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venerdì 19 febbraio 2010

Le voci di via Padova

Mihai Mircea Butcovan è uno scrittore romeno che vive in Italia dal 1991.

Milano è una città che fa parlare di sé per il calcio e la moda, le fiere e lo smog, la sicurezza e le aggressioni. Ora anche per le rivolte di immigrati. Dopo gli incidenti del 13 febbraio, seguiti all’uccisione di un ragazzo egiziano di 19 anni, la tensione a via Padova è ancora alta.

A quanto pare tutto è cominciato con una rissa per quelli che il codice penale considera “futili motivi”. Ma i motivi dei disordini che sono venuti dopo non sono per niente futili. Via Padova, definita anche “il giro del mondo in tre chilometri”, comincia in piazza Loreto, finisce in periferia ed è raggiungibile in cinque minuti a piedi da corso Buenos Aires. “La sera dell’aggressione quattro poliziotti in borghese hanno bussato alla mia porta. Ho avuto paura anche se ho i documenti in regola”, mi racconta Youssef che abita in via Arquà, nello stesso stabile dove viveva Abdel, il ragazzo ucciso.

L’importanza del rispetto
Si chiama Abdel anche l’uomo a cui chiedo di raccontarmi cos’è successo quella notte. Ha un negozio in via Padova e condivide molte delle paure degli italiani. “Qui i problemi ci sono”, spiega Abdel. “Io cerco di andare d’accordo con tutti, ho clienti italiani, mi rispettano perché li rispetto. Gli immigrati che fanno casino mi fanno arrabbiare. Ma molti sono disperati perché nessuno li aiuta. La rabbia cresce, cominciano a bere, poi perdono la testa”.

Secondo lui è sbagliato dire, come fanno in molti, che tutti i sudamericani sono assassini o bevitori. “Molti musulmani che conosco hanno cominciato a bere. Non va bene. Ma che posso fare io più che farglielo notare? Hanno sbagliato a fare casino. Ma succede spesso che chiami la polizia e non viene. Poi mandano l’esercito quando è troppo tardi. L’altra notte anche gli italiani lanciavano cose e insultavano gli immigrati”.

“Molti hanno avuto paura”, continua Abdel. “C’è stato il passaparola dopo che quel leghista, come si chiama? Salmini… Salvini, ha detto che bisogna dare la caccia allo straniero di casa in casa. Dieci anni fa anch’io ero un clandestino, ma oggi ho un negozio in regola. Ci vuole rispetto!”, dice mentre ricomincia a mettere in ordine gli scaffali. Poi alza la voce. “Per tutti!”.

I vespri non servono
Maria Grazia Guida conosce bene la situazione di via Padova: è la direttrice della Casa della carità che si trova proprio in fondo alla strada. “Ci vuole rispetto delle diversità e definizione di regole comuni”, dice. “Ma per farlo bisogna individuare le situazioni di disagio”. La sera degli incidenti i ragazzi di 81 diverse nazionalità che sono ospiti qui erano molto agitati. “Via Padova evoca degrado e paura, le persone che ci vivono si sentono abbandonate dalle istituzioni”, spiega Guida. “Eppure le persone hanno legami stretti. È un aspetto positivo su cui vale la pena di puntare”.

Paolo, un imprenditore milanese che ha l’ufficio nella zona degli scontri, conferma: “Ci sentiamo abbandonati, è evidente che le autorità non hanno un piano per affrontare realtà complesse come quella di questo quartiere. Abbiamo formato un comitato per coordinare le associazioni che fanno proposte concrete per migliorare la convivenza. Feste, cucina, diversità che s’incontrano… Speriamo solo che non ci sia una militarizzazione del quartiere. A che servirebbero i ‘vespri padovani’ a Milano?”.

In questi giorni si moltiplicano le dichiarazioni dei politici su via Padova. “Residenti prigionieri degli immigrati!”, dicono alcuni. Ma siamo tutti prigionieri della città. A volte Milano è un carcere per tutti. E, si sa, in carcere non si sta bene e, in assenza di regole, la convivenza diventa incivile. Mihai Mircea Butcovan

da Internazionale

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