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lunedì 31 maggio 2010

Israele assalta Freedom Flotilla in acque internazionali! Almeno 16 morti, decine i feriti


Dalla Freedom Flottilla, così InfoPal, riporta dell'attacco sionista subito in mare:

Israele attacca la Freedom Flotilla: almeno dieci morti e vari feriti tra i partecipanti

[Acque internazionali, al largo della Striscia di Gaza - Infopal] All'alba di quest'oggi, 31 maggio, Israele ha aggredito con navi da guerra della Marina militare appoggiata da elicotteri la Freedom Flotilla, che trasporta tonnellate di aiuti per la popolazione della Striscia di Gaza, sotto embargo da circa quattro anni. Vi sono almeno dieci morti (ma probabilmente di più) e vari feriti sulla nave turca della Flotilla. L'aggressione - che è ancora in corso - è avvenuta in acque internazionali, pertanto si tratta a tutti gli effetti di pirateria. È degno di nota il fatto che i partecipanti sono persone assolutamente pacifiche, disarmate, il cui unico scopo è quello di portare gli aiuti alla popolazione di Gaza.


Il Comunicato degli attivisti sulla Freedmo Flotilla

Nel cuore della notte, commandos israeliani hanno abbordato la nave passeggeri Turca "Mavi Marmara" sparandole contro. Il filmato in diretta streaming dall'imbarcazione mostra che 2 persone sono state uccise e 31 ferite. Al Jazeera ha appena confermato questi numeri. Israele ha dichiarato che sta entrando in possesso delle imbarcazioni. Lo streaming video mostra i soldati Israeliani che sparano a civili, e il nostro ultimo messaggio spot diceva: ‘Aiutateci, siamo stati abbordati dagli Israelian'. La coalizione formata dal Free Gaza Movement (Fg), European Campaign to End the Siege of Gaza (Ecesg), Insani Yardim Vakfi (Ihh), Perdana Global Peace Organisation , Ship to Gaza Greece, Ship to Gaza Sweden, e International Committee to Lift the Siege on Gaza lancia un appello alla comunità internazionale per chiedere a Israele di fermare questo brutale attacco contro civili che stavano tentando di portare aiuti di vitale importanza ai palestinesi imprigionati a Gaza e di consentire alle navi di continuare il loro cammino. L'attacco è avvenuto in acque internazionali, a 75 miglia al largo della costa di Israele, in violazione del diritto internazionale.

da Infoaut

Per un 2 agosto contro ogni revisionismo


di Nodo Sociale Antifascista – Bo
Non è davvero difficile capire quanto, in questi ultimi anni, lo slogan bipartisan della “memoria condivisa” sia stato un eufemismo per manipolare e demolire la memoria collettiva.

Oggi si sa molto della stagione dello stragismo neofascista. Sappiamo persino di che colore era l’auto con cui fu portata la bomba in Piazza Fontana il 12 dicembre 1969. Conosciamo i nomi degli esecutori materiali della strage di Piazza della Loggia e di quella del 2 agosto 1980. Sappiamo anche che quasi tutti gli stragisti sono riusciti a farsi assolvere, o a ritornare in libertà, grazie a prescrizioni, coperture, complicità, favoritismi, polveroni mediatici. Oppure sono riparati in dorate residenze all’estero: il generale Gianadelio Maletti in Sudafrica, i neofascisti Delfo Zorzi in Giappone, Giovanni Ventura in Argentina, ecc.


Ogni 12 dicembre i giornali scrivono che quella di Piazza Fontana sarebbe «una strage senza colpevoli», quando invece i processi hanno stabilito senza ombra di dubbio precise responsabilità e assolto però gli assassini neofascisti: Zorzi, Freda, Ventura e altri militanti di «Ordine nuovo».

Ogni 2 agosto i giornali si interrogano sulla colpevolezza di Mambro e Fioravanti esibendo fantomatiche «piste alternative» imbastite sul nulla, senza che vi sia alcun elemento nuovo, con esercizi di fantasia contraddittori e offensivi.

È una tecnica manipolatoria che da anni si esercita con grande fervore anche sulla strage del 2 agosto 1980. Prima è stata la volta della famigerata, fumosissima “pista palestinese”: o un’azione di rappresaglia per l’arresto in Italia di tal Abu Saleh, oppure un incidente durante il trasporto di una grossa quantità di esplosivo. Peccato che le due ipotesi siano solo bugie con le gambe cortissime: Abu Saleh non fu rilasciato il 14 agosto 1980, ma due anni dopo; e l’esplosivo T4 – un esplosivo militare – non può esplodere senza innesco e nessuno lo trasporterebbe innescato se non per farlo esplodere.

Così, in mancanza di meglio, nel 2009 è tornato di moda Carlos “lo sciacallo”, presentato dai giornali come “il più feroce terrorista di tutti i tempi” o “il più famoso e sanguinario terrorista del mondo” a fronte dei poveri “innocenti” Mambro e Fioravanti, quando invece le vittime del primo sono qualche decina e quelle della coppia neofascista sono nell’ordine delle centinaia (la loro è una lunga carriera da assassini e stragisti già prima del 2 agosto 1980). Secondo Carlos – nemico degli Stati Uniti e di Israele nonché bugiardo incorreggibile – la strage di Bologna sarebbe stata fatta dai servizi segreti statunitensi e israeliani per addossarla ai palestinesi e rompere quei margini di tolleranza di cui godevano in Italia. Un piano così abile ed efficace che in quegli anni nessuno pensò di addossare la strage ai palestinesi! Comunque sia, si tratterebbe di una smentita della “pista palestinese”, fermamente sostenuta da Cossiga, Alemanno, Enzo Raisi & C.

Come in un romanzo di quart’ordine, pare insomma che il 2 agosto 1980 la stazione di Bologna brulicasse di spie, terroristi, trafficanti d’armi e tipacci d’ogni risma. Anzitutto c’era Thomas Kram che dormì nella notte fra l’1 e il 2 agosto all’Hotel Centrale di Bologna, si registrò con il proprio nome e cognome, ed era un personaggio conosciuto e controllato dalla polizia italiana. Pare fosse esperto nella falsificazione di documenti e non di esplosivi (come scrivono caparbiamente i giornali ogni anno). E apparteneva a certe “Cellule rivoluzionarie” e non al gruppo del sopracitato Carlos. Poi pare ci fosse un’altra terrorista, tal Christa-Margot Frohlich che “sarebbe stata vista”, forse, all’Hotel Jolly di Bologna l’1 agosto 1980. Ovviamente la preziosa testimonianza vien fuori adesso: il tempo è galantuomo. Poi c’erano palestinesi, agenti della CIA e del Mossad, “sciacalli” vari. Basta moltiplicare gli enti senza il minimo indizio e senza alcuna logica, e la storia diventa un balletto dove tutto è possibile: è il revisionismo della moltiplicazione immaginifica. Di fatto, qualsiasi cosa va bene, anche la più incredibile, pur di far dimenticare che i mandanti stavano verosimilmente ai piani alti dello Stato.

Analogamente, nel macchinoso volume Il segreto di Piazza Fontana, Paolo Cucchiarelli l’anno scorso ha sostenuto che per la strage di piazza Fontana erano necessarie due bombe: una anarchica e una fascista, poste nello stesso luogo, una sopra l’altra. Basta sovrapporre la realtà accertata (la bomba fascista collocata da Ordine Nuovo) e l’irrealtà fantasiosa (l’immaginaria bomba anarchica) per rendere pienamente manipolabile – o quantomeno sempre più evanescente – la verità storica.

Quest’anno, per il consueto depistaggio sul 2 agosto, i postfascisti al governo cercheranno di inventarsi l’ennesima “pista internazionale”. Così ora c’è un gran fervore di magistrati intorno alle presunte “rivelazioni” della Commissione Mitrokhin e alle carte provenienti da Germania Est, Ungheria, Grecia, ex Cecoslovacchia... Negli archivi ex-comunisti, dove la Stasi e altre polizie segrete fabbricavano dossier buoni per tutti gli usi, si vorrebbe trovare un qualche pezzo sbrindellato di carta, una nota spese, uno scarabocchio che supporti le fantasie autoassolutorie dello Stato.

Di recente, anche Giorgio Napolitano si è unito al coro dei revisionisti sulla strage del 2 agosto: «Le ombre e i dubbi che sono rimasti, hanno stimolato un nuovo filone di indagine, dagli sviluppi imprevedibili». Oggi lo Stato ha bisogno di «sviluppi imprevedibili» e di celebrazioni generiche di «tutte le vittime del terrorismo» per far dimenticare che lo Stato stesso ha avuto un ruolo attivo nel promuovere la «strategia delle stragi» e ha poi sempre mantenuto un atteggiamento opaco e reticente impedendo in ogni modo l’accertamento della verità.

Da ogni parte oggi si cerca di manipolare e negare quella che è un’evidenza difficilmente confutabile: la «strategia della tensione» fu di «matrice neofascista» e di regia istituzionale. Una lunga, incalzante serie di stragi indiscriminate (Piazza Fontana, il treno Freccia del Sud, Peteano, la Questura di Milano, Piazza della Loggia, il treno Italicus, la Stazione di Bologna...) fu portata avanti da uomini degli apparati più coperti dello Stato e da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Lo scopo era quello di promuovere con la violenza un clima di paura e smarrimento per scoraggiare e sconfiggere le lotte operaie e le proteste sociali.

E fin dal principio lo stragismo fu neofascista, come confermò già la condanna definitiva di Freda e Ventura per le bombe del 1969 pre-piazza Fontana: attentati per i quali alcuni anarchici erano già stati condannati e sarebbero stati incastrati se a Treviso il giudice Stiz nel 1971-1972 non avesse riportato gli accertamenti sulle prove di fatto.

A lungo preparata, anche la strage di Bologna fu uno di questi capitoli e la sua verità storica non può essere staccata dalla storia dello stragismo neofascista e dei suoi appoggi istituzionali di ieri e di oggi. Dimenticare la specificità delle stragi di Stato pare diventato ormai un obbligo istituzionale a cui nessuno più si sottrae. Dopo il revisionismo su fascismo e Resistenza, il revisionismo sul neofascismo stragista è un passo decisivo sulla via di un totalitarismo aggiornato alla contemporaneità.

Per questo crediamo che il 2 agosto non si tratti solo di ricordare come ogni anno la strage neofascista, ma anche di preparare – a trent’anni da quell’evento doloroso – un corteo nazionale contro ogni revisionismo che sappia smascherare le operazioni ideologiche di manipolazione della memoria. Se e come questo corteo debba seguire, sovrapporsi o contrapporsi a quello “ufficiale”, è decisione che spetta a chi intende costruirlo e promuoverlo.

Riteniamo altresì che il luogo più adatto di discussione, riflessione, elaborazione di materiali informativi, possa essere il Festival Sociale delle Culture Antifasciste programmato a Bologna dal 28 maggio al 6 giugno. Il Festival ci pare infatti un’occasione da non sprecare assolutamente per tessere relazioni e plasmare progettualità comuni che possano poi dare frutti, creando spazi di agibilità collettiva per tutto il resto dell’anno.

Dimenticare la storia vuol dire condannarsi a subirla di nuovo. Non c’è memoria senza la lotta per un mondo più giusto!

da Indymedia

PIAZZA DELLA LOGGIA



Venerdì 28 maggio ricorreva il trentaseiesimo anniversario della strage di stampo fascista compiuta a Brescia in Piazza della Loggia



sabato 29 maggio 2010

DIRITTI NEGATI

L'altro ieri il Senato ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (D.d..L. 733) tra gli altri con un emendamento del senatore Gianpiero D'Alia (UDC) identificato dall'articolo 50-bis: /Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet;

la prossima settimana Il testo approderà alla Camera diventando l'articolo nr. 60.

