HOME       BLOG    VIDEO    EVENTI    GLI INVISIBILI    MUSICA    LIBRI    POLITICA LOCALE    POST PIU' COMMENTATI

sabato 31 luglio 2010

Prove tecniche di dittatura: Fini-Berlusconi-Bossi vogliono accaparrarsi tutti i voti

La estromissione di Fini dal Pdl è strumentale a garantire un seguito al regime
berlusconiano.
Provo a spiegarmi meglio.
Non credo fermamente che Fini sia diverso da quello che militava nell’allorabMsi.
Sono mutate le condizioni di fondo dello scenario politico-elettorale.
Oggi esiste nel Pdl il bisogno di assicurarsi vari aspetti della vita politica.
Il regime ha bisogno di:
1) Prepararsi per il dopo Berlusconi. Essendo l’ ultimo mandato occorre garantire la successione;
2) il blocco borghese-industriale nordista, antimeridionalista ha bisogno di garanzie di tenuta sia con sbocchi autoritari, appoggiandosi a falangisti di destra( Bossi-Borghezio-Maroni-Zaia-Tosi ); che con sbocchi ( pseudo ) garantisti legalitari. Geometrici equilibristi della finta difesa del Sud e del diritto e della cittadinanza ai migranti e delle garanzie costituzionali; ossia di una sinistra improvvisata e fasulla capeggiata da Fini e Bocchino.
Oggi, più che mai, il nostro è un Paese degradato all’ incultura profonda, al
qualunquismo di genere.
In poche parole questo Paese non ha più i mezzi per distinguere, conoscere e richiedere forme della politica.
Se parli con un babbeo qualunque, Fini è di sinistra o addirittura comunista perché dice( solo a parole ) che i migranti devono avere cittadinanza.
Se parli sempre con qualsiasi altro babbeo di turno ti dice che lui non se ne frega niente di niente, e che la politica fa tutta schifo( e se ne lava le mani).
La verità è che quel babbeo non sa che Fini e il suo gruppo hanno votato ogni provvedimento presentato dalla maggioranza alle camere( e questa volta a fatti e non a parole ).
La legge sui migranti si chiama Bossi-Fini.
Penso che questo momento assomigli tanto a quello dell’ Italia fra il ’25 e il ’26. Appena prima dell’ introduzione delle leggi fascistissime.
Il monopartitismo allora fu imposto con “ manu militari “, oggi con la pubblicità, con l’ ignoranza, con la sconfitta del lavoro sul capitale.
Quello che si vuole sperimentare e far credere agli abitanti di questa incantata penisola è che:
- se vuoi votare a destra c’è Bossi;
- se vuoi votare a sinistra c’è Fini;
- per tutto il resto ci sono i “ berluscones “ di turno.
Così senza riformare la Costituzione i nostri “ regoli “ renderanno il Parlamento un luogo inutile, dove è inutile parlare. Si vota e basta e si voterà sempre in direzione della difesa del blocco borghese-industriale-nordista-antimeridionalista- massone.
E nel Sud a regnare saranno le mafie con l’ aiuto del Vaticano.
Noi sudisti, sudditi e “ sudici “.

Prima della militarizzazione del Sud, prima della schiavitù, prima che sia troppo tardi

RIBELLATI GIOVANE MERIDIONALE!!!!!!!!!!

Attentato al Fico d' India

Il Fico d’ India, locale suggestivo della costa jonica, posto nelle prossimità della baia di Uluzzo, poteva esplodere in aria.
Il locale era stato chiuso in seguito a controlli sanitari da parte della Asl e dei carabinieri di Nardò.
Poi, nella notte l’ attentato: verso le quattro del mattino, bancone, sedie e pavimento vengono cosparsi di benzina ed una bombola viene riposta ad alcuni metri di distanza per causare l’ esplosione.
Per fortuna a scongiurare il peggio ci ha pensato il custode indiano Mali che svegliatosi all’ improvviso è corso sul luogo per allontanare i malviventi.
Le cause di un tale gesto sono tutte da studiare: centrale rimane il fatto che il locale in questione, fra i più belli della costa, attrazione fortissima, è contenitore di svariati profitti.
Rimangono degli interrogativi:
Ci sono altri soggetti che vogliono dividersi il boccone?
La mafia in tutto questo che ruolo ha?

FALANGONE AL POSTO DI DE VITIS

Carlo Falangone è il nuovo vicesindaco di Nardò.

Con un decreto ad hoc il sindaco Antonio Vaglio investe l' assessore dello Sdi: un riconoscimento meritato alla causa di una militanza fedele e continua alla coalizione di centrosinistra, senza mai cedimenti, da vent' anni a questa parte.

La CASTA si ricicla sempre...
A governare in questa città straziata dalla Mala-amministrazione sono sempre gli amici degli amici.

Quando il panno cadrà il RE sarà nudo e forse allora capiremo che eravamo degli allocchi a farci amministarre da comitati d' affari di centro, di destra e di ( finta ) sinistra.
Quando il corpo del re sarà nudo capiremo delle tante malefatte e ci sentiremo tutti un pò più sporchi.
Per ora, questo è un paese dove i suoi abitanti non conoscono il significato di due parole: dignità e vergogna.

Nardò e Porto Cesareo: l' abusivismo è di casa

Evidentemente Nardò era troppo bella e il Signore per la legge della compensazione vi ha allocato i neretini, che non si sono davvero risparmiati in un’opera di devastazione, e di svendita del proprio territorio, un’opera che continua inesorabile, portata avanti soprattutto dai loro delegati , ossia dagli amministratori che da un po’ di decenni i neretini si sanno scegliere.

(Massimo Vaglio) - Una devastazione, che negli ultimi anni ha subìto una certa accelerazione, e che sta facendo del suo territorio un ricettacolo di ecomostri, vedi la famigerata discarica di Castellino gestita come peggio non si poteva fare; vedi il Torrente Asso, divenuto recapito di non si sa più quanti reflui fognari; vedi assalto al paesaggio con la minaccia eolico e con il fotovoltaico realizzato ovunque, ma non nel luogo più deputato a farlo, ovvero sui tetti delle costruzioni; vedi incapacità ad implementare un piano di risparmio energetico, il progressivo degrado del centro storico, e delle campagne con l’assurdo proliferare di false case coloniche e con cumuli di polietilene che nessuno smaltisce se non le fiamme dispensatrici di diossina e tumori.

Come se tutto questo non bastasse, il 28 dicembre 2009, il Consiglio Comunale di Nardò, ha deliberato quasi ad unanimità (con il solo voto contrario dei consiglieri Calabrese e Maceri) il consenso a ricevere le acque nere del depuratore di Porto Cesareo per sversarle nel suo mare in località Torre Inserraglio. La questione è a dir poco assurda, Porto Cesareo, che dispone di quasi trenta chilometri di costa e di un ampio territorio in larghissima parte improduttivo, circa un decennio addietro, costruisce un depuratore al confine con il territorio di Nardò, cosa certamente non casuale, nè giustificata da motivazioni tecniche, ma piuttosto un gratuito dispetto, vista la storica malcelata avversione dei cesarini per i neretini, poi si accorge che non può scaricare i reflui nel mare prospiciente, e chiede all’odiato vicino di ingoiare il rospo, sotto forma di reflui fognari. L’antagonismo fra i due comuni è più che noto, ne è una riprova la grande festa indetta dal comune di Porto Cesareo (ex frazione di Nardò) nello scorso maggio, per il 25° anniversario dell’indipendenza, celebrata da cittadini e amministratori locali
con lo spirito di chi è riuscito ad affrancarsi dalla più becera delle dittature. Certamente, per certi versi, Nardò ha esercitato una certa dittatura nei confronti di Porto Cesareo, se dittatura si può ritenere un minimo di rispetto della legalità. Una dittatura, esercitata, sino a quel fatidico 1974, tenendo un poco a bada il fenomeno dell’abusivismo edilizio e demolendo sotto l’amministrazione capeggiata dal compianto senatore Borgia, esempio purtroppo rimasto isolato, una villa sulla penisola della Strea. Tanta deve essere stata sofferta questa imposizione delle leggi, che appena raggiunta l’agognata indipendenza, Porto Cesareo si sarebbe di lì a poco conquistato il primato di secondo comune più abusivizzato d’Italia. Un primato costituito da svariate migliaia di abitazioni abusive costruite senza un minimo di qualità tecnica e architettonica anche nei luoghi più improbabili come le paludi, e le pregevolissime dune costiere. Una biancastra fungaia, sparpagliata su migliaia di ettari di territorio che rende ormai praticamente impossibile un’adeguata riqualificazione del territorio e intralcia anche la realizzazione delle più essenziali opere di urbanizzazione. Questo, è il quadro in cui si inserisce la
richiesta di Porto Cesareo, e che si prefigge di preservare il proprio mare a discapito di quello dell’odiato vicino arrecandogli anche un certamente sottovalutato danno d’immagine. Per dipanare la questione, e indorare la pillola, si inserisce la Regione che promette qualche beneficio al comune di Nardò, quale la variazione del tracciato della fognatura da quello originario, facendolo transitare da Sant’Isidoro, ove verrebbe realizzato un impianto di sollevamento ed un collettore, che in un ipotetico futuro, in caso di realizzazione in loco della fognatura, potrebbe (forse) servire anche questa marina, che nel frattempo dovrà però certamente soffrire i più che probabili disagi che deriveranno dal fetore dell’impianto di sollevamento. Altra concessione offerta al Comune di Nardò, è una condotta sottomarina del costo di circa 4,5 milioni di Euro, che dovrebbe portare i reflui, tutti riuniti in un’unica condotta, al largo di Torre Inserraglio (tratto di mare interessato da una richiesta di ampliamento dell’Area Marina Protetta e zona S.I.C.), per farli sfociare in mare più profondo. Inutile dire, che l’operazione che
potrebbe sembrare a prima vista meritoria, costituisce un’ennesima aberrazione ambientale, il concetto è a dir poco elementare, infatti, partendo dal presupposto che ci troviamo nella zona più sitibonda d’Italia indicata dal C.N.R. a rischio desertificazione e che l’emungimento di acque di falda per l’irrigazione sta portando ad una loro progressiva quanto irreversibile salinizzazione, sversare le acque depurate in mare è un gratuito crimine anche in considerazione che tutte le direttive comunitarie spingono verso il riutilizzo delle stesse in agricoltura. Inutile dire, che se viceversa gli stessi reflui dovessero essere contaminati (come sovente i reflui di questo tipo lo sono), sversarli in mare, seppure a qualche chilometro al largo costituisce ugualmente un grosso danno ambientale, spostare un problema non lo elimina, ma equivale a nascondere la polvere sotto al proverbiale tappeto. A questo si aggiunge lo scempio di denaro pubblico e il nefasto impatto
ambientale dell’opera che è progettata peraltro in un sito di interesse comunitario (zona S.I.C. terrestre e marina) , infatti, per portare le acque al largo vi è bisogno di grosse pompe di spinta estremamente energivore ed impattanti che dovrebbero essere impiantate sbancando un ampio tratto di scogliera. Dulcis in fundo, la completa inutilità e dannosità dell’opera, infatti, ovunque queste condotte sono state realizzate, vedi la condotta Matteotti sul Lungomare di Bari e la condotta del depuratore Gennarini di San Vito a Taranto, le stesse sono state danneggiate dalle correnti marine, dalle mareggiate e rese degli inutili colabrodo allungati, monumento allo scempio di denaro pubblico, all’impreparazione dei progettisti e all’insipienza degli amministratori che con evidente leggerezza le hanno approvate. Un grave errore quindi, alla luce delle esperienze pregresse, autorizzare una tale opera.

