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mercoledì 19 maggio 2010

Violenza di Stato, una questione aperta


Sembrano lontani gli anni 70, ma fu proprio in quegli anni che qualcuno iniziò a parlare di forze dell'ordine al servizio del cittadino, di smilitarizzazione della P.S. In qualche modo pareva essersi avviato un nuovo percorso più democratico, per quanto fragile fosse. Poi i fatti di Napoli 17 marzo 2001 prima del G8 a Genova, e Genova stessa poco dopo giovani manifestanti furono illecitamente arrestati, picchiati, vessati e torturati. Questi fatti hanno avviato il paese ad una regressione repentina dello stato di diritto

Quello di Stefano Gugliotta, il venticinquenne arrestato il 5 maggio scorso, dopo essere stato percosso dalle forze dell' ordine, in seguito al quale ha riportato ferite sulla testa, ematomi sulle gambe, lividi da manganelli sulla schiena e un dente rotto, oltre ovviamente uno stress psicologico, non è che l'ennesimo episodio di violenza da parte dello Stato su un cittadino. Tuttavia non è superfluo ricordare i casi di Federico Aldrovandi, un ragazzo di 18 anni morto a causa delle percosse degli agenti di polizia, Giuseppe Uva, Il recente caso di Stefano Cucchi massacrato quando era in stato di detenzione, impossibile non ricordare la struggente vicenda di Giuliana Masi uccisa a Roma il 12 maggio 1977 a soli 19 anni.
Sembrano lontani gli anni 70, ma fu proprio in quegli anni che qualcuno iniziò a parlare di forze dell'ordine al servizio del cittadino, di smilitarizzazione della P.S. In qualche modo pareva essersi avviato un nuovo percorso più democratico, per quanto fragile fosse. Poi i fatti di Napoli 17 marzo 2001 prima del G8 a Genova, e Genova stessa poco dopo giovani manifestanti furono illecitamente arrestati, picchiati, vessati e torturati. Questi fatti hanno avviato il paese ad una regressione repentina dello stato di diritto.
Domandiamoci che Stato è quello che permette tali violenze abiette, offensive della dignità e dell'incolumità della persona, oltre che delle pubbliche istituzioni, alimentate soprattutto dalla loro impunità, a sua volta conseguente dalla loro più o meno tacita legittimazione politica e culturale. Si pensi a tal proposito al Ministro Vito che ha tentato di spostare il focus gettando discredito su Stefano Gugliotta, un cittadino, che di fatto si trovava sequestrato dallo Stato dopo averne subito la violenza. Il Ministro ha fatto riferimento a segnalazioni e denunce nei confronti di una persona che al casellario giudiziario risulterebbe incensurata e senza carichi penali pendenti.
E' utile ricordare che una delle forme di habeas corpus, è proprio l'immunità da torture e da pene corporali. Si badi bene, che non si tratta di un problema puramente di carattere teorico e appartenente alla tradizione classica, settecentesca, del garantismo penale, ma di un problema di grande attualità, drammaticamente attuale, considerato che le sevizie su arrestati e detenuti in un paese di democrazia avanzata come il nostro, sono numerosi. Infatti le torture, come nel caso della Bolzaneto e della Diaz di Genova, nonché questi ultimi casi di ragazzi aggrediti e picchiati anche fino a causarne la morte, sono il frutto di esplicite direttive, rese possibili dal disprezzo assoluto per il diritto e per la la persona, e dalla logica di potere e violenza che in questi anni la politica ha volutamente e colpevolmente riportato in auge, come nelle migliori tradizioni illiberali e dittatoriali, siamo in presenza di una velocissima corrosione dei diritti umani.
Non a caso negli Stati Uniti si era, tempo fa, aperto un dibattito sull'ammissibilità della tortura per casi "eccezionali" , come ad esempio ottenere informazioni importanti da un terrorista. Attenzione però, perchè i casi di scuola sono sempre eccezionali, contrariamente ai casi pratici, dove una volta legittimata eccezionalmente la violenza, essa rischia di diventare un pratica ordinaria. E' proprio per non consentire deroghe al principio, che le "eccezioni" sono state escluse dal diritto come cause di giustificazione della violenza che, secondo l'art. 2 secondo comma della Convenzione del 10 dicembre 1984, "nessuna circostanza eccezionale, di qualsiasi natura, compresi lo stato di guerra o la minaccia di guerra, la instabilità politica interna o qualunque altra pubblica emergenza, potrà giustificare la tortura. Né può essere invocato a tal fine, aggiunge il comma 3 medesimo art., l'ordine di un superiore o di una pubblica autorità".
La prima difesa della civiltà della nostra civiltà giuridica, è la riaffermazione che nel senso comune debba essere sempre rinnegata la violazione della persona, questo soprattutto contro i cedimenti demagogici della ragione, perché l' interazione che sussiste tra diritto e senso comune che può preservarci contro il ripetersi di tali pratiche vergognose, la cui esistenza va ben oltre le aperte denunce, di fatto scoraggiate dal rischio che corrono i denuncianti di essere perseguiti per calunnia. E' necessaria una stigmatizzazione e punizione, come delitto di "tortura", di qualunque atto consistente, secondo la definizione dll' art. 7 comma 2 lett. e dello Statuto della Corte penale internazionale adottato a Roma il 17.7.1998, "nell'infliggere intenzionalmente gravi dolori o sofferenze, fisiche o mentali, a una persona di cui si abbia la custodia o il controllo".
E' evidente che in Italia è venuta a mancare questa garanzia, in quanto si applicano ai casi di vera e propria tortura, figure di reato del tutto sproporzionate alla loro gravità, come il generico "abuso di autorità" previsto dall'art. 608 del codice penale, o le comuni percosse e lesioni personali che sono punibili se lievi, a querela di parte, in contraddizione con l'indisponibilità dei diritti e la natura pubblica degli interessi lesi. Siamo difronte ad una inaccettabile lacuna, non solo su un piano teorico, quale violazione della garanzia positiva dell'obbligo di punire come delitto la tortura, in Italia, contemplata dall' art. 13 comma 4 della Costituzione, in base al quale si afferma che "punita ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà" .
Da sottolineare che in poche materie come questa è peculiare la stigmatizzazione penale che ha un esplicito valore preformativo del senso comune e della deontologia professionale delle forze di polizia. Ha il valore di rimuovere eventualmente la cattiva coscienza del legislatore, dei giudici, e non meno della pubblica opinione non disposi a riconoscerla, riconoscere l'orrore e sollecitarne il rifiuto come vergogna indegna di uno stato di diritto, di un paese che abbia la pretesa di definirsi civile e democratico che contempli la sacralità e la inviolabilità del corpo e della psiche di una persona privata della libertà personale, alla quale non dovrebbero mai venire a mancare queste garanzie, chiunque l'abbia in custodia. Dire che siamo di fronte ad una inquietante retrocessione del grado di civiltà e democraticità di questo paese che sempre più tutela i forti e penalizza i deboli, mi pare davvero un eufemismo.

Da AprileOnLine

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