Il senatore Gianpiero D'Alia (UDC) non fa parte della maggioranza al Governo e ciò la dice lunga sulla trasversalità del disegno liberticida della"Casta".
In pratica in base a questo emendamento se un qualunque cittadino dovesse invitare attraverso un blog a disobbedire (o a criticare?) ad una legge che ritiene ingiusta, i /providers/ dovranno bloccare il blog.

Questo provvedimento può far oscurare un sito ovunque si trovi, anche se all'estero; il Ministro dell'Interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può infatti disporre con proprio decreto l'interruzione della attività del blogger, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.

L'attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro il termine di 24 ore; la violazione di tale obbligo comporta per i provider una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000.

Per i blogger è invece previsto il carcere da 1 a 5 anni per l'istigazione a delinquere e per l'apologia di reato oltre ad una pena ulteriore da 6 mesi a 5 anni perl'istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all'odio fra le classi sociali.

Con questa legge verrebbero immediatamente ripuliti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta!

In pratica il potere si sta dotando delle armi necessarie per bloccare in Italia Facebook, Youtube e *tutti i blog* che al momento rappresentano in Italia l'unica informazione non condizionata e/o censurata.

Vi ricordo che il nostro è l'unico Paese al mondo dove una /media company/ ha citato YouTube per danni chiedendo 500 milioni euro di risarcimento.

Il nome di questa /media company/, guarda caso, è Mediaset.

Quindi il Governo interviene per l'ennesima volta, in una materia che, del tutto incidentalmente, vede coinvolta un'impresa del Presidente del Consiglio in un conflitto giudiziario e d'interessi.

Dopo la proposta di legge Cassinelli e l'istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra poco meno di 60 giorni dovrà presentare al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al "pacchetto sicurezza" di fatto rende esplicito il progetto del Governo di /normalizzare/ con leggi di repressione internet e tutto il istema di relazioni e informazioni sempre più capillari che non si riesce a dominare.

Tra breve non dovremmo stupirci se la delazione verrà premiata con buoni spesa!

Mentre negli USA Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet in Italia il governo si ispira per quanto riguarda la libertà di stampa alla Cina e alla Birmania.

Oggi gli unici media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati il blog Beppe Grillo e la rivista specializzata Punto Informatico.

Fate girare questa notizia il più possibile per cercare di svegliare le coscienze addormentate degli italiani perché dove non c'è libera informazione e diritto di critica il concetto di democrazia diventa un problema dialettico.

venerdì 28 maggio 2010

Imprese, gelo su Berlusconi E lui cita il Duce: non ho poteri


«Come vedreste Emma (Marcegaglia, ndr) a darmi una mano al ministero dello Sviluppo? Come la prenderanno in Confindustria? Alzi la mano chi dice sì». Silvio Berlusconi vorrebbe tornare ai suoi toni eroici, fatti di battute e slogan sostenuti da boatti di approvazione, davanti all’assise annuale di Confindustria. Così davanti alla platea riunita all’Auditorium - quest’anno più «ricca» vista l’occasione dei cento anni dell’Associazione - tenta ancora la carta dello scherzo. Ma sono in pochi a ridere, e ancora meno quelli che rispondono al suo invito: solo un paio di mani alzate . La battuta è tutta fuori tempo: nella grande sala c’è un gelo imbarazzato. Gli imprenditori restano freddi durante tutto il suo intervento, in cui peraltro il premier mostra la corda più volte.

Offre di sé l’immagine di un uomo stanco («cara Emma, sono vecchio non riesco a seguire bene le immagini», esordisce), chiede aiuto («conoscete l’indirizzo di Palazzo Chigi, se qualche imprenditore vuole venire a darci una mano...»), sulla manovra ammette che «è difficile tagliare le spese». Tenta di replicare a quell’attacco sferzato senza esitazione dalla presidented egli industriali contro la (mala) politica, a quel verdetto senza appello che Marcegaglia emette. «Se la maggioranza dovesse ridursi, per litigi o divisioni, all’impotenza - aveva declamato la presidente - si chiuderebbe nell’insuccesso la lunga promessa di una politica del fare». Parole come lame acuminate, che sembrano presagire un fallimento politico complessivo del berlusconismo.
E lui, in trincea a difendersi. «C’è qui Fini - dichiara facendo un cenno alla prima fila dove siede il presidente della Camera - e noi vi garantiamo che nei voti alla Camera la maggioranza sarà coesa». Qualche tempo fa sarebbe bastato un suo cenno, una sula parola: e forse neanche quella. Ma ora le imprese sono stanche. «Non incanta più» dice qualcuno. Soprattutto quando ripete i clichés ormai più che decennali. Come il «tradizionale: «Non potete prendervela con il governo. Noi siamo dei poveracci e abbiamo ereditato una situazione di decenni precedenti». La linea dell’irresponsabilità, dell’impossibilità a proseguire sulla strada del «governo del fare», delle mani legate. Stesso oerientamento espresso anche qualche ora più tardi a parigi. Citando Mussolini - «persona ritenuta un grande dittatore», si perita di specificare - Berlusconi dichiara: «Io non ho nessun potere, forse ce l'hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far andare il mio cavallo a destra o a sinistra, ma niente altro».

Gli ostacoli al suo potere (assoluto) sarebbero tutti i dissenzienti: opposizione e soprattutto alleati non allineati. Nonostante tutto, tuttavia, il premier si ritiene ancora «in una posizione fortunata», sostiene, visto che ha ancora «il 60% dei consensi.
In casa confindustriale non sembrava proprio. Marcegaglia approva l’ultima manovra («di Tremonti» dichiara), ma chiede di più. Invoca riforme strutturali e sferra un attacco frontale al mondo della politica, incassando l’applauso più lungo. «Diciamolo chiaro: la politica dà occupazione a troppa gente in Italia - declama - Ed è l’unico settore che non conosce né crisi, né cassa integrazione». Il messaggio di fondo che parte dalle imprese punta dritto a un nuovo corso, ispirato alla concordia nazionale e sociale. Basta liti, basta contrapposizioni. Di fronte all’emergenza serve altro. Sul fronte del lavoro si chiede un patto allargato a tutte le forze in campo. «Serve una grande assise dell’Italia delle imprese e lavoro - dichiara Marcegaglia - Incontriamoci subito, entro l’estate, con l’obiettivo di una grande intesa per la crescita».

L’appello è rivolto anche a chi non ha siglato l’ultimo accordo sul modello contrattuale: la Cgil. Senza il sondacato di Epifani è impossibile cambiare l’Italia - spiegano fonti interne alla struttura - per questo la presidente rivolge l’ennesimo invito a una nuova unità. Ma l’«abbraccio» invocato sul fronte del lavoro, ha il suo «omologo» politico. Quella presa di distanza dalle contrapposizioni spalanca la strada alle ipotesi del Palazzo su un futuribile governo di unità nazionale. «Davanti alle scelte difficili che dovremo compiere - aggiunge la presidente - non ricomincino i soliti giochetti. Dell’opposizione e di parti della maggioranza. Serve unità nazionale, senso del Paese, fare cose per il bene del Paese». I radicalismi sono banditi. Eppure dal tramonto del berlusconismo si salva proprio la sua anima più radicale. Quella leghista, a cui anche ieri le imprese hanno strizzato l’occhio.

da Indymedia

Amnesty International: “l’Italia viola i diritti umani”.


Migliaia di rom residenti a Roma si trovano di fronte alla minaccia di subire molteplici violazioni dei diritti umani come effetto del nuovo piano destinato a chiudere buona parte dei campi della capitale.

Il "Piano nomadi" spiana la strada allo sgombero forzato di migliaia di rom e al trasferimento della maggior parte di essi, ma non di tutti, in campi ampliati o di nuova costruzione situati nella periferia di Roma.


Anche se sono state effettuate alcune consultazioni nei campi coinvolti dal "Piano nomadi", gli standard internazionali sui diritti umani richiedono che vangano consultate tutte le persone di cui è previsto lo sgombero. Coloro che saranno titolati a essere trasferiti verranno portati in altri campi, non in alloggi permanenti in cui molti rom vorrebbero vivere. Non avranno possibilità di scegliere in quale campo andare.

Molti temono che le loro prospettive d'impiego e la carriera scolastica dei figli verranno compromesse. Ma questi sono i fortunati. Agli altri non verrà fornito alcun alloggio alternativo: alcuni lasceranno Roma, altri troveranno un rifugio dove potranno, fino a quando non verranno di nuovo sgomberati.

Firma l'appello.

Commissario straordinario per l'emergenza nomadi a Roma
Prefetto Giuseppe Pecoraro
Prefetto di Roma
Via IV Novembre 119/a
00187 Roma

Egregio Commissario straordinario

Le scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione relativa al "Piano nomadi" che, qualora fosse attuato, causerebbe molteplici violazioni dei diritti umani dei rom.

Il piano contiene numerose disposizioni discriminatorie ed è mal concepito. Non risolverà i problemi sociali da cui ha preso le mosse né assicurerà il godimento del diritto all'alloggio alla maggior parte dei rom interessati.

La esortiamo quindi a rimandare l'attuazione del "Piano nomadi" e a rivederlo sulla base di un'appropriata consultazione con coloro che sono direttamente coinvolti, assicurando che la revisione del "Piano nomadi" rispetti il diritto a un alloggio adeguato.

La sollecitiamo inoltre ad assicurare che gli sgomberi siano eseguiti solo come soluzione estrema e nel pieno rispetto delle salvaguardie previste dagli standard europei e internazionali in materia di diritti umani.

La ringraziamo per l'attenzione.

http://www.amnesty.it/rom_diritto_alloggio

da Indymedia

giovedì 27 maggio 2010

Chi ha paura del giornalista che indaga sulle navi dei veleni?


Occuparsi delle navi dei veleni significa pagare un prezzo fissato in termini di intimidazioni, attentati e furti quanto meno strani. È il caso di Gianni Lannes, giornalista investigativo sotto scorta dallo scorso dicembre, che negli ultimi tempi è stato oggetto di nuove pressioni. La penultima poco prima della metà di maggio 2010e il sospetto era che sull’auto della moglie fosse stata piazzata una bomba. Il presunto ordigno si rivelerà una manomissione all’impianto elettrico: qualcuno ha sfondato il finestrino, aperto il veicolo e armeggiato lasciando in bella evidenza cavi volanti. Un avvertimento che giunge dopo tre veicoli distrutti (il primo esploso il 2 luglio 2009, il secondo bruciato il 5 novembre e il terzo – auto dai freni manomessi – il 23 luglio 2009). Qualche giorno dopo – mentre il cronista stava radunando documentazione acquisita di recente – i ladri fanno visita alla sua casa: spariscono un computer, una fotocamera subacquea e un hard disk portatile. Approfittando di una breve assenza, entrano nella sua abitazione senza scassinare la porta (nessun segno di effrazione) e non si appropriano di nient’altro: televisore, stereo, gioielli, denaro.

Cos’hanno portato via?

Documenti di lavoro. A casa non ho uno schedario, non ho un archivio, la mole di dati raccolti sta da un’altra parte, ma casualmente ho lasciato quel materiale pensando che tra le mura domestiche fosse al sicuro. Ero stato via tre giorni, ero a Perugia per una serie di seminari e conferenze sul tema dell’informazione. Ho partecipato proprio domenica scorsa alla marcia della pace e quando ho fatto rientro mi sono accorto di ciò che era accaduto. Una brutta sorpresa, anche perché sono sotto tutela del ministero degli interni che dovrebbe sorvegliare anche la mia abitazione, no?