Ma l’errore di fondo, consta soprattutto nel considerare queste acque come un rifiuto da smaltire e non per quello che potenzialmente sono, ovvero una risorsa utilissima, pregiata e limitata. Naturalmente, non si tratta di acque biologicamente pure, ma tutte le acque rivenienti da un depuratore degno di questo nome, ovvero, come si dice oggi, da un depuratore a “norma”, rispettano dei parametri ben definiti, il che le rende senza dubbio idonee all’irrigazione di molte colture, in particolare di quelle legnose, oliveti in primis. Con centinaia di migliaia d’alberi d’olivo, una soluzione potrebbe essere quella di incentivare la realizzazione di impianti di sub irrigazione (semplici tubazioni drenanti interrate) negli oliveti. Inoltre, visto che sempre più si parla di biomasse, cosa ci sarebbe di meglio che impiegare queste acque per irrigare coltivazioni arboree a sviluppo rapido, che sicuramente sequestrerebbero, con buona pace dell’ambiente e del paesaggio e del protocollo di Kyoto, tante tonnellate di CO2, utilizzabili anche come riserva per impianti di energia alternativa? Ove queste soluzioni non fossero praticabili o risolutive, ogni comune potrebbe destinare alcuni ettari di terreno agricolo più marginale alla fitodepurazione creando delle semplici lagune artificiali piantumate con essenze vegetali idonee allo scopo, quali la canna di palude (Phragmites australis), la canna domestica (Arundo donax). Con simili impianti di fitodepurazione, un po’ in tutto il mondo, vengono trattati depurandoli
perfettamente e quasi a costo zero, reflui ben più inquinanti dei reflui in questione, quali: scarichi non depurati di hotel, campeggi e villaggi turistici; reflui di grandi allevamenti di suini e bovini, reflui in uscita da caseifici e persino il famigerato refluo degli impianti di biogas. Così trattate, queste acque, possono avere i medesimi utilizzi dell’acqua piovana o di falda. Per non parlare dei benefici sul paesaggio, che queste lussureggianti oasi potrebbero apportare, come pure alla fauna selvatica e in particolare all’avifauna. Effetti benefici, si potrebbero avere anche sul clima, infatti, un aumento dell’evaporazione, porta generalmente ad un aumento della piovosità estiva.

Intanto, vengono spesi milioni di euro per costruire condotte per smaltire queste acque in mare o negli inghiottitoi e nelle voragini carsiche, ove mescolandosi alle già inquinate acque di falda le compromettono sempre di più. Nella fattispecie in esame, ognuna delle municipalità coinvolte, dovrebbe tenersi i suoi reflui e considerarli come una risorsa da valorizzare e non come un rifiuto da smaltire nel proprio giardino o peggio ancora, in quello del vicino.

Fonte: Il Paese Nuovo 29/12/2009

In guerra muoiono sempre giovani del Meridione

Herat, morti 2 italiani: disinnescavano bomba Erano soldati del Genio

Due militari italiani sono morti in Afghanistan. Il fatto è avvenuto a nord di Herat. I due militari sono rimasti vittima di un ordigno artigianale (Ied) piazzato lungo la strada. I due militari italiani, specialisti del Genio, erano impegnati in un’operazione di disinnesco di un ordigno artigianale. Dopo aver verificato la presenza della bomba, i genieri hanno proceduto alla sua neutralizzazione. Ma nel perlustrare la zona circostante per accertare l’eventuale presenza di altri ordigni, sono stati investiti da una forte esplosione che li ha uccisi.Il fatto e le vittime Il fatto è avvenuto nel pomeriggio, in una zona a circa 8 km dal centro di Herat. La polizia afgana individua la presenza di una bomba rudimentale e, come avviene in questi casi, chiede l'intervento degli specialisti artificieri degli Alpini. Parte quindi un team del 3/o reggimento Genio, specializzato nella rimozione di ordigni esplosivi improvvisati: un dispositivo composto da 36 militari su 8 veicoli blindati Lince, uno dei quali in versione ambulanza. Gli artificieri disinnescano la bomba, ma mentre perlustrano a piedi la zona circostante per accertare l'eventuale presenza di altri ordigni, il primo maresciallo Mauro Gigli, 41 anni, e il caporal maggiore capo Pierdavide De Cillis, 33 anni, vengono investiti ed uccisi da una forte esplosione. A seguito dello scoppio riporta lievi escoriazioni anche una soldatessa, il capitano Federica Luciani. Si parla anche di due afgani morti, ma il comando italiano riporta solo il ferimento lieve di un civile.
Il primo maresciallo Mauro Gigli era nato il 3 aprile 1969 a Sassari ed era effettivo al 32/o Reggimento Genio di Torino (Brigata Alpina Taurinense), il caporal maggiore capo Pierdavide De Cillis, nato il 25 febbraio 1977 a Bisceglie (Bari) apparteneva al 21/o Reggimento Genio di stanza a Caserta.

Il pericolo continuo degli Ied Un'inchiesta è in corso per accertare la dinamica di quanto accaduto ed è ancora presto per ipotizzare una trappola.
Quello che è certo è che gli Ied costituiscono la principale minaccia nell'ovest, per i militari italiani, ma anche per forze armate e civili afgani.
Negli ultimi giorni, nella zona di Shindand, gli specialisti degli Alpini, insieme alle forze di sicurezza afgane, hanno disinnescato quattro ordigni esplosivi improvvisati. Si tratta di un impegno quotidiano per gli artificieri del contingente che si servono di mezzi blindati, robot telecomandati, cani, pinze e strumenti sofisticati per disinnescare in sicurezza. Ma l'imprevisto, il pericolo, è sempre in agguato in operazioni del genere, pur affidate a uomini di grandissima esperienza. Le due vittime, infatti, avevano al loro attivo numerose missioni all'estero durante le quali avevano effettuato un elevato numero di interventi di disinnesco di ordigni esplosivi.

Il cordoglio del premier e della politica "Quando arrivano queste notizie così drammatiche ci si domanda se ne vale la pena" commenta Silvio Berlusconi.
Proprio in queste situazioni, però, aggiunge il premier, "bisogna rafforzare l’idea che ne vale la pena". Il presidente del Consiglio fa le condoglianze alle famiglie delle vittime premettendo che in queste circostanze "le parole non hanno senso", non possono "lenire il dolore. C’è solo il fatto - afferma il Cavaliere - di apprezzare chi compie la scelta personale di andare in missione.
La carriera di un soldato - dice il capo del governo - espone a certi rischi.
Chi è andato in Afghanistan lo ha fatto per scelta personale". Per il premier, dunque, queste notizie "creano dolore" ma - conclude il Cavaliere - "è giusto fare quello che facciamo". L’aula della Camera ha osservato un minuto di silenzio per i due militari italiani morti in un attentato in Afghanistan. Il vicepresidente Maurizio Lupi ha letto la notizia che riferiva dell’attentato e ha manifestato alle vittime "il cordoglio più vivo della nostra assemblea".

Love parede: la parata dei morti


Le domande sulla Love Parade

Sono passati cinque giorni dalla tragedia alla Love Parade, l’enorme rave organizzato quest’anno a Duisburg in cui ventuno ragazzi sono morti e più di cinquecento sono rimasti feriti. Ora i cittadini tedeschi (e non solo loro) vogliono capire di chi siano le responsabilità, ma finora “politici, forze di polizia, amministratori locali e organizzatori dell’evento non hanno dato risposte, si sono solo accusati l’uno con l’altro”, scrive il settimanale tedesco Spiegel. Che prova a rispondere ad alcune domande per spiegare meglio cosa sia successo.
Perché il tunnel si è intasato di gente?
L’organizzatore della Love Parade, Rainer Schaller, ha dato la colpa alla polizia. Secondo lui la tragedia è stata la conseguenza dell’”ordine fatale” di aprire l’entrata del tunnel ovest, arrivato dopo la decisione degli organizzatori di chiudere 10 dei 16 cancelli d’entrata per evitare che la gente diventasse troppa. La polizia di Colonia, che ha in mano le investigazioni sull’accaduto, ha frenato le accuse definendole premature.
«Non siamo ancora nella posizione di capire cosa abbia fatto scattare il tutto. Non lo si può determinare ora, e avremmo preferito che Schaller non si fosse messo a fare speculazioni.»
I funzionari di polizia che erano presenti all’evento hanno dichiarato allo Spiegel di aver avuto la sensazione che gli addetti all’ingresso fossero inermi di fronte alla folla.
«Aspettavano tutti un ordine che non è arrivato», ha detto uno dei 1.080 addetti al quotidiano Bild. «Improvvisamente c’erano corpi dappertutto. Le uscite d’emergenza sono state aperte dalla polizia solo quando era troppo tardi.»
Le comunicazioni si erano interrotte?
Gli ufficiali di polizia e i vigili del fuoco che erano a Duisburg hanno dichiarato di aver avuto problemi con le loro radio, a volte difettose, a volte del tutto non funzionanti.
Le comunicazioni si erano interrotte? I poliziotti all’entrata del tunnel non sapevano della calca che si stava creando? Nessuno finora ha voluto rispondere a queste domande.
Uno dei poliziotti della regione, Andreas Nowak, ha criticato duramente i mezzi a disposizione del corpo.
«Le radio in dotazione a volte sono così vecchie che non puoi nemmeno trovarne i pezzi di ricambio. Spesso i poliziotti si portano dietro il proprio cellulare, perché è l’unico modo per restare in contatto.»
Ma, fa notare Spiegel, quel giorno le linee telefoniche erano collassate, quindi nemmeno un cellulare avrebbe potuto essere d’aiuto.
Quanta gente c’era?
Come accade spesso, i dati dichiarati variano da organo a organo. La polizia di Duisburg dice tra i 300.000 e i 400.000 ragazzi in tutta la città, il ministro dell’interno della regione dice 350.000 in città e 120.000 al festival, l’organizzatore Schaller dice 187.000 al festival e 1,4 milioni in tutta Duisburg, in accordo con le stime del sindaco. La polizia afferma però che 1,4 milioni di persone in città è un numero «matematicamente impossibile», per la mancanza di spazio fisico e di mezzi per portare tutta quella gente in città in così poco tempo.
Il luogo occupa 230 mila metri quadrati, di cui metà coperti da edifici. Le riprese aeree mostrano come non fosse completamente pieno, e dando per buono il calcolo standard della polizia — quattro persone in un metro quadrato — la cifra di 200.000 persone sembra plausibile.
E quanti poliziotti?
Anche in questo caso, il numero preciso non si sa e anche le stime sono vaghe.
Secondo lo Spiegel i poliziotti all’evento sarebbero stati 2.200, secondo la polizia di Duisburg 3.000, secondo il ministero dell’interno 4.000. In ogni caso, scrive lo Spiegel, i numeri sembrano insufficienti, a fronte delle centinaia di migliaia di ragazzi presenti, molti di loro sotto l’effetto di droghe.
C’erano stati avvertimenti?
Un ufficiale della polizia di Colonia ha detto al quotidiano Express di aver ispezionato più volte il luogo del festival con la sua squadra, e di non averlo trovato assolutamente idoneo.
«Ci sono state 12 o 13 ispezioni. E ogni volta eravamo d’accordo che lì avrebbe potuto generarsi il caos, che la gente si sarebbe ferita o uccisa», ha dichiarato. Ma gli avvertimenti sono sempre stati ignorati. «Ci è sempre stato detto che la questione non era in discussione. L’amministrazione cittadina voleva fortemente la Love Parade.»
E non è finita qui. Secondo i giornali locali, nell’ottobre del 2009 anche i vigili del fuoco avevano avvertito il sindaco della “inidoneità fisica” del luogo per un evento di una portata del genere.
«Le regolamentazioni riguardo ai luoghi di raduno sono state ignorate illegalmente. La colpa è di chi ha preso questo impegno», ha detto Michael Böcker, il direttore dei vigili del fuoco della regione di North Rhine- Westphalia, in cui sta Duisburg.
Il sindaco della città Adolf Sauerland — attualmente sotto la protezione della polizia, dopo essere stato minacciato per quanto avvenuto — ha dichiarato di non sapere nulla degli avvertimenti.
Il sindaco mente?
Il sito internet DerWesten.de ha scritto che il sindaco avrebbe saputo dei dubbi della polizia un mese prima della Love Parade. Ha inoltre pubblicato la trascrizione di una riunione che si sarebbe tenuta tra gli organizzatori, i vigili del fuoco, la sanità locale e il dipartimento di sicurezza, che avrebbero affrontato nei dettagli i problemi di sicurezza del luogo, in particolare le scale d’emergenza.
Secondo le trascrizioni, il più alto ufficiale in carico della sicurezza della città, Wolfgang Rabe, presente alla riunione, avrebbe detto che il sindaco voleva la Love Parade, che si sarebbe dovuta trovare una soluzione e che non sarebbe stata accettata alcuna richiesta dall’ufficio costruzioni, in carico dei lavori. Un portavoce dell’amministrazione di Duisburg ha per ora evitato di commentare riguardo alla trascrizione.
Come sono morte le persone?
Secondo le dichiarazioni del presidente della regione, i ventuno ragazzi sarebbero tutti morti nella calca, a causa delle pressioni sul petto.
Inizialmente il sindaco aveva suggerito che fossero invece morti dopo essere caduti dalle scale di sicurezza.

