un capolavoro. I dialoghi sono credibili e vanno giù che una meraviglia, come nei romanzi di Wu Ming (in effetti, se fossi un agente dei Servizi e dovessi inventarmi dialoghi del genere, da chi altri scopiazzerei?) Gli errori di ortografia non sono troppi, né troppo pochi. I paperi si scambiano le esperienze, battibeccano un po’, poi brindano all’Anarchia, senza trovare nessuna sintesi, perché la sintesi non c’è. “Mi sembra che l’indicazione sia quella di continuare”, dice Archimede, ed è il Natale del 2006. Ma nei tre anni successivi, la Fai informale non piazzerà più nessuna bomba. Un lunghissimo “silenzio operativo”, come lo chiama l’AISI, interrotto una settimana fa alla Bocconi. Eppure c’è qualcosa di veramente singolare in un gruppo che non è un gruppo, ma una costellazione di gruppetti scarsamente coordinati tra loro, che in quattro anni piazzano una trentina di bombe, e poi all’improvviso tacciono all’unisono. È difficile immaginare Paperina, Pippo e Qui Quo Qua che da città diverse aderiscono a un “cessate il fuoco” unilaterale. Se anche qualcuno l’avesse proposto, certo qualcun altro lo avrebbe rigettato. E allora cos’è successo?

Magari niente di speciale. Forse Paperina è tornata a casa con più dubbi di quelli che aveva prima, ha mollato l’eterno fidanzato vestito da marinaretto e si è laureata in zootecnia. Forse Qui ha trovato una rivoltella, si è sparato in tasca e ha accantonato la propaganda armata. Forse Archimede è esploso mentre preparava un attentato a capodanno, passando inosservato nei bollettini dei caduti del primo gennaio. Forse. Forse, più in generale, tra 2006 e 2007 è stato l’intero Movimento dei Movimenti a sfaldarsi, con migliaia di Paperine e Paperini che hanno cominciato a disertare cortei e centri sociali, mentre i loro leader si trovavano sistemazioni istituzionali (l’onorevole Caruso!) che alla lunga avrebbero danneggiato il loro carisma. Forse, svaporato il Movimento, non c’era nemmeno più bisogno delle frange anarco-insurrezionaliste con le loro bombe demodé.

Finché, all’improvviso, tre anni dopo quel Natale anarchico… non ve l’aspettavate, scrivono le Sorelle in armi, lontane parenti di Paperino e Paperina. In effetti no, ma è solo perché non sappiamo guardarci intorno. La scuola e l’università sono in fermento, la piazza si riempie di antiberlusconiani a cui non serve più nemmeno un partito per radunarsi (basta Facebook). Il Presidente, colpito da un pazzo, denuncia un clima d’odio montato da internet e dai giornali… no, decisamente, una bomba avremmo potuto anche aspettarcela.

di Leonardo Tondelli da Indymedia