Intimidazione che arriva mentre stai procedendo nell’inchiesta sulle navi dei veleni…

Proprio il giorno prima, l’11 maggio, ero a Roma e dovevo incontrare il comandante generale delle guardie costiere, l’ammiraglio Raimondo Pollastrini. Era stata concordata un’intervista, ma l’ufficiale non si è fatto trovare, nonostante avesse chiesto e ottenuto di conoscere per iscritto le domande. Ne avevo inviate ventitré, ma nessuna risposta, neppure le scuse per l’appuntamento saltato.

Negli ultimi articoli pubblicati sul tuo sito, viene fuori che c’è di mezzo un parlamentare. Chi è? Cosa c’entra?

È il presidente della commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, altrimenti detta commissione sulle “ecomafie”, l’avvocato Gaetano Pecorella, con studio a Milano. C’entra con la questione delle navi dei veleni e dei rifiuti radioattivi perché ho intercettato un bel po’ di documenti del suo studio legale in riferimento all’arrivo nel porto di Ravenna di un carico proveniente da Israele con container di rifiuti metallici. Dalle misurazioni della sezione provinciale di Ravenna dell’Arpa (servizio sistemi ambientali), è risultata una notevole radioattività. Lo studio legale Pecorella-Fares, difende gli interessi di coloro che importano in Italia questo tipo di rifiuti. C’è un carteggio in cui si sostiene che tutto è a posto, tutto è normale. Anzi, lo studio chiede di autorizzare, testualmente, “l’individuazione del materiale radioattivo e [il suo] smaltimento e bonifica in maniera tale da consentire la commercializzazione della parte sicura ed evitare così un grave pregiudizio economico per la stessa. In subordine, qualora si ritenesse che il materiale in ogni caso non debba sostare presso il porto di Ravenna, si chiede che sia autorizzato il trasporto in un altro Paese diverso da Israele”. Questo documento porta la data del 12 novembre 2009 ed è stata inviato all’Arpa di Ravenna, all’attenzione della dottoressa Patrizia Lucialli.

Nessuno ha mai parlato di questo “conflitto di interessi”?

Nessuno. Anche io l’ho colto per caso. Ero a Ravenna per portare a termine una verifica sul registro dei sinistri marittimi e sull’affondamento di due navi albanesi nel medio-alto Adriatico e casualmente mi sono imbattuto in questa documentazione. Dunque ho voluto vederci chiaro e ho scoperto che anche a Ravenna sono arrivati carichi di questo genere. Non è la prima né l’unica nave ovviamente, ma mi fa davvero specie che il presidente di quella commissione parlamentare difenda gli interessi di chi si occupa di questo genere di trasporti a livello internazionale. A questo punto, secondo me Pecorella dovrebbe spiegare la sua posizione e subito dopo dimettersi.

Notizie che fanno parte di un dossier più ampio…

Sì. Non do i numeri, ma la certezza è matematica: siamo a quota 200 affondamenti nel Mediterraneo. Sto parlando dell’Adriatico, dello Ionio soprattutto e del Tirreno. Non si tratta di relitti bellici della prima e della seconda guerra mondiale, bensì di navi affondate dai primi anni Settanta fino ai giorni nostri. L’ultima che abbiamo rilevato è una nave affondata tre anni fa nello Ionio. Abbiamo filmati, fotografie, rilevamenti sonar e poi ricerche nelle banche dati. Per esempio, in quelle dei Lloyds di Londra e Genova, poi sono stati consultati il registro italiano navale Rina e l’Imo, le guardie costiere e le direzioni marittime.

Renderai pubblico il contenuto del dossier?

Questo è il frutto di una ricerca soprattutto in mare, ma anche presso le fonti ufficiali, come l’archivio storico della marina militare. La prima cosa che abbiamo fatto è capire quali erano i relitti risalenti al primo e al secondo conflitto mondiale per fare una cernita: quelli si sa cosa sono ed esiste un elenco risalente al 1952 che li censisce. Ben altra cosa sono queste carrette del mare. Spesso si tratta di carichi a perdere non innocui, pieni di rifiuti chimici e spesso di scorie radioattive. Ma abbiamo trovato anche altro: migliaia di container, droni e missili chiamiamoli penetrator. Due in particolare sono nello Ionio. Tornando alla pubblicazione del dossier, pare che ci siano difficoltà a presentarlo alla Camera dei Deputati e forse sarà più facile farlo a Strasburgo, al parlamento europeo, dove c’è una disponibilità del presidente. Faremo tappa anche in vari porti italiani partendo da Genova e a seguire La Spezia, Livorno, Civitavecchia e su fino a Trieste, risalendo la costa, isole comprese. In merito ai tempi – slittati più di una volta per via della grande mole di materiale, scoperte e riscontri – non dovrebbero andare oltre i primi di ottobre. Inoltre l’intenzione è quella di stampare il dossier in almeno 10 mila esemplari.

C’è un legame tra minacce, furti e le navi dei veleni?

Non mi era mai accaduto in 25 anni di attività di subire pressioni così ravvicinate e anomale. Da 10 mesi mi occupo esclusivamente di navi dei veleni e se si tratta di vendette postume per altre storie è curioso che appaiono adesso. A parere degli inquirenti e dei carabinieri in particolare, sembrano dei tentativi di condizionamento del mio lavoro d’indagine. Peraltro questi episodi accadono sempre in coincidenza di qualche evento: quando devo intervistare qualcuno, quando scopro qualcosa arriva una risposta del genere.

Sei un cronista che sta rischiando, però nessuno ne parla. Troppo solo, come mai?

Non lo so, potrebbero essere tanti i motivi. Innanzitutto non appartengo a nessuna parrocchia, non ho tessere, non sono un raccomandato e non devo ringraziare nessuno. E poi credo che il problema sia più generale, non legato specificamente alla mia persona. Il fenomeno trattato comprende interessi di multinazionali della chimica e del nucleare che negli ultimi trent’anni hanno costituito un cartello, una sorta di network criminale, e hanno utilizzato gli oceani e i mari (Mediterraneo e Italia compresi) per affondare ogni genere di porcheria. Il vero buco nero in Europa e in Occidente è la quantità di rifiuti industriali prodotti: che fine fanno? Aggiungo un altro dettaglio a questa risposta: per la trasmissione di Gianni Minoli “La storia siamo noi”, ho lavorato come autore e consulente ad una puntata sulla strage del motopeschereccio “Francesco Padre”, affondato il 4 novembre ‘94 nel corso di un’azione di guerra simulata nel basso Adriatico. Ecco, la puntata è pronta e ora, senza fornire alcuna motivazione, mi chiedono di modificarne i contenuti violando il contratto che mi hanno fatto firmare. Un episodio del genere potrebbe far pensare a qualche forma di censura.

Non voglio farti i conti in tasca, ma la tua è un’inchiesta è molto complessa, quindi costosa. Da dove arrivano i soldi?

È autofinanziamento. Ho speso soldi miei che avevo da parte. Vuoi una cifra? Non vorrei inquietare oltremodo mia moglie, ma è tanto, migliaia di euro.

Forse le ombre che ti seguono non appartengono alla criminalità organizzata né alla criminalità comune. Chi ti dà la caccia?

Credo vi sia la mano dei servizi segreti di questo Paese e non solo. La vicenda chiama in causa interessi di altri Paesi europei e degli Stati Uniti. Non saprei dettagliare di più. Sicuramente sono seguito e osservato. Peraltro un magistrato del calibro di Francesco Neri me l’ha fatto rilevare di recente a Reggio Calabria: nel corso di un nostro incontro, avevamo “compagnia” e si noti che mentre io ho la scorta, lui non ha nemmeno quella. A una domanda del genere è poi il governo italiano a dover rispondere, quello attualmente in carica e quelli precedenti. E dovrebbe fornire qualche risposta anche in merito a un filmato subacqueo di alcuni minuti che abbiamo messo online nei giorni scorsi: si vede una nave dei veleni nello Ionio e ne chiediamo conto al presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e al ministro dell’ambiente, Stefania Prestigiacomo. Citiamo loro un caso: è una nave affondata tre anni fa, ci sapete dire cosa contiene o ve lo dobbiamo dire noi? E come mai non ve ne siete accorti, ma l’ha fatto un giornalista? Peraltro non è la prima volta che chiediamo un confronto pubblico al ministro Prestigiacomo: a marzo avevamo proposto un contraddittorio televisivo con i suoi esperti parlando prove alla mano. Non ci è mai giunta alcuna risposta, neanche negativa.

di Antonella Beccaria su “Domani.arcoiris.tv”

http://www.ilbriganterosso.info/2010/05/26/chi-ha-paur...