mercoledì 28 luglio 2010

P3, indagato Caliendo.Dell'Utri non risponde «Ho imparato a Palermo»


Il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo è indagato dalla Procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P3. A Caliendo è contestato il reato di violazione della legge Anselmi sulle società segrete. L'iscrizione di Caliendo nelle liste degli indagati è stata decisa secondo quanto si è appreso, oggi dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo al termine di un esame della posizione delle persone che la sera del 23 settembre 2009 si riunirono presso l'abitazione romana di Denis Verdini a Palazzo Pecci Blunt in Piazza dell'Ara Coeli. In base alle intercettazioni telefoniche disposte dal magistrato che per questa vicenda ha ottenuto l'arresto di Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino parteciparono a quella riunione i tre arrestati, il senatore Marcello Dell'Utri, Giacomo Caliendo e i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller. La loro posizione è ancora all'esame del magistrato perché deve valutare se anche nei loro riguardi debbano essere adottati provvedimenti. Il sottosegretario alla Giustizia era persona informata sui fatti nell'inchiesta sulla P3.

Il sottosegretario è chiamato in causa rispetto in diversi episodi ricostruito nell'ambito dell'ordinanza di custodia che riguarda Flavio Carboni e gli altri. Si parte dalla cena a casa del coordinatore del Pdl, Denis Verdini. Fine della cena, secondo gli inquirenti, come intervenire sul lodo Alfano, nominare Alfonso Marra a presidente della Corte d'Appello di Milano e come procedere per il ricorso presentato in Cassazione dall'ex sottosegretario Nicola Cosentino contro l'ordinanza d'arresto emesso dalla Procura di Napoli. Tra le altre discussioni anche l'ispezione ministeriale, mai avvenuta, che doveva essere inviata contro il collegio della Corte d'Appello di Milano che aveva respinto il ricorso contro l'esclusione dalle regionali della lista del presidente Roberto Formigoni.

Secondo quanto si è appreso, Caliendo dovrebbe venire interrogato entro la fine di questa settimana. «Ho chiesto di essere sentito dai magistrati, sto aspettando», ha detto il sottosegretario uscendo da palazzo Grazioli al termine di un incontro con il premier Silvio Berlusconi. Successivamente, in una nota, il premier ha fatto sapere di esprimere la più ampia solidarietà e rinnovandogli piena fiducia.

Banca d’Italia «Commissariamento per il Credito Coop Fiorentino»
La Banca d’Italia chiede il commissariamento del Credito Cooperativo Fiorentino: «Gravi irregolarità». «In relazione ai risultati degli accertamenti ispettivi di vigilanza condotti presso il Credito Cooperativo Fiorentino - Campi Bisenzio - società cooperativa», riferisce una nota di Bankitalia a proposito dalla banca guidata fino a ieri da Denis Verdini, «la Banca d'Italia, con delibera adottata all'unanimità dal direttorio il 20 luglio u.s., ha proposto al ministro dell'Economia e delle Finanze la sottoposizione dell'azienda alla procedura di amministrazione straordinaria per gravi irregolarità nell'amministrazione e gravi violazioni normative, ai sensi dell'art. 70, comma 1, lett. a), del testo unico bancario».

Marcello Dell'Utri
Il senatore del Pdl Marcello dell'Utri si è invece avvalso della facolta' di non rispondere ai magistrati romani che lo hanno messo sotto inchiesta. «A Palermo 15 anni fa -ha detto dell'Utri- ho parlato 17 ore e sono stato rinviato a giudizio sulla base della mie dichiarazioni. Ho imparato da allora». «È una mia regola fissa -ha dichiarato Marcello dell'Utri uscendo dall'ufficio del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - non avendo parlato con i procuratori non mi sembra il caso di farlo con la stampa. E' una regola fondamentale per chi è indagato, la consiglio a tutti. Sono un indagato provveduto».

Nei giorni scorsi il senatore del Pdl aveva ricevuto un invito a comparire dalla Procura di Roma. Per i pm romani nel gruppo che faceva capo a Flavio Carboni il ruolo di Marcello Dell'Utri, sotto il profilo politico, sarebbe stato superiore a quello di Denis Verdini.

Intanto, Antonio Di Pietro ha sollecitato i finiani che hanno sollevato la questione morale nel Pdl, a essere «conseguenti» e votare con il centrosinistra una mozione di sfiducia al governo. «Facciano venire meno la fiducia al governo votando una mozione di sfiducia da costruire insieme», ha dichiarato il leader dell'Idv ai cronisti.

«Si mandi a casa il governo con una specifica mozione di sfiducia», ha insistito. «Ci auguriamo che si passi dalle parole ai fatti», ha proseguito, «o si rompe il rapporto con chi si denuncia per la questione morale o si rimane conniventi, cosa ancora più grave». Dunque, i finiani «siano conseguenti e mandino a casa» il governo.

da Indymedia

LES ANARCHISTES - SU FRATELLI PUGNAMO DA FORTI



LES ANARCHISTES - SU FRATELLI PUGNAMO DA FORTI

Su fratelli pugnamo da forti
contro i vili tiranni borghesi
ma come fece Caserio e compagni
che la morte l'andiede* a incontrà.

Non vogliamo più servi e padroni
l'eguaglianza sociale vogliamo
ma quelle terre che noi lavoriamo
a noi tutti le spese ci fa.

La mia testa schiacciatela** pure
disse Caserio agli inquisitori*** suoi
ma l'anarchia è più forte de' tuoi
presto presto schiacciarvi* dovrà.

Un anonimo canto di sicura formazione toscana (il testo è decisamente in fiorentino rustico) ispirato alla morte di Sante Caserio. Fu raccolto per la prima volta da Caterina Bueno a Diviliano, frazione del comune di Fiesole (Firenze), dalla voce di un contadino a nome Pietro Zeppi; nel 1964 Roberto Leydi lo registrò a Milano.

Recentemente è stato riproposto da Les Anarchistes nell'album Figli di origine oscura (2003); particolare assolutamente rilevante, è stato dal gruppo dedicato alla memoria di Carlo Giuliani, coetaneo di Sante Jeronimo Caserio (entrambi ebbero 21 anni al momento della morte). La versione proposta da Les Anarchistes nel loro album presenta però una "stranezza" testuale (vedi nota). E ascoltabile e scaricabile parzialmente in Real Audio dal Sito ufficiale de Les Anarchistes; consigliamo comunque di farlo a chi non la conoscesse, data la sua bellezza.

NOTE al testo

*Forma dialettale fiorentina rustica per "andò".

**Qui la pronuncia effettiva richiederebbe quella fiorentina rustica (ma anche cittadina, nella sua variante più popolare): stiacciàtela, stiacciarvi.

***La versione cantata dagli Anarchistes in Figli di origine oscura presenta qui uno strano inquisisi al posto di "inquisitori". Non sappiamo ovviamente dire se si tratti di un'incomprensione, oppure se Marco Rovelli abbia ripreso o ascoltato una versione a noi ignota.

da Antiwarsongs

Carcere a morte


Ancora suicidi in carcere! Ancora un detenuto si è ucciso stanotte impiccandosi alle sbarre!

Dalla Rassegna stampa di “Ristretti Orizzonti” leggo:

“Da inizio anno salgono così a 39 i detenuti suicidi nelle carceri italiane (33 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato), mentre il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 109 (negli ultimi 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.707, di cui 595 per suicidio).

In un altro giornale leggo:

“In Italia i reati diminuiscono e la mafia uccide di meno”


Quest’ultima affermazione mi ha fatto amaramente sorridere perché la mafia è stata superata abbondantemente dallo Stato.

Lo Stato Italiano e i suoi carcerieri uccidono o spingono al suicidio più della mafia, della ndrangheta, della camorra e della sacra corona, tutte insieme.

Lo Stato può essere orgoglioso di essere riuscito ad essere più cattivo e sanguinario dei delinquenti. Riesce persino a convincerli ad ammazzarsi da soli.

In carcere si continua a morire.

Forse in questo momento se ne sta suicidando un altro.

E nessuno fa nulla.

Il Presidente della Repubblica rappresenta tutti ma non i carcerati.

I politici per consenso elettorale gridano “Tutti dentro”, fuorché i politici corrotti, i loro complici e i colletti bianchi.

Il Presidente del Consiglio, sicuro che lui in carcere non ci andrà mai, continua a farsi gli affari suoi.

La gente onesta preoccupata ad arrivare alla fine del mese e a pagare la rata del mutuo, non ha tempo di preoccuparsi di qualche detenuto che si toglie la vita perché stanco di soffrire.

Non solo i mafiosi, pure le persone “oneste” non sentono, non vedono e non parlano.

I “buoni” difendono solo i “buoni”, i cattivi possono continuare a togliersi la vita in silenzio.

In carcere si dovrebbe perdere solo la libertà, non la vita.

Se questo accade non è colpa di chi si toglie la vita, ma di chi non l’ha impedito.

La morte è l’unica cosa che funziona in carcere in Italia.

E’ l’unica possibilità che hai fra queste mura per non impazzire e per smettere di soffrire. Di questo passo il sovraffollamento sarà risolto dagli stessi detenuti.



A chi importa che dall’inizio dell’anno, in uno dei luoghi più controllati e sorvegliati della società, muoiono le persone come mosche?

Importa a me.

V’invito a visitare il sito www.urladalsilenzio.wordpress.com o quello www.informacarcere.it e a vedere un video realizzato dagli ergastolani in lotta di Spoleto sull’ergastolo ostativo http://www.youtube.com/watch?v=pZnUuSfe7Yg

e per il suicidio a leggere un racconto “La pena di morte viva”, per sapere cosa pensa e cosa fa un detenuto che decide di togliersi la vita.

Eccone un assaggio:

“Si mise il cappio intorno al collo. Diede un calcio allo sgabello. Sentì una terribile morsa nel collo che lo stringeva. Si sentì soffocare. Sempre di più … sempre di più. Sentì barcollare il suo corpo da destra a sinistra, come un pendolo. Gli mancò il respiro. Il petto gli sussultò. I muscoli del collo gli si torsero. La bocca si aprì sempre più larga per cercare aria. La vista gli si annebbiò.

I colori svanirono. Si sentiva galleggiare nello spazio. Non sentiva più il peso del suo corpo. Si sentiva leggero. Sentiva che la testa era circondata dalle stelle. Era bello morire. Non sentiva dolore. Non stava sentendo più nulla. Stava incominciando a sentirsi morto. Iniziò a vedere in bianco e nero.

Gli sembrò di non vedere né udire più nulla. Si accorse che stava morendo. Si sentì contento da morire. Presto la sua pena sarebbe finita. Non stava neppure soffrendo. Sembrava che stava morendo un altro al posto suo. Molto presto non avrebbe più avuto nulla da preoccuparsi. Pochi secondi e la sua vita sarebbe finita. La morte era accanto a lui. Lo stava abbracciando. Lei lo guardava con desiderio, lui con amore.”


