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sabato 23 gennaio 2010

Lecce:Tripudio di folla per il governatore Vendola al Tiziano

“IO CANDIDATO NATURALE DEL POPOLO DEMOCRATICO PUGLIESE”


“Per ognuna delle giornate di amarezza che ho vissuto, per tutte le volte che ho maledetto la politica, per la violenza ingiustificata addosso a me, essendo l’anomalia da cancellare per normalizzare la politica, per tutte le parole che mi hanno fatto male, per gli schizzi di fango che mi hanno persino fatto perdere la voglia di vivere, mi rendo conto che è valsa la pena di soffrire se stasera mi regalate questo affetto”. È un Vendola commosso, quello che apre il suo intervento nell’aula magna dell’Hotel Tiziano, nella tappa leccese del tour pro primarie, letteralmente stracolma di gente e di quel “popolo” invocato dal governatore nelle scorse settimane.

È una standing ovation al presidente quella che tributa Lecce, tra slogan, canti, urla a squarciagola, persino tra qualche critica tirata addosso con la schiettezza di chi sa di avere avanti un interlocutore non prevenuto dinanzi anche ad un logico dissenso: un abbraccio umano di volti e di attese, di speranze che si condensano nel quadro ideale della “Puglia migliore” prospettata nel 2005 e a rischio interruzione, a causa delle frastornarti e confuse logiche di palazzo. Ci sono giovani, anziani, precari, militanti, simpatizzanti, casalinghe ed associazioni, operai, rappresentanti della cultura e dell’università. C’è l’energia di una fetta di Salento e di Puglia che sembra quasi sovrapporsi (o contrapporsi, dipende come ciascuno lo vuol vedere) al freddo imposto di qualche sera prima nella stesso scenario.

“Coloro che mi hanno contrastato con l’asprezza del fuoco amico – ha proseguito Vendola – e con parole che lasciassero intendere che fosse incomprensibile il mio atteggiamento, in realtà, non hanno il difetto di non aver capito me, ma di non capire voi”. Il messaggio corre via chiaro: i calcoli dell’asse Pd-Udc, quello che è stato definito “l’inciucio”, dimostrano l’incapacità di una certa classe politica di comprendere la profondità del tessuto sociale. E al Tiziano, di vita ne scorre, tra alti e bassi, tra delusioni ed euforia: ma quel che è disarmante è il calore regalato ad un uomo e ad un presidente, disegnato dai suoi stessi alleati, come in crisi o già sconfitto. E, invece, la sorpresa è la lucidità di un leader che sembra saper toccare le corde del proprio elettorato e di coinvolgere nel suo vissuto anche i più lontani.

Vendola chiarisce di non essere mia stato “attaccato alla poltrona”: lo dichiara senza timore, rispendendo al mittente (in tal caso D’Alema, ndr) le accuse di narcisismo di chi ha provato a giocare su questo argomento: “Chiedo scusa a Massimo D’Alema, ma non potevo sciupare in una volta il mio cammino”. E sui passi indietro che il governatore avrebbe dovuto fare, secondo il parere dell’ex Ministro degli Esteri, Vendola precisa: “Per motivare questa richiesta, ho sentito in questo periodo un sostantivo e due verbi”.

Nel primo caso, si è parlato della necessità di “discontinuità”: “Quando ho ascoltato questa parola, sono stato felice che si potesse avviare finalmente un discorso serio: perché discontinuità io la intendo nella gestione da parte delle classi dirigenti del mondo sociale, spesso trattato come truppe cammellate per le campagne elettorali. Ho pensato che per discontinuità si intendesse liberare la sanità dall’influenza dei partiti. Aprire ad una nuova idea di progresso. Invece, ho scoperto che la discontinuità era un termine con un significato più breve: cioè, ero io, che dovevo sparire con un incantesimo”.

Vendola ha aperto una parentesi sulla questione “generazionale”: “D’Alema in questi giorni ci ha informati che discontinuità sta anche nel fatto che Boccia abbia dieci anni meno di me. Se è per questo, ne ha anche venti meno di D’Alema. Il dato anagrafico, dunque, non è proprio terreno da toccare”.