da Indymedia

La rottamazione dell'intelligenza


Non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista era stata anticipata da Michel Foucault: nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus. L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente.
«Tutti devono sapere» è lo slogan di una campagna di informazione e denuncia sulla riforma Gelmini che partirà a metà del mese di maggio nelle scuole di Bologna. Tutti devono sapere che in Italia si è avviato un processo di smantellamento del sistema di produzione e trasmissione del sapere, destinato a produrre effetti devastanti sulla vita sociale dei prossimi decenni.
Taglio di otto miliardi di finanziamenti per la scuola pubblica mentre il finanziamento alle scuole private viene triplicato. Gli effetti di questo intervento sono semplicissimi da prevedere. La scuola pubblica viene messa in condizioni di agonia, ridotta a luogo di contenimento della popolazione giovanile svantaggiata, consegnata così a un destino di rapido imbarbarimento. Alle scuole private accederanno solo i figli delle classi agiate. Nel frattempo, per completare il quadro, la nuova intellettualità [nella fascia tra i venticinque e i quaranta anni] sta migrando massicciamente verso l’estero. I nuovi intellettuali italiani non sono italiani e soprattutto non vogliono esserlo. Si sta disegnando una situazione dalla quale il paese non si riprenderà né domani né dopodomani, perché la distruzione del sistema pubblico di istruzione e il soffocamento della ricerca non sono fenomeni passeggeri e non sono neppure rimediabili nell’arco di una generazione.
Come può accadere una cosa di questo genere? Per chi, come me, è abituato a ragionare nei termini marxisti dell’analisi di classe, per chi si è abituato a pensare che viviamo in una società capitalistica in cui c’è una classe – la borghesia proprietaria – che trae il suo profitto presente e quello futuro dallo sfruttamento delle energie fisiche e mentali della società, quello che sta accadendo è incomprensibile. Il capitalismo italiano sta distruggendo il suo stesso futuro, non soltanto il futuro della società. Ma forse proprio qui sta il punto che sfugge alla nostra analisi: la borghesia non esiste più, il capitalismo borghese non esiste più. La rendita finanziaria non fonda più le sue fortune sul rapporto referenziale con l’economia reale. Non vi è più alcun rapporto tra aumento della rendita e crescita del valore socialmente disponibile. Da quando la finanza si è autonomizzata dalla sua funzione referenziale, la distruzione è diventata l’affare più redditizio per il ceto post-borghese che si è impadronito delle leve del potere. Un ceto post-borghese che potremmo definire ceto criminale, dal momento che la genesi del suo potere è essenzialmente legata alla illegalità, alla violenza, alla manipolazione.
Quello italiano è senza dubbio un quadro estremo, se comparato al quadro europeo. Pur avendo umiliato il sistema educativo francese sul piano politico e culturale nel 2009, poi nel 2010 Nicholas Sarkozy ha investito una somma notevole sulla ricerca pubblica, mentre in Italia la ricerca pubblica viene avviata all’estinzione. A livello europeo stiamo assistendo a un’intensa lotta tra la borghesia capitalista, che permane dominante in gran parte del nord protestante, e la classe criminale che si sta impadronendo del potere nei paesi barocchi, anzitutto l’Italia. La crisi dell’Unione europea è anzitutto il segnale di questa guerra, il cui esito al momento non è scontato.
Ma non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La distruzione del sistema pubblico di formazione è una tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista, quella che Michel Foucault ha anticipato nel seminario del 1979 [pubblicato col titolo «Naissance de la biopolitique»], quella che nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus.
L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, che è stata fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente. La nuova dinamica del capitalismo finanziario criminale non prevede il futuro, non lo immagina, non lo vuole e non lo prepara. Non a caso è un potere essenzialmente gerontocratico, anche se la sua ideologia è giovanilistica. Il fascismo futurista del Novecento era una forma di giovanilismo aggressivo di giovani che scalpitavano per raggiungere il potere. Il fascismo post-futurista di oggi è invece un regime giovanilista dei vecchi.
Il ceto nichilista che si è impadronito del potere in Italia [ma non solo in Italia naturalmente] si muove lungo le linee di una consapevolezza inconfessabile: la civiltà umana è destinata a finire con noi, entro le condizioni del capitalismo non esiste più la possibilità di vita civile. Dunque appropriamoci in maniera frenetica del valore che proviene dalla demolizione di ciò che le generazioni moderne di proletari e di borghesi hanno prodotto, a cominciare con la cultura, la scienza, il sapere.
Negli anni ottanta e novanta la dinamica del capitalismo globale si accompagnava alla diffusione di nuove scuole, nuovi comparti della formazione, in gran parte legati allo sviluppo delle nuove tecnologie digitali. Impresa dinamica e lavoro cognitivo si trovarono alleati, fino all’esperienza culturale ed economica delle «dot.com», le piccole imprese ad altissimo investimento cognitivo sostenute dall’azionariato privato e dall’intervento pubblico. Negli anni novanta il cognitariato si formò come classe post-operaia, proprio nell’incrocio tra dinamiche finanziarie [venture capital], dinamiche culturali [net-culture] dinamiche tecnologiche [la rete].
Questa classe virtuale post-operaia, dai contorni labili e dall’esistenza precaria, nucleo sociale decisivo dell’insorgenza anticapitalista che ebbe inizio a Seattle, per alcuni anni attraversò la storia del mondo come ultimo appello alla coscienza etica del genere umano. Ma il movimento non riuscì mai a uscire dai confini dell’etica, per farsi trasformazione della vita sociale quotidiana, autonomia solidale capace di sottrarsi all’abbraccio mortifero dei media dominanti e del ricatto precario. Nel frattempo, infatti, nella sfera del lavoro cognitivo si era consolidata un’idea meritocratica del reddito, una percezione competitiva e non solidale del mercato del lavoro. Sta qui la debolezza del cognitariato, costretto alla condizione del lavoro precario, e incapace di produrre comportamenti collettivi di autonomizzazione nella vita quotidiana.
La Carta di Bologna, che nel 1999 venne approvata dai rappresentanti dei sistemi educativi dei paesi europei, segnò l’imposizione definitiva del modello aziendale alla scuola pubblica europea, e avviò un processo di immiserimento e di frammentazione dei saperi, che corre parallelo alla precarizzazione del lavoro scolastico e universitario, alla drastica riduzione del salario-docente, soprattutto nella sfera universitaria. Il crollo azionario della primavera 2000 segna l’inizio di un vero e proprio smantellamento della forza sociale del cognitariato, cui il cognitariato non seppe opporsi. Nel 2001 Christian Marazzi scrisse un articolo dal titolo «Non rottamiamo il general intellect». Proprio questo invece è accaduto: la rottamazione del «general intellect» è stato il processo che il ceto criminale post-borghese ha messo in moto fino dai primi anni del decennio 2000.
Un ceto criminale si impadronisce del mondo nel primo decennio del 2000 – Cheney e Bush ne sono i rappresentanti americani, Putin, il Kgb, Gazprom in Russia, Fininvest-Mediaset in Italia, per non citare che i più illustri esempi di questo ceto che non è più definibile borghese, perché non fonda più la sua ricchezza sullo sfruttamento regolato di una classe operaia territorializzata, ma sull’arbitrarietà di un comando che si esercita sull’aleatorio dello scambio linguistico, sul raggiro, sulla simulazione e infine sulla guerra. Questo ceto criminale persegue una politica di distruzione accelerata della civilizzazione sociale. La borghesia investiva sul lungo periodo, sul territorio, sulla continuità di una comunità laboriosa e consumatrice. La classe del capitale finanziario non ha alcun interesse al futuro della comunità, del territorio. Una delle attività finanziarie più lucrose diviene proprio quella dello smantellamento, della messa in fallimento, della smobilitazione di nuclei di intelligenza collettiva.
La distruzione del sapere sociale è un affare che rende bene al ceto criminale. Quegli otto miliardi che il governo Berlusconi ha risparmiato distruggendo il sistema della scuola pubblica finiranno nelle tasche capienti del ceto cadaverico, mentre il business della scuola privata si ingigantisce.
Esiste una via d’uscita dalla dittatura dell’ignoranza. Per il momento non la vediamo. Come dice Mark Fisher nel suo «Capitalist Realism»: «Gli studenti inglesi sembrano rassegnati al loro fato. Ma questo non è un problema di apatia, o di cinismo, ma di impotenza riflessiva. Sanno che le cose vanno male, ma soprattutto sanno che non possono farci niente. Questa loro consapevolezza non è una osservazione passiva di uno stato già esistente delle cose. È una profezia che si autorealizza».

da Indymedia

Vendola attacca la manovra economica : "Grande opera di macelleria sociale"


Una manovra economica che fa macelleria sociale, e contro cui bisogna organizzare una grande rivolta popolare. Un centrosinistra che non sa più parlare al Paese, che cerca la modernità nelle parolacce, e che nonostante questo continua ad apparire antico. Un'alternativa alle destre da costruire facendo una rivoluzione culturale, abbandonando l'ottica spartitoria del potere, riconnettendosi con l'Italia vera e smarrita. Nel videoforum di Repubblica Tv 1 - 380 messaggi in tempo reale - il leader di Sinistra ecologia e libertà e governatore della Puglia Nichi Vendola non fa sconti a nessuno: né al governo, né ai suoi alleati. Non perdona a Bersani la parolaccia contro il ministro dell'Istruzione Gelmini. Non perdona a Tremonti una manovra che colpisce sempre gli stessi, i deboli, i non colpevoli.


Cosa pensa di questa manovra?

"Giungono rumori di guerra da Palazzo Chigi. Hanno giocato a nascondino per due anni, hanno avuto paura di confrontarsi con quello che accadeva nel resto del mondo: l'esplosione di una bolla speculativa che riassumeva la follia di un ventennio di ubriacatura liberista. Hanno giocato a nascondere la crisi, l'Europa si è occupata prevalentemente di risarcire quei soggetti che ne erano stati i protagonisti, coloro che hanno portato il mondo sull'orlo di un precipizio. E oggi questa decisione determina i propri effetti. I giovanotti delle agenzie di rating bocciano la Grecia, la Grecia comincia a tremare, dopo la Grecia è il turno del Portogallo, della Spagna, e ora appaiono nuvole nere anche sul cielo d'Italia. Ma cos'è questa crisi? E' qualcosa che ha a che fare con le viscere della terra e del creato, l'ha portata la cicogna? E' la crisi di un mondo che è stato imprigionato da gruppi sofisticati di rapinatori, da un ceto mondiale di rapinatori travestiti da procacciatori finanziari, da acrobati della finanza internazionale. Ma come si può immaginare di proporre a un lavoratore o a un pensionato il sacrificio - fosse pure di un euro - se prima non si spiega come si intende cambiare questa logica perversa? Se non si pone fine all'allegra finanza degli speculatori e degli squali che attraversano gli oceani dell'economia mondiale producendo questo disastri? Se non si chiede scusa al lavoro che è stato umiliato, offeso e marginalizzato e non si ricostruiscono le regole del gioco a livello planetario?"

Il governo ripete che non metterà le mani nelle tasche degli italiani.

"Mettono le dita negli occhi degli italiani. Siamo a un livello di dramma sociale che viene occultato e nascosto dalla propaganda. Bloccare per anni i contratti dei lavoratori del pubblico impiego, 1100-1200 euro al mese, significa produrre un effetto depressivo sull'economia nazionale, ridurre la platea dei consumi e dei consumatori, stare dentro l'onda della recessione. Pensare di poter bloccare l'andata in pensione di chi l'aveva programmata, pensare di togliere agli enti locali un numero impressionante di risorse, è assurdo. Loro non mettono le mani nelle tasche degli italiani, ma io non avrò più un euro per pagare i servizi sociali o per pagare la viabilità. Quello che fanno è un'operazione di trasferimento a qualcun altro della responsabilità della più grande opera di macelleria sociale della storia italiana."

Chiarissima l'analisi, questa crisi è costretto a pagarla chi non l'ha causata. Ma ora cosa bisogna fare? Napolitano ha auspicato che l'opposizione in Parlamento condivida la manovra.

"Se le misure fossero eque, ma per essere eque bisogna riesumare una parola che è stata maledetta e proibita in Italia: la parola tasse. Al primo punto bisognerebbe mettere la possibilità di colpire i grandi patrimoni, la rendita parassitaria, le transazioni finanziarie. Colpire quegli evasori che avevano portato milioni di euro all'estero. Ma si possono scaricare 24 miliardi di euro per intero sul lavoro dipendente, sui pensionati, sulla povertà, sulla fragilità? Si parla molto dello scandalo dei falsi invalidi, si parla poco dello scandalo dei veri invalidi che devono scalare le alpi della burocrazia per veder riconosciuto il loro diritto all'accompagnamento. Questo è diventato un paese feroce, e con questa manovra finanziaria la ferocia si fa stato. Tremonti ci chiama a condividere cosa? Il suicidio degli enti locali, il suicidio delle regioni, delle province, dei comuni? No io non mi assumo questa responsabilità."

Uno spettatore le chiede la sua opinione sulle ricette di " flexsecurity" del Pd sul lavoro, ricette su cui peraltro il Pd all'ultima assemblea non è riuscito a trovare un accordo.

"La flessibilità è un obiettivo straordinario in una società che realizza la piena occupazione. In un Paese in cui la disoccupazione in gran parte del territorio è a due cifre la flessibilità è un trucco semantico, è soltanto la mafia delle parole che consente di chiamare flessibilità ciò che è precarietà. E la precarietà oggi non è solo una condanna per chi ha contratti atipici, l'intero mondo del lavoro è turbato da questo sentimento di precarietà. Il lavoro è scomparso dalla scena pubblica. I media parlano del lavoro solo nelle rubriche di cronaca nera. Abbiamo di fronte a noi la prima giovane generazione che è compiutamente al di fuori dell'idea del lavoro come prospettiva, come futuro. Una generazione compiutamente precarizzata non solo nella sua proiezione produttiva, ma nella sua immagine di futuro. Questa è una tragedia. Qui c'è il vero problema della sinistra: per contestare questa roba qui bisogna rimettere il lavoro al centro della scena sociale. Ll'economia non c'è se non c'è il lavoro, se non c'è la produzione di beni e servizi c'è un'economia cartacea, quella delle agenzia di rating, dei piccoli gangster travestiti da manager esterofili. Questo è un punto culturale, sociologico e politico che chiama in causa il mestiere della sinistra. La sinistra da troppo tempo non ha un mestiere perché non si occupa più sul serio di questo tema."

Come risponde a chi le chiede di lanciare la sfida al centrodestra, al governo e alle vecchie classi dirigenti del centrosinistra?