Carmelo Musumeci

Carcere di Spoleto

Luglio 2010

Il Credito Cooperativo tace su Verdini

di Francesco Maggio
Si definiscono con lo slogan “differenti per forza” ma il loro prolungato silenzio sul caso Verdini le fa sembrare “simili per debolezza” a un’ampia fetta del sistema bancario che, quando le cose non vanno troppo bene, di solito minimizza, disquisisce d’altro oppure, appunto, preferisce tacere.

E dispiace. Perché le BCC-Banche di credito cooperativo (426 banche, 4172 sportelli presenti in 2647 comuni, un milione di soci, 5,5 milioni di clienti, una quota di mercato nazionale superiore al 12 % e oltre 120 miliardi di euro di impieghi che le collocano al quarto posto assoluto nel sistema bancario italiano) e Federcasse, che è la federazione che le raggruppa, si sono conquistate sul campo, passo dopo passo, risultati che ben più blasonati e “incensati” istituti di credito manco si sognano.Con l’ulteriore merito di voler coniugare, mettendolo per iscritto e riuscendovi diffusamente, l’efficienza alla solidarietà: «Il credito
cooperativo» si legge al punto 7 della loro Carta dei valori, «esplica un’ attività imprenditoriale “a responsabilità sociale”, non soltanto finanziaria, ed al servizio dell’economia civile». E al punto 9: «Fedeli allo spirito dei fondatori, i soci credono e aderiscono ad un codice etico fondato sul’onestà, la trasparenza, la responsabilità sociale, l’altruismo».

Inoltre, al comando della cabina di regia per far nascere la Banca del Sud, fortemente voluta da Tremonti, c’è un esponente di primo piano del sistema delle BCC: Augusto dell’Erba, presidente della BCC di Castellana Grotte, presidente della Federazione BCC di Puglia e Basilicata e fino a pochi mesi fa, presidente anche di Iccrea banca, l’istituto centrale delle BCC.

Denis Verdini, oltre che uomo di punta del PDL è anche presidente del Credito cooperativo fiorentino. Se, alla luce di quanto sta emergendo dalle inchieste della magistratura, ragioni di “opportunità politica” spingono alcuni suoi stessi colleghi di partito a immaginarne addirittura le dimissioni da coordinatore del partito perché dal suo mondo bancario di appartenenza non si alza nemmeno una voce? Di qualunque tenore essa sia, anche di solidarietà beninteso, ma comunque una voce? Invece nemmeno una news sul loro sito.

Tre giorni fa sul blog di Dario Di Vico del Corriere della sera c’era un lungo intervento dedicato alle BCC, con ampi virgolettati dei vertici di Federcasse.
Ebbene, l’unico cenno a Verdini lo fa il giornalista con il seguente inciso: «Per la cronaca Denis Verdini presiede da anni il credito cooperativo fiorentino». Se questo è stare sul pezzo, verrebbe da aggiungere…

Su uno dei tanti libri usciti in questi anni per celebrare i (meritati) successi delle BCC c’è n’è uno che si intitola “Conoscere il credito cooperativo”, in cui sono disseminati un po’ ovunque dei box-rubrica intitolati “Dicono di noi”. Per esempio, a pag. 92 viene ripreso un monito del 1950 dell’allora governatore di Bankitalia Donato Menichella rivolto agli amministratori delle banche di credito cooperativo: «Amministratori, ogni giorno vi giocate il vostro nome, il vostro onore, la vostra reputazione».

Forse sarebbe il caso che oggi fossero i vertici delle BCC a dire qualcosa di Verdini.


Verdini lascia la 'sua' banca e va dai Pm. Lungo interrogatorio

Verdini lascia la 'sua' banca e va dai Pm. Lungo interrogatorio Dimissioni "irrevocabili" da presidenza Credito coop. fiorentino Roma, 27 lug. (Apcom) - Denis Verdini, dimessosi dalla 'sua' banca, è andato in procura per essere
interrogato sulla vicenda della cosiddetta 'P3'. "Voglio usare bene questo momento": ha detto l'onorevole Verdini prima di fare il suo ingresso nell'ufficio del procuratore aggiunto della procura di Roma Giancarlo Capaldo.
Il coordinatore del Pdl poche ore prima aveva annunciato "dimissioni irrevocabili" dalla presidenza del Credito Cooperativo Fiorentino per mettere al riparo la banca dalla "tempesta mediatica e giudiziaria" che lo ha coinvolto. Attorno alle 23 erano oltre le 8 ore d'interrogatorio già passate, nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta P3, nella quale Verdini è indagato per corruzione e violazione della legge Anselmi. L'esponente del Pdl è assistito dagli avvocati Marco Rocchi e Franco Coppi. Le accuse ipotizzate a carico di Verdini riguardano l'appoggio che avrebbe dato al comitato d'affari che faceva riferimento all'imprenditore Flavio Carboni, che nelle scorse settimane è stato arrestato. Le vicende che legano Verdini e il gruppo di Carboni riguardano sia appalti da affidare per gli impianti dell'energia eolica che presunte pressioni su organi della magistratura per orientare il giudizio
della Corte Costituzionale rispetto al Lodo Alfano. Alcuni degli incontri tra Carboni , gli altri aderenti alla presunta P3 sarebbero avvenuti anche nella residenza romana di Verdini.

martedì 27 luglio 2010

Manifesto per SINISTRA, ECOLOGIA E LIBERTA’


Dopo il Novecento
Il Novecento è finito. La contesa generale che ne ha scandito il calendario storico è stata quella tra Capitale e lavoro: sterminate plebi hanno fatto il proprio ingresso sulla scena pubblica, si sono date la forma e la cultura di un proletariato maturo, hanno plasmato la vita e lo stile delle nostre democrazie, hanno rotto il gioco secolare dello schiavismo e del colonialismo. In quella lotta aspra e spesso sanguinosa sul nesso che lega lavoro e libertà si sono stratificate le nuove culture della modernità: l’utopismo e il riformismo dei nuovi movimenti di massa, il marxismo, il cristianesimo sociale, il radicalismo liberal-democratico. Il Novecento è finito con la sconfitta del lavoro e la vittoria del nuovo Capitale finanziario. Tra le sue macerie rischia di rimanere sepolta la speranza di una società di “liberi ed eguali”, che pure illuminò l’intero secolo, mobilitando in forme inedite quelle energie sociali e quelle passioni individuali che cambiarono il corso della storia. La sinistra novecentesca è stata la proiezione sulla scena pubblica di una planetaria spinta di emancipazione sociale e di liberazione umana.
Nell’esperienza storica degli Stati comunisti quella spinta è stata invece soffocata e capovolta, e all’annuncio del “regno della libertà” si è sostituita la cortina di ferro e la pedagogia dei gulag. Anche le socialdemocrazie, che hanno realizzato uno straordinario compromesso tra i diritti del lavoro e il mercato capitalistico, sono state travolte dalla forza rivoluzionaria che la nuova destra conservatrice mondiale traeva dalla crisi vorticosa dell’Est.Tra la “storia è finita” e la “guerra infinita” si è giocata un’intera partita di egemonia e di dominio degli assetti di potere mondiale. Il potere ha tramutato la propaganda in pubblicità, ha reinventato le forme dell’immaginario di massa, ha riplasmato i desideri collettivi, ha covato le “uova di serpente” di una nuova antropologia, consumista fino all’auto-cannibalismo e individualisticamente nevrotica: non l’egoismo maturo di marxiana memoria, ma un egoismo dissipativo e cieco, capace di trasmutare la libertà in una coazione infinita all’acquisizione di status symbol.
L’individuo, maschio e occidentale, compratore e venditore è il protagonista del mondo-market post-novecentesco. Un mondo soffocato dai gas serra, assediato dal cemento, avvelenato, desertificato, in piena crisi entropica. Il liberismo è stato ed è la narrazione “naturale” della vocazione alla libertà predatoria, e la sinistra si è data come compito quello di temperare il calore incandescente dell’umanità subordinata all’economia e dell’economia subordinata alla finanza. Anche la politica è mercato, mercato elettorale. Dimensione pubblica del totalitarismo del privato.
Discorso pubblico sulla fine del primato del pubblico. Una modernità virtuale e veloce, incapace tuttavia di fare i conti con le proprie ascendenze arcaiche: in particolare gli
effetti perversi del patriarcato in crisi e i suoi colpi di coda e il riproporsi del maschile come primato, che intende sussumere il “femminile” come corredo e cornice, come
allusione o “quota rosa”, senza mai mettere in crisi le forme del politico e una architettura istituzionale che è escludente. Il regresso a forme del diritto che evadono dai doveri dell’universalismo e riscoprono il fascino di una legittimazione legata alla stirpe, al sangue e alla terra. La criminalizzazione dei poveri, nelle forme di uno “Stato penale sovrannazionale” che usa i migranti come regolatore del costo del lavoro globale e come capro espiatorio di qualsivoglia psicosi sociale causata da qualsivoglia crisi. L’espulsione delle giovani generazioni dalla costruzione di futuro, in quanto la precarietà diviene un tema unificante l’intero tempo di vita, dal mercato dei lavori atipici alle devastanti solitudini metropolitane.
C’è un dolore incontenibile nelle forme antiche e nuove della “questione sociale”, nella geografia dei lavori frammentati e orfani di tutela, nelle stratificazioni del non
lavoro, nello smottamento dei ceti medi verso le sabbie mobili dell’incertezza e dell’impoverimento, nella fatica di dare rappresentazione pubblica e valore politico a ciascuna di queste esperienze di vita dimezzata, di vita appesa, di vita a rischio. C’è un dolore persino straziante nello sfibramento della democrazia e delle sue istituzioni, nella crisi del costituzionalismo democratico, e qui in Italia nel violento precipitare in un “vuoto di democrazia” colmato dalla videocrazia, dalla censura di Stato, da poteri opachi (e talvolta eversivi) che si auto-legittimano nei modi di un moderno populismo reazionario. C’è un dolore anche inedito nella percezione della dissipazione irreparabile di vita e civiltà che si consuma nell’oltraggio alla biodiversità e nell’aggressione mercificante alla natura. Qui c’è il vuoto drammatico di sinistra.
Qui c’è per intero il senso e il bisogno della sinistra. Non la sinistra delle nostre biografie intellettuali, di tutte le nostre scissioni, del cumulo di torti e di ragioni che ciascuno di noi si porta addosso. La sinistra che raccoglie e moltiplica domande di libertà e di eguaglianza oggi più che mai soffocate e manipolate. La sinistra che ha
bisogno di un popolo, il popolo ha bisogno di una sinistra nuova, dell’ eguaglianza, non dogmatica, libera, plurale e unitaria. Ecco: noi vogliamo aprire il cantiere, non
vogliamo chiuderlo. Vogliamo riaprire la partita, prima ancora che aprire un partito.
Vogliamo farlo in un percorso nuovo, in cui i luoghi che costruiremo non hanno la presunzione di essere autosufficienti e definitivi. Vogliamo un soggetto politico, ecologista e libertario, proprio per costruire un’alternativa al moderno capitalismo, che ci metta in cammino, che ci aiuti a incontrare tante e tanti che come noi, ma diversamente da noi, cercano il vocabolario della sinistra di un secolo nuovo.