“Sono stati usati due verbi – ha proseguito – ossia vincere e governare. Nel primo caso, è stato riprodotto il cliché del 2005: è cambiato il mondo, tranne questo argomento. Perché si continua a pensare che un candidato non debba avere odore. Eppure abbiamo vinto le elezioni non in una regione qualsiasi, ma nella Puglia, che, per il centrodestra rappresenta quel che l’Emilia Romagna è per il centrosinistra. E non contro un avversario qualsiasi, ma contro il delfino del premier, anzi la sua protesi. E su questa nota, il giovane imprenditore Gianpi Tarantini avrà aguzzato l’udito”.

Il punto per Vendola è uno: cosa significa vincere? Per fare poi cosa? Questi sono gli argomenti che il governatore ritiene mancanti nell’alleanza che il Pd ha intrapreso con l’Udc: perché la “vittoria in sé non è un valore”. “Se fosse così – ha precisato – sarebbe normale allearsi con i clan mafiosi in Sicilia pur di governare”.

Per il presidente della Regione si vince con “un metodo”, ossia fissando una meta, avendo una bussola per il proprio cammino, senza mettere veti preventivi, perché “occorre piuttosto stanare tutti e discutere della politica con la p maiuscola”. Vendola parla anche di ciò che è stato compiuto: dalla stabilizzazione dei precari, alle rilevazioni delle diossine, con la legge che ha ridotto le emissioni dei camini dell’Ilva di Taranto e della CoperSalento di Maglie, della strutturazione dell’Arpa, dell’attenzione alle politiche sociali: “Essere rossi ed io lo sono – ha affermato – non è esibire un colore, ma un comportamento ed una coerenza. Oggi la politica ci viene a dire che non serve la poesia, il sogno. Preferisce la prosa, possibilmente grigia, forse a causa dell’ontologia del potere, che richiederebbe cinismo. Vogliono andreottizzare il mondo. Ma qui in gioco c’è un obiettivo importante che è la Puglia migliore”.

Vendola ha poi fatto un passaggio sul dominio culturale del berlusconismo: “Noi dobbiamo deberlusconizzare l’Italia, ma anche la sinistra. Questo è un paese paradossale, dove la destra fa la destra, dicendo di fare la sinistra e la sinistra non si presenta neanche. Ecco perché ripeto sempre di non odiare Berlusconi, perché se lo odio resto accecato, e io voglio vedere bene per comprendere com’è si muove questo fenomeno”.

Inevitabile il passaggio sull’ipotesi di buona parte della politica di privatizzare l’acquedotto pugliese: Vendola, da cattolico, la ritiene una “bestemmia contro Dio” e, citando le esperienze fallimentari di Arezzo e Latina, ribadisce il valore pubblico dell’acqua. “Noi – ha dichiarato – siamo e saremo sempre contro la mercificazione dei diritti” perché “il nostro laboratorio pugliese, anomalo e scandaloso, si regge su un’altra idea di sviluppo e sulla convinzione che la ricchezza economica si poggi sulla qualità della vita”.

Stesso discorso per la questione del nucleare: “Si usa a sproposito l’alibi occupazionale per giustificare lo stupro del nostro patrimonio naturale. Mai centrali nucleari in Puglia, perché abbiamo il sole e il vento. Mai al rigassificatore nel cuore di una città come Brindisi Mai piattaforme petrolifere, perché l’unico petrolio che c’interessa estrarre è il talento delle giovani generazioni”. Da qui, l’importante citazione di “Bollenti Spiriti”, il fiore all’occhiello dell’amministrazione Vendola, che in tutta la Puglia ha prodotto 170 laboratori urbani gestiti dai giovani.

Un ringraziamento particolare, Vendola lo ha tributato ai giovani del Pd presenti in sala, nonostante tutto: “A loro dico grazie e a D’Alema dico che io sono il candidato naturale del popolo democratico pugliese”. Una stoccata il presidente la riserva anche al rimpasto di giunta: “Io ho commesso certamente degli errori, ma la mia anomalia si è risolta nel fatto che appena ho percepito puzza di affarismo, ho azzerato la giunta, forse unico caso in tutta la politica”.

Vendola fa appello all’amore per la verità, alla necessità di saper ricucire da lunedì, dopo le primarie, con chi ha cercato di dividere, per ritrovare insieme un itinerario comune, quello che porta dritto a “difendere la Puglia migliore” e a cercare di farla crescere. Oltre la fatica di accettare l’anomalia, che, a ben guardare la platea, è più fatica di potere che di “popolo”.

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