"A sinistra non è possibile immaginare ricette taumaturgiche. A sinistra si è consumata una gravissima sconfitta che non è solo quella elettorale, ma è una crisi di cultura, di prospettiva, di narrazione, di egemonia. Berlusconi non ha vinto mica perché è stato un bravo amministratore, ma perché ha dato forza a un racconto strabiliante assolutamente manipolatorio nei confronti della psicologia di massa. La sinistra cosa gli ha contrapposto? Berlusconi è stato la proiezione in politica di quello che è avvenuto nei lunghi pomeriggi televisivi, quando la formazione culturale di un paese è stata surrogata dalle Isole dei famosi, dai Grandi fratelli, da un'ideologia e da un'idea della vita e della società miserabile, meschina, mercantile. Non può pensare la sinistra che basti una parolaccia per recuperare un codice di comunicazione con la realtà, per recuperare l'alfabeto perduto, il vocabolario perduto. La sinistra non sa più parlare alla gente e non sa più capire la gente. Oggi potremmo usare l'occasione drammatica della crisi economica e sociale per provare a recuperare un rapporto di verità con il paese, con le sue sofferenze e le sue aspettative. Lì c'è il cantiere dell'alternativa, l'alternativa non può nascere dalle alchimie di palazzo, sperando che un pezzettino dell'altra parte si possa staccare e venire in soccorso. Di lì non nasce niente. Dobbiamo soprattutto parlare alla società italiana e alle giovani generazioni, essere la sinistra che dà speranza perché organizza le lotte. Una sinistra che fa un mestiere antico ma nelle forme più moderne e più flessibili. Invece riusciamo a usare il peggio della modernità - la parolaccia - continuando a sembrare conservatori. C'è bisogno che tutte le forze del centrosinistra si accorgano della propria inadeguatezza e si lascino aiutare nel rapporto forte con la società civile, con i movimenti e con le associazioni. Provino a costruire un cantiere di autorigenerazione."

E da cosa si parte?

"Ad esempio, l'immigrazione. Noi non possiamo immaginare sull'immigrazione un discorso di contenimento dei danni delle leggi razziali e del razzismo che è insito in questa classe dominante. L'Italia dei roghi di Ponticelli, l'Italia di Rosarno, della mensa negata a un bambino, del bianco Natale cantato perché bisogna fare il Natale dei bianchi, l'Italia di una sommessa e ordinaria pulizia etnica è un'Italia schifosa, melmosa, putrescente. Contro di essa bisogna far vivere l'altra Italia, quella che ha memoria della sua storia, storia di migranti. Non si può essere sceriffi di sinistra, non si può essere un po' meno razzisti perché non vincano i razzisti. Su questo tema il centrosinistra ha bisogno di riscostruire una politica, un racconto di verità."

Lei la questione morale l'ha guardata in faccia cambiando la sua giunta quando sono arrivate le inchieste sulla gestione clientelare della sanità in Puglia. Pensa che il Pd non stia facendo abbastanza?

"Secondo me c'è un'idea così diffusa di politica come cinismo e affarismo e c'è una tale soggezione della politica al mercato che la realtà è questa. Perché la politica è corrotta, perché è debole. Ha ceduto il passo ad altri poteri che prendono decisioni sulla vita di tutti e non in sedi democratiche, non in modo trasparente. La politica - per combattere la corruzione - deve innanzi tutto riprendersi sovranità sulle scelte di un Paese. L'Italia sta uscendo dalla chimica di base: l'ha deciso il parlamento, l'ha deciso il governo, l'ha deciso qualcuno? E dov'è un tavolo su questo. Mentre poi sul versante del nucleare io non ho capito: ho l'impressione che abbiamo fatto due patti, uno con Sarkozy e uno con Putin. La partita la stiamo giocando in due casinò differenti, e questo potrebbe costarci caro anche in tema di relazioni internazionali."

Lei ha definito i partiti ossi di seppia, non è ingeneroso da chi viene da una lunga storia di partito? Cosa sono e cos'hanno le sue fabbriche in più di un partito?

"I partiti sono diventati molto simili a quella metafora che il presidente del Censis De Rita usa per definire l'Italia: mucillagine. Sono la rappresentazione di un'Italia frammentata per interessi di corporazioni, di caste, di lobby o di campanili. Il partito come luogo di costruzione dell'interesse generale, di protezione dei beni comuni, dov'è? Le fabbriche cui ho offerto il mio nome, le fabbriche di Nichi, sono luoghi in cui è abolita la cosa fondamentale che ci ha berlusconizzati tutti: la vita politica fondata sulla competizione. Lì c'è la cooperazione, non si viene eletti a niente. Sono un tentativo di connessione tra la rete e la piazza, e hanno assunto l'idea che si può coniugare la politica alla bellezza. Sono l'idea che la politica dev'essere un principio di ricostruzione della comunità. Per me sono state un osservatorio su quanto è grande la speranza di cambiamento. Nella mia testa il partito è stato sempre un mezzo, non un fine. Io mi sento innamorato dell'idea che si può ancora contribuire a cambiare la vita e a cambiare il mondo. Vediamo gli strumenti utili per il cambiamento."

La sua vittoria è stata percepita come una minaccia, ora si parla di Vendola come colui che sta dando la scalata al Pd, si agita il fantasma di un ticket con Veltroni. Hanno paura di lei?

"Tutto questo è vero ed è molto triste. Per me è triste sentirmi percepito come l'altro gallo che entra nel pollaio, come un uomo in carriera, mi dà molto fastidio. Io mi percepisco come una persona che si sente profondamente sconfitta rispetto alle cose che pensa e che ha sognato tutta la vita, e che si ritrova a gestire un laboratorio importante e controcorrente - come quello pugliese - ma in un Paese che ha smarrito i propri codici civili. Mi sento disperato per le cose che accadono nel mio Paese e vorrei fare qualcosa perché si determinasse non la carriera di qualcuno, o la sostituzione di ceti dirigenti ad altri ceti dirigenti, ma la riforma intellettuale e morale - per dirla alla Gramsci - di questo Paese. E' un paese smarrito, è possibile che la discussione sia su di me, su quello che voglio fare domani o dopodomani? Io voglio dare un contributo nel modo che so offrire, che è quello della mia comunicazione con la gente e della voglia di sparigliare i giochi degli alchimisti del centrosinistra, degli strateghi della tattica che dominano la scena del centrosinistra."

Ma l'alternativa la possono costruire insieme Pd, Sel, Italia dei Valori, magari anche l'Udc o comunque si chiami?

"E' sufficiente la buona volontà o c'è un problema politico? Siamo davanti a elezioni importanti come le comunali di Napoli. Il fatto che il candidato del centrosinistra sia subito diventato assessore nella giunta Caldoro ci dice qualcosa? Il fatto che la contesa non sia sul profilo di una città ma sulla spartizione di posti di potere ci dice qualcosa? Dov'è più la discussione sul governo del territorio, sul risanamento delle aree periferiche, sulla sfida energetica, sulle nuove povertà, sull'inclusione dei bambini, sulle politiche per i migranti? Nel campo nazionale l'alternativa può cominciare subito, a condizione che sappiamo leggere tra le carte di Tremonti, se ci liberiamo dall'illusione di un Tremonti che si presenta come un neutro risanatore delle finanze pubbliche. Tremonti è la copertura migliore di un mondo, di una classe, di una politica e di un'economia che hanno fallito e che hanno fatto male al Paese. Bisogna combatterlo frontalmente."

Il Pd quindi questa manovra non la deve votare?

"Il Pd - insieme al resto del centrosinistra, ai sindacati, al tribunale per i diritti del malato - deve organizzare una grande rivolta popolare contro la manovra economica della destra. Per potersi sedere a quel tavolo e poter dire: " Facciamo una manovra condivisa" le prime carte che bisogna vedere sono quelle che parlano di tasse ai ricchi, altrimenti a quel tavolo non ci si può sedere."

Ci doveva essere una convention a Firenze per lanciare la sua candidatura alle primarie per la guida del centrosinistra nel 2012, oggi non sappiamo neanche se ci saranno quelle primarie. Se ci fossero lei si candiderebbe?

"Io mi batterò fino allo stremo perché ci siano le primarie. La convention a Firenze è saltata perché invece che essere l'inizio di una ricerca sulle parole che ci mancano era diventata una danza della morte dei partiti su questo oggetto misterioso. Per quello che mi riguardava era meglio fermarsi lì, mentre fuori dai partiti ci sono domande, esperienze, un sapere che noi faremmo bene ad accogliere. Le primarie sono il minimo per sopravvivere. L'idea di mettere in discussione l'unica forma che è stata inventata di dissequestro delle scelte politiche fondamentali sequestrate in segreterie di partiti che sono diventati la roba di cui ho parlato è un'idea folle. La sinistra non può vincere se va in un laboratorio di chirurgia estetica a trovare una maschera di Berlusconi di sinistra da mettere in faccia a qualcuno. La sinistra vince se contro Berlusconi è capace di convocare un popolo che si appassiona a un'idea di futuro."

martedì 25 maggio 2010

NARDO' - DIRITTO AL CUORE - ARTISTI PER EMERGENCY


Questa sera intorno alle 21:00 nello stadio comunale neretino si gioca insieme per una giusta causa: scende in campo la solidarietà. Una partita di calcio fra artisti e musicisti, insieme col solo scopo di raccogliere fondi da devolvere in aiuto al centro “SALAM” di cardiochirurgia creato in Africa da Gino Strada responsabile EMERGENCY, più precisamente nel Sudan.

SALAM, che significa letteralmente “pace” in arabo, è la prima struttura di eccellenza, totalmente gratuita nel continente africano. Pertanto, si tratta di un centro altamente tecnologico, costruito con tecniche innovative e rispettose per l’ambiente interamente gestito da EMERGENCY, sia dal punto di vista clinico che amministrativo.

In questi anni sono stati operati migliaia e migliaia di pazienti provenienti da: Ciad, Eritrea, Etiopia,Gibuti,Giordania, Iraq, Kenia, Nigeria, Congo, Ruanda, Sierra leone,Zambia etc.
Il Gruppo Emergency Nardò sarà presente con un banchetto informativo e di raccolta fondi.
Alcuni artisti che scenderanno al campo “Papa Giovanni Paolo” a Nardò in veste di calciatori per EMERGENCY oggi 25 maggio sono:
ROY PACI
TERRON FABIO (SUD SOUND SYSTEM)
APRèS LA CLASSE
MINGO (STRISCIA LA NOTIZIA)
DANILO TASCO (NEGRAMARO)
MAX BRIGANTE (RADIO 105-HIP HOP TV)
ROMEUS (SANREMO 2010)
RAFFAELE CASARANO(JAZZ ARTIST)
UCCIO DE SANTIS (MUDù)
STEELA
ALDO la “MARA MAIONCHI”del CHIAMBRETTI NIGHT
FOLKABBESTIA
MODAXì
CHOP CHOP BAND
CARLO CHICCO (CONTRORADIO)
MARCO GUACCI (RADIONORBA)

"Gioca contro la guerra"

lunedì 24 maggio 2010

Milano, le trame di estrema destra


di Saverio Ferrari
«Milano capitale dei naziskin», così titolava giorni fa il Corriere della Sera all'annuncio dell'ennesima serie di manifestazioni e concerti neofascisti previsti per la fine di maggio. Due gli appuntamenti lanciati, entrambi di sabato. Il primo, in programma domani, avrebbe dovuto essere un corteo nazionale di Forza Nuova «contro banche e finanza», vietato dal prefetto dopo una serie di pressioni degli antifascisti e trasformato in un incontro all'interno della sede di piazza Aspromonte. Ospite della manifestazione una delegazione del partito di estrema destra ungherese «Jobbik» (estimatore delle Croci frecciate, collaborazioniste dei nazisti durante l'occupazione tedesca). Il 29 maggio si dovrebbe invece tenere un meeting musicale per il ventesimo anniversario della fondazione della setta neonazista degli Hammerskins, il cui nucleo originario si costituì a Dallas in Texas a opera di fuoriusciti dal Ku Klux Klan. Nell'occasione convergerebbero su Milano delegazioni provenienti da diversi paesi europei: Spagna, Francia, Germania, Svezia e Svizzera.