Riaprire la partita
Con il congresso di Sel nasce in Italia un soggetto politico nuovo.
I nostri principi fondamentali sono pace e non violenza, lavoro e giustizia sociale, sapere e riconversione ecologica dell’economia e della società.
Il nostro orizzonte è un mondo futuro non dominato dalla forma di merce, nel quale il buon vivere sarà una funzione della conoscenza, della sicurezza, della bellezza, della convivialità; un mondo che metta in equilibrio città e campagna, ponendo un limite secco all’ipertrofia del cemento e della chimica; un mondo non dipendente dai
combustibili fossili e dall’uranio; policentrico e tutore della variabilità: genetica, delle civiltà e dei linguaggi umani; capace di mettere al servizio di tutti la scienza, la tecnologia, la rete. Un mondo in cui venga bandita la miseria e la fame, e in cui la guerra diventi un tabù. Un mondo capace di guardare con rispetto e amore anche la dimensione del “vivente non umano”. Un mondo in cui venga pattuito un nuovo inventario dei beni comuni dell’umanità, non disponibili per interessi privatistici e speculativi, messi al riparo dall’egoismo e dall’avidità: beni comuni naturali, aria, acqua, foreste, spazio; accesso di tutti ai medicinali e alle cure sanitarie; equa distribuzione della conoscenza, dell’informazione, della tecnica.
La nostra missione è restituire la parola alle culture critiche europee, contribuire a costruire una nuova larga sinistra in Italia ed in Europa, contribuendo, nel nostro paese, ad un' alternativa politica, sociale e culturale alla destra. Una destra che, pur segnata dai contrasti interni e dalla incapacità di dare risposte positive al paese, è sempre più pericolosa per il disegno autoritario e antisociale che incorpora.
La connessione tra le tre parole-concetto che stanno nel simbolo del nuovo partito non è né scontata né storicamente sperimentata: della “sinistra” si parla nell’ Europa
di oggi per denunciarne la crisi; “libertà” è abusata da una destra pervasa di umori populistici, autoritari, clericali, xenofobi, razzisti, antisemiti, misogini, omofobici; “sinistra” e “ecologia” - nonostante il progredire di una coscienza di massa sullo stato critico del pianeta - continuano a vivere largamente in conflitto. Fonderle in una
cultura comune, un progetto ed una programma è una grande impresa inedita.
Siamo nel pieno della stagione della crisi della politica, e della crisi verticale della forma-partito. La crisi della politica ha ragioni profonde, di sistema. La globalizzazione neoliberista è stata una vera e propria rivoluzione conservatrice. Essa ha strutturato poteri – economici, finanziari, militari - più estesi degli Stati nazionali, più potenti di governi e movimenti politici. Le decisioni fondamentali non passano per la rappresentanza democratica e il costituzionalismo delle istituzioni pubbliche.
Le istituzioni politiche non si sono internazionalizzate come il capitale e la merce, e la democrazia è regredita negli Stati nazionali. Ma ci sono altri aspetti che hanno
aggravato pesantemente la tendenza. Il primo è il processo di omologazione culturale e ideologica che ha visto convergere sotto le bandiere del liberismo gran parte della sinistra storica: questa abdicazione è stata chiamata “riformismo”. Il secondo è il progressivo dilagare della questione morale, che ha provocato in Italia il costituirsi di una parte della borghesia in “cricca”, e gran parte del ceto politico in “casta”. E’ così che i partiti attuali sembrano l’esatto rovescio dei luoghi di socialità, di gratuità, di solidarietà che ne hanno segnato la nascita il secolo scorso. La politica sembra restringersi a vuota immagine e di potere.
I cittadini e i lavoratori vivono tra adattamento, disincanto e protesta. Un nuovo soggetto politico nasce legittimamente se appare, ed è nella realtà, radicalmente controcorrente, cioè portatore di buona politica, di una riforma della politica. Fatti e movimenti politici vivi e innovativi continuano a nascere in piazza e sul Web: dal “popolo viola” alla sollevazione per la libertà della cultura e dell’ informazione, dal referendum per l’acqua pubblica alle lotte contro le leggi “ad personam”, oltre al rinnovato protagonismo di settori del lavoro dipendente, sia pubblico, a partire dai settori della conoscenza, che privato, che hanno espresso in questi mesi una capacità di reazione imprevista, di cui la vicenda di Pomigliano è la più nitida e feconda espressione. Eppure, le estreme difese del lavoro si trovano spesso a doversi spettacolarizzare in forme inedite, segnalando per questa via il progressivo distacco delle forme di rappresentanza tradizionali, a partire dai partiti politici, ma che giungono fino alla crisi di rappresentatività espressa in molte vicende dai sindacati.
In Puglia, in controtendenza, sono emerse modalità organizzative vitali, affollate da giovani spesso al primo approccio con l’impegno civile e politico, come le “Fabbriche
di Nichi”, che costituiscono una delle più significative novità della politica italiana, proprio perché sono svincolate da una logica immediatamente legata alla sfera politico-istituzionale.
Nella sua prima esperienza di vita, dopo la sconfitta del 2008, Sel ha provato con tenacia ad unire le forze della sinistra, ma la frantumazione ha fatto prevalere logiche identitarie e conservazione di nicchie ideologiche. Bisogna spezzare l’incantesimo. Tutte le espressioni organizzate della soggettività politica sono in crisi.
Lo straordinario movimento No Global – la “seconda potenza mondiale” dei primi anni del secolo - che ha mostrato di saper andare al cuore dei problemi, che si presenta in modi e forme diverse dal passato, dimostra, con le mobilitazioni contro il G20 e la proposta unitaria di partecipare alla mobilitazione europea dei sindacati oltre alle molte iniziative presenti nel resto del pianeta, la persistenza delle ragioni che lo originarono e che ancora lo innervano: lo straordinario successo della raccolta di firme per i referendum per l'acqua pubblica ne è una conferma. Non bastano partiti politici, in crisi profonda. Il compito attuale è di ricostruire una partecipazione democratica e di dare forza e credibilità ad un' idea di trasformazione, sia nei contenuti, che nelle pratiche. In particolare, riteniamo che ogni proposito di riforma della politica sia vanificato se non parte dalla centralità della democrazia, non solo quella rappresentativa. Per questo, così come sosteniamo l’indispensabilità dell’introduzione di meccanismi democratici nel mondo del lavoro, come il voto sui contratti, allo stesso modo pensiamo che oggi le forze politiche debbano promuovere, a tutti i livelli, strumenti di coinvolgimento e partecipazione, come le primarie, sia al loro interno che nella società in cui operano. Dobbiamo e vogliamo dare un’anima ed una speranza alla parola alternativa.
Sel deve mettersi a disposizione di un vero big bang, un nuovo inizio. Sel è una forza autonoma, nel progetto e nella sua organizzazione, ed unitaria nella ricerca di alleanze politiche e sociali che ricompongano la frantumazione presente.
Intendiamo dare voce e rappresentanza a chi oggi non si riconosce nell’attuale panorama politico e che vuole ritrovare un’unità di popolo che dia respiro ad un progetto credibile e alternativo di governo del paese. Tutto il quadro immaginario di sistemi ipermaggioritari e bipartitici (nel quale è sorta e rapidamente tramontata l’illusione della autosufficienza del Pd) è fallito. C’è dunque da costruire daccapo un pensiero, un programma, un progetto, una leadership.
Ci vuole cultura e struttura. Ci vuole un’organizzazione, radicata e flessibile, giovane e coraggiosa: un soggetto politico che si metta in rete con tutte le esperienze innovative, e che tessa il filo delle idee e delle passioni autentiche. Che faccia della cooperazione la nuova modalità di vita associata. “Sinistra, ecologia e libertà” vuole essere il lievito e il sale della costruzione della soggettività di una nuova grande sinistra. La sinistra della libertà e dell’uguaglianza, del lavoro e dell’ambiente.

Un altro mondo è possibile
La pace è l’unica soluzione

Il nostro mondo è ancora funestato da guerre e ingiustizie drammatiche. L’occupazione dell’Iraq, il conflitto afghano, che durano da quasi un decennio, sembrano inverare in forma paradossale la predizione minacciosa della “guerra infinita”. Il loro protrarsi non ha condotto a nessuna soluzione, ma ha solo spaventosamente aggravato l’instabilità di quell’area del mondo e le sofferenze di popoli che stanno pagando un prezzo inimmaginabile alle avventure guerrafondaie delle amministrazioni statunitensi. Il terrorismo, non solo non è stato sconfitto, ma ha trovato tra le sofferenze di milioni di persone nuove energie per perseguire i suoi disegni criminali.
L’aggressione sistematica del governo israeliano nei confronti del popolo palestinese non accenna a diminuire. Anche i pacifisti sono oggetto delle azioni militari del governo di Netanyahu, che non ha esitato a trucidarne nove sulla freedom flottiglia, oltre alle decine di feriti e alle centinaia di arresti. Intanto non cessa l’espansione delle colonie e non si avviano nuovi e necessari negoziati per la pace, affinché due popoli possano vivere in due stati sovrani e reciprocamente sicuri.
In Iran, che continua a minacciare di dotarsi di tecnologie nucleari potenzialmente anche per impieghi militari, la repressione dei dissidenti è sanguinosa, così come lo è in molti paesi del mondo, che usano i conflitti geopolitici per coprire le sistematiche violenze cui sottopongono i loro popoli.
In questo contesto, non può che crescere la preoccupazione per un mondo in cui la violenza è sempre più presente e devastante, dove l’unica voce di bilancio in costante crescita è quella degli armamenti.
Siamo contro la guerra e contro il terrorismo, stretti tra loro da un indissolubile vincolo di morte. Aderiremo ad ogni iniziativa pacifista, per la prevenzione dei conflitti e per la loro negoziazione pacifica. Siamo per il disarmo e per un rigoroso rispetto dell’articolo 11 della Costituzione. Siamo per un sistema di difesa su scala europea, che bandisca ogni forma di interventismo a sostegno delle politiche seguite fin qui dall’Ue e dalla Nato.
Le crisi finanziaria, economica, ambientale una stessa crisi.
La crisi aperta nel 2008 con l’esplosione della bolla immobiliare americana è ancora in pieno sviluppo. La riacutizzazione del 2010, dovuta ai debiti sovrani europei (primo quello greco), è un episodio dello stesso evento mondiale. Siamo di fronte ad una crisi di sistema e non congiunturale. La fase comincia con la “rivoluzione conservatrice” degli anni ’80 (Reagan e Thatcher), cui tentò di dare una proiezione millenaristica il manifesto neocon “New american Century”. Trent’anni di bruciante accelerazione della globalizzazione hanno portato il capitale finanziario al comando.
Il sistema ha sviluppato inediti caratteri predatori, ha enormemente aumentato la diseguaglianza, che nel caso specifico italiano è ai vertici dei paesi sviluppati, ha formato una superclasse che controlla gran parte della ricchezza del mondo e regge le sorti dell’umanità. L’ultima utopia che resiste è quella del “mercato autoregolato”.

