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giovedì 28 gennaio 2010

Lombardia, tutti divisi Il Prc punta su Agnoletto


di Matteo Bartocci
Il patto d'acciaio Formigoni-Lega in Lombardia spappola le opposizioni. Dopo il divorzio consensuale con i radicali di Cappato e Bonino, il candidato per il «pirellone» di Pd, Idv e Sel Filippo Penati (che è anche il coordinatore della segreteria Bersani) insiste con il veto verso Rifondazione e la falce e martello. Che dal canto suo da un lato rafforza gli appelli a Sinistra e libertà per l'unità (vedi lettera di Ferrero a Vendola sul manifesto di ieri) dall'altro già si predispone a una corsa in solitaria sotto il nome dell'ex europarlamentare Vittorio Agnoletto. La questione è sul tappeto e ieri è stata affrontata dalla segreteria a via del Policlinico. Ferrero ha da tempo proposto al Pd una «desistenza» anche in Lombardia come ha già fatto in Piemonte con Mercedes Bresso. Un accordo tecnico e non politico anti-Formigoni che il braccio destro di Bersani - dopo le rotture del passato alla provincia di Milano - per ora non ha intenzione di concedere. Il Prc teme il quorum al 3 per cento previsto dalla legge regionale per le forze non coalizzate (soglia inesistente invece per le coalizioni, in cui si possono eleggere consiglieri anche con l'1,5%). E ha chiesto a Sinistra e libertà di resistere alle offerte del Pd come Rifondazione ha fatto in Puglia su Vendola fin dal primo momento.
«Un centrosinistra forte non esclude nessuno ma non si possono scaricare su Sinistra e libertà i problemi di Rifondazione con Penati», mette le mani avanti Tino Magni, coordinatore regionale di Sel (Sd ed ex Fiom). «Non ho nessuna preclusione verso nessuno - insiste Magni - ma non accetto chi dice che se il Prc non ci sta allora non deve esserci anche Sel. Noi stiamo lavorando da tempo a un programma alternativo a Formigoni, se altri vogliono fare la desistenza va bene ma noi non abbiamo nessuna responsabilità».
Certo è difficile immaginare la corsa in Lombardia come una lotta per vincere. Tuttavia è la prima regione italiana e l'anno prossimo si vota a Milano. E' in piena crisi industriale. Ed è qui che è nata la Compagnia delle opere, un gigante che in Italia e nel mondo nel nome della sussidiarietà fattura quasi 70 miliardi di euro (la Fiat ha chiuso il 2009 della crisi a quota 50). Di questi, ben 5 dipendono dalle scelte amministrative della giunta guidata da quindici anni da Roberto Formigoni. Anche l'Udc sbattuta fuori dal Carroccio, dopo tutto questo tempo deve decidere il da farsi. Il partito di Casini si riunirà a Roma giovedì ma è quasi inevitabile una corsa solitaria. I nomi più accreditati sono cattolici ultradoc come Savino Pezzotta e Buttiglione.
A sinistra la questione non è ancora chiusa ma lo sarà a giorni. Sull'argomento però già abbondano interpretazioni diverse. Tante che si può perfino ipotizzare il classico gioco del cerino che precede una «rottura». Una parte consistente di Rifondazione insiste non da oggi per la scelta solitaria fuori dal centrosinistra. Mentre le varie anime di Sinistra e libertà sul territorio non sempre concordano sul rapporto da tenere verso il Pd.
Tuttavia l'«effetto Nichi» galvanizza una lista-movimento azzoppata dalle europee e dalle uscite di Verdi e socialisti. A Bari è quasi scontato un simbolo «Sinistra per Vendola» che raccoglierà il meglio della primavera pugliese. Ed è impossibile, anche con lo sbarramento del 4 per cento in vigore da queste elezioni , che qui il Prc possa correre sotto il nome del leader uscito dopo il congresso. Il «polo rosso» vagheggiato nelle settimane scorse si è scongelato prima di nascere. Si ridurrà a qualche bicicletta rosso-verde dove la necessità impone: forse in Toscana, forse in Calabria.
Tuttavia proprio l'originalità delle primarie pugliesi dovrebbe far riflettere un po' tutti. Perché se è forte la tentazione di dipingere Vendola come «il Berlusconi rosso» (Repubblica) o lo stellone della sinistra italiana (Mussi sul manifesto di ieri), forse proiettare subito il leader di Sel sulla scena nazionale è un errore. Il presidente uscente ha (stra)vinto non tanto o non solo per la sua indubbia popolarità o per la sua campagna innovativa. Ha convinto soprattutto per alcune scelte chiare alla guida della regione e perché ha reso esplicite le contraddizioni del Pd. Locale e nazionale. E' dal travaglio democratico che rinasce la candidatura di Vendola. Uno scontro molto concreto e non solo su poltrone, assessori e strapuntini. Se si vuole replicare quel modello e quella vittoria, dunque, è bene che tutto ciò che si muove a sinistra del Pd mediti a fondo. Altrimenti anche i piccoli o grandi timonieri rischiano il piccolo cabotaggio.

da IlManifesto

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