Ambedue le scadenze arriverebbero dopo una lunga serie di iniziative, partite simbolicamente l'ultimo 23 marzo con una commemorazione al cimitero Monumentale, presenti ex aderenti alle Ss italiane e alla Legione Muti, per il 91° anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento a Milano, con corone a un piccolo sacrario fatto erigere da Mussolini a ricordo di alcuni squadristi caduti negli anni Venti nei vari assalti alle camere del lavoro e alle sedi dei partiti di sinistra. Sono poi seguite: una messa in onore di Benito Mussolini, il 18 aprile, al campo X del cimitero Maggiore dove sono raccolte le spoglie di alcune centinaia di repubblichini, tra loro Alessandro Pavolini, il comandante delle Brigate nere, e altri gerarchi fucilati a Dongo. Ma soprattutto un corteo, il 29 aprile, per ricordare Sergio Ramelli, il ragazzo del Fronte della gioventù morto nel 1975 a seguito delle ferite riportate in un'aggressione da parte di alcuni militanti del servizio d'ordine di Avanguardia Operaia, e per ricordare Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell'Msi colpito a morte nel 1976 da un commando di Prima Linea, e Carlo Borsani, un alto esponente fascista firmatario del «Manifesto sulla razza», attivo fino all'ultimo a fianco dei tedeschi, fucilato nel 1945 dai partigiani in piazzale Susa, alla Liberazione di Milano.

Più che a un corteo, presenti circa ottocento persone, si è assistito a una vera e propria parata in stile Germania anni Trenta: file da cinque, tamburi a scandire il passo, decine di fiaccole e molte bandiere con la croce celtica. Il tutto tra saluti romani ritmati e camice nere. Un precedente inquietante. Mai prima a Milano si era visto qualcosa di simile.

Domenica 2 maggio infine si è tenuto un concerto, la mattina, nei pressi di Porta Venezia, con l'esibizione di «Skoll» (nome di battesimo: Federico Goglio, un cantautore il cui nome d'arte, per sua stessa ammissione, si ispirerebbe a un «lupo feroce» della mitologia germanica, dedito «alla violenta cancellazione della vita sulla terra azzannando il pianeta e riempiendo l'universo di spruzzi di sangue»). Al pomeriggio si è svolto un torneo di calcetto al Lido, con la partecipazione di squadre dai nomi inequivocabili: Forza nuova, Hammerskins, Casa Pound... Il tutto sponsorizzato dal consiglio di zona 3, dalla Provincia e del Comune di Milano. Un fatto, anche questo, senza precedenti.

In questo quadro, due i passaggi politici in corso da non sottovalutare. Da un lato, come già denunciato, l'ingresso di alcuni fra i principali esponenti del neofascismo milanese nel Popolo della libertà (dal «barone nero» Roberto Jonghi Lavarini, capo di Destra per Milano, a Lino Guaglianone, fondatore di Comunità in movimento), portati a infoltire le correnti dei due fratelli Romano e Ignazio La Russa, variamente denominate («Fare occidente» e «La nostra destra»). Dall'altro, la copertura politica e istituzionale per chi non ha maturato questa scelta, in primis Forza nuova e Hammer. Le foto scattate in occasione del piccolo corteo fascista che si recava all'interno del Lido il 2 maggio ritraevano, fianco a fianco, Stefano Del Miglio, il nuovo capo degli Hammer, con Antonluca Romano, il segretario provinciale di Azione giovani, braccio destro di Carlo Fidanza, nonché futuro candidato nel Pdl al consiglio comunale di Milano, e Duilio Canu, il capo lombardo di Forza nuova. A fare da cerniera tra le diverse anime, Roberta Capotosti, consigliera provinciale del Pdl, delegata a questo ruolo dallo stesso Fidanza e da Paola Frassinetti, oggi onorevoli, ex di An.

Si è anche ormai istituzionalizzato un luogo di riferimento, il bar «Lux» di via Canonica, gestito da Luca Cassani, coordinatore del Comitato Sergio Ramelli, alias «I camerati», firmatari dei manifesti che indicevano il corteo del 29 aprile. Quasi una base logistica. È qui che si sono svolte tutte le riunioni preparatorie delle manifestazioni.

C'è anche chi punta, oltre il reducismo, a promuovere un'alleanza trasversale fra i diversi camerati che militano nel Pdl, nella Lega e ne La Destra. Il primo esperimento, una manifestazione organizzata per il 10 aprile scorso, in piazza Duomo, dove «i musulmani due anni fa hanno pregato provocatoriamente». Si voleva realizzare in quel luogo una croce di dodici metri con delle fiaccole (tipo Ku Klux Klan), ma il tentativo è stato vietato dalla questura. A promuovere l'iniziativa Roberto Jonghi Lavarini, Carlo Lasi de La Destra e il leghista Valerio Zinetti.

Un ultimo dato: il panorama assai frastagliato del neofascismo milanese si è ulteriormente complicato dopo l'implosione di Cuore nero, causata anche dai forti contrasti interni. Dal fallimento di questo progetto sono nate da un lato Casa Pound Milano, guidata da Francesco Cappuccio, ora assai vicino alla Lega nord e al Centro identitario padano di via Bassano del Grappa (collabora anche alla rivista mensile di Mario Borghezio Il borghese del nord), dall'altro Calci e pugni (il nome è indicativo), nuova sigla dei fratelli Todisco, tempo fa solo una linea di produzione di magliette e gadget d'area. La prima uscita di questo nuovo raggruppamento è prevista per il prossimo 5 giugno, al pub Alabama di via Carlo Farini. Nella serata, come recita la locandina, saranno presentati i nuovi capi da «streetwear». Tra birra e buffet la serata sarà animata da una cubista. Quando si dice «i fascisti del terzo millennio»...

da Indymedia

La Lega duramente contestata a Cagliari, in 400 in piazza contro Castelli e i candidati sardi


Un'ora di fischi, urla, slogan. In quattrocento, quasi tutti giovanissimi, hanno contestato stasera in piazza Costituzione a Cagliari il comizio della Lega Nord Sardinia, la lista che in provincia di Cagliari sostiene per la presidenza il senatore "ribelle" del Pdl Piergiorgio Massidda.

Su Youtube ci sono già i primi documenti filmati: http://www.youtube.com/watch?v=p39OFrIRC-I

Nonostante il massiccio schieramento di forze dell'ordine, i giovani (autoconvocatisi grazie a facebook e nessuno dei quali ostentava simboli di partito) hanno iniziato da subito a contestare il viceministro Castelli e gli altri oratori con slogan e fischi. In piazza c'erano praticamente solo i ragazzi: all'inizio della manifestazione è infatti apparso evidente che, a parte i candidati locali, nessun cagliaritano ha sentito il richiamo del partito di Bossi.

Dal palco, in evidente difficoltà, il candidato alla provincia dell'Ogliastra Giorgio Ladu e il senatore Fabio Rizzi, hanno insultato ripetutamente i contestatori, ricevendo in cambio una marea di fischi e urla (lo slogan più ricorrente è stato "Fuori la Lega dalla Sardegna"). Nel corso della manifestazione ci sono stati momenti di tensione ma le forze dell'ordine hanno ben controllato la situazione evitando che degenerasse.

In evidente imbarazzo il candidato presidente Piergiorgio Massidda, che ha cercato di placare la contestazione ("Ragazzi, io vi capisco, io capisco le vostre idee, ma dovete darci la possibilità di parlare") ma ha perso quasi subito la voce e solo in un secondo momento è riuscito a completare il suo intervento, concluso con un memorabile "il dissenso mettetevelo in quel posto!".

Dal punto di vista politico, nel suo intervento Rizzi ha attaccato duramente sia il segretario nazionale dei sardisti Giacomo Sanna (il partito dei quattro mori ha infatti posto il veto perché la Lega facesse parte anche in Sardegna dell'alleanza di centrodestra), sia il presidente Cappellacci (esortato in maniera spiccia a rendere più efficace la sua azione di governo), sia il Pdl che non sostiene Massidda: "Sono quelli dell'eolico e delle tangenti" ha urlato Rizzi.

Al termine del comizio i contestatori hanno bruciato alcune bandiere della Lega: la scena è già visibile su Youtube all'indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=jhozx819izU

Al termine della manifestazione, Piergiorgio Massidda ha inviato alle redazioni una nota: "Oggi abbiamo vissuto una delle pagine più vergognose della storia democratica della nostra regione. Quello che è accaduto in piazza Costituzione è un gravissimo attentato alla democrazia, alla possibilità di chiunque di poter esprimere le proprie idee e le proprie opinioni. Il Viceministro Castelli, i Senatori Rizzi, Monti e Aderenti e i sostenitori della Lista Massidda Presidente sono stati aggrediti fisicamente, offesi, sputati e sono stati vittime di lanci di oggetti; sono state bruciate in piazza alcune bandiere della Lega Nord e delle nostra lista. Le contestazioni sono avvenute ancora prima che gli esponenti della Lega e i candidati collegati alle liste della nostra coalizione potessero esporre il proprio progetto di governo".

Per Massidda stasera “è stato offeso chi intendeva semplicemente parlare di onestà, valori e democrazia, e lavora ogni giorno tra la gente per cambiare Cagliari, la Provincia e la Sardegna. È triste vedere contestato chi ha sempre difeso in parlamento gli interessi dei sardi, così nella crisi del nostro settore industriale, così in occasione del decreto Salva-Alcoa: passato con una maggioranza di 23 voti, coi 26 della Lega e il voto contrario della totalità dei senatori sardi del centrosinistra”.

http://www.facebook.com/note.php?note_id=397608643669
http://www.youtube.com/watch?v=p39OFrIRC-I

da Indymedia

INCREDIBILE CIRCOLARE



Stomachevole circolare in Emilia Romagna: minacciati provvedimenti disciplinari (=RITORSIONI) per i prof che OSANO dissentire pubblicamente sul disastro in corso nella scuola pubblica italiana.