Nella realtà in campo ci sono i puri rapporti di forza.
Gli Hedge Fund superano i 3.000 miliardi di dollari, circolano derivati pari a dieci volte il Pil mondiale, ogni giorno gli uomini producono l’equivalente di 150 miliardi di dollari e i soggetti della finanza possono mobilitarne trilioni. Questa immensa liquidità è figlia dello sfruttamento: lo sfruttamento intensivo del lavoro umano e lo sfruttamento senza limite delle risorse naturali, materia ed energia. La svalorizzazione di lavoro e natura sono processi paralleli. Mezzo miliardo di lavoratori e lavoratrici di paesi di antica industrializzazione sono stati messi in concorrenza con due miliardi di lavoratori e lavoratrici dei paesi emergenti, facendone crollare il prezzo, e si sono contemporaneamente sviluppati sistemi energetici altamente dissipativi e inquinanti, fino alla possibile irreversibilità delle alterazioni della biosfera. Tanto da aprire nuovi interrogativi sul destino della civiltà umana sulla Terra.
Il movimento No Global è quello che ha compreso meglio le contraddizioni della modernità. “Sinistra, ecologia e libertà” nasce per raccogliere quei semi politici e per coltivare quella coscienza.
L’Europa tecnocratica e liberista si è indebolita e si è esposta agli attacchi. Chiediamo un nuovo europeismo.
In questo tempo di crisi, le élite europee hanno scelto politiche recessive che hanno ancor più concentrato il potere di decisione nelle mani dei governi, sottraendolo al libero e partecipato dibattito pubblico europeo. Ciò è stato possibile per la lunga traiettoria tecnocratica e monetarista che ha contraddistinto il processo di unificazione. C’è una crisi di sovranità democratica, essendo i processi decisionali concentrati nei processi intergovernamentali (dominati dalle decisioni di Germania, Francia e Regno Unito) e nelle tecnocrazie (dalla Bce alla Commissione europea) ed una crisi di progetto e contenuti, essendo stata scelta la strada di politiche recessive e di ridimensionamento della spesa pubblica. Si tratta di avanzare una proposta nuova, sia nella direzione di costruire una nuova sovranità democratica dei popoli europei e dei parlamenti al livello dell’Unione, sia di promuovere una politica alternativa basata su un nuovo modello di sviluppo che si fondi sulla qualità ambientale e sulla giustizia sociale. Un nuovo europeismo si può costruire se si ripropone una soggettività sociale autonoma che rafforzi la rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici europee. È necessario ricostruire una nuova coalizione del lavoro a livello continentale, che sappia innovare nelle pratiche e nei contenuti.
Da questo versante, la proposta di mobilitazione lanciata dai sindacati europei per il 29 settembre è un importante passaggio di consapevolezza della propria missione in
questa fase. “Noi la crisi non la paghiamo” e “no alle politiche recessive” non sono solo slogan, ma programmi alternativi a quelli fin qui seguiti dall’Ue. Usa e Cina giocano la partita strategica centrale. Duri competitori avvinghiati da interessi al tempo stesso contrari e congiunti. L’Europa, che è segnata da un declino epocale, è il terzo incomodo, che potrebbe, per il suo stesso modello sociale, introdurre molte varanti e alternative nella competizione globale. Dal punto di vista delle pure grandezze economiche, l’Europa non sta peggio degli Stati Uniti, sebbene questi ultimi, grazie anche alla politica economica di Obama, stanno privilegiando la ripresa economica, a differenza dell’Europa arroccata sul modello renano del rigore e dei tagli alla spesa pubblica. Eppure, il debito pubblico americano supera di un decimo quello europeo e il debito privato ha dimensioni da brividi. Ovviamente un attacco al dollaro e agli Stati Uniti è impensabile, per ragioni politiche e militari. Un attacco sull’Europa sì.
La verità è che è in atto esattamente un violento e prolungato attacco all’euro, all’Europa come soggetto politico e al modello sociale europeo. Quello che non è riuscito sostanzialmente in trent’anni alla destra politica, coalizzata di qua e di là dall’Atlantico, può riuscire alla superclasse dei predatori di Wall Street.
Sotto l’attacco speculativo, la ricetta liberista e rigorista rischia di accentuare ulteriormente il profilo della crisi, tagliando sul lavoro, sulla domanda, sugli investimenti e sui servizi pubblici, con inevitabili effetti recessivi. E’ un circolo vizioso, in fondo al quale si profila la fine del sogno europeo.
“Sinistra, ecologia e libertà” nasce come formazione europeista. Unica Europa possibile è l’Europa della pace, della democrazia, dei diritti sociali e civili, della apertura alle culture del mondo, dell’accoglienza dei migranti in cerca di un futuro migliore.
La diseguaglianza spegne la speranza. Una prolungata disoccupazione di massa porta al divorzio tra capitalismo e democrazia.
Su scala globale e in ogni singolo paese le diseguaglianze sono diventate abissi.
Ristrette minoranze posseggono quanto miliardi di esseri umani; si è in poche anni moltiplicata per centinaia di volte la differenza tra il salario di un lavoratore dipendente e un manager; la penuria d’acqua e di cibo, sprecati altrove, torna ad aumentare per interi popoli; l’accesso ai medicinali e alle cure mediche è per
i più negato; le tecnologie si sviluppano rapidamente in una parte sola del mondo; sapere e informazione, nonostante la rete, sono inegualmente distribuiti; maschi e femmine godono di radicalmente differenti livelli di libertà personale, di accesso all’istruzione, all’indipendenza economica, al potere. La nostra specie sembra indifferente
alla vera e propria ecatombe di milioni di suoi cuccioli, i bambini.
La crisi e le risposte politiche ed economiche che si stanno attuando aggraveranno la situazione.
I governi danno tutti per scontato che, con la crisi, anche in presenza di una significativa ripresa pluriennale, la disoccupazione sia inesorabilmente destinata ad aumentare. Dovunque, com’è ovvio, il colpo arriva prima sulle donne e sui giovani con contratto di lavoro flessibile, svelando d’un colpo la verità della “flessibilità”: non figlia della tecnica e della libertà, ma dell’assoggettamento del lavoro, fino al limite di un moderno schiavismo (che avvicina nella realtà giovani occidentali a migranti, realtà che viene coperta dalla sovrapproduzione di ideologie etnocentriche e razziste). Viene dato per naturale il fatto che tutto il surplus sarà destinato a profitto e rendita. L’esperienza storica dimostra che in queste situazioni mercato e democrazia possono separarsi, come è avvenuto in Europa tra le due guerre, e più recentemente in numerose formazioni asiatiche, peraltro con eccellenti risultati di accumulazione.
“Sinistra, ecologia e libertà” si batte per ridurre tutte le diseguaglianze, contro la precarietà del lavoro e della vita, per la buona e piena occupazione.
La scomparsa della sinistra in Europa toglie chance a tutta l’umanità.
La sinistra europea si è divisa tra una maggioranza che ha accettato acriticamente le regole della globalizzazione, e una minoranza che si è chiusa in posizioni irrilevanti e
in aree marginali. Il pensiero unico è diventato egemonico. Si tratta di una vera e propria abdicazione, che lega il destino della sinistra al declino dell’Europa.
Il “riformismo” è diventata una strategia di puro adattamento, la corsa al centro una rinuncia all’autonomia politica e culturale. Così il lavoro si è dissociato dal grande tema della libertà producendo un arretramento della vita democratica dei grandi Stati e delle loro Carte fondamentali, prima di tutte la Costituzione italiana. Non vengono solo al pettine i criteri con cui a Maastricht si è disegnata la tela europea. Si subiscono le conseguenze di un prolungato dominio di populismi e tecnocrazie, e della assenza di una reale partecipazione popolare. Così, una sinistra senza popolo sembra soccombere alle presunte oggettività degli imperativi economici del rigore a senso unico, della riproposizione dei vecchi modelli di sviluppo, della speculazione finanziaria internazionale.
Nel momento in cui sarebbe più preziosa, per i popoli europei e per tutta l’umanità, la forza di idee e proposte, di un programma alternativo di uscita dalla crisi, la sinistra appare in generale assente, subalterna o minoritaria, silenziosa e rinazionalizzata. E così la crisi del neoliberismo, che ha condotto il mondo nella più grande recessione dopo il ’29, si sta risolvendo a destra.
“Sinistra, ecologia e libertà” nasce per dare un contributo affinché una sinistra di nuova ispirazione torni ad alzarsi in piedi e, nella grande complessità del mondo contemporaneo, torni a cercare strade diverse da quelle che fin qui battute dal capitalismo finanziario globalizzato.
2010 come 1929: se ne esce solo con una Grande Riforma.
Dopo il ’29, con Keynes e Roosvelt negli Usa e con il socialismo in Europa dopo la guerra, con l’intervento pubblico volto a sostenere la domanda e con l’edificazione del Welfare, cambiò profondamente l’economia, la politica e la natura della società.
E oggi?
Il primo passo urgente è fermare la mano alla speculazione finanziaria.
Qualche provvedimento di freno agli eccessi di Wall Street è stato assunto negli Stati Uniti per iniziativa del presidente Obama. In Europa regna il caos. Il vertice prima G8
poi G20 di giugno, che ha disdetto gli impegni già assunti con gli Obiettivi del Millennio, ha assunto una linea che combina rigorismo sui debiti sovrani (dimezzare i deficit entro il 2013) e pavidità verso banca e finanza. Un colpo secco allo Stato sociale, una linea economica deflazionistica, la mano libera agli speculatori. Così non se ne esce. E’ necessaria un’azione politica del tutto diversa.
L’azione politica può essere efficace se mette in campo contemporaneamente un ventaglio di proposte incisive, che cambiano subito le regole. Sono tutte ipotesi note e da tempo sul tappeto. Occorre: separare di nuovo banche di risparmio e banche di investimento e di affari; limitare i bonus e i diritti di stock option di manager e banchieri: frenare gli hedge fund e i credit default swap (obbligare chi scommette sui derivati a depositare in banca il denaro corrispondente); vietare lo short selling (vendita allo scoperto); stabilire sanzioni pesanti a chi spaccia titoli spazzatura con rating positivi fasulli; istituire una agenzia di rating europea. E soprattutto: introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. Si può cominciare con la proposta più semplice, che viene ampiamente promossa sul web: lo 0.005 su tutte le transazioni.
E una nuova Bretton Woods: se non c’è un nuovo accordo globale sui cambi, la guerra economico-monetaria, in presenza di capitali senza frontiere, può in qualsiasi momento trasformarsi in qualcos’altro.
Questo sarebbe un piano che limita le azioni predatorie dettate dall’avidità.
Che frena libertà e velocità di movimento del capitale finanziario. Ma occorre guardare ancora di più al cuore del problema.
Da dove viene la liquidità praticamente illimitata a disposizione dei soggetti dominanti il mercato mondiale? Viene dall’illimitato sfruttamento di lavoro umano, materia ed energia.
“Sinistra, ecologia e libertà” unisce tre discorsi, che, per chi guarda la realtà senza lo schermo di cattive ideologie, non possono e non potranno mai più apparire separati:
Il lavoro degli uomini, i cicli naturali, una civiltà fondata sullo sviluppo di responsabilità, facoltà e libertà umane.

