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giovedì 11 febbraio 2010

Una spirale di violenza sta uccidendo il Messico


Il massacro di 16 adolescenti a Ciudad Juárez, il 30 gennaio, è l’ultima tragedia di una guerra che si sta combattendo in questa città senza legge del Messico, proprio davanti al confine statunitense, scrive Ed Vulliamy.

Il giornalista del Guardian racconta che il mese di gennaio è stato uno dei più violenti degli ultimi anni: “Cinquantanove omicidi durante la prima settimana, 227 alla fine del mese. Nel 2009 gli omicidi sono stati 2.657. Continuando di questo passo, quest’anno potrebbero essere di più”.

Ma no c’è solo Ciudad Juárez. Dallo stato del Sonora è arrivata tempo fa la notizia che dentro un’automobile abbandonata erano stati ritrovati i corpi fatti a pezzi di alcune persone. Teste e arti separati dal corpo e sparsi nel veicolo. Tempo prima, i pezzi del corpo di Hugo Hernández, 36 anni, erano stati trovati a Los Mochis, nello stato del Sinaloa.

“Nei mesi che ho passato al confine tra Messico e Stati Uniti per scrivere il mio libro ho continuato a farmi sempre la stessa domanda: che diavolo sta succedendo? Sono arrivato alla conclusione che non c’è una risposta definitiva. Siamo abituati a pensare che le guerre di oggi vengono combattute per ragioni etniche o ideologiche: huti contro tutsi, israeliani contro palestinesi, serbi contro croati, fascisti contro comunisti. Ma nel caso del Messico non è così. Le parti in causa non combattono per obiettivi di questo tipo. La maggior parte delle mutilazioni, delle decapitazioni, degli assassini e delle torture ruota intorno ai piccoli profitti del mercato della droga”. Se prima era un mezzo, ora la brutalità sembra essersi trasformata in un fine.

Come spiega Cecilia Ballí, non è una questione di soldi. Almeno non solo. “Chi commette queste violenza interpreta i suoi gesti come una performance sociale. Una dimostrazione di potere, di virilità. Per loro si tratta di farsi un nome, guadagnare posizioni nella loro personale graduatoria sociale”.

Mentre tutto questo succede, il resto della società sta a guardare: “Non c’è traccia di un movimento di rivolta contro i cartelli della droga. E i partiti politici non hanno mai contrastato davvero l’ascesa dei narcos. Le uniche speranze risiedono nella religione e nelle donne. Anche se la chiesa continua ad avere un atteggiamento ambiguo, sono tanti i preti che si oppongono alla situazione. Molti di loro sono morti. Lo stesso vale per le donne, che combattono una guerra quotidiana tra le mura domestiche”.

Nel 1988 il fotografo Julián Cardona e lo scrittore Charles Bowden hanno pubblicato un libro intitolato Juárez: The laboratory of our future. Il futuro è arrivato, sotto forma di una violenza di massa che ha come unico obiettivo lo spettacolo.

da Internazionale

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