Democrazia a rischio. Incredibile circolare dell'Ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna. Secondo un testo inviato ai presidi, i prof non devono parlare male della scuola. In occasione della odierna, straordinaria assemblea dei lavoratori della scuola di Modena, preceduta da un corteo dalle dimensioni che non si vedevano da anni, i docenti assieme al personale Ata, chiamati dai sindacati uniti almeno in questa occasione, ha approvato una mozione contro il dirigente, di cui ha chiesto le dimissioni. " - Video di Vincenzo Brancatisano, autore del libro inchiesta "Una vita da supplente", Nuovi Mondi. Su facebook: "unavitadasupplente. www.vincenzobrancatisano.it, http://unavitadasupplentelibro.blogsp...

venerdì 21 maggio 2010

CONTRO IL NUCLEARE


Venerdì 21 maggio dalle 17 alle 21.30, via trinchese Lecce
presidio, mostra, proiezioni, banchetto informativo contro il nucleare.
DaL 20 AL 23 maggio si terrà a Lecce il festival dell'energia che quest'anno cercherà di incentivare il ritorno al nucleare con dibattiti, presentazioni di libri.
un'ulteriore occasione per ribadire la nostra contrarietà al nucleare e a tutte le nocività, qui come altrove
Anarchici


Il ritorno all’energia atomica in Italia sembra ormai una tragica realtà in via di realizzazione, voluta dal governo e dalle lobby industriali. Fra pochi mesi le autorità renderanno note le aree dove impiantare i nuovi mostri e stoccarne le scorie.Nel Salento, si ipotizza una centrale nella zona tra Nardò e Avetrana, sito già previsto nel 1981. Per il momento i politici locali e nazionali si sono dichiarati contrari, per fini elettorali, a tale possibilità. Resta il fatto che dovunque verranno realizzerate, queste centrali rappresenteranno degli impianti di morte. Eppure nonostante le evidenze di un inquinamento radiottivo irreversibile, in molti propagandano la loro necessità e non pericolosità, come si cercherà di fare anche durante il Festival dell’Energia che si terrà a Lecce dal 20 al 23 maggio. Cosa farne e dove mettere le scorie? Come proteggersi in caso di incidenti? Domande volutamente eluse dai nuclearisti che puntano a fare in modo che la popolazione possa solo subire le conseguenze di questa politica energetica. Senza dimenticare che la produzione civile è indissolubilmente legata al nucleare militare e che la tecnologia usata è alla portata esclusiva di una restrittissima cerchia di specialisti da cui dipenderemo tutti. Fondamentale allora chiedersi a Chi serve tutta questa energia. fip 17/5/2010 via massaglia 62/b Lecce

IL “BERSAGLIO”


di Gaspare Serra
ECCO PERCHE’, NEL PAESE DELLE “MEZZE VERITA’”, CHI LE DICE “PER INTERO” RISCHIA D’ESSERE “EVERSIVO”…

ANTIMAFIA: NON SOLO “REPRESSIONE” MA ANCHE PRESA DI COSCIENZA E “INFORMAZIONE”…

Lo slogan ribadito, in ogni occasione utile, dal “ministro di ferro” Roberto Maroni è sempre lo stesso: “Il Governo ha ottenuto successi inimmaginabili nella lotta alle Mafie!”.
“Sconfiggeremo il cancro mafioso entro fine legislatura!”: questo, in buona sostanza, l’ambizioso -e conclamato- obiettivo del ministro dell’Interno (anche se ben poca cosa rispetto al più temerario impegno assunto dal Premier Berlusconi in persona, nel corso delle ultime elezioni regionali, di sconfiggere il “Cancro” vero -in senso clinico- entro lo stesso termine…).

Che Forze dell’Ordine e Magistratura (più che il Governo, in realtà, cui va il “merito”, semmai, dei discutibili tagli indiscriminati al reparto Sicurezza e del clima di aperto conflitto generatosi con la Magistratura…) abbiano inferto “durissimi colpi” (sul piano della repressione) a Cosa nostra e alla Camorra in particolare è un “dato di fatto”, come tale inconfutabile.
Che questo dato sia sufficiente a parlare di “sconfitta delle mafie”, invece, è un giudizio tutt’altro che assodato… per non dire del tutto avventato!

Le mafie non sono soltanto un “fenomeno criminale” (se così fosse, del resto, non sarebbero facilmente distinguibili dalla semplice criminalità comune…).
Cosa nostra, la Camorra e la N’drangheta, piuttosto, rappresentano anche un fenomeno di diffuso “malcostume sociale”:
I-si annidano tra i “silenzi omertosi” della gente (il pentitismo o il collaborazionismo, ad esempio, sono fenomeni quasi del tutto sconosciuti in Calabria!);
II-trovano “protezioni eccellenti” nel mondo politico-istituzionale (l’arresto, lo scorso febbraio, di Nicola Di Girolamo, senatore del Pdl eletto nella circoscrizione estero Europa coi voti della Camorra, è emblematico…);
III-e sanno ritagliarsi con facilità (ed evidenti complicità degli amministratori locali) sempre nuovi spazi nel mercato per il riciclaggio del denaro sporco frutto di attività illecite, di fatto “drogando” l’economia (molti hanno denunciato, ad esempio, forti pericoli d’infiltrazione mafiosa negli appalti relativi al Ponte sullo Stretto, all’Expo di Milano e alla Tac della Val di Susa).
Ciò spiega perché la repressione è un’arma “indispensabile” ma “insufficiente” per puntare al “grande malloppo”: l’obiettivo ambizioso di sconfiggere una volta per tutte le potenti organizzazioni criminali che controllano il territorio, corrompono la politica e condizionano la nostra economia!

“La lotta alla mafia (…) non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e che spinga, specialmente le giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità…”.
Così -ricorda Roberto Saviano- si esprimeva Paolo Borsellino, convinto (da magistrato) che il solo lavoro dei magistrati, pur necessario, non sarebbe stato sufficiente per combattere le mafie fino in fondo.
Per questo occorre affiancare a esso un diffuso impegno “civico, educativo e culturale” volto a smuovere fino in fondo le coscienze di tutti… proprio quelle che il “silenzio” non potrà mai aiutare a risvegliare!


BERLUSCONI - SAVIANO: LO “SCONTRO”

Da mesi il nostro Primo Ministro, Silvio Berlusconi, ha avviato una polemica “senza fine” contro tutti coloro (scrittori, registi, intellettuali, giornalisti…) che, denunciando pubblicamente le mafie (e le sue collusioni con la politica), offuscano i risultati -a suo dire- “straordinari” raggiunti dal Governo nella lotta alle mafie.
Nel mirino del Premier, così, è finito in particolare uno dei simboli oggi più ammirati dai giovani: lo scrittore di “Gomorra”, Roberto Saviano.

Le dichiarazioni del Cavaliere, allora, risultano più eloquenti di ogni altro giudizio.
Eccone alcune:
-28 novembre 2009: “Dobbiamo finire di parlare di mafia (…). Io se trovo chi ha girato nove serie de la Piovra e scritto libri sulla mafia facendoci fare brutta figura nel mondo, giuro che lo strozzo!”;
-16 aprile 2010: “La mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo ma è quella più conosciuta anche per i film e le fiction che ne hanno parlato, come le serie della Piovra e, in generale, la letteratura, Gomorra e tutto il resto!”.

Premessa:
Qual è lo scopo di tale “strategia comunicativa” (visto che uno scopo non può non esserci, specie per un esperto di comunicazione quale Silvio Berlusconi)?
Qual è, in poche parole, il messaggio (tutt’altro che occulto…) che si tenta di veicolare alla pubblica opinione?
Semplice:
I-La mafia? Più famosa che potente…;
II-Parlare di mafia? Tipico atteggiamento “anti-italiano”! Perché, piuttosto, non pubblicizzare le terme di Caracalla o elogiare l’invidiabile bellezza delle nostre veraci donne?(!)

Conclusione:
Quale immagine del proprio Paese può farsi, di conseguenza, un ragazzo che (magari nemmeno nato ai tempi delle stragi del ’92) sente ripetere da una delle più alte cariche dello Stato che:
-Saviano rappresenta una sorta di “approfittatore”, alla ricerca di facile pubblicità a danno dell’immagine dell’Italia (poco importa, poi, se su Gomorra ha lucrato abbondantemente anche la Mondadori che lo distribuisce, di proprietà dello stesso Berlusconi…);
-mentre uno pseudo-stalliere, quale Vittorio Mangano (criminale pluriomicida al soldo di Cosa nostra, come appurato da sentenze passate in giudicato), rappresenta un “eroe”?(!)


FEDE - SAVIANO: L’“AFFRONTO”

A “stringere la corda” attorno all’immagine di Saviano, scendendo in campo in difesa del Premier, ci ha pensato il fido “giullare di corte”, il direttore del Tg4 Emilio Fede, che ha offerto il meglio delle sue “rappresentazioni pseudo-giornalistiche” nel corso dell’edizione dello scorso 9 maggio del Tg4 (in pratica, la nostra “Tele Kabul”!).
Parlando del “gran rifiuto” del ministro Bondi a presenziare al Festival di Cannes (cui, tra l’altro, si è scoperto non essere nemmeno stato invitato…) a causa della presenza del film “Draquila” di Sabina Guzzanti, il fido Fede ha colto l’occasione per attaccare nuovamente Roberto Saviano (?), facendo sfoggio dinanzi ai telespettatori, con un tono tra l’infastidito e lo sprezzante, di “nobilissime” considerazioni personali, tra le quali citiamo:
-“Ci sono state delle polemiche riguardanti Roberto Saviano (…) ma non è lui che ha scoperto la lotta alla Camorra, ma non è lui il solo che l’ha denunciata (…)”;
-“Ci sono stati magistrati che sono morti. Lui è superprotetto -giustamente (…)- però, come dire, non se ne può più! (…)”;
-“Qualcuno, addirittura, gli ha offerto la cittadinanza onoraria. Di che cosa, poi, non si capisce… (…)”;
-“Lui ha scritto dei libri contro la camorra? L’ha fatto anche tanta altra gente (…) senza rompere, senza disturbare la riflessione della gente! (…)”;
-“In un Paese come il nostro (…) non c’è bisogno che ci sia Roberto Saviano!”.

Disturbare la riflessione della gente???
Quest’ennesimo “show mediatico” di Fede (andato in onda -non casualmente- in una delle rete televisive di proprietà di Silvio Berlusconi) non può che definirsi una boutade “fuoriluogo, sconclusionata e superficiale”, che ha ottenuto comunque un risultato dinanzi agli occhi dei telespettatori: quello di delegittimare sommariamente l’“antimafia civile”, di cui Saviano è solo una delle tante espressioni e di cui il nostro Paese -contrariamente a quanto affermato da Fede- ha un estremo bisogno!


DEL PERCHE’ E’ LEGITTIMO “CRITICARE” MA INACCETTABILE “DELEGITTIMARE” SAVIANO

Sgombrando il campo da ogni equivoco, nessuno (nemmeno Saviano, dunque) può considerarsi “intoccabile”, esente da critiche…
Ma il problema sta proprio qui: quali critiche sostanziali (argomentate) rivolgere a Saviano?
Come si giustifica questo “accanimento” nei suoi confronti?
Quale sarebbe la sua più grave “colpa”???
A questo interrogativo posso rispondere soltanto avanzando alcune ipotesi… (meno provocatorie -attenzione!- di quanto possano apparire ad una superficiale lettura…).

PRIMO:
Forse quella di raccontare “falsità” (di non essere attendibile)?
Improbabile, dato che Gomorra, in pratica, consiste in una ben esposta trascrizione degli atti ufficiali del processo “Spartacus” contro le cosche camorristiche di Casal di Principe, frutto di un lavoro d’indagine giornalistica serio ed approfondito!

SECONDO:
Forse quella di “infangare” nel mondo l’immagine del nostro Paese (facendo “cattiva pubblicità” all’Italia e regalando, al contempo, notorietà a boss e camorristi)?
La mia impressione, piuttosto, è che la più grossa pubblicità la mafia se l’è fatta da sola!
Come? Ad esempio:
I-con “omicidi eccellenti” (come quelli dei giudici Falcone e Borsellino);
II-con “assassinii eclatanti”, che hanno indignato l’opinione pubblica non solo italiana (come quello del piccolo Di Matteo, disciolto nell’acido!);
III-o con stragi “in trasferta” (quale quella di Duisburg, in Germania, dell’agosto 2007).