Un nuovo Stato sociale
Il Welfare è la più grande invenzione politica dell’età moderna. Storicamente, ha un impianto lavorista. Ha attraversato ovunque, nell’ultimo quarto del ‘900, una crisi fiscale. Ha subito l’assalto politico di una destra che –alzando la bandiera dello “Stato minimo” - ha a più riprese tentato di ridurlo a pure funzioni compassionevoli e assistenziali, depotenziandone la carica di portatore di nuovi diritti del lavoro e di nuovo diritto di cittadinanza. La crisi in atto ha spinto il governo americano ad un parziale rafforzamento, sta spingendo i governi europei ad un’opera di secca riduzione.
E’ evidente che si pongono comunque problemi di efficacia e di efficienza della spesa. Ma con la globalizzazione, quel modello è entrato in crisi. Spiazzato di fronte alle migrazioni di massa, alle domande nuove delle donne, alla crescente marginalità dei giovani, alle nuove povertà, alle diaspore particolaristiche. Il modello va ripensato, innovando l’idea stessa di Stato sociale.
Siamo per un sistema di welfare che non abbia nessun cedimento nei confronti di una pura riproposizione dell’impianto paternalistico, che si sfibra fino a diventare “Stato minimo”. Siamo perché si potenzi un welfare che promuova le persone e le loro opportunità, che sappia intercettare i cambiamenti della società e che metta al centro il bene comune. Un welfare che sia fattore di sviluppo e non spesa passiva, che sia pensato per i giovani e per la loro formazione, investendo direttamente su di loro e non su ipertrofiche agenzie generatrici di spesa inutile. Che sia un welfare capace di assumere la “differenza di genere” come cifra di una nuova organizzazione del rapporto tra domanda e offerta di servizi, di beni comuni, di diritti. Un welfare per le persone disabili, che garantisca loro la piena cittadinanza al di fuori di qualsiasi visione pietistica, facendo della “diversa abilità” la leva per un cambio radicale degli spazi e dei tempi del vivere associato. Un welfare per le persone anziane, a partire da una rivalutazione delle pensioni, che saranno pressoché scomparse per l’attuale generazione in età da lavoro, e per la garanzia della assistenza sanitaria pubblica. Un welfare per i nuovi italiani migrati sul nostro territorio, il cui contributo alla ricchezza nazionale non è paragonabile al bassissimo contenuto di servizi di cui sono destinatari. Un welfare che sia finanziato attraverso un riequilibrio delle diseguaglianze, recuperando risorse dall’evasione fiscale e dall’emersione dell’economia in nero, a differenza della attuale strategia di tagli. Come è indispensabile finanziare la spesa sociale a partire da una tassazione sull’uso delle risorse, in modo da rendere più forte il lavoro e la produzione, che sono
pesantemente tassate, rispetto alla rendita e al profitto, che nel corso di questi anni sono cresciute a dismisura accompagnate da una bassa imposizione fiscale e da
una larga tolleranza all’evasione.
Anche sulle tutele del lavoro è ormai urgente approfondire una ricerca e una discussione. La crisi morde fino al punto da far raggiungere cifre record di lavoratori in cassa integrazione, in mobilità, disoccupati, donne e giovani inoccupati.
Bisogna dunque mutare l’indirizzo generale dell’economia, ma anche ripensare il rapporto tra reddito e lavoro, tra norma e contratto, ridefinendo tutele universali di cittadinanza.
Sono sul tavolo numerose proposte di riforma orientate alla garanzia del reddito: reddito disponibile, salario sociale, salario minimo, reddito minimo garantito.
Bisogna scegliere, guardando ai bisogni e alla sostenibilità di lungo periodo.
“Sinistra, ecologia e libertà” promuove lo Stato sociale e si batte per un nuovo modello di Welfare capace di coniugare la tutela dei diritti del lavoro nelle sue varie forme, l’accesso al reddito e i nuovi diritti di cittadinanza. Lottare contro la moderna povertà significa abbattere il muro dell’analfabetismo anche tecnologico, distribuire i saperi, fondare la società della conoscenza, sentirsi consapevoli protagonisti delle reti che connettono frammenti di mondo e che connettono il mondo al futuro.
L’inclusione sociale non è un lusso In questa crisi profonda della cittadinanza, la tendenza prevalente delle politiche pubbliche è quella di promuovere elementi crescenti di esclusione sociale.
Dalla formidabile spinta progressiva della lotta alla povertà si è passati alla lotta contro i poveri, i poverissimi e gli emarginati. Le politiche di tutela sociale, che vengono ridotte per il circuito degli “inclusi”, vengono progressivamente azzerate per gli “esclusi”. Ciò che aveva distinto l’Europa dagli Stati uniti, per non tenere in conto paesi di minor densità democratica e civile, ossia l’universalismo dei diritti di cittadinanza, va progressivamente estinguendosi in crescenti settori della società.
Eppure, anche nel nostro paese, le curve distributive della ricchezza hanno code sempre più lunghe. Quando il 10% della popolazione detiene la metà della ricchezza nazionale, quando le stime più accertate indicano in otto milioni gli italiani al di sotto degli indici di povertà relativa e due milioni al di sotto di quelli di povertà assoluta
(senza contare i tanti migranti che non appaiono neppure in queste statistiche) questa vera emergenza civile non può più essere affrontata con aggiustamenti ordinari. Una nuova politica di inclusione è oggi indispensabile ad ogni progetto di riforma positiva della società.
Eppure, l’elemento più devastante e premonitore delle future tendenze all’esclusione sono le politiche che producono più carcere. Si può passare, con il consenso di tanta parte della popolazione sedotta dalla retorica feroce della “punizione”, da uno “Stato sociale” ad uno “Stato penale”. Non si tratta solo di tipologie di reato o di sistemi penali, ma di una tendenza a rimuovere dalla società i rei, i diversi, gli ultimi. Negli Usa ci sono tre milioni di detenuti, ovvero quasi uno ogni cento abitanti, per lo più afroamericani e latinos, per reati legati ad estreme condizioni di esclusione.
L'autoritarismo sperimentato nel corso di questi anni con un sistema di norme tese a criminalizzare comportamenti sociali diffusi, come le pratiche antiproibizioniste, o per stare all'attualità di questi giorni, all'introduzione di strumenti di controllo sociale fortemente invasivi come la tessera del tifoso negli stadi, non ha portato ad alcun risultato. Proprio sul tema delle droghe abbiamo assistito, attraverso la legge Giovanardi/Fini, ad una vera e propria ossessione securitaria che ha aumentato a dismisura la carcerazione di migliaia di donne e uomini senza in alcun modo intervenire sia sulla prevenzione alla tossicodipendenza, sia nella lotta alle narcomafie. In Italia la cifra dei detenuti ha già superato i sessantamila, uno ogni mille abitanti, in maggioranza migranti e detenuti per reati connessi alla detenzione di stupefacenti e ai reati connessi alla condizione dei migranti (prima la Fini-Bossi e poi il famigerato “pacchetto sicurezza”). Nelle carceri italiane si vive in una condizione inumana e contro ogni dettato costituzionale. Ci si ammala e si muore. I suicidi e gli atti di autolesionismo negli ultimi anni sono cresciuti a dismisura. Un paese civile non può accettare una così profonda cancellazione dello Stato di diritto.
Sinistra Ecologia Libertà considera l'antiproibizionismo un valore decisivo alla propria battaglia sulle libertà individuali e collettive, e uno strumento per capovolgere a favore della responsabilità una società imprigionata dalla paura e dal controllo.
Siamo inoltri convinti che il pieno rispetto dei valori costituzionali di libertà e dignità della persona umana siano gli unici che possano ispirare ogni politica di limitazione delle libertà individuali.

Rispetto per la Terra, rispetto per l’umanità
Dalla nascita della nostra specie – l’homo sapiens antropologicamente moderno sono passati 150.000 anni e 7.500 generazioni. L’impronta ecologica, cioè la pressione umana esercitata sugli ecosistemi globali, è già largamente superiore alle capacità del pianeta che abitiamo. Non è più sostenibile un sistema economico e sociale, fondato sulla riproduzione allargata di merci e retto dalla logica del massimo profitto, che sfrutta illimitatamente lavoro umano e risorse naturali.
Apparteniamo alle generazioni che, in un lasso di tempo brevissimo, entro questo secolo, devono ritrovare un’armonia con la natura. Questo comporta una rivoluzione dell’ agenda politica e un salto di paradigma mai visto.
Lo sviluppo ha incontrato i suoi limiti. Superati i limiti, si innescano processi irreversibili nei meccanismi di produzione e riproduzione della vita. Tre sono già stati superati: ciclo dell’azoto (di tre volte la sostenibilità, e vicino al limite quello collegato del fosforo); cambiamento climatico (il riscaldamento globale è cosa certa e un’ulteriore progressione è destinata ad effetti catastrofici); tasso di estinzione delle specie viventi (valore preindustriale 0.1-1.0 su milione, limite valutato 10, valore attuale >100).
Tre azioni diventano un imperativo categorico: 1) ridurre drasticamente la deforestazione e il degrado del suolo, soprattutto nelle foreste tropicali; 2) investire in modelli e pratiche agricole innovative e sostenibili; 3) passare ad un sistema energetico efficiente e a basso consumo di combustibili fossili. E l’idea che il nucleare sia una soluzione è da disperati: riempire il mondo di centrali e di scorie radioattive, usando l’uranio, un combustibile scarso destinato a esaurirsi rapidamente, non avvicina di un centimetro il problema principale, creandone un vasto numero di nuovi.
Le tecnologie disponibili per il risparmio energetico, per chiudere il ciclo dei rifiuti, per un cambio di fonti energetiche, ci sono e, con adeguati investimenti, possono essere rapidamente sviluppate.
La tecnologia è la risposta. Ma qual’era la domanda? La domanda riguarda una vita migliore, che merita di essere vissuta, per tutti e tutte. Consumi crescenti, grandi sistemi dissipativi di produzione, distribuzione, uso dell’energia portano al disastro e rendono la vita peggiore. Consumare tempo e informazione, piuttosto che materia
ed energia, ricrea un equilibrio, e rende la vita migliore. Una vita migliore è dentro la prospettiva della riqualificazione urbana, e cioè efficientamento energetico, bioedilizia,
solarizzazione strutturale, riuso del patrimonio abitativo. Il buon vivere significa investimento sulle reti del trasporto pubblico, restauro del territorio e del paesaggio, valorizzazione dei beni culturali e turismo sostenibile. Quella che è stata nella storia dell’umanità un’utopia diventa una strategia di sopravvivenza della specie. Principio di realtà e principio del piacere, in eterno conflitto, possono avvicinarsi.
Bisogna sconfiggere il mito della crescita come soluzione di per sé delle disuguaglianze. Nei paesi di più antica industrializzazione, in Europa e nel Nord America, se la ricchezza viene ridistribuita riducendo le diseguaglianze, ce n’è per tutti. In questa parte del mondo benessere, soddisfazione e felicità possono crescere incrementando la qualità sociale se si innova radicalmente il modello di sviluppo, tenendo in conto le differenze profonde che esistono nelle varie parti del pianeta.
“Sinistra ecologia e libertà” guarda alla rivoluzione più grande, che ribalta il sistema dei valori oggi dominante: dallo spirito della guerra alla cooperazione e all’ empatia; dalla competizione alla convivialità, dal primato dei beni materiali alla conoscenza, alla cultura, all’arte.

Perchè l’italia torni ad alzare gli occhi.
Salvare la Repubblica, costruire l’alternativa.
Un Paese malato: il populismo moderno riproduce e aggrava le malattie storiche, la destra tenta un inedito esperimento di democrazia autoritaria.
Il blocco formatosi intorno a Berlusconi ha operato una decostruzione della coscienza nazionale e della memoria storica, ha dato piena rappresentanza all’egoismo sociale, ha seppellito l’etica pubblica sotto la furbizia del privilegio e l’amoralità del potere. A metà della legislatura si vanno aprendo numerose crepe nella coalizione che sostiene il governo di destra. Ma è prevedibile che Berlusconi tenti di portare a fondo l’operazione, di dare forma costituzionale ad un regime che taglia le radici antifasciste della Repubblica, il fondamento nel lavoro, la separazione dei poteri. I valori costituzionali sono il cuore della mortale partita aperta.
La destra lavora ad un nuovo equilibrio. Il nuovo equilibrio prevede: Presidenzialismo e Parlamentarismo minimo, sottomissione della magistratura,smontaggio delle istituzioni di garanzia (Corte costituzionale). Un sistema dell’informazione omologato, “ad una dimensione”, controllato dal Principe, e un radicale depotenziamento della cultura (scuola, università, ricerca, arti).
Sistemi energetici centralizzati e duri (fonti non rinnovabili, grandi centrali, nucleare) si integrano perfettamente ad un modello di democrazia autoritaria.
Gli stessi antagonisti che nel campo democratico si battono giustamente per il diritto eguale e la libertà d’informazione, hanno largamente smarrito la consapevolezza che
esiste un nesso inscindibile tra l’articolo 21 e il 40 (diritto di sciopero) e il 41 (iniziativa privata e sua utilità sociale) della Costituzione, e il 18 dello Statuto dei lavoratori: un nesso inscindibile tra libertà e dignità del lavoro. Se si è contro la legge sulle intercettazioni e a favore dell’accordo di Pomigliano, socialismo e liberaldemocrazia perdono, insieme e irrimediabilmente, la posta intera.
Ma la porta ad una vasta riforma costituzionale in collaborazione con la destra berlusconiana è stata aperta dal centrosinistra a metà degli anni ’90, e formalmente mai richiusa. Si tratta di un errore di portata storica, che sarebbe dissennato ripetere. Bisogna contestare il punto ideologico centrale: non è vero che le debolezze della democrazia dipendono da una insufficiente concentrazione del potere, da un’impotenza del decisore. Punto talmente coltivato da trasformare per esempio la Protezione civile in un laboratorio di governo emergenziale, di un sistema di decisioni senza controlli. Esattamente al contrario, le debolezze della democrazia dipendono dalla opacità e dalla separazione del potere, dalla sua insufficiente diffusione e distribuzione

