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sabato 10 aprile 2010

Ombre russe sul Kirghizistan


Lo zampino del Cremlino nel cambio di regime a Bishkek. In ballo c'è il futuro della presenza militare Usa in Asia centrale

I trascorsi filo-occidentali e filo-statunitensi dei leader dell'opposizione kirghisa, salita al potere a Bishkek dopo la sanguinosa rivolta popolare di mercoledì scorso, giustificavano i sospetti di un coinvolgimento di Washington in questo nuovo cambio di regime. Sospetti rafforzati dalle prime parole pronunciate dalla presidente/premier ad interim, Roza Otunbayeva, che appena insediata si è affrettata a garantire la permanenza della grande base Usa di Manas: unica presenza militare americane in Asia centrale dopo la cacciata dall'Uzbekistan nel 2005.

Putin tende la mano. Ma i fatti accaduti ed emersi nelle ultime ore mostrano che, in realtà, dietro questa nuova rivoluzione senza colori - a parte il rosso del sangue dei 76 morti e 1.400 feriti - c'è lo zampino di Putin. Quello stesso Putin che a caldo aveva negato ogni coinvolgimento (quando nessuno lo aveva nemmeno ventilato), ma che giovedì si è affrettato a telefonare alla Otunbayeva, riconoscendo la legittimità del nuovo governo (cosa che Obama non ha ancora fatto) e offrendo sostegno economico. E che venerdì già riceveva a Mosca una delegazione dei nuovi dirigenti kirghisi, guidata dal neo-vicepremier Almazbek Atambayev.

Le condizioni di Mosca. Segnali di un forte sostegno, che prevedono però una contropartita. A Praga, a margine della firma del trattato Usa-Russia sulle testate atomiche, un funzionario del Cremlino ha lanciato un messaggio molto chiaro: "Bakiyev non ha mantenuto la promessa di chiudere la base Usa di Manas. In Kirghizistan ci dovrebbe essere solo una base, russa". Messaggio immediatamente recepito da uno dei principali leader dell'opposizione kirghisa ora al potere, Omurbek Tekebayev: "E' molto probabile che la durata della presenza della base Usa verrà abbreviata". E ha aggiunto: "La Russia ha fatto la sua parte nel rovesciare Bakiyev".

Lo sgarro di Bakiyev. Negli ultimi mesi i rapporti tra il Cremlino e il deposto presidente kirghiso erano diventati molto tesi.
Nel 2009 Bakiyev, in cambio di 2 miliardi di dollari di finanziamenti russi, aveva promesso a Mosca di chiudere la base americana di Manas e di aprirne una seconda russa a Osh. Ma lo scorso febbraio, dopo aver ricevuto la prima tranche di questi soldi (300 milioni di dollari), non solo ha rinnovato il contratto con il Pentagono, ma ha pure chiesto alla Russia di iniziare a pagare l'affitto per la sua base.

La punizione del Cremlino. Il Cremlino non l'ha presa bene. Dopo aver bloccato la seconda tranche (1,7 miliardi di dollari per la costruzione della centrale idroelettrica di Kambarata), il 1° aprile ha sospeso le forniture di petrolio al paese e il giorno dopo ha imposto al Kirghizistan una pesante tassa di importazione sui carburanti russi (193 dollari a tonnellate), provocando i rincari che hanno scatenato la rivolta.
Alla vigilia delle manifestazioni, Temir Sariyev, uno dei principali leader dell'opposizione kirghisa (oggi ministro delle Finanze ad interim), era in visita a Mosca. Difficile pensare a una coincidenza.

Ma non è detta l'ultima. A prescindere dal contributo russo al cambio di regime a Bishkek, è ancora presto per dire quale sarà l'esito geopolitico finale di questa vicenda.
Così come Bakiyev aveva presto voltato le spalle a Washington dopo il 2005, i nuovi leader kirghisi potrebbero tradire nuovamente le aspettative di Mosca. Oppure proveranno a tenere i piedi in due staffe per ricevere sostegno da entrambe le parti, come aveva provato a fare Bakiyev negli ultimi.
Per capirci di più, basta aspettare e vedere se gli americani rimarranno nella base di Manas oppure saranno costretti a prendere armi e bagagli e trasferirsi altrove. Al Pentagono hanno già srotolato le mappe della Georgia e dell'Azerbaigian.

di Enrico Piovesana da PeaceReporter

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