TERZO:
Forse quella di “raccontare” a un pubblico più vasto dei semplici “addetti ai lavori” i meccanismi reali con cui la Camorra controlla quasi “metro per metro” il territorio campano?
Per intendersi, si tratta della stessa terra d’origine dell’onorevole e sottosegretario di Governo Nicola Cosentino:
-nei cui confronti la magistratura ha chiesto (invano) l’autorizzazione all’arresto alla Camera dei Deputati nel novembre 2009 per il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”;
-e di cui il Premier ha rifiutato le dimissioni da sottosegretario lo scorso 19 febbraio.
Se fosse questa la sua unica colpa, si capisce bene perché nessuno ha il coraggio di ammetterlo a viso aperto…(!)

QUARTO:
Forse quella di essere un “opportunista”, guadagnando grazie al successo di Gomorra (di cui sono state vendute “6 milioni” di copie in oltre “42 paesi” nel mondo) più di quanto guadagni qualsiasi altro scrittore medio in un Paese scarsamente dedito alla lettura come il nostro?
Ma da quando il successo personale, conseguito con pieno merito e sacrificio (niente, forse, è più difficile che convincere un italiano a “investire” qualche soldo nell’acquisto di un libro…) è divenuto un “demerito”?!

QUINTO:
Forse quella di essere divenuto, suo malgrado, un “divo”, un “simbolo” per molti giovani (e non giovani)?
Ma da quando, in un Paese civile, ci si scandalizza:
-piuttosto che per gli innumerevoli modelli “negativi” che le cronache quotidiane veicolano ai giovani;
-per un modello, comunque la si pensi, “positivo” come quello di Saviano, portatore di “ideali sani” (su tutti, il rispetto assoluto per la legalità)?!
Dovrebbe far riflettere tutti, del resto, “il prezzo” pagato da Saviano per questa sua “notorietà”: pendendo su di lui una sentenza di “condanna a morte” emessa dalla Camorra, lo scrittore napoletano si ritrova costretto a vivere una vita da “recluso sotto protezione”, privato di moltissime comuni libertà… salvo, ancora, quella di parola!
A chi taccia spregiativamente Saviano di essere un “professionista dell’antimafia” (citando, impropriamente, il grande Leonardo Sciascia), inoltre, vorrei ricordare che anche Sciascia in un caso si è sbagliato, tacciando di essere tale persino il giudice Falcone!

SESTO:
Forse quella di essere “solo” uno scrittore?
Può sembrare assurdo ma c’è anche chi, come lo scrittore Massimiliano Parente (autore del libro “La casta dei radical chic”), intervistato dal giornalista Paragone nel corso del programma “L’Ultima parola” lo scorso 14 maggio, è arrivato al punto di dire sarcasticamente: “se Saviano avesse davvero voluto combattere la mafia perché ha deciso di fare lo scrittore anziché il magistrato?”…
Un pensiero tutt’altro che isolato ma che rivela una “profonda ignoranza” (molto grave, poi, se manifestata da parte di un intellettuale, ossia di una persona che dovrebbe saper interpretare al meglio la realtà con i propri occhi): l’idea per cui la criminalità organizzata si combatta solo nei Palazzi delle Procure piuttosto che, ancor prima, in famiglia e nelle scuole!

SETTIMO:
Forse quella di “non essere il solo” a denunciare il malaffare mafioso?
Certamente (e per fortuna!) Saviano non è il solo a denunciare le mafie, a scrivere libri sul tema, a vivere la propria professione anche come un “impegno civico”.
Questa, però, non può essere una ragione valida e sufficiente per sminuire i meriti di Saviano, specie considerando che, al contrario di Cosa nostra, la Camorra (come la ‘Ndrangheta) non è mai stata un fenomeno criminale diffusamente studiato e approfondito.

OTTAVO:
Oppure, al limite del parossismo, l’unica colpa che si rimprovera a Saviano è quella di essere ancora “vivo”?!
Già, perché secondo la vetusta logica di un Paese “senza memoria né coscienza” quale il nostro, gli eroi (o cd. tali) si rispettano solo “da morti” (magari poi litigando per accaparrarsi la loro eredità morale!).
Non scopriamo oggi, del resto, che anche Falcone è stato oggetto di dure critiche e pesanti attacchi personali…
Una delle più palesi maldicenze dette a suo conto all’epoca del fallito attentato dell’Addaura dell’estate 1989, ad esempio, è stato il sospetto che sia stato proprio lui l’autore della “messa in scena” dell’Addaura, ben orchestrata per conquistare facili consensi rivestendo il comodo ruolo della “vittima”!
Un’inchiesta apertasi proprio in questi mesi a Palermo, invece, sta facendo venire alla luce scenari “inquietanti” (per non dire “sconvolgenti”!) in merito agli stessi fatti, ipotizzando:
-non solo che l’attentato sia fallito solo grazie alla prontezza d’intervento di due poliziotti, Nino Agostino ed Emanuele Piazza (non casualmente pochi mesi dopo misteriosamente uccisi e vergognosamente sospettati di esserne stati complici, depistando le indagini sulla loro morte!);
-ma anche che -come già sostenuto all’epoca da Falcone- dietro la mano esecutrice della Mafia si nascondessero “menti raffinatissime” (in pratica, apparati deviati dello Stato!).

IN CONCLUSIONE:
Gli “improperi” di Emilio Fede contro Roberto Saviano sono “inqualificabili”:
-non tanto per una questione di “stile” (sarebbe fin troppo pretendere da chi rappresenta la parte più “becera” dell’informazione italiana di dar sfoggio di buon giornalismo…);
-bensì per la loro incomprensibile “ambiguità” di fondo!
Saviano non è criticato, infatti, per un’opinione politica espressa o per una falsa verità detta.
L’attacco a Saviano si fonda solo e soltanto sul suo “parlare” di Camorra (e di mafie, più in generale) con un linguaggio comprensibile a un pubblico vasto, in grado così di far maturare in molti la consapevolezza di come:
I-la criminalità organizzata sia un problema (un’“emergenza”) nazionale;
II-e il suo contrasto debba rappresentare una “priorità assoluta” per qualsiasi governo ci rappresenti!


DEL PERCHE’ SAVIANO E’ UN PERSONAGGIO “SCOMODO” (…SE NON “EVERSIVO”!)

L’unica domanda da porsi, a tal punto, resta la seguente: cosa c’è dietro questo “assalto” a Saviano (più che alla persona in sé, a ciò che rappresenta)?

Volendo “volar basso”, probabilmente Saviano “rompe” -per usare lo stesso eufemismo di Fede- perché con il suo Gomorra (e, ancor di più, con l’attività di divulgazione e denuncia che ne è seguita) rischia di far crollare il “castello di carta” costruito negli anni dalla politica, di smontare la narrazione perfetta di un “Paese dei balocchi”:
-rinato dalle ceneri della Prima Repubblica;
-governato da una nuova classe dirigete “del fare” (cosa, esattamente, non è dato sapersi…);
-e in cui le mafie sono oramai “messe all’angolo” e ridotte, in seguito alla cattura di boss e camorristi, a fenomeni di mera “criminalità disorganizzata”.
L’attacco a Saviano, nella migliore delle ipotesi possibili, si potrebbe dunque spiegare nel quadro di una più generale opera di “propaganda filo-governativa”.

Questa la spiegazione più “augurabile”.
La più augurabile perché l’unica alternativa possibile sarebbe letteralmente di carattere “eversivo”: la cosciente e pianificata volontà di delegittimare simboli preziosi nella lotta alla mafia!
Attaccare Saviano, allora, rappresenterebbe un modo come un altro per legittimare chi:
-appena ieri sosteneva che “la mafia non esiste” e “il giornalismo mafioso fa più male di dieci anni di delitti” (parole di un giovanissimo e spavaldo Totò Cuffaro, nel 1992 inaspettato protagonista di una puntata congiunta di Samarcanda e del Maurizio Costanzo Show);
-ed oggi sostiene -ancor peggio!- che “la mafia non esiste più” perché già sconfitta (tra i tanti, il sindaco di Salemi, Vittorio Sgarbi).


“CHI TACE E’ COMPLICE!”

Se, secondo Fede, di Saviano l’Italia “non ha bisogno”, a mio avviso il problema è, semmai, l’opposto: di Saviano uno “non basta”, bensì ce ne vorrebbero mille!

Saviano “onora” (non infanga) l’immagine del nostro Paese!
Ad “infangare” l’Italia, casomai, sono:
1-le mafie stesse (di cui ne vantiamo non una ma ben tre, e tutte di un certo spessore…);
2-e l’altissima (e notoria) corruzione pubblica presente nel Paese (testimoniata dal rapporto 2009 sia di “Transparency International”, che ci colloca al 63° posto nel mondo, sia della Corte dei Conti, che calcola in 60 miliardi di euro il costo della corruzione e del malaffare pagato dagli Italiani!).

Saviano non è un “eroe”, almeno per chi come me non è avvezzo alla retorica…
Saviano è, più semplicemente, una persona coraggiosa, intellettualmente onesta e capace di assumersi le responsabilità delle proprie scelte: il che, se in un Paese “normale” dovrebbe essere una virtù abbastanza comune, in un Paese come il nostro (in cui il livello di “finto perbenismo” e di “malaffare” è elevatissimo!) diviene un merito sufficiente per aver accesso all’“Olimpo degli eroi”!
Il problema, dunque, non è Saviano: semmai è l’Italia (e gli Italiani)!

Lo scrittore napoletano è divenuto -sicuramente suo malgrado- una “icona”, un “simbolo”, un “modello positivo”: una “speranza” per molti giovani, specie meridionali (“in massa” disillusi dai pomposi proclami di una politica sempre più vecchia e autoreferenziale e disgustati dalle regole clientelari d’accesso al mercato del lavoro!).
“Eroe” o “non eroe”, pertanto, Saviano è un personaggio d’indiscutibile “statura morale” che, anche solo per questo, merita “rispetto”, come autorevolmente riconosciuto dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso dell’incontro tenutosi con lo stesso appena due giorni dopo lo sconcertante editoriale di Fede.

Uno slogan caro a Peppino Impastato (oltre al celebre “La mafia è una montagna di merda”) recitava: “La Mafia uccide. Il silenzio pure!”.
A oltre trent’anni da quel 9 maggio 1978 (in cui, nelle stesse ore, morivano Peppino Impastato e Aldo Moro), questo stesso slogan rimane ancora il più urlato dai giovani che scendono in piazza, sempre più numerosi, per dire “no alla mafia” in Sicilia oppure “ammazzateci tutti” in Calabria!
E’ questo, probabilmente, il segnale più “sconfortante” di come:
-tanti progressi sono stati compiuti nella lotta alla mafia (specie dopo il sacrificio di Falcone e Borsellino, in questo senso niente affatto invano…);
-ma il gattopardesco rischio che “tutto cambi perché nulla cambi” resta un pericolo ancora incombente in un’Italia -ripeto- troppo spesso “senza memoria né coscienza”…

“Chi tace è complice”, ripeteva con insistenza un altro grande personaggio della storia civile italiana (purtroppo sostanzialmente dimenticato, nonostante, tra gli innumerevoli riconoscimenti internazionali ricevuti, ben nove candidature al Premio Nobel per la Pace!), ossia Danilo Dolci.
L’Italia non ha bisogno di “silenzi”, bensì di “parole”, di presa di coscienza, di risveglio etico e civile!
Anche se -occorre ammetterlo- di fronte a “certe parole” (sentendo importanti cariche dello Stato evocare il “silenzio” contro le mafie, non comprendendo come ciò è proprio quello che più di ogni altra cosa auspicherebbero le stesse associazioni malavitose), verrebbe quasi voglia di augurarsi silenzi…

Gaspare Serra
(Giurisprudenza Palermo)

Blog “Panta Rei”

Gruppi facebook “Insieme contro la Mafia… (fuori Cosa nostra da casa nostra!)