La libertà è partecipazione.
Il diritto “piegato” e l’illegalismo delle classi dirigenti
All’inizio del secolo scorso, Gaetano Salvemini bolla il governo Giolitti: “Governo della malavita”. Avrebbe dovuto vedere l’inizio di questo secolo.
All’inizio di questo secolo le mafie hanno dilagato, un potere criminale che domina il Sud (segnando la disfatta del meridionalismo democratico, che, salvo in Puglia, chiude con un secco passivo la pluriennale esperienza di governo di quasi tutte le Regioni e della principali città), è penetrato in profondità nel Centro-Nord e si muove in un orizzonte sovranazionale. Le stime del fatturato parlano di una cifra ben oltre i cento miliardi di euro. Il declino italiano si deve anche all’affermarsi di questo dominio, un grumo di violenza, di corruzione e di paura che avvelena l’economia e inquina la coscienza di massa e le relazioni umane. La sua influenza sulla politica e sul governo della Nazione è alla luce del sole ed ha nomi e cognomi.
La borghesia, largamente smarrita la coscienza di una funzione nazionale, si è sempre di più organizzata in gruppi di pressione, lobby, consorterie, cricche.
Il grado di corruzione delle classi dirigenti è cresciuto rispetto alla stagione di Tangentopoli.
Lo stesso livello dell'evasione fiscale, cioè della rottura del principale patto sociale (stimato per il 2010 ad oltre 120 miliardi), è il capitolo di un tradimento, del riproporsi di quel “sovversivismo dall’alto” che Gramsci vide alle origini del fascismo.
Come allora, a questo corrisponde a livello di massa una caduta della soglia di percezione del primato della legge e del principio di responsabilità, un cedimento strutturale dell’etica pubblica che il blocco di destra usa come fonte generosa di consenso.
Cresce la percezione comune d’impunità per le classi dirigenti, a fronte di un’aggravarsi delle limitazioni dei diritti fondamentali per i più deboli. La condizione carceraria è il caso più evidente di questo doppio regime: deboli con i forti e forti con i deboli. Lì si assiste al compimento di una nefasta profezia, che vede interi settori della società condannati alla marginalità. Per le classi dirigenti le carceri sono vere e proprie discariche sociali e i centri di detenzione per migranti irregolari devono assolvere ad una aberrante funzione di colpevolizzazione preventiva, in particolare dopo l’introduzione nel nostro ordinamento del vergognoso reato di “clandestinità”.
Non si combatte la povertà, ma i poveri, che sono, come icasticamente li definì il presidente Sarkozy “racaille”, feccia. Il proibizionismo nei confronti degli stupefacenti ha rappresentato una potente incubazione di culture disciplinari e autoritarie: esso non serviva, come è noto, a sradicare un consumo di droghe che viceversa è stato alimentato nei mercati clandestini monopolizzati dalle mafie; il proibizionismo serviva a modellare quel dispositivo del “sorvegliare e punire” che conteneva una valore generale: criminalizzare serve a mirare il tema securitario su soggetti paradigmatici (i tossicodipendenti, gli irregolari, i clandestini). Insomma dura lex su ciò che si muove ai margini. Contemporaneamente si rendeva impermeabile all’esercizio del controllo di legalità il potere costituito. Così siamo precipitati in un regime di garantismo per i garantiti e di giustizialismo per i socialmente giustiziati.
Sel si richiama allo Stato di diritto quale fondamento di ogni discorso democratico. Il primo compito politico è fermare, entro questa legislatura, l’intero fronte della frana istituzionale e costituzionale.

Difendere l’unità di un Paese e di una Nazione.
La Lega ha assunto un ruolo chiave nel governo di destra. Ha costruito negli anni – su un piedistallo di nuovi e antichi miti: territoriali (la Padania) e pagani (riti celtici e dio
Po), xenofobi e razzisti, neoclericali e vandeani- una strategia di indipendenza e secessione del Nord. La promessa vera è di non pagare più tasse per mantenere i “parassiti” del Sud. Una promessa che suona alle orecchie di chi le tasse le paga e di chi le evade, di chi lavora e di chi sfrutta il lavoro, uniti in un sol blocco.
Anche il “federalismo” è diventato un mito, un mito dai contenuti incerti e minacciosi. Contraddetto dalla pratica supercentralista del governo in carica, e dal
macigno caricato sulle spalle di Regioni ed enti locali dalla manovra economica. La sinistra ha una tradizione forte di autonomismo e autogoverno locale, che non va dispersa. Deve contrastare radicalmente la deriva castale e clientelare che la riguarda in tante parti del Mezzogiorno, nelle quali si convive pacificamente con la mafia, la
camorra, la ‘ndrangheta. E opporsi altrettanto radicalmente ad ogni soluzione che minacci l’unità del Paese.
La stessa manovra di Tremonti è recessiva, colpisce prevalentemente il lavoro pubblico concentrato nel centro-sud e gli enti locali (al Sud in evidente maggiore difficoltà), ma tende a scaricare il peso della recessione sul Sud e sui più deboli, nella speranza che la parte ricca del paese rimanga agganciata all’economia tedesca.
Così, in un’Europa che si profila a più velocità, in Italia assistiamo al progredire di una vera e propria secessione economica, più reale del gran parlare di federalismo.
La divisione d’Italia non è un destino. L’Italia può avere un futuro in Europa e nel mondo: Nord, Centro e Sud separati, nessuno.

La crisi in Italia.
L’Italia è uno dei paesi al mondo nel quale è cresciuta di più la diseguaglianza. Il 10% della popolazione più ricca possiede il 45% di tutte le ricchezze. I salari, terzi in area Ocse vent’anni fa, sono scesi al 23° posto. Fondamentale è il ruolo assunto dall’economia in nero, dal lavoro sottopagato dei migranti, dal rapido dilagare del lavoro “flessibile” (cioè precario), che ha ridotto la vita delle nuove generazioni in condizioni di assoluto assoggettamento. Riappaiono travestite da libertà o sotto il giogo della clandestinità, forme antiche di relazioni schiavistiche. Ciò significa che tutto il surplus è finito ai profitti e alle rendite, senza in larga parte trasformarsi in investimenti. Il carattere piramidale e castale della società italiana è diventato, in età moderna, bronzeo.
La politica economica di Berlusconi-Tremonti è tutta a carico dei più poveri e del lavoro, o con tagli diretti, o riducendo drasticamente l’offerta di servizi del welfare nazionale, regionale e locale. Ha un carattere puramente deflattivo che aggraverà la crisi.
Ma c’è un’altra domanda: com’è potuto accadere, in un paese che nel dopoguerra è diventato una delle principali economie al mondo, e nel quale è stata tanto forte la sinistra (più volte al governo, prima con il partito socialista, poi con i postcomunisti e i cattolici democratici), e con i sindacati più forti d’Europa? Perché non c’è una ribellione, perché i giovani sono remissivi e tanti operai votano a destra?
Perché da tutti i governi hanno avuto, da una certa data in poi, più o meno le stesse cose: precariato, bassi salari, lavoro alienato. Ma la destra, in assenza di conflitto sociale e di programma alternativo, ha offerto un inventario di nuovi nemici, trovati più in basso nella scala sociale, e i miti della fortuna, della ricchezza, del
successo.
La costruzione di una sinistra nuova nasce in relazione ad una idea alternativa di sviluppo. Che chiede una guerra risolutiva all’evasione fiscale, ed una tassazione dei patrimoni e delle rendite a livelli europei. Energie rinnovabili, produzioni e prodotto meno energivori, nuovi stili e organizzazioni di vita. Scuola e università pubblica di
massa e di qualità, formazione e ricerca scientifica sono i caratteri fondamentali di questa nuova sfida. L’università italiana può ritornare su livelli competitivi con i sistemi formativi di altri paesi, solo se riuscirà ad investire sulle nuove generazioni, che oggi sono bloccate in una condizione di precarietà e di subordinazione alle gerarchie accademiche più retrive. Oggi, più che mai, è necessaria un’occupazione non precaria, che valorizzi le capacità professionali dei giovani e restituisca loro la progettazione di un futuro per l’intero paese.
Affrontare la crisi italiana vuol dire dunque ridurre le diseguaglianze, distribuire giustizia, affermare il primato della legge; promuovere gli investimenti e l’innovazione, anche nei settori dell’impresa che oggi investe solo nella competizione al ribasso del costo del lavoro, seguendo la bussola della qualità. Bisogna restituire il primato al lavoro e al sapere, alla cultura e all’ambiente.
Per la ricerca di una nuova identità culturale.
Il degrado morale del paese nasce con la perdita di dignità e soggettività del lavoro, con la decadenza della formazione pubblica e della ricerca, con l'abbandono delle
nostre straordinarie risorse di memoria e di natura, con la perdita di solidarietà e di umanità. Persa la memoria di grandi narrazioni sociali e culturali si è diffuso un individualismo astioso, rancoroso e proprietario, alimentato da paure ancestrali contro ogni diversità e contro chi minaccia, con la sua sola esistenza e presenza, il
territorio o la proprietà. Sono cresciuti egoismi e solitudini, vacui narcisismi e angosce esistenziali. Il tempo presente si è congelato nell’attimo freddo.
Smarrita l’identità del passato, viene preclusa la progettazione del futuro da una precarietà esistenziale che ti schiaccia sul qui e ora. La fabbrica della paura ha costituito
l’ossessione fobica contro lo “straniero”. Le destre hanno cavalcato questi sentimenti e hanno costruito così la loro fortuna in aree nevralgiche del paese
Questi veleni, così come il ritorno potente delle culture mafiose, hanno finito per imprigionare l’Italia e la sua creatività in una dimensione meschina. E’ come se le radici fondative della nostra democrazia fossero estirpate. Identità comunitarie chiuse e statiche hanno preso il sopravvento quasi a dispetto della vocazione mediterranea e della storia di relazioni ricche con i popoli che si affacciano sull’altra sponda del “mare nostrum”.
Oggi queste culture regressive condannano il paese ad una marginalità certamente culturale, ma anche economica e sociale. Sono una zavorra per il rilancio della nostra
penisola. La sconfitta culturale della sinistra mostra forse qui il il suo punto più drammatico.
Non si risalirà mai la china se non si avrà il coraggio di ripartire dai braccianti neri che a Rosarno si sono ribellati allo sfruttamento della ‘ndrangheta, dai giovani di Libera che al sud come al nord si impegnano con un lavoro cooperativo e solidale per la libertà da ogni criminalità, dalla civiltà democratica del conflitto sociale, dalla lotta contro le ingiustizie e le discriminazioni.
Ricostruire una partecipazione democratica e dare forza e credibilità ad una idea di trasformazione è l’unica possibilità di rifondazione della sinistra.

Per l’alternativa.
L’operazione tentata con la formazione del Partito democratico è fallita. Il Pd non è né maggioritario, né autosufficiente. Il sistema non è bipartitico, e non c’è al momento una coalizione di centrosinistra guidata da una riconosciuta leadership, armata di un’idea alternativa alla destra e competitiva elettoralmente. Il tempo stringe: la legislatura scade nel 2013, ma potrebbe interrompersi in qualunque momento, perché vengono al pettine i nodi irrisolti nel centrodestra, o magari per iniziativa dello stesso Berlusconi.
E’ tempo di muoversi. Per la leadership è impossibile immaginare un appalto ad una ristretta cerchia di ceto politico: occorrono le primarie. E presto.
Il problema più urgente è quello della costituzione di una vasta coalizione, della nuova strutturazione di un campo democratico e di sinistra intorno ad un progetto per l’Italia, ad un programma alternativo alla destra e al suo blocco.
Inseguire l’avversario sul suo terreno vuol dire consegnargli le chiavi di casa: il primato e l’egemonia, la maggioranza dei voti nelle urne e delle idee nella testa della gente.
“Sinistra, ecologia e libertà” nasce per rendere più credibile e incalzante l’opposizione al governo della destra, perché si possa subito aprire il cantiere dell’alternativa al berlusconismo, perché una nuova alleanza di progresso possa candidarsi credibilmente al governo del paese.
Sentiamo l’urgenza di costruire una proposta politica che sia innanzitutto un nuovo patto di popolo e un discorso di futuro rivolto alle giovani generazioni. Ci rivolgiamo all’intelligenza e alla passione dei tanti e delle tante che non si rassegnano ad un Europa chiusa nel fortino e ad un Italia assediata dai fantasmi di una destra reazionaria.
Siamo in campo perché possa rinascere nel cuore dell’Europa e dell’Italia una nuova grande speranza, una nuova grande sinistra.
Roma, 9